Libri > Divergent
Segui la storia  |       
Autore: Kaimy_11    15/03/2015    2 recensioni
Continuo di “The reason to fight”
La guerra ha spezzato la città, i ribelli sono insorti, opponendosi al nuovo governo.
Nessuno sa di chi fidarsi. Nessuno conosce la verità.
Il giovane capofazione degli Intrepidi deve guidare la rivolta al fianco di Jeanine, per riportare ordine anche dopo la divisione della sua fazione. Ma le sue priorità sono cambiate, tutto ciò che vuole è proteggere la persona che ama. Nonostante tutte le avversità, dovrà mantenere fede alle sue promesse senza rischiare di compromettere sé stesso e perdere tutto ciò in cui crede.
[Dal testo]
Si morde il labbro. -Pensavo che lo avessi detto per la foga del momento…-
Inarco pericolosamente le sopracciglia. -Ti sembro forse uno che si fa prendere da un’ emozione momentanea e si lascia scappare parole che non sa nemmeno gestire?-
Mantiene il silenzio, sembra impaurita, almeno ha la decenza di capire quando sbaglia.
-Non sono un ragazzino in preda agli ormoni, se dico di amarti nonostante tu sia più piccola di me ed insopportabilmente arrogante, vuol dire che ti amo, mi hai capito?-
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The reason '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

2. Cioccolato e cannella

 

 

Apro gli occhi e sollevo la testa dopo essermi gettata sul viso l’acqua tiepida, ritrovandomi davanti al mio riflesso intrappolato nello specchio sopra il lavabo.

La ragazza che mi restituisce lo sguardo ha pesanti occhiaie scure sotto gli occhi, lo sguardo spento e le labbra arricciate in un’ espressione severa.

Una notte nella mia vecchia stanza, è ho già ricominciato ad avere la stessa espressione seria e apatica degli Eruditi. Certo, il tatuaggio che ho dietro l’orecchio sinistro non c’era l’ultima volta che mi sono specchiata in questo bagno, ma non basta un disegno a fare di me una vera Intrepida.

Mi passo una mano sulla guancia, non mi dispiacciono le occhiaie, dimostrano la nottataccia insonne che ho passato e tutto quello che ho dovuto sopportare a partire da ieri. Sono come le cicatrici, sono il segno di una lotta e di una ferita richiusa.

Con la differenza che la mia ferita non è ancora guarita.

Mi guardo le mani, sono davvero rovinate a causa dei colpi che ho sferrato al muro di roccia fuori dal centro di controllo, alla residenza degli Intrepidi. Sono ricoperte di tagli con le unghia spezzate.

Non mi dispiace neanche questo, mantiene vivo il ricordo del dolore.

Ho sognato un ragazzo correre nel buio, lo osservavo ma non riuscivo a raggiungerlo. Quando si girava verso di me mi sorrideva e riconoscevo subito il volto di Will. Poi un colpo di pistola lo colpiva dritto al centro della fronte ed io assistevo impotente alla sua morte, mentre i suoi occhi si svuotavano e il suo corpo cadeva accasciandosi al suolo.

Quando, urlando, avevo tentato di accorrere, ero andata a sbattere contro un vetro e mi ero accorta di essere in gabbia. Poco dopo, con i pugni ancora contro la superficie fredda, avevo visto spuntare Eric dal buio con ancora la pistola in mano.

Dopo aver guardato il cadavere di Will, l’ Eric del mio sogno si era voltato verso di me e mi aveva puntato contro la pistola. Le mie urla non erano bastate a fermarlo, perché il suo sguardo era vacuo e distante, come se fosse anche lui vittima di una simulazione che lo guidava come un burattino.

Partito il colpo di pistola, mi ero finalmente svegliata.

Mi abbasso e mi sciacquo un’altra volta il viso con l’acqua, prima di afferrare un’ asciugamano per riasciugarmi.

Sono stanca.

Sono così spossata che potrei addormentarmi anche in piedi, ma ormai chiudere gli occhi è diventato un tormento e non credo di esserne più capace.

Questa mattina, quando ho deciso che era ora di alzarmi, non mi sono semplicemente limitata a scendere dal letto, essendo già sveglia da ore.

Ho detto a me stessa che potevo farcela.

Ma non ci credo.

Serro i pugni attorno all’asciugamano e mi impongo di rimetterlo a posto con cura, lo stiro con le mani e stendo le pieghe, sperando di distrarmi e di riuscire a riprendere il controllo di me stessa.

Esco dal bagno e torno in quella che era un tempo la mia camera, senza perdere tempo ad osservarla. D'altronde, l’ho rivista di recente dentro la mia allucinazione della paura durante l’ultimo test di ammissione agli Intrepidi.

Una libreria piena di libri, un tappeto al centro e una finestra di fronte la porta. Avanzo verso il letto e lo rifaccio, poi prendo lo zaino in cui sono riuscita a infilare alcuni indumenti e cerco qualcosa da indossare. Ho dormito con una delle mie vecchie camicie da notte che erano ancora nel cassettone, ma davvero non capisco com’è possibile che fossero ancora lì.

Pensavo che, una volta andata via, la mia famiglia si sarebbe liberata della mia stanza e di tutto quello che era mio.

Dal mio dormitorio sono riuscita a recuperate solo dei cambi di biancheria, qualche canottiera, una T-shirt, un pantalone nero aderente da combattimento e un altro pieno di tasche. Ho anche una felpa nera con cappuccio, un maglioncino con scollo a v e il mio inseparabile giubbotto di pelle con la cerniera in diagonale. Quello che Eric ha preso per me al Pozzo quella volta che ho dormito con lui nella sua stanza.

A quel ricordo mi si ferma il cuore. Sembra passata un’ eternità.

Stringo i pugni, non so se sarò mai più la stessa o se sarò di nuovo felice come lo sono stata quella mattina.

Opto per i jeans striati che avevo addosso ieri sera, poi prendo una canottiera pulita e, considerato l’aria frasca del mattino, raggiungo il mio vecchio armadio.

Ritrovo un dolcevita a collo alto di un blu talmente scuro ed intenso da sembrare nero. Non so se ho il permesso di prenderlo, ma il colore è perfetto e nessuno ci farà caso. Lo indosso, afferro lo zaino con il resto delle mie cose, mi metto la giacca di pelle sulle spalle e vado al piano di sotto.

Quando arrivo, lo trovo buio e deserto, segno che è davvero troppo presto. Decido così di lasciare lo zaino e la giacca vicino al mobile dell’ingresso, quello dove mio padre mi ha fatto deporre la mia pistola.

Niente gente armata in una casa Erudita.

Sospiro e mi dirigo al bancone della cucina, accendo le luci e anche il forno. Non ce la faccio a starmene con le mani in mano perché, se sto ferma per più di un istante, inizio a pensare e la mia mente mi uccide con ricordi e considerazioni.

So già che non posso farcela, non sono nelle condizioni di sopportare altra sofferenza, perciò decido di concentrarmi su una delle poche cose che mi piaceva fare quando vivevo ancora qui.

Preparare le torte.

Prendo tutti gli ingredienti e li unisco in una ciotola e, senza che mi accorga del tempo che passa, distribuisco l’impasto in una teglia e la metto nel forno. Nel frattempo apparecchio la tavola, sistemando le tovagliette per la colazione e, dato che non è passato tanto tempo e che si tratta pur sempre della mia famiglia, metto davanti ad ogni posto la tazza preferita di ognuno dei miei familiari. Facevamo sempre così, ed una sorte di tepore mi attraversa quando accarezzo la mia tazza a fiori viola.

Faccio in modo che la preparazione mi tenga impegnata il più a lungo possibile, piegando con cura i tovaglioli di carta e allineando i cucchiaini. Perdo davvero la cognizione del tempo. Inizio a lavare gli utensili che ho utilizzato e ripulisco anche il bancone e, alla fine, mi siedo per un attimo nella sedia a capotavola che era il mio posto una volta.

Mio padre occupava l’altro lato e mia madre e mia sorella ai due fianchi della piccola tavola da pranzo rettangolare.

È in questo momento che ripenso alle parole di mia sorella, mentre cercava di convincermi del fatto che per la mia famiglia fossi stata importante. Forse non era un caso se sedevo io a uno dei capitavola come mio padre, non Amber.

Scuoto la testa e sospiro, mentre sento le scale di legno scricchiolare sotto il peso di qualcuno che scende.

Una testa con folti capelli scuri, raccolti in una lunga treccia, fa capolino annusando l’aria con fare compiaciuto. È mia madre in camicia da notte turchese e vestaglia abbinata, ad arrivare in cucina. Osserva la tavola apparecchiata con cura e sorride, ma non è il tipico sorrisino tirato che ricordavo sul suo volto.

Sembra davvero soddisfatta.

Distolgo lo sguardo quando mi guarda, lei avanza verso il forno che si mette a suonare proprio in quel momento, ed estrae la torta proteggendosi la mano con un guanto da cucina.

-Dormito poco?- mi chiede, pacata.

La guardo con una smorfia e fortunatamente non mi vede, perché mi da le spalle. Quando non le rispondo, lei non si perde d’animo.

-Avevi voglia di preparare la colazione?-

Sta volta sto per parlarle, ma mia sorella sceglie quel preciso istante per presentarsi in cucina tutta trotterellante.

-Cos’è questo buono odore?-

-Torta!- esclama mio padre, arrivando in cucina dietro di lei.

Quando mi vedono, seduta rivolta vero mia madre ferma al piano cottura, mi aspetto che si arrabbiano, infastiditi.

E invece sorridono.

Che diavolo gli prende? Cosa sono questi sguardi contenti? Non vedevano l’ora che andassi via e adesso sono così felici di trovarmi di prima mattina nella loro cucina?

Non sono certo un regalo inaspettato!

O così credo.

Amber sfoggia un grazioso completo blu, con la gonna che le solletica le ginocchia. Mi si stringe lo stomaco al pensiero che quelli sono i suoi nuovi abiti da lavoro e che, probabilmente, adesso anche lei lavora per Jeanine.

Mio padre è impeccabile nella sua camicia inamidata azzurra e, da dietro gli occhiali, mi rivolge uno sguardo tranquillo che per un attimo mi fa ripensare ad Eric e al modo in cui mi osserva quando pensa che abbia qualcosa che non va.

Mi sembra strano che, proprio adesso, mio padre abbia a cuore la mia salute e mi guardi con se fossi un animale ferito.

Forse è quello che sei

Dice sadica la vocina nella mia testa, ma fortunatamente non ho tempo di darle ascolto perché mia madre mi mette davanti una tazza fumante e, dal profumo che sembra entrarmi dentro come un brivido caldo, capisco che è tè ai mirtilli.

Il mio preferito.

Sorrido imbarazzata e ruoto sulla sedia, per mettere compostamente le gambe sotto al tavolo. Osservo mio padre che si siede al suo posto davanti a me e Amber che sposta la sedia alla mia destra per accomodarsi. Mia madre serve anche a loro due tazze di tè e porta la torta a tavola, già divisa in fette.

-Torta cioccolato e cannella, eh?- esclama mio padre, prendendo un pezzo di torna ed esaminandone il profumo.

Prima ancora che mia madre gli sorrida, indicandomi con un cenno del capo, gli occhi blu di mio padre si sollevano verso di me e il sorriso che mi concede mi avvolge come una coperta calda. Sapeva già che l’avevo preparata io, era la mia ricetta preferita ed il mio regalo di inizio giornata per la famiglia, quando mi alzavo di buonumore.

-È deliziosa!- Commenta Amber, sorridendomi a sua volta.

Poi fa un sorriso anche a mia madre e lei ricambia.

Ma che gli prende a tutti sta mattina? Dov’è finita la mia sorella gemella fredda e altezzosa? Dov’è andata a finire l’autorevolezza di mio padre? Non dovrebbe rimproverarmi perché non ho dormito abbastanza? E mia madre e la sua arroganza? Perché non si lamenta del fatto che ho messo le mani nella sua preziosa cucina?

Perché gli sei mancata! Sono felici di riaverti qui…

Scuoto la testa per zittire la mia vocina interiore e, per un attimo, mi chiedo se Amber non avesse ragione quando mi diceva che i miei avevano scelto di trattarmi con freddezza solo perché non approvavano la mia decisione di andarmene.

Forse si sentivano traditi.

D’altro canto è questa la famiglia che avevo accanto quando ero una bambina come le altre. Avevo una sorella allegra, un padre tranquillo e attendo e una madre cortese e precisa.

Ma poi non li ho avuti più.

Bè, di certo saranno contenti e soddisfatti della mia scelta di ieri sera, quando ho convinto Eric a lasciarmi passare la notte nella mia vecchia casa.

Ho colto la rivalità tra lui e mio padre, perciò è di sicuro soddisfatto di aver vinto contro il mio capofazione, mentre Amber è felicissima che abbia dormito qui.

Deglutisco a fatica, pensando che quel capofazione sarà infuriato da morire.

Eppure, in questo insolito momento in cui tutti sembrano rabboniti dal profumo di cannella che ancora invade la stanza, mi ritrovo ad ammettere che sto bene. La mia mente è lontana da complotti folli e dalla guerra, mi sento al sicuro, protetta.

E, per la prima volta, il pensiero di essere debole e di avere qualcuno che si prende cura di me, non mi spaventa.

Sta notte Amber è venuta nella mia camera ed è rimasta con me per un po’. Non è come l’ho lasciata, non mi tiene a distanza, sembra essere tornata la bambina spensierata che ne combinava di tutti i colori insieme a me quando eravamo piccole.

-Non mangi?-

Mi chiede con un sorriso, indicando la torta.

Non so cosa rispondere, mi sento inebetita.

Mia madre arriva in mio soccorso, prende un pezzo di torta, lo avvolge in un tovagliolo di carta e me lo passa.

Le sussurro un grazie mentre prendo la torta dalle sue mani e, quando le nostre dita si sfiorano, sento un brivido lungo la schiena.

All’inizio provo repulsione al pensiero che, con quelle stesse dita, mi iniettava dei sedativi per farmi dormire quando mi comportavo in maniera non adeguata. Ma poi mi sorride rassicurante, facendomi provare qualcosa che non conosco, e all’improvviso non so davvero più cosa provare.

Tento di portare la torta alle labbra per addentarla ma, invece dell’aroma di torta e cioccolato, sento uno strano odore ferroso e salino attraversarmi, bruciante come una lama.

Mi accorgo di pensare al sangue e in un attimo vedo davanti a me il corpo di Will cadere al suolo.

Sussulto, abbasso la torta e prendo un respiro profondo.

Ma che mi prende?

Vorrei provare ancora a mangiare la mia torta, ma mi si è rivoltato lo stomaco e all’improvviso sono invasa dalla nausea.

E, mentre fisso la fetta di dolce ripetendomi che non è un nemico pericoloso, il trillo del campanello ci coglie tutti di sorpresa.

-Aspettiamo qualcuno, tesoro?- chiede mio padre, rivolto a mia madre.

Dal tono di voce estremamente composto, e dal modo in cui si pulisce le labbra con un tovagliolo, capisco che è infastidito e che la sua è stata più che altro un’esclamazione sarcastica.

-Deve essere per me…- Sussurro ad occhi bassi.

So che è Eric, tremendamente puntuale.

-Scusate, è meglio che vada.- Aggiungo, mentre sto per alzarmi dalla sedia.

Ma mio padre mi ferma con un gesto della mano e un’occhiata che non ammette repliche.

-Rimani al tuo posto e finisci la tua colazione, tesoro!- Si alza e si avvia alla porta. -Ci penso io!-

Mi viene quasi da sorridere, mio padre sta mattina ci chiama tutte tesoro? Anche a me?

Poi alzo gli occhi al cielo bevendo dalla mia tazza di tè. Il signor Grey è estremamente convinto che non si possa iniziare bene una giornata senza aver prima fatto un’abbondante colazione ricca di zuccheri, per fornire al cervello le giuste energie per funzionare fino a sera.

Eruditi! E mio padre ne è il modello perfetto.

Sento la porta aprirsi e rabbrividisco al pensiero di lui davanti ad Eric, accorgendomi solo adesso dell’errore che ho commesso a lasciarlo andare, dato che non ho idea di cosa gli dirà per convincerlo a lasciarmi con loro ancora un po’.

Conoscendo già l’epilogo della situazione, mi sforzo di bere tutto il mio tè in meno sorsi possibili.

-Sì?- Dice mio padre.

-Tempo scaduto!-

Il tono di voce rauco di Eric mi attraversa come una scossa elettrica e mi fa sussultare, solo adesso mi accorgo dell’effetto devastante che ha su di me e di quanto bisogno ho di stare con lui.

Mando giù velocemente un'altra sorsata di tè, ma vedo Amber che mi guarda storto.

Le sorriso e alzo le spalle. Non sa cosa si rischia ad approfittare della pazienza del più giovane capofazione degli Intrepidi.

-È molto presto, mia figlia non ha ancora finito la sua colazione. Posso accompagnarla al quartier generale io, dato che tra poco vado a lavoro.-

Mio padre si finge cortese, ma colgo la sua ostilità anche se sono seduta nella stanza accanto senza vederlo.

-Forse non mi sono spiegato bene…-

Capisco che è ora di andare quando sento ogni muscolo del mio copro vibrare e vedo mia madre irrigidirsi.

È bastata una mezza minaccia di Eric per far calare il gelo in cucina.

Non è certo il momento per far scoppiare una lite fra Eric e mio padre, conoscendo la delicatezza del mio capofazione, anche se la tenacia di mio padre non scherza.

-È davvero meglio che vada, adesso…- dico a mo’ di scuse, mentre mi alzo da tavola e cerco di raggiungere la porta, in soccorso di mio padre.

-Aspetta!- mi richiama mia madre.

Mi volto verso di lei, preoccupata, ma la vedo prendere la mia fetta di torta intatta e avvolgerla in un tovagliolo pulito insieme ad un’altra fetta presa dal vassoio.

-Portale con te, in caso ti venisse fame più tardi!-

Per un attimo mi paralizzo, ma non appena vedo il sorriso di Amber mi faccio coraggio, accetto l’involucro di carta e piego le labbra all’insù, scoprendo che mi riesce naturale.

-Grazie!- le dico, e scappo.

Arrivo al mobiletto dell’ingresso e raccolgo la pistola e i caricatori, guardando per un attimo la schiena rigida di mio padre mentre tiene ancora una mano sulla maniglia della porta aperta.

-Non mi piace aspettare e sto perdendo la pazienza!-

Gli dice Eric, ed io rabbrividisco per la rabbia espressa dalla sua voce.

Afferro la giacca e me la metto subito addosso, riponendo le fette di torta dentro le tasche, poi raccolgo al volo lo zaino da terra e mi avvicino alla schiena di mio padre, facendo capolino da sopra la sua spalla.

-Sono qui!- dico per tranquillizzare Eric e per far capire a mio padre che non è il caso di tirare ancora la corda.

Lo sguardo di Eric e ferino e terrificante, ha persino le narici allargate e le sue spalle sono tese, mi chiedo davvero come faccia mio padre a tenergli testa senza scappare dalla paura.

Ho appena scoperto che un Erudito riesce a fare qualcosa che nessun Intrepido si sognerebbe mai di fare: sfidare Eric.

Lo vedo girarsi verso di me e colgo subito la sua espressione infastidita, mentre la sua camicia si tende quando fa un profondo respiro. Per un attimo ho paura che si arrabbi e mi impedisca di uscire, ma poi mi guarda e si rilassa.

-Hai mangiato?-

-Sì.- sussurro, perché in parte sto mentendo.

Si sposta con riluttanza, lasciandomi intravedere l’occhiataccia severa che lancia ad Eric mentre esco.

Alzo lo sguardo e gli occhi cerulei di Eric sono su di me, mi pare di vederlo più tranquillo, o forse è arrabbiato anche con me. Non lo so.

-Stai attenta!- dice mio padre.

Mi volto e faccio un cenno. -Anche tu!- trovo il coraggio di rispondergli, guardandolo intensamente.

Non ho il tempo di vedere la sua espressione, di capire se si è offeso o altro, perché Eric mi appoggia una mano sulla spalla e mi fa voltare costringendomi a seguirlo.

Pochi passi lontano da casa, sento di nuovo l’angoscia assalirmi.

-Stai bene?-

Guardo Eric al mio fianco, i suoi occhi puntati su di me, percepisco un senso di vuoto soffocarmi e rabbrividisco.

Non rispondo, mi limito a sollevare le spalle mentre continuo a camminare.

-Bè, almeno tu hai fatto colazione mentre io muoio di fame!- brontola.

O santo cielo, non vorrà litigare adesso?

-Tieni!- gli dico, passandogli una delle due fette di torta avvolte nel tovagliolo.

Eric guarda la mia mano con sospetto.

-È un pezzo di torta che ho preparato io sta mattina…-

-Bene, in tal caso posso mangiarlo!-

Lo prende dalla mia mano senza toccarmi, facendomi capire quanto invece desiderassi un contatto con lui. Lo desideravo disperatamente, sto gelando e ho bisogno di immediato calore.

Riprendiamo a camminare e io sono un passo avanti, ma lo sento mangiare avidamente il dolce.

-Buona!-

Farfuglia, divorando la torta a grandi bocconi al punto da farmi quasi sorridere, ma mi accorgo di non riuscirci. Il freddo mi assale, un freddo che viene dall’interno, sento la terra sotto i miei piedi muoversi più veloce di me.

-Bene!- Gemo, e mi fermo.

Sento una mano di Eric sulla mia spalla e ritrovo il contatto con la realtà.

-Sono contento che permetterti di dormire con la tua vecchia famiglia non sia stato del tutto inutile.- Inizia, spavaldo. -Almeno hai ripreso a parlare!-

Perdo del tutto la calma e, al tempo stesso, la forza.

-Potresti fare qualcosa anche tu!- sbotto, alzando la voce e ricominciando a camminare.

-Cosa?- urla Eric, allargando le braccia mentre mi segue.

Perché adesso la mia salute mentale sta a cuore a tutti quanti? È così difficile capire che non c’è più speranza, che ho perso una parte di me e che non dimenticherò mai quello che è successo?

Di certo non è standomi addosso e trattandomi con pietà che mi aiuteranno.

Odio dover ricordare che solo ieri mi solo lasciata prendere da una strana e sgradevole forma di mutismo, ma non posso farci niente, di certo non adesso.

-Sto parlando con te!- Mi ringhia Eric, afferrandomi da una spalla e costringendomi a voltarmi.

Me lo trovo davanti a gli urlo contro. -Potresti iniziare smettendo di arrabbiarti e di urlarmi addosso senza motivo!-

-Sei tu che mi urli contro!-

Dando per scontato che si accorga benissimo di stare sbraitando, capisco che vuole solo provocarmi.

-Fai quello che vuoi!- brontolo, abbasso lo sguardo e metto le mani in tasca.

Anche Eric si calma, serra la mascella e mi guarda con attenzione, poi lo vedo alzare gli occhi al cielo e sospirare pesantemente mentre nasconde un’ imprecazione.

-Forza, vieni qui…-

Davanti all’invito silenzioso delle sue braccia ora aperte verso di me, pronte ad accogliermi, mi trema il labro. Prima che inizi vergognosamente a piangere, sento le mie gambe muoversi da sole verso di lui.

Mi getto letteralmente contro il suo petto e lo stringo forte, respirando a pieno il suo profumo, ma non mi sento meglio, ho solo più voglia di piangere.

Mi stringe forte a sua volta, con una mano mi accarezza la schiena mente tiene l’altra tra i miei capelli sciolti. Non parla e capisco che non ho bisogno che lui mi dica niente, perché mi basta solo sapere che è qui con me.

-Avremo bisogno di tutta la tua forza per affrontare questa situazione…-

All’improvviso i miei muscoli si tendono per la tensione, ricordandomi della guerra.

-Perché avremo?-

Spinge la mia guancia contro il suo petto e lo sento sospirare.

-Non posso occuparmi di te come vorrei, quindi ho bisogno di sapere che ce le farai.-

Non so se essere arrabbiata perché non crede nelle mie capacità, o se essere estasiata dal fatto che si preoccupa tanto per me da arrivare al punto di dire che ha bisogno anche lui che io sia forte.

-Quanto è grave?-

Invece di rispondermi, mi fa sollevare la testa per farmi incontrare il suo sguardo serio e pieno di ansie, fa un sorriso tirato che non arriva ad illuminare i suoi occhi seri e prende fiato.

Quando mi bacia sulla fronte, sento una morsa stringermi dolorosamente lo stomaco e mi sento sprofondare. Non ci vuole molto a capire che siamo davvero messi male.

Posso solo immaginare la gravità della situazione in cui siamo finiti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

Eccomi qui con l’aggiornamento che è arrivato miracolosamente sano e salvo a destinazione!

Il pericolo ero io stessa che gli ho messo le mani mille volte. Non lo so perché, ho dei dubbi e cerco di fare quadrare tutto al meglio con la trama, cerco di lasciare il carattere di Eric più realistico possibile e di rendere piacevole e credibile anche il personaggio inventato. Ovvero Aria.

Spero vi piaccia il nuovo capitolo, fatemi sapere cosa ne pensate, io intanto continuo a rimettere in fila come soldatini gli altri capitoli  e correggere i mille errori di battitura (e non solo).

 

Detto ciò volevo rubarmi un altro minutino perché, di recente, mi sono imbattuta su quei  test che ti dicono a quale fazione di Divergent appartieni, e la mia vita è cambiata!

Uno di questi era sulla pagina Facebook ufficiale della serie.

 

La domanda è: avete provato? Che fazione vi è uscita? Credete che vi rispecchi sul serio?

 

I sono super curiosa perché questa faccenda delle caratteristiche personali mi intriga troppo, è interessante sapere se saremo davvero adatti ad un sola fazione.

Esiste anche l’esito Divergente, ma io non l’ho avuto. Mi sembra assurdo, dovremo essere tutti Divergenti in teoria, no?

 

Peccato che io abbia fatto tre test diversi, cambiato addirittura alcune risposte nella speranza di cambiare il risultato e rispondendo in giorni diversi.

Ma era sempre lo stesso in tutti i casi.

Puramente Erutita!

Devo essere contenta?

 

Adesso vi lascio in pace , scusate se vi ho manifestato i miei dubbi, volevo sapere se c’è qualcun altro interessato dall’idea!

Bacione, grazie infinite a tutti per le letture e per le recensioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Divergent / Vai alla pagina dell'autore: Kaimy_11