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Autore: L S Blackrose    14/03/2015    3 recensioni
[breve storia collegata a 'Burn in my frozen heart like a dancing flame']
Nuovo contesto, stessi protagonisti.
In questa nuova visione di Chicago le fazioni sono in pace. Nessuna guerra minaccia la stabilità del sistema, nessuna fazione vuole prevaricare.
Zelda ha diciannove anni. Ha scelto di rimanere tra gli Eruditi, di continuare a vivere assieme a suo padre e ai suoi amorevoli fratelli maggiori.
E' ambiziosa, determinata. Convinta che nulla riuscirà a distogliere la sua attenzione dall'obiettivo che si è prefissata.
Ma non ha fatto i conti con Eric, l'arrogante Capofazione degli Intrepidi...
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Dal testo (Eric POV)
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Conosco la fama della famiglia Blackburn: padre e figli, tutti dottori di successo. Non sapevo dell'esistenza di una figlia.
Lei mi volta le spalle per sciacquarsi le mani. Alza le maniche del camice e si insapona gli avambracci fino ai gomiti con scrupolosità. - Quello che ho detto prima è vero. Non avrei mai accettato di medicarti se non fossi stata assolutamente certa di esserne in grado. Adesso sei sotto la mia responsabilità -.
Mi scocca un'occhiata furba e afferra un paio di forbici.
Ok, lo ammetto, ora ho paura.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Zeric - Flame of ice'
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Capitolo 1

 

- Rising sun -


 


 

Shine into my darkness
no one's gone bring me down
you are my rising sun

(Tolmachevy Sisters)



 

 

Eric

 

Questo è uno dei pochi giorni dell'anno in cui sono felice di avere James come collega.

Sono seduto su una delle barelle posizionate ai lati del corridoio dell'ospedale, sopra un ruvido lenzuolo bianco. I due infermieri occhialuti che ci hanno accolti all'entrata hanno tentato di farmi sdraiare, ma un mio sguardo è bastato a farli desistere.

Nessuno può permettersi di dirmi cosa fare. Men che meno costringermi a restarmene immobile come un invalido. Ho solo un proiettile piantato nella spalla, nulla di allarmante. Normale amministrazione Intrepida.

Tengo il braccio sinistro, quello ferito, il più fermo possibile, mentre osservo con divertimento James inveire contro la segretaria seduta dietro al bancone. «Nessun dottore disponibile? Come sarebbe a dire che non c'è nessun dottore disponibile?! Questo è un fottuto ospedale!» ringhia, battendo entrambi i pugni sul piano di marmo lucido. I portapenne traballano, alcuni fogli cadono a terra.

La donna, un'Erudita di mezza età, sussulta e balbetta frasi sconnesse.

James impreca nuovamente. «Non so che farmene delle sue scuse!» sbraita, puntandole un dito contro. «Il mio collega è ferito gravemente! Ha urgente bisogno di un dottore, perciò si dia da fare!».

Trattengo un ghigno. Dubito che questa sceneggiata sia dovuta a semplice preoccupazione per la mia salute.
James detesta gli Eruditi, punto. Ogni scusa è buona per attaccar briga con uno di loro, che sia uomo, bambino o questa distinta signora con i capelli grigi raccolti sulla nuca.

Io sono abbastanza tranquillo, nonostante abbia il braccio ricoperto di sangue. Se sono ancora vivo significa che nessuna arteria è stata compromessa. L'unica cosa che mi preoccupa è la prognosi: per quanti giorni dovrò restare qui, circondato da tutti questi cervelloni fastidiosi? La sola vista dei loro abiti blu e bianchi mi dà la nausea. Mi ricordano come sarei potuto diventare se non avessi cambiato fazione.

«Allora?!» tuona James, in tono aspro, parandosi a due centimetri dal viso della segretaria. Lei lo fissa impaurita da dietro le spesse lenti degli occhiali. «Ha idea di chi le sta davanti? Preghi che il mio collega non muoia, o la riterrò direttamente responsabile!».

Roteo gli occhi. Mettere in difficoltà questi ipocriti scienziati sarà anche il suo passatempo preferito, ma adesso sta esagerando.

Morire per un colpo di pistola? Ma per chi mi ha preso?
Devo forse ricordargli che sono io quello che ha vinto un combattimento con entrambe le spalle slogate?

Sto per farglielo notare, ma vengo anticipato da una voce femminile piuttosto irritata.

«Che diamine succede qui? Vi si sente urlare fino in fondo al reparto».

James si volta di scatto, probabilmente per aggredire verbalmente anche la nuova arrivata che ha osato interromperlo, ma non emette fiato. Boccheggia e smette all'istante di agitarsi.

Seguo il suo sguardo, incuriosito.

Una ragazza sta camminando verso di noi a passo di carica, il camice bianco mezzo aperto che le si avvolge intorno ai fianchi. È minuta, ma, a giudicare da quello che riesco a intravedere sotto al tessuto candido, ha tutte le curve al posto giusto.

I folti capelli neri sono legati in un'alta coda di cavallo: alcuni ciuffi sfuggiti all'acconciatura le solleticano la fronte e ricadono sulle sopracciglia corrucciate.

Sposto lo sguardo qualche centimetro più in basso e rimango catturato dal colore particolare dei suoi occhi, al momento impegnati a fulminare James. Ambrati e dalla forma allungata, sembrano due fiamme guizzanti. Man mano che la ragazza si avvicina a noi riesco a scorgervi alcune sfumature più calde, quasi dorate.

Anche il suo viso è particolare: lievemente appuntito, dagli zigomi alti, la fa apparire austera come una di quelle principesse medievali che si trovano dipinte nei libri di storia. Le sue labbra in particolare calamitano la mia attenzione: sono carnose, invitanti. Fatte per essere baciate.

Ora capisco perché James è rimasto a bocca aperta.

Lei si posiziona davanti al mio collega e lo squadra da capo a piedi con disapprovazione, le mani sui fianchi. James non sembra aver superato l'esame, visto che quegli occhi di fuoco si riducono a fessura non appena si posano sui tatuaggi che gli ornano il braccio destro dalla spalla al gomito.

Senza perderlo di vista, la ragazza fa un cenno alla donna dietro al bancone. «Tutto bene, Helen?».
L'Erudita dai capelli grigi annuisce, il viso percorso da un lampo di sollievo.

James corruga la fronte, scrutando la giovane a sua volta. Abituato com'è a mettersi in mostra e a catturare l'attenzione femminile al primo sguardo, sentirsi bellamente ignorato - mi correggo, disprezzato - da una ragazza così carina deve essere davvero frustrante per lui.

Perché sì, lei è davvero carina. O meglio, è bella.
Di una bellezza segreta e misteriosa che mi fa venir voglia di scioglierle i capelli e passarci le dita in mezzo …

Scuoto la testa per cancellare quello strano pensiero.
Che mi prende?

Se inizio a vaneggiare, significa che la ferita potrebbe essere più grave di quanto pensassi.

Mi schiarisco la voce per richiamare l'attenzione del trio.
La ragazza si gira subito verso di me. I nostri occhi si incontrano per qualche istante, mi ritrovo a trattenere il fiato.

Avevo ragione, è davvero carina.

«Accidenti» sbotta, quando il suo sguardo si posa sulla mia spalla sanguinante.
In un attimo è volata al mio fianco e sta esaminando con cipiglio critico la ferita parzialmente coperta dalla manica della maglietta.

Sentire le sue mani su di me mi sta eccitando più del dovuto. Il mio cuore sembra impazzito, rimbalza da una parte all'altra del petto.

«Com'è successo?» chiede, mentre mi afferra il polso. Sembra assorta, le sue labbra si muovono appena, come se stesse parlando tra sé.

Faccio per rispondere, ma poi mi accorgo che non si era rivolta a me.
Sta guardando James.
E la cosa mi provoca non poco fastidio.

Lui scrolla le spalle. «Stavamo facendo un'esercitazione. Una matricola ha preso male la mira e il risultato è quello» spiega alla svelta, indicandomi.
Il suo tono si è fatto più morbido, più seducente, tutto il contrario di quello usato in precedenza per mettere alle strette la segretaria. Vuole fare colpo, ma ho la netta sensazione che stavolta farà un buco nell'acqua.

La ragazza gli lancia un'occhiata penetrante e, - miracolo! -, lo fa zittire. L’espressione accattivante svanisce dal suo viso non appena lei apre bocca. «Tipico di voi Intrepidi» dichiara, con aria di sufficienza. «Incoscienti».

Estrae una piccola torcia dalla tasca del camice e me la punta prima in un occhio, poi nell'altro. «Battito accelerato. Possibile stato di shock. Deve essere medicato il prima possibile, bisogna estrarre il proiettile». La voce è controllata, non mostra segni di panico alla vista del sangue che sta inzuppando il lenzuolo della barella.

Sembra a suo agio, come se affrontasse situazioni come questa tutti i giorni.
Possibile? Avrà sì e no, diciannove anni!
Preme una mano sulla ferita, strappandomi un gemito. Alcune gocce di sangue le macchiano il camice, ma lei non sembra curarsene.

Perché finalmente mi sta guardando. E sorride con fare rassicurante. «Una reazione, non ci speravo più. Allora anche il temibile Capofazione Eric sente il dolore come tutte le persone normali» sentenzia, in tono allegro, come se avesse appena fatto la scoperta del secolo.

La gelo con lo sguardo.
Inutile, non mi sta più prestando attenzione.
Questa ragazza è sfuggente come il vento.

«Helen, come mai i due Capifazione sono ancora qui? Dovrebbero già essere stati assegnati ad un medico» prosegue, senza mollare la presa su di me.

Starmi così vicino non sembra turbarla più di tanto. Le sue gambe sono appiccicate alle mie, devo fare uno sforzo tremendo per non aprire le ginocchia e avvolgerla col mio corpo.

No, non va assolutamente bene. Non è da me fare certi pensieri.
Dovrei immaginare di portarmela a letto,
non desiderare di abbracciarla come un orsacchiotto! Cioè, a dir la verità, sto immaginando entrambe le cose … ma che diavolo ho oggi?!

La segretaria chiamata Helen si abbassa gli occhiali sul naso. «Ho già chiamato ogni dottore disponibile, ma c'è stata un'emergenza nel quartiere dei Candidi e l'ospedale al momento è a corto di personale … ». Digita qualcosa sullo schermo del computer, poi scuote la testa. «Niente da fare, signorina. Suo padre e i suoi fratelli sono irreperibili. Non ci resta che aspett … ».

«Non osi pronunciare quella parola!» esplode James, gettando le braccia in aria in preda all'esasperazione. «Siamo stanchi di aspettare! Il mio collega sta … ».

« … perdendo la pazienza» mugugno io, facendo sorridere la ragazza.

L'ho già detto che è davvero carina?

«Ci penso io» decreta lei, troncando all'istante il battibecco tra James e la segretaria.

Helen ha l'aria combattuta. «Non metto in dubbio le sue capacità, signorina, ma non è autorizzata a … ».

«Si tratta di un'emergenza. E non è la prima volta che mi occupo di un caso del genere».

La donna tentenna. «Ma qui c'è di mezzo un Capofazione. Se qualcosa va storto, gli Intrepidi ci faranno causa. Conosce le regole dell'ospedale: una tirocinante non può intervenire senza l'autorizzazione del suo supervisore e … ».

«L'autorizzo io».

La ragazza, Helen e James si voltano verso di me all'unisono.

La segretaria è incredula. «Signore, forse non mi sono spiegata … ».

«Ho capito perfettamente» replico, in tono freddo.

Lancio una lunga occhiata alla ragazza.
Lei non batte ciglio, la sua espressione resta indecifrabile. Neanche una minima traccia di indecisione o timore. E’ sicura di sé. Basta questo a farmi decidere. «Non mi importa se non è laureata o specializzata. Lei va benissimo». Non può neanche immaginare quanto.

James fa una smorfia seccata, ma non obietta. Nei suoi occhi azzurri scorgo un'emozione molto simile all'invidia.
Penso che si lascerebbe sparare volentieri, pur di essere medicato da lei.

«Ce la fa a camminare?» mi chiede Occhi di Fuoco a bruciapelo.

Perché mi sta dando del 'lei'? Mi fa sentire vecchio.
Glielo dico mentre mi alzo a fatica dalla barella. Lei ride. E io mi sento stranamente euforico.

Dove sei stata nascosta per tutto questo tempo?

Lasciamo James accanto al bancone a firmare inutili scartoffie e ci inoltriamo nel labirinto dei corridoi dell'ospedale. Lei procede a testa alta, salutando con un cenno tutte le persone che incrociamo.

Dopo pochi passi mi prende a braccetto. So che l'ha fatto perché teme mi possa accasciare a terra da un momento all'altro, ma non posso impedire alla mia mente di formulare pensieri decisamente poco casti.

Da quant'è che non faccio sesso? L'astinenza mi sta giocando brutti scherzi.

La ragazza probabilmente avverte la tensione dei miei muscoli, perché mi guarda con la coda dell'occhio e accelera l’andatura.
E mi passa un braccio attorno alla vita.

Non devo pensare. Non devo pensare. Non devo pensare.

Troppo tardi.
L'ho immaginata nel mio letto.

Sono fottuto.

Perché so che questa fantasticheria mi perseguiterà finché non mi deciderò a realizzarla.
E, francamente, non ho speranze di realizzarla.

Doppiamente fottuto.

Sibilo un'imprecazione tra i denti.
Credo venga interpretata come un lamento di dolore, perché mi ritrovo dentro una stanza e seduto su un letto senza capire come ci sia finito.
Lei si muove veloce. Apre tutti gli scomparti degli armadietti allineati lungo la parete e getta sul tavolo bende, disinfettante, batuffoli di cotone e … strumenti chirurgici dall'aspetto poco amichevole.

Deglutisco. Sono già stato ricoverato diverse volte in ospedale, per differenti motivi.
Ossa rotte, articolazioni distorte, ferite da taglio. Ho già sperimentato l'estrazione di un proiettile: un anno fa un iniziato particolarmente zelante si era lasciato prendere la mano, ferendomi alla caviglia. La punizione che gli ho inflitto fa ancora rabbrividire chiunque fosse presente.

Non ho paura di sentire dolore. Solo, non voglio farmi vedere debole di fronte a lei!
Ho una reputazione da difendere.

Mi rendo conto solo ora di non conoscere il suo nome.
Che faccio, glielo chiedo?
La mia bocca decide per me. «Come ti chiami?».

Lei alza gli occhi dalla lunga pinza che sta disinfettando e mi guarda con stupore. «Tu … non sai chi sono?» domanda, come se le avessi appena chiesto se il ghiaccio è freddo.

Alzo la spalla sana. «Dovrei?».

La ragazza fa un sorriso tirato. «Sono Zelda. Zelda Blackburn».

Mi sento stupido. Anzi, idiota. Sono un'idiota.

«Capisco» bofonchio a disagio, e le strappo un sorriso. Uno vero, stavolta.

«Mi fa piacere sapere che esiste ancora qualcuno che ignora la mia esistenza. La mia famiglia è anche troppo famosa». Fa una pausa e sospira. «Al contrario dei miei fratelli, io non amo molto stare al centro dell'attenzione. A volte vorrei solo … nascondermi».

Inclino la testa da un lato. «Con un cognome come il tuo, deve essere difficile».

Annuisce e stringe le labbra. Forse si sta pentendo di essersi lasciata sfuggire quella confessione.
Conosco la fama della famiglia Blackburn: padre e figli, tutti dottori di successo. Non sapevo dell'esistenza di una figlia.

E che figlia!

Lei mi volta le spalle per sciacquarsi le mani. Alza le maniche del camice e si insapona gli avambracci fino ai gomiti con scrupolosità. «Quello che ho detto prima è vero. Non per vantarmi, ma ho già estratto dei proiettili». Prende una salvietta e si asciuga velocemente. «Non avrei mai accettato di medicarti se non fossi stata assolutamente certa di esserne in grado. Adesso sei sotto la mia responsabilità».

Mi scocca un'occhiata furba e afferra un paio di forbici.
Ok, lo ammetto, ora ho paura.

La mia espressione la fa ridacchiare.
Non sono mai riuscito a far ridere una ragazza in vita mia - non sono certo il tipo che se ne va in giro a raccontare barzellette! -, eppure con lei non devo sforzarmi.

Devo considerarla una cosa positiva?

Zelda Blackburn si avvicina a me facendo schioccare minacciosamente le forbici.
Ho la netta impressione che lo faccia apposta, sta cercando di mettermi in soggezione.

Se sapesse che basta un suo sguardo a mettere fuori uso il mio cervello...

Mi concentro sul ticchettio delle lame, preparandomi al dolore ...

… che non arriva.

Lancio un'occhiata alla mia spalla e tiro un sospiro di sollievo: la ragazza sta solamente tagliando via la manica della mia maglia. Sfila delicatamente il pezzo di stoffa, tenendolo sollevato con le dita, ben attenta a non toccare il foro del proiettile. Lo getta nel cestino e prende una bottiglietta dal tavolo. Faccio in tempo a leggere l'etichetta: semplice disinfettante. Lo spruzza sulla ferita, sento solo un lieve bruciore.

Zelda si sposta per afferrare un paio di guanti in lattice. Li infila rapidamente, guardandomi fisso negli occhi.
Ho la gola secca. Non ho mai provato un'attrazione del genere per nessuna ragazza.
Sto seriamente rischiando di andare in iperventilazione.

Per l'amor del cielo, Eric, riprenditi.

Lei accenna un sorriso. «Bene, procediamo».
Si sporge sullo scaffale per recuperare una siringa e un tubicino contenente un liquido trasparente.

«No» esclamo, la voce roca. Me la schiarisco con un colpo di tosse. «Niente anestetico». L'ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento è di rilassarmi. Devo rimanere padrone di me stesso. Altrimenti rischio sul serio di saltarle addosso.

Lei inarca un sopracciglio con aria dubbiosa. Poi rimette a posto la siringa e la sostituisce con le pinze che mi avevano terrorizzato in precedenza. «Come desideri». Si posiziona davanti a me, mi prende la mano destra ... e la posa sul suo fianco.

Infarto. Sono ad un passo dall'infarto.

«Non devi muoverti. Se il dolore si fa insopportabile, stringi e io mi fermerò all'istante. Tutto chiaro?». Le sue iridi mi scrutano da sotto la fitta cortina di ciglia.

Annuisco e distolgo lo sguardo, puntandolo sulla lampada al neon appesa al soffitto.
Mi concentro sulla respirazione, per tenere sotto controllo l'agitazione che mi provoca la vicinanza di Zelda. Il suo profumo minaccia di mandare in fumo tutti i miei buoni propositi: la pelle del suo collo è all'altezza delle mie labbra, dovrei solo chinarmi leggermente in avanti per …

Digrigno i denti. La fitta di dolore mi ha colto impreparato, mentre fantasticavo di passare la lingua sulle vene che si intravedono sulla gola della ragazza.
Non è proprio il momento giusto per formulare pensieri da maniaco pervertito.
Dannazione a me.

Sento le pinze entrare a contatto con la mia pelle e dilatare i lembi della ferita. Mi sfugge un mugolio e d'istinto avvolgo il braccio attorno alla vita di Zelda.
Cerco di convincermi che si sia trattato di un riflesso involontario.
Non volevo assolutamente far avvicinare di più i nostri corpi. Proprio no.

Se inizio a mentire a me stesso significa che la situazione è più grave di quanto pensassi.

L'Erudita non mostra segni di imbarazzo. Ovvio, è un aspirante medico, è abituata al contatto con i pazienti.
Fantastico, ora sono perfino geloso di tutti quelli che possono vederla e toccarla tutti i giorni.

Ma perché qualcuno non mi dà una botta in testa e la facciamo finita?

Serro le labbra e trattengo un altro gemito.
Zelda sorride e mi mostra il proiettile intrappolato tra le pinze. «La parte dolorosa è finita. Ora ti rimetto in sesto». Mi fa l'occhiolino e si districa delicatamente dalla mia presa per recuperare l'occorrente dal tavolo.

Questa ragazza è parecchio strana.
Primo: non porta gli occhiali. Qui li indossano tutti, anche senza averne realmente bisogno. Forse credono di apparire più intelligenti. E' uno dei motivi per cui ho abbandonato questa fazione: detesto l’ipocrisia degli Eruditi.
Secondo: trovarsi faccia a faccia con me non la rende nervosa. Di solito le ragazze non hanno nemmeno il coraggio di guardarmi negli occhi, figuriamoci parlarmi. Il mio aspetto non la intimorisce come dovrebbe.

La osservo di sottecchi mentre mi mette i punti: è tranquilla, canticchia sottovoce tra sé. Sembra lontana, persa in un mondo tutto suo. Sicuramente per lei sarò l'ennesimo Intrepido da curare, uno dei tanti pazienti anonimi dell'ospedale.

Mi acciglio.
Non lo accetto.
Non voglio essere solo un paziente da tagliuzzare e poi ricucire.
Voglio che si ricordi di me quando me ne sarò andato. Voglio che pensi a me almeno un decimo di quanto io penserò a lei.

Aspetto che finisca di avvolgere la benda attorno la mia spalla. Fa un piccolo nodo e sorride, soddisfatta del proprio lavoro.
Non appena accenna ad allontanarsi, le circondo i fianchi con il braccio sano e affondo il viso nell'incavo del suo collo. Lei si irrigidisce all'istante. «Grazie» soffio sulla sua pelle, e mi compiaccio di sentirla rabbrividire.

Allora non le sono totalmente indifferente.
Buono a sapersi. Il mio ego ruggisce d'orgoglio.

Sfioro con le labbra il contorno della sua mascella, risalendo verso il mento, fino a trovare la sua bocca.
E la bacio.
La bacio come ho sognato di fare da quando l'ho vista avanzare fiera come una regina in quel corridoio. Chiudo gli occhi e mi lascio sommergere dall'attrazione che mi spinge verso di lei come un'onda. Imprevedibile e incontrollabile.

So perfettamente che è un errore, ma non me ne importa nulla. Voglio solo assaggiare le sue labbra, gustarmi il loro sapore. Sono morbide, dolci … il loro ricordo mi perseguiterà a vita, ne sono certo. Meglio approfittare finché posso.

Impiego solo pochi secondi a realizzare che lei non mi sta respingendo. Il ceffone che mi aspettavo non arriva.
Zelda non oppone resistenza, ma nemmeno ricambia il bacio. E' perfettamente immobile, rigida come una statua. Mi allontano di pochi centimetri e apro gli occhi.

I suoi mi stanno fissando come se volessero trafiggermi, affilati come pugnali forgiati nell'ambra più pura. Scintillano di furia a stento repressa.

«Hai finito?» sibila, a denti stretti. Non capisco se il rossore sul suo viso sia dovuto alla rabbia o all'imbarazzo. «Non so come funzioni tra voi Intrepidi, ma ti ricordo che qui siamo nel mio quartiere. Ed esigo un minimo di rispetto anche da un Capofazione».

Stringe i pugni e si sposta di lato. «Evita di fare movimenti bruschi nei prossimi giorni, altrimenti la ferita rischia di riaprirsi. Ti consiglio assoluto riposo almeno fino a domani». Nonostante sia arrabbiata, parla in tono deciso e professionale. Non mi guarda, fissa un punto poco sopra la mia spalla. Poi indica la porta con un gesto secco. «Manderò qualcuno a controllare i punti. Ora fuori di qui».

No.

Non volevo finisse così. Non volevo irritarla, non era questo il mio scopo.
Volevo solo che … si accorgesse di me.

Forse sono stato troppo precipitoso, ho dato retta all'istinto e non ho preso in considerazione le possibili conseguenze delle mie azioni.

Cosa pensavo, di riuscire a conquistarla con un bacio? Che un mio bacio l'avrebbe condotta dritta tra le mie braccia?

Sono stato parecchio arrogante. Lei non è certo il tipo di donna con cui sono abituato ad uscire. Non è espansiva e disinibita come le Intrepide che si siedono di fianco a me in mensa solo per sbavare sui miei bicipiti e che mi guardano come se volessero strapparmi i vestiti a morsi.

Faccio un respiro profondo e mi alzo dal lettino. Una fitta di dolore mi fa stringere i denti. La vista mi si offusca per un istante e barcollo.

«Lo sapevo. Avrei dovuto fare di testa mia» mormora Zelda tra sé, mentre posa una mano sul mio braccio sano per stabilizzarmi. Scuote la testa e mi dà una leggera spinta per farmi tornare seduto sulla brandina.

Recupera l'anestetico dallo scaffale e tuffa la siringa nel liquido. Preme lo stantuffo per eliminare le bolle d'aria e mi conficca l'ago nel collo come se fosse un pugnale. Senza un briciolo di delicatezza.

Vendicativa la ragazza, eh? Mmm, la cosa si fa interessante.

Non emetto un fiato. Sono completamente in balia del fuoco racchiuso negli occhi di Zelda. Stregato, ipnotizzato.
Dei puntini bianchi lampeggiano nel mio campo visivo. Un lieve torpore si impossessa delle mie membra, le fitte che mi squarciavano il braccio sono sparite.
Batto le palpebre alcune volte, fatico a tenere gli occhi aperti.

Zelda appoggia una mano sul mio petto - l'altra tiene fermo il braccio ferito - e mi fa sdraiare. È riuscita dove i due infermieri hanno fallito: mi ritrovo steso su un lettino d'ospedale come un povero cretino.

Lei è anche troppo brava a farmi cedere. Se ci fosse stato un altro medico al suo posto, me ne sarei già andato da un pezzo, con o senza antidolorifico.
Se sono ancora qui, è solo perché non voglio allontanarmi da lei. Dal tocco delle sue mani, dal suo profumo speziato, dal suo corpo sinuoso.

Mi hai veramente fulminato. Sei pericolosa, piccola.

I miei occhi si chiudono contro la mia volontà. Avrei preferito continuare a godermi la vicinanza di Zelda: una volta uscito dall'ospedale, le possibilità di incontrarla di nuovo sono praticamente nulle.
Avverto una fitta al petto, ma questa volta il dolore non ha niente a che fare con la ferita alla spalla.

Quanto vorrei baciarti ancora...

Non so se l'ho detto ad alta voce o solo pensato. L'anestetico sta facendo effetto, sto lentamente perdendo conoscenza.

Un attimo prima di sprofondare nell'oblio avverto davvero delle labbra premere sulle mie.
Morbide, calde … le labbra di Zelda.

Sono costretto a ricredermi: le matricole non sono così inutili.

Sia ringraziato quel proiettile.










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Ciao gente! Sono tornata col primo capitolo effettivo della nuova storia ;)
Volevo pubblicarlo domani (in occasione del compleanno del nostro amato Jai), ma ho deciso di anticipare per impegni vari...
Fatemi sapere che ne pensate! Ci tengo veramente, non deludetemi ;)
Ringrazio le persone che hanno messo la storia tra le seguite/preferite: il vostro sostegno è impagabile!! Grazie di cuore *.*
A presto,
Lizz

p.s. vi lascio il link della mia pagina Facebook, dove domani posterò una sorpresa, sempre in onore di Jai ;)

https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966





















 

   
 
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