2.
Cioccolato e cannella
Apro gli occhi e
sollevo la testa dopo essermi gettata sul viso l’acqua tiepida, ritrovandomi
davanti al mio riflesso intrappolato nello specchio sopra il lavabo.
La ragazza che mi
restituisce lo sguardo ha pesanti occhiaie scure sotto gli occhi, lo sguardo
spento e le labbra arricciate in un’ espressione severa.
Una notte nella mia
vecchia stanza, è ho già ricominciato ad avere la stessa espressione seria e
apatica degli Eruditi. Certo, il tatuaggio che ho dietro l’orecchio sinistro
non c’era l’ultima volta che mi sono specchiata in questo bagno, ma non basta un
disegno a fare di me una vera Intrepida.
Mi passo una mano sulla
guancia, non mi dispiacciono le occhiaie, dimostrano la nottataccia insonne che
ho passato e tutto quello che ho dovuto sopportare a partire da ieri. Sono come
le cicatrici, sono il segno di una lotta e di una ferita richiusa.
Con la differenza
che la mia ferita non è ancora guarita.
Mi guardo le mani,
sono davvero rovinate a causa dei colpi che ho sferrato al muro di roccia fuori
dal centro di controllo, alla residenza degli Intrepidi. Sono ricoperte di
tagli con le unghia spezzate.
Non mi dispiace
neanche questo, mantiene vivo il ricordo del dolore.
Ho sognato un
ragazzo correre nel buio, lo osservavo ma non riuscivo a raggiungerlo. Quando
si girava verso di me mi sorrideva e riconoscevo subito il volto di Will. Poi
un colpo di pistola lo colpiva dritto al centro della fronte ed io assistevo
impotente alla sua morte, mentre i suoi occhi si svuotavano e il suo corpo
cadeva accasciandosi al suolo.
Quando, urlando,
avevo tentato di accorrere, ero andata a sbattere contro un vetro e mi ero
accorta di essere in gabbia. Poco dopo, con i pugni ancora contro la superficie
fredda, avevo visto spuntare Eric dal buio con ancora la pistola in mano.
Dopo aver guardato
il cadavere di Will, l’ Eric del mio sogno si era voltato verso di me e mi
aveva puntato contro la pistola. Le mie urla non erano bastate a fermarlo, perché
il suo sguardo era vacuo e distante, come se fosse anche lui vittima di una
simulazione che lo guidava come un burattino.
Partito il colpo di
pistola, mi ero finalmente svegliata.
Mi abbasso e mi
sciacquo un’altra volta il viso con l’acqua, prima di afferrare un’ asciugamano
per riasciugarmi.
Sono stanca.
Sono così spossata
che potrei addormentarmi anche in piedi, ma ormai chiudere gli occhi è
diventato un tormento e non credo di esserne più capace.
Questa mattina,
quando ho deciso che era ora di alzarmi, non mi sono semplicemente limitata a scendere
dal letto, essendo già sveglia da ore.
Ho detto a me stessa
che potevo farcela.
Ma non ci credo.
Serro i pugni
attorno all’asciugamano e mi impongo di rimetterlo a posto con cura, lo stiro
con le mani e stendo le pieghe, sperando di distrarmi e di riuscire a
riprendere il controllo di me stessa.
Esco dal bagno e
torno in quella che era un tempo la mia camera, senza perdere tempo ad
osservarla. D'altronde, l’ho rivista di recente dentro la mia allucinazione
della paura durante l’ultimo test di ammissione agli Intrepidi.
Una libreria piena
di libri, un tappeto al centro e una finestra di fronte la porta. Avanzo verso
il letto e lo rifaccio, poi prendo lo zaino in cui sono riuscita a infilare
alcuni indumenti e cerco qualcosa da indossare. Ho dormito con una delle mie
vecchie camicie da notte che erano ancora nel cassettone, ma davvero non
capisco com’è possibile che fossero ancora lì.
Pensavo che, una
volta andata via, la mia famiglia si sarebbe liberata della mia stanza e di
tutto quello che era mio.
Dal mio dormitorio
sono riuscita a recuperate solo dei cambi di biancheria, qualche canottiera,
una T-shirt, un pantalone nero aderente da combattimento e un altro pieno di
tasche. Ho anche una felpa nera con cappuccio, un maglioncino con scollo a v e
il mio inseparabile giubbotto di pelle con la cerniera in diagonale. Quello che
Eric ha preso per me al Pozzo quella volta che ho dormito con lui nella sua
stanza.
A quel ricordo mi si
ferma il cuore. Sembra passata un’ eternità.
Stringo i pugni, non
so se sarò mai più la stessa o se sarò di nuovo felice come lo sono stata
quella mattina.
Opto per i jeans striati
che avevo addosso ieri sera, poi prendo una canottiera pulita e, considerato
l’aria frasca del mattino, raggiungo il mio vecchio armadio.
Ritrovo un dolcevita
a collo alto di un blu talmente scuro ed intenso da sembrare nero. Non so se ho
il permesso di prenderlo, ma il colore è perfetto e nessuno ci farà caso. Lo indosso,
afferro lo zaino con il resto delle mie cose, mi metto la giacca di pelle sulle
spalle e vado al piano di sotto.
Quando arrivo, lo
trovo buio e deserto, segno che è davvero troppo presto. Decido così di lasciare
lo zaino e la giacca vicino al mobile dell’ingresso, quello dove mio padre mi
ha fatto deporre la mia pistola.
Niente gente armata
in una casa Erudita.
Sospiro e mi dirigo
al bancone della cucina, accendo le luci e anche il forno. Non ce la faccio a
starmene con le mani in mano perché, se sto ferma per più di un istante, inizio
a pensare e la mia mente mi uccide con ricordi e considerazioni.
So già che non posso
farcela, non sono nelle condizioni di sopportare altra sofferenza, perciò decido
di concentrarmi su una delle poche cose che mi piaceva fare quando vivevo
ancora qui.
Preparare le torte.
Prendo tutti gli
ingredienti e li unisco in una ciotola e, senza che mi accorga del tempo che
passa, distribuisco l’impasto in una teglia e la metto nel forno. Nel frattempo
apparecchio la tavola, sistemando le tovagliette per la colazione e, dato che
non è passato tanto tempo e che si tratta pur sempre della mia famiglia, metto
davanti ad ogni posto la tazza preferita di ognuno dei miei familiari. Facevamo
sempre così, ed una sorte di tepore mi attraversa quando accarezzo la mia tazza
a fiori viola.
Faccio in modo che
la preparazione mi tenga impegnata il più a lungo possibile, piegando con cura
i tovaglioli di carta e allineando i cucchiaini. Perdo davvero la cognizione
del tempo. Inizio a lavare gli utensili che ho utilizzato e ripulisco anche il
bancone e, alla fine, mi siedo per un attimo nella sedia a capotavola che era
il mio posto una volta.
Mio padre occupava
l’altro lato e mia madre e mia sorella ai due fianchi della piccola tavola da
pranzo rettangolare.
È in questo momento
che ripenso alle parole di mia sorella, mentre cercava di convincermi del fatto
che per la mia famiglia fossi stata importante. Forse non era un caso se sedevo
io a uno dei capitavola come mio padre, non Amber.
Scuoto la testa e
sospiro, mentre sento le scale di legno scricchiolare sotto il peso di qualcuno
che scende.
Una testa con folti
capelli scuri, raccolti in una lunga treccia, fa capolino annusando l’aria con
fare compiaciuto. È mia madre in camicia da notte turchese e vestaglia abbinata,
ad arrivare in cucina. Osserva la tavola apparecchiata con cura e sorride, ma
non è il tipico sorrisino tirato che ricordavo sul suo volto.
Sembra davvero
soddisfatta.
Distolgo lo sguardo
quando mi guarda, lei avanza verso il forno che si mette a suonare proprio in
quel momento, ed estrae la torta proteggendosi la mano con un guanto da cucina.
-Dormito poco?- mi
chiede, pacata.
La guardo con una
smorfia e fortunatamente non mi vede, perché mi da le spalle. Quando non le
rispondo, lei non si perde d’animo.
-Avevi voglia di
preparare la colazione?-
Sta volta sto per
parlarle, ma mia sorella sceglie quel preciso istante per presentarsi in cucina
tutta trotterellante.
-Cos’è questo buono
odore?-
-Torta!- esclama mio
padre, arrivando in cucina dietro di lei.
Quando mi vedono,
seduta rivolta vero mia madre ferma al piano cottura, mi aspetto che si
arrabbiano, infastiditi.
E invece sorridono.
Che diavolo gli
prende? Cosa sono questi sguardi contenti? Non vedevano l’ora che andassi via e
adesso sono così felici di trovarmi di prima mattina nella loro cucina?
Non sono certo un
regalo inaspettato!
O così credo.
Amber sfoggia un
grazioso completo blu, con la gonna che le solletica le ginocchia. Mi si stringe
lo stomaco al pensiero che quelli sono i suoi nuovi abiti da lavoro e che,
probabilmente, adesso anche lei lavora per Jeanine.
Mio padre è
impeccabile nella sua camicia inamidata azzurra e, da dietro gli occhiali, mi
rivolge uno sguardo tranquillo che per un attimo mi fa ripensare ad Eric e al
modo in cui mi osserva quando pensa che abbia qualcosa che non va.
Mi sembra strano
che, proprio adesso, mio padre abbia a cuore la mia salute e mi guardi con se
fossi un animale ferito.
Forse è quello che sei…
Dice sadica la
vocina nella mia testa, ma fortunatamente non ho tempo di darle ascolto perché
mia madre mi mette davanti una tazza fumante e, dal profumo che sembra entrarmi
dentro come un brivido caldo, capisco che è tè ai mirtilli.
Il mio preferito.
Sorrido imbarazzata
e ruoto sulla sedia, per mettere compostamente le gambe sotto al tavolo. Osservo
mio padre che si siede al suo posto davanti a me e Amber che sposta la sedia
alla mia destra per accomodarsi. Mia madre serve anche a loro due tazze di tè e
porta la torta a tavola, già divisa in fette.
-Torta cioccolato e
cannella, eh?- esclama mio padre, prendendo un pezzo di torna ed esaminandone
il profumo.
Prima ancora che mia
madre gli sorrida, indicandomi con un cenno del capo, gli occhi blu di mio
padre si sollevano verso di me e il sorriso che mi concede mi avvolge come una
coperta calda. Sapeva già che l’avevo preparata io, era la mia ricetta
preferita ed il mio regalo di inizio giornata per la famiglia, quando mi alzavo
di buonumore.
-È deliziosa!-
Commenta Amber, sorridendomi a sua volta.
Poi fa un sorriso
anche a mia madre e lei ricambia.
Ma che gli prende a
tutti sta mattina? Dov’è finita la mia sorella gemella fredda e altezzosa?
Dov’è andata a finire l’autorevolezza di mio padre? Non dovrebbe rimproverarmi
perché non ho dormito abbastanza? E mia madre e la sua arroganza? Perché non si
lamenta del fatto che ho messo le mani nella sua preziosa cucina?
Perché gli sei mancata! Sono felici di riaverti qui…
Scuoto la testa per
zittire la mia vocina interiore e, per un attimo, mi chiedo se Amber non avesse
ragione quando mi diceva che i miei avevano scelto di trattarmi con freddezza solo
perché non approvavano la mia decisione di andarmene.
Forse si sentivano
traditi.
D’altro canto è
questa la famiglia che avevo accanto quando ero una bambina come le altre.
Avevo una sorella allegra, un padre tranquillo e attendo e una madre cortese e
precisa.
Ma poi non li ho
avuti più.
Bè, di certo saranno
contenti e soddisfatti della mia scelta di ieri sera, quando ho convinto Eric a
lasciarmi passare la notte nella mia vecchia casa.
Ho colto la rivalità
tra lui e mio padre, perciò è di sicuro soddisfatto di aver vinto contro il mio
capofazione, mentre Amber è felicissima che abbia dormito qui.
Deglutisco a fatica,
pensando che quel capofazione sarà infuriato da morire.
Eppure, in questo
insolito momento in cui tutti sembrano rabboniti dal profumo di cannella che
ancora invade la stanza, mi ritrovo ad ammettere che sto bene. La mia mente è
lontana da complotti folli e dalla guerra, mi sento al sicuro, protetta.
E, per la prima
volta, il pensiero di essere debole e di avere qualcuno che si prende cura di
me, non mi spaventa.
Sta notte Amber è
venuta nella mia camera ed è rimasta con me per un po’. Non è come l’ho
lasciata, non mi tiene a distanza, sembra essere tornata la bambina spensierata
che ne combinava di tutti i colori insieme a me quando eravamo piccole.
-Non mangi?-
Mi chiede con un
sorriso, indicando la torta.
Non so cosa
rispondere, mi sento inebetita.
Mia madre arriva in
mio soccorso, prende un pezzo di torta, lo avvolge in un tovagliolo di carta e
me lo passa.
Le sussurro un
grazie mentre prendo la torta dalle sue mani e, quando le nostre dita si
sfiorano, sento un brivido lungo la schiena.
All’inizio provo
repulsione al pensiero che, con quelle stesse dita, mi iniettava dei sedativi
per farmi dormire quando mi comportavo in maniera non adeguata. Ma poi mi
sorride rassicurante, facendomi provare qualcosa che non conosco, e
all’improvviso non so davvero più cosa provare.
Tento di portare la
torta alle labbra per addentarla ma, invece dell’aroma di torta e cioccolato,
sento uno strano odore ferroso e salino attraversarmi, bruciante come una lama.
Mi accorgo di
pensare al sangue e in un attimo vedo davanti a me il corpo di Will cadere al
suolo.
Sussulto, abbasso la
torta e prendo un respiro profondo.
Ma che mi prende?
Vorrei provare
ancora a mangiare la mia torta, ma mi si è rivoltato lo stomaco e all’improvviso
sono invasa dalla nausea.
E, mentre fisso la
fetta di dolce ripetendomi che non è un nemico pericoloso, il trillo del
campanello ci coglie tutti di sorpresa.
-Aspettiamo
qualcuno, tesoro?- chiede mio padre, rivolto a mia madre.
Dal tono di voce
estremamente composto, e dal modo in cui si pulisce le labbra con un
tovagliolo, capisco che è infastidito e che la sua è stata più che altro
un’esclamazione sarcastica.
-Deve essere per
me…- Sussurro ad occhi bassi.
So che è Eric,
tremendamente puntuale.
-Scusate, è meglio
che vada.- Aggiungo, mentre sto per alzarmi dalla sedia.
Ma mio padre mi
ferma con un gesto della mano e un’occhiata che non ammette repliche.
-Rimani al tuo posto
e finisci la tua colazione, tesoro!- Si alza e si avvia alla porta. -Ci penso
io!-
Mi viene quasi da
sorridere, mio padre sta mattina ci chiama tutte tesoro? Anche a me?
Poi alzo gli occhi
al cielo bevendo dalla mia tazza di tè. Il signor Grey è estremamente convinto
che non si possa iniziare bene una giornata senza aver prima fatto
un’abbondante colazione ricca di zuccheri, per fornire al cervello le giuste
energie per funzionare fino a sera.
Eruditi! E mio padre
ne è il modello perfetto.
Sento la porta
aprirsi e rabbrividisco al pensiero di lui davanti ad Eric, accorgendomi solo
adesso dell’errore che ho commesso a lasciarlo andare, dato che non ho idea di
cosa gli dirà per convincerlo a lasciarmi con loro ancora un po’.
Conoscendo già
l’epilogo della situazione, mi sforzo di bere tutto il mio tè in meno sorsi
possibili.
-Sì?- Dice mio
padre.
-Tempo scaduto!-
Il tono di voce
rauco di Eric mi attraversa come una scossa elettrica e mi fa sussultare, solo
adesso mi accorgo dell’effetto devastante che ha su di me e di quanto bisogno
ho di stare con lui.
Mando giù velocemente
un'altra sorsata di tè, ma vedo Amber che mi guarda storto.
Le sorriso e alzo le
spalle. Non sa cosa si rischia ad approfittare della pazienza del più giovane
capofazione degli Intrepidi.
-È molto presto, mia
figlia non ha ancora finito la sua colazione. Posso accompagnarla al quartier
generale io, dato che tra poco vado a lavoro.-
Mio padre si finge
cortese, ma colgo la sua ostilità anche se sono seduta nella stanza accanto
senza vederlo.
-Forse non mi sono
spiegato bene…-
Capisco che è ora di
andare quando sento ogni muscolo del mio copro vibrare e vedo mia madre
irrigidirsi.
È bastata una mezza
minaccia di Eric per far calare il gelo in cucina.
Non è certo il
momento per far scoppiare una lite fra Eric e mio padre, conoscendo la
delicatezza del mio capofazione, anche se la tenacia di mio padre non scherza.
-È davvero meglio
che vada, adesso…- dico a mo’ di scuse, mentre mi alzo da tavola e cerco di raggiungere
la porta, in soccorso di mio padre.
-Aspetta!- mi
richiama mia madre.
Mi volto verso di
lei, preoccupata, ma la vedo prendere la mia fetta di torta intatta e
avvolgerla in un tovagliolo pulito insieme ad un’altra fetta presa dal vassoio.
-Portale con te, in
caso ti venisse fame più tardi!-
Per un attimo mi
paralizzo, ma non appena vedo il sorriso di Amber mi faccio coraggio, accetto
l’involucro di carta e piego le labbra all’insù, scoprendo che mi riesce
naturale.
-Grazie!- le dico, e
scappo.
Arrivo al mobiletto
dell’ingresso e raccolgo la pistola e i caricatori, guardando per un attimo la
schiena rigida di mio padre mentre tiene ancora una mano sulla maniglia della
porta aperta.
-Non mi piace
aspettare e sto perdendo la pazienza!-
Gli dice Eric, ed io
rabbrividisco per la rabbia espressa dalla sua voce.
Afferro la giacca e
me la metto subito addosso, riponendo le fette di torta dentro le tasche, poi
raccolgo al volo lo zaino da terra e mi avvicino alla schiena di mio padre,
facendo capolino da sopra la sua spalla.
-Sono qui!- dico per
tranquillizzare Eric e per far capire a mio padre che non è il caso di tirare
ancora la corda.
Lo sguardo di Eric e
ferino e terrificante, ha persino le narici allargate e le sue spalle sono tese,
mi chiedo davvero come faccia mio padre a tenergli testa senza scappare dalla
paura.
Ho appena scoperto
che un Erudito riesce a fare qualcosa che nessun Intrepido si sognerebbe mai di
fare: sfidare Eric.
Lo vedo girarsi
verso di me e colgo subito la sua espressione infastidita, mentre la sua
camicia si tende quando fa un profondo respiro. Per un attimo ho paura che si
arrabbi e mi impedisca di uscire, ma poi mi guarda e si rilassa.
-Hai mangiato?-
-Sì.- sussurro,
perché in parte sto mentendo.
Si sposta con
riluttanza, lasciandomi intravedere l’occhiataccia severa che lancia ad Eric
mentre esco.
Alzo lo sguardo e
gli occhi cerulei di Eric sono su di me, mi pare di vederlo più tranquillo, o
forse è arrabbiato anche con me. Non lo so.
-Stai attenta!- dice
mio padre.
Mi volto e faccio un
cenno. -Anche tu!- trovo il coraggio di rispondergli, guardandolo intensamente.
Non ho il tempo di
vedere la sua espressione, di capire se si è offeso o altro, perché Eric mi
appoggia una mano sulla spalla e mi fa voltare costringendomi a seguirlo.
Pochi passi lontano
da casa, sento di nuovo l’angoscia assalirmi.
-Stai bene?-
Guardo Eric al mio
fianco, i suoi occhi puntati su di me, percepisco un senso di vuoto soffocarmi
e rabbrividisco.
Non rispondo, mi
limito a sollevare le spalle mentre continuo a camminare.
-Bè, almeno tu hai
fatto colazione mentre io muoio di fame!- brontola.
O santo cielo, non
vorrà litigare adesso?
-Tieni!- gli dico,
passandogli una delle due fette di torta avvolte nel tovagliolo.
Eric guarda la mia
mano con sospetto.
-È un pezzo di torta
che ho preparato io sta mattina…-
-Bene, in tal caso
posso mangiarlo!-
Lo prende dalla mia
mano senza toccarmi, facendomi capire quanto invece desiderassi un contatto con
lui. Lo desideravo disperatamente, sto gelando e ho bisogno di immediato calore.
Riprendiamo a
camminare e io sono un passo avanti, ma lo sento mangiare avidamente il dolce.
-Buona!-
Farfuglia, divorando
la torta a grandi bocconi al punto da farmi quasi sorridere, ma mi accorgo di
non riuscirci. Il freddo mi assale, un freddo che viene dall’interno, sento la
terra sotto i miei piedi muoversi più veloce di me.
-Bene!- Gemo, e mi
fermo.
Sento una mano di
Eric sulla mia spalla e ritrovo il contatto con la realtà.
-Sono contento che
permetterti di dormire con la tua vecchia famiglia non sia stato del tutto
inutile.- Inizia, spavaldo. -Almeno hai ripreso a parlare!-
Perdo del tutto la
calma e, al tempo stesso, la forza.
-Potresti fare
qualcosa anche tu!- sbotto, alzando la voce e ricominciando a camminare.
-Cosa?- urla Eric,
allargando le braccia mentre mi segue.
Perché adesso la mia
salute mentale sta a cuore a tutti quanti? È così difficile capire che non c’è
più speranza, che ho perso una parte di me e che non dimenticherò mai quello
che è successo?
Di certo non è
standomi addosso e trattandomi con pietà che mi aiuteranno.
Odio dover ricordare
che solo ieri mi solo lasciata prendere da una strana e sgradevole forma di
mutismo, ma non posso farci niente, di certo non adesso.
-Sto parlando con
te!- Mi ringhia Eric, afferrandomi da una spalla e costringendomi a voltarmi.
Me lo trovo davanti
a gli urlo contro. -Potresti iniziare smettendo di arrabbiarti e di urlarmi addosso
senza motivo!-
-Sei tu che mi urli
contro!-
Dando per scontato
che si accorga benissimo di stare sbraitando, capisco che vuole solo
provocarmi.
-Fai quello che
vuoi!- brontolo, abbasso lo sguardo e metto le mani in tasca.
Anche Eric si calma,
serra la mascella e mi guarda con attenzione, poi lo vedo alzare gli occhi al
cielo e sospirare pesantemente mentre nasconde un’ imprecazione.
-Forza, vieni qui…-
Davanti all’invito
silenzioso delle sue braccia ora aperte verso di me, pronte ad accogliermi, mi
trema il labro. Prima che inizi vergognosamente a piangere, sento le mie gambe
muoversi da sole verso di lui.
Mi getto
letteralmente contro il suo petto e lo stringo forte, respirando a pieno il suo
profumo, ma non mi sento meglio, ho solo più voglia di piangere.
Mi stringe forte a
sua volta, con una mano mi accarezza la schiena mente tiene l’altra tra i miei
capelli sciolti. Non parla e capisco che non ho bisogno che lui mi dica niente,
perché mi basta solo sapere che è qui con me.
-Avremo bisogno di
tutta la tua forza per affrontare questa situazione…-
All’improvviso i
miei muscoli si tendono per la tensione, ricordandomi della guerra.
-Perché avremo?-
Spinge la mia
guancia contro il suo petto e lo sento sospirare.
-Non posso occuparmi
di te come vorrei, quindi ho bisogno di sapere che ce le farai.-
Non so se essere
arrabbiata perché non crede nelle mie capacità, o se essere estasiata dal fatto
che si preoccupa tanto per me da arrivare al punto di dire che ha bisogno anche
lui che io sia forte.
-Quanto è grave?-
Invece di
rispondermi, mi fa sollevare la testa per farmi incontrare il suo sguardo serio
e pieno di ansie, fa un sorriso tirato che non arriva ad illuminare i suoi
occhi seri e prende fiato.
Quando mi bacia
sulla fronte, sento una morsa stringermi dolorosamente lo stomaco e mi sento
sprofondare. Non ci vuole molto a capire che siamo davvero messi male.
Posso solo
immaginare la gravità della situazione in cui siamo finiti.
Continua…
Eccomi qui con l’aggiornamento
che è arrivato miracolosamente sano e salvo a destinazione!
Il pericolo ero io
stessa che gli ho messo le mani mille volte. Non lo so perché, ho dei dubbi e
cerco di fare quadrare tutto al meglio con la trama, cerco di lasciare il carattere
di Eric più realistico possibile e di rendere piacevole e credibile anche il
personaggio inventato. Ovvero Aria.
Spero vi piaccia il
nuovo capitolo, fatemi sapere cosa ne pensate, io intanto continuo a rimettere
in fila come soldatini gli altri capitoli
e correggere i mille errori di battitura (e non solo).
Detto ciò volevo
rubarmi un altro minutino perché, di recente, mi sono imbattuta su quei test che ti dicono a quale fazione di Divergent appartieni, e la mia vita è cambiata!
Uno di questi era
sulla pagina Facebook ufficiale della serie.
La domanda è: avete
provato? Che fazione vi è uscita? Credete che vi rispecchi sul serio?
I sono super curiosa
perché questa faccenda delle caratteristiche personali mi intriga troppo, è
interessante sapere se saremo davvero adatti ad un sola fazione.
Esiste anche l’esito
Divergente, ma io non l’ho avuto. Mi sembra assurdo, dovremo essere tutti
Divergenti in teoria, no?
Peccato che io abbia
fatto tre test diversi, cambiato addirittura alcune risposte nella speranza di
cambiare il risultato e rispondendo in giorni diversi.
Ma era sempre lo
stesso in tutti i casi.
Puramente Erutita!
Devo essere
contenta?
Adesso vi lascio in
pace , scusate se vi ho manifestato i miei dubbi, volevo sapere se c’è qualcun
altro interessato dall’idea!
Bacione, grazie
infinite a tutti per le letture e per le recensioni.