XI
OSPITI
“Certo
che con le treccine sembri
davvero un coglione” rise Phobos, notando i capelli di Saga.
“Avevo
fatto un patto con quella
bambina” rispose il sacerdote, indicando la piccola, che
sedeva al suo stesso
tavolo.
“Perché
quella bambina è lì?”
domandò
il fratello maggiore.
“Non
lo so, mi ha seguito dal palazzo
di Zeus” furono le parole del minore, seduto in modo molto
poco composto.
Fissava l’elmo con il drago, cercando di capire il senso
delle frasi di Ares.
“E
perché?” continuò Phobos.
“Cosa
ne so io?! Adesso, se non ti
dispiace, vorrei mangiare”.
“E
mangia! Chi ti trattiene?”.
“Io
mangio sempre da solo”.
“Beh,
adesso che siamo di più al
grande tempio, non credo tu possa concedertelo”.
“Lasciami
il mio ossigeno!”.
“Ma
che problema c’è? Mangi cose
strane? Carne umana? Insetti?”.
“Ma
che dici?!”.
“Non
sarai mica vegano!”.
“Smettila
di sparare bestemmie”.
“Ah,
meno male. Per un attimo ti
avevo immaginato con un ravanello in mano, che fissavi
l’orizzonte, nutrendoti
di quello per non fare del male ad un innocente animale”.
“Me ne
sbatto degli animali
innocenti. Ora smamma!”.
“Che
pigna nel culo che sei! D’ora in
poi, posso chiamarti così?”.
“C’è
già Shaka qui al tempio con quel
soprannome, mi spiace”.
“E chi
è Shaka?”.
“Quello
biondo”.
“Quello
con gli occhi chiusi?”.
“Lui..”.
“Sì,
si capisce subito che è una
pigna in culo. Ora, però, fammi assaggiare un po’
di quel che mangiate qui al
tempio, sto morendo di fame”.
“E
allora? Non sono il tuo
cameriere”.
“Sei
il fratello piccolo, devi
obbedirmi”.
“Scordatelo!
E poi, non ho tempo da
perdere con te!”.
“Padre
Ares ci ha dato un ordine, e
ancora non l’abbiamo portato a termine”.
“Dici
quello di portargli la testa di
Marte? Ci sto lavorando. È che lui mi ha detto di usare il
drago e sto cercando
ancora di capire in che senso”.
“Non
posso aiutarti”.
“Non
avevo dubbi..”.
Phobos,
scocciato dall’ennesima
rispostaccia, ringhiò. Il fratellino aveva superato il
limite e doveva pagarla
cara!
Kanon era
tranquillo. Seduto
comodamente su un divanetto alla terza casa, con le gambe allungate ed
un birra
ghiacciata in mano, stava guardando un film sullo schermo piatto ed
aveva piena
intenzione di rimanere in quella posizione a lungo. Purtroppo per lui,
un
rumore attirò la sua attenzione. Lo ignorò ma il
rumore si fece risentire.
“Chi
è là?” domandò
“Deathmask, sei
tu? Se ti serve la birra, è in frigo. Non ho cazzi di
alzami..”.
Non ricevette
risposta. Un altro
lieve rumore.
“Che
palle” sbuffò Kanon, alzandosi.
Senza lasciare
la bottiglia, il
cavaliere della terza casa esplorò i dintorni. Non
trovò nessuno e la cosa lo
infastidì alquanto. Che ci fossero dei topi? Poi
guardò meglio: qualcosa
luccicava in un angolo. Un regalo? Un riflesso? Cos’era?
“C’è
qualcuno?” ripeté ancora,
maledicendo la mancanza di luce elettrica.
Quando fu
abbastanza vicino, Kanon
capì che cosa aveva di fronte: l’armatura del
dragone del mare. Ma che ci
faceva lì?
“Chi
ti ha portato alla mia casa?”
chiese “Guarda che non appartieni più a me,
sai?”.
Il cavaliere,
con indosso le vestigia
dei gemelli, pensò ad un pessimo scherzo. Se Poseidone lo
avesse saputo,
sarebbe andato su tutte le furie. Quell’armatura andava
riportata al giusto
posto.
“Che
seccatura” borbottò Kanon.
Rifletté
su cosa poter usare per
trasportarla, quando l’armatura si mosse. Il cavaliere
sobbalzò, facendo cadere
la birra.
“Che
cazzo..?”.
La Dea Afrodite
ed Efesto giunsero
alla dimora di Atena, seguiti da alcuni figli di lei ed Ares. Era
passata circa
una settimana dal trasferimento del Dio della guerra ed il fabbro degli
Dèi era
riuscito già a realizzare un oggetto molto utile per il
fratello.
“Ciao,
mamma” salutò Deimos, vedendo
arrivare Afrodite.
“Ciao,
caro” sorrise lei, sulla
soglia della tredicesima “Come ti trovi qui? Ti danno da
mangiare a sufficienza
o quella cattivona di Atena ti stressa? E ti riesci a
divertire?”.
“Tutto
bene. Tranquilla”.
Dietro ad
Afrodite, stava Armonia con
le sue figlie. Eros ed Anteros, invece, seguirono Ermes nelle stanze di
Ares.
Il Dio della guerra, ancora debole, non vedeva l’ora di
provare a camminare di
nuovo, grazie all’oggetto creato da Efesto.
“Sei
debole” lo ammonì Efesto “Non
cercare di strafare”.
“C’è
una guerra là fuori, fratello”
sbottò Ares “Non ho tempo per stare steso a letto
a fissare il soffitto e
rimuginare”.
Il Dio, ospite
di Atena, era stato
sistemato in un’ala della tredicesima. Nella stanza a fianco,
i suoi figli
potevano riposare, quando non si allenavano. Questo faceva
sì che il sacerdote
di Atena avesse molto meno spazio a disposizione e la cosa lo
infastidiva.
Abituato a stare da solo, tentava invano di trovare spazio per
sé. In quel
momento, cercava di capire se Ares era in grado di rimettersi in piedi.
Distratto dalle ali d’angelo di Eros, non voleva entrare in
stanza.
“Dici
che funzionerà?” domandò
Anteros, che possedeva splendide ali da farfalla.
“Dipende
dalla pazienza di tuo padre”
rispose Efesto, estraendo dalla sacca che si portava appresso una
piccola
scatola.
Con un solo
tocco della mano, la
scatola si aprì e mutò, divenendo una sorta di
armatura per le gambe di colore
rosso.
“Woh..”
non riuscì a trattenersi Saga,
facendosi scoprire dalla compagnia.
“Di
che ti stupisci, cavaliere di
Atena?” commentò Efesto “Anche le vostre
armature si richiudono e rientrano
nelle Pandora Box”.
“Si ma
le Pandora sono grandine..”.
“Dipende
dal tipo di armatura. Alcune
di esse occupano davvero un piccolo spazio. Pensa alle vestigia di
Atena, per
esempio. Tutto dipende dal come si evocano e come si creano. La prima
versione
delle armature di voi saints le ho realizzate io e poi ho insegnato ai
lemuriani come agire. Così come io sono colui che ha
realizzato tutte le
armature divine”.
“Bello.
Credo che Mur sarebbe troppo
felice di parlarvi..”.
“Il
lemuriano di quest’epoca? Sarà un
piacere. Ma prima sistemo Ares”.
Il Dio fabbro si
avvicinò al
fratello, pregando i figli di lui di aiutarlo a tenerlo fermo.
“Non
guardare me” si affrettò a dire
Eros “Chiama Phobos e Deimos!”.
“Ma di
che cosa hai paura? Sei suo
figlio, non ti farà niente”.
“Gli
farai male?”.
“Probabile”.
“Allora
mi massacrerà di botte. Ares
non ha autocontrollo!”.
“Sacerdote”
sospirò Efesto “Potresti
andare a chiamare Phobos e Deimos? Ti dispiace?”.
“Posso
aiutare pure io. Ed anche i
miei cavalieri, senza scomodare i gemelli..” rispose Saga.
“Non
ci vai tanto d’accordo, vero?”.
“Più
che altro si divertono a
dimostrarmi continuamente che sono più forti di
me”.
“Tipico
dei fratelli maggiori”.
“Dovrò
chiedere perdono al mio
fratello minore. Se pur di solo qualche minuto, l’ho
maltrattato ed ora
comprendo la sua frustrazione”.
“Va
bene. Allora prova ad aiutarmi,
se te la senti” sorrise Efesto.
“Che
devo fare?”.
“Tienilo
fermo. Ci vorrà solo qualche
istante”.
“È
sicuro?” chiese Atena, incuriosita
e leggermente spaventata.
“Tranquilla,
sorella”.
“Piantatela
di trattarmi come se
fossi una bestia feroce!” ringhiò Ares.
“Ma tu
sei una bestia feroce!”
ribatté Efesto.
“E tu
sei un mostriciattolo, ma non
per questo ti schifo!”.
“Ti
sputerei in faccia, ma come forza
fisica so che tu sei superiore. In quanto a cervello,
invece..”.
“Per
favore, non litigate!” li zittì
Atena.
“Hai
ragione. Prima sistemo questa
cosa, e prima me ne posso andare” annuì Efesto.
Senza aggiungere
altro, il Dio fabbro
si avvicinò al fratello. Saga, in silenzio, si
posizionò dietro la nuca del
padre. Il letto, con il fianco destro addossato alla parete e gli altri
tre lati
liberi, permetteva al sacerdote di eventualmente afferrare il Dio per
le
spalle. Eros ed Anteros si
tenevano a
distanza di sicurezza, senza fidarsi troppo. Efesto sorrise,
assicurando che ci
voleva solo un attimo. Le gambe che aveva creato si mossero,
raggiungendo il
Dio della guerra. All’inizio parve non succedere niente di
particolare. Ares,
steso tranquillo, nemmeno percepì la fredda superficie, non
avendo sensibilità
agli arti inferiori. Poi mutò espressione. Le vestigia si
stavano assemblando
addosso alle gambe
del Dio, ancorandosi
alla spina dorsale per permetterne i movimenti. Questo procedimento
fece
gridare Ares per il dolore.
“Tienilo”
suggerì Efesto.
Il sacerdote
obbedì, mettendo le mani
sulle spalle del genitore. Non era semplice bloccare quel Dio, specie
se
furioso. Gli occhi di Ares si fecero rossi come il sangue, mentre la
capigliatura era nera già da qualche istante.
“Passerà
subito” commentò il Dio
fabbro.
Il dolore
aumentò ed Ares si sollevò.
Saga tentò con tutte le sue forze di tenere giù
il padre, che però era
notevolmente più potente. Il sacerdote si ancorò
alle spalle del Dio, ma questi
si sollevò comunque, sollevando a sua volta il figlio.
“Stai
giù, cazzo!” sibilò Saga,
mutando leggermente.
“Non
puoi fermarmi, ragazzino!” ribatté
il Dio.
Ares
urlò di nuovo dal dolore e piegò
la testa in avanti, spostando ulteriormente il sacerdote. Poi parve
calmarsi.
Ansimando, rimase fermo qualche istante. Atena, prendendo coraggio, ne
sfiorò
il corpo. Saga, sollevato da terra, con un braccio attorno al collo di
Ares,
era ridicolo. Ares, sfiorato dalla Dea, si rilassò e ricadde
all’indietro. Il
sacerdote finalmente poté lasciare la presa. Aprì
i palmi sulle spalle del
padre e lo fissò negli occhi. Entrambi ansimavano. Il Dio
stava riprendendo il
controllo. Con un grande sguardo stanco, sorrise al figlio.
“Adesso
dovrai stare fermo qualche
istante” suggerì Efesto “E poi faremo
qualche prova, per vedere se il tutto
funziona”.
“Vuoi
un bicchiere d’acqua?” chiese
Atena, preoccupata per il ferito, che sanguinava di nuovo.
“No”
rispose Ares, con un sussurro.
Continuava a
fissare il figlio. Si passò
una mano su una delle ferite, che si era riaperta, e poi
allungò le dita verso
l’elmo del sacerdote. Saga non capì e non disse
nulla.
“Ora
meglio che vada” commentò poi,
il figlio.
“Cerca
di farti valere con Phobos e
Deimos, se ci riesci” ghignò Ares.
“Cercherò
di sopravvivere”.
Una volta uscito
da quella stanza, il
sacerdote camminò lentamente. Vide i gemelli Phobos e Deimos
parlare con la Dea
Afrodite. Che bello, almeno così erano distratti e non
passavo il tempo a
picchiarlo per “rafforzarlo”! Saga si
sfiorò la testa. Gli faceva un po’ male e
l’elmo pareva più pesante del solito. Lo tolse,
prendendo un gran respiro. Udì
uno strano verso, ma non ci fece troppo caso. Poi qualcosa gli
sfiorò la mano.
Sobbalzò, non capendo cosa potesse essere, e
guardò in giù, verso l’elmo. Il
drago rosso posto su di esso si stava muovendo!
“Ma
che..” esclamò Saga, gettando
l’elmo in terra per istinto.
Il dorso della
mano gli sanguinava
leggermente, probabilmente graffiato dalla coda dell’animale
o morso. Il
copricapo cadde e ruzzolò. Il sacerdote si scosse. Forse era
stata solo una
visione, dovuta alla stanchezza od alla mancanza di medicine.
Capì quasi subito
che non era così, perché il drago si
mostrò. Mosse leggermente la coda irta di
spuntoni e mosse le ali.
“Come
sei carino..” cercò di fare
amicizia Saga, tenendosi la mano ferita.
Il drago lo
fissò, accigliato. Stava
aumentando di dimensioni, crescendo notevolmente.
“Fa
che sia una visione..” gemette il
sacerdote, vedendo l’animale divenire alto quasi quanto lui.
Ancora aumentava
di volume ed il
cavaliere capì che forse era meglio andarsene. Ne fu
completamente convinto
quando il drago spalancò la bocca e ringhiò.
“Oh,
cazzo!” esclamò Saga, girandosi
e mettendosi a correre.
Inciampò
sulla tunica e saltellò per
non cadere, in una scena molto poco da sacerdote, che per fortuna
nessuno vide.
Uscì all’esterno, accorgendosi che il drago lo
stava seguendo.
“Dove
corri, fratellino?” sorrise
Phobos.
“Levati!”
gridò Saga “C’è un
drago!”.
Phobos
alzò un sopracciglio, vedendo
l’animale e non capendo perché il fratellino si
agitasse tanto per un
draghetto. La bestia ringhiò di nuovo e Saga capì
di essere alle strette. Si
girò.
“Non
costringermi a farti del male!”
disse.
Il drago non
rallentò e si fiondò sul
sacerdote, piantandogli gli
artigli
nella carne. Così facendo, entrambi finirono oltre la
superficie sicura del
tempio, cadendo nel precipizio di roccia.
“Dici
che dobbiamo intervenire?” si
chiese Deimos.
“Naa!”
storse il naso Phobos “Lascia
che si diverta”.