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Autore: LedgendySun98    15/03/2015    1 recensioni
Storia autoconclusiva. Tributo alle famiglie con padri-madri-figli soldati all'estero, come molte situazioni già conosciute, voglio rendere pubblici i problemi con cui affrontano tale cosa, il coraggio e l'amore che c'è dietro usando dei personaggi miei. Un viaggio corto, di un padre, una madre e un bambino alle prese con la mancanza di soldi. Un viaggio unico e incerto.
Solo una cosa: buona fortuna, mio eroe...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Forse sarò un'egoista a dirla così, eppure penso che sia giusto.

Questa è una breve storia che ho pensato di scrivere non per me, ma per tutti coloro che vivono questa situazione, magari con qualche difetto o con qualche lievità. Medito che probabile che Dio voglia così e che forse ha le sue ragioni.

Dato che sto per pubblicare il mio primo libro, userò uno dei miei personaggi così non ci saranno problemi di nessun tipo, anche se molti ci tengono che scriva:

Questo racconto è frutto della mia fantasia, persone e fatti sono inventati, ogni riferimento alla realtà è puramente casuale...

Che sia vero o no non so; voglio lasciare un segno.

 

Mi chiamo Jeremy Walden. Ero un orfano prima che i miei genitori adottivi mi trovassero all'orfanotrofio e mi portassero con loro a casa. Ero sempre solo e la disperazione di aver perduto coloro di cui miei sentimenti ancora ardono mi faceva rattristire. Walden è un cognome acquisito perché non so e non mi ricordo l'altro.

Mio padre si chiamava Stephen Walden. Mia madre Kathrina Walden.

Mia madre, un giorno, si fermò e mi raccontò la loro storia. Io dovevo uscire, però lei iniziò lo stesso e alla fine mi fermai e riflettei;

Mio padre era un bambino felice, più piccolo di statura al confronto dei suoi coetanei e molto vivace. Amava giocare all'aperto, con il pallone da football o rivivendo finte guerre tra amici con bastoni o piccoli sassi come bombe a mano. Se poteva uscire a giocare lo faceva, se pioveva stava nel porticato fuori casa ad aspettare il sole, fervido. Andava ancora all'asilo quando si oppose in una lite tra dei ragazzi e una bambina, a terra, sfiduciata e malconcia. Ovviamente non andò a buon fine poiché quei ragazzi erano in tre e mio padre solo in uno, tuttavia si lasciò picchiare e salvò quella bambina, piccola, con dei vestiti chiari, le guance rosse come dopo un passato malanno. Comunque sia, ella tornò con un fazzoletto imbevuto d'acqua e delle caramelle prese dalla sua tasca dei blue jeans che i bulli volevano prendere a forza e non condividere.

I mesi passarono e dopo quella lite la voce si sparse, mio padre non era visto di buon occhio dagli altri genitori e i suoi vecchi amici avevano paura di quello che avrebbero fatto i bulli semmai avessero stretto ancora rapporti con lui. Anche i suoi genitori, i miei nonni, cominciarono a chiedersi cosa possa esserci di sbagliato in lui e cosa avessero fatto loro.

Mio padre passò il suo sesto compleanno da solo, in quella casa troppo grande per lui, improvvisamente troppo silenziosa. I fantasmi dei ricordi passati con i suoi amici nei giochi si piazzarono davanti a lui e lo fecero rimanere nell'ombra del presente.

Questo, almeno, finché il campanello non suonò e dietro la porta c'era lei, quella bambina dai capelli marroni e gli occhi azzurri che suonava con insistenza e continuità. In mano, due caramelle e nell'altra un biglietto di auguri con su scritto: Sei il mio eroe. In caratteri tondeggianti e ancora infantili, qua e là, disegni stilizzati.

Stephen e Kathrina passarono anni insieme dopo quel giorno, felici e finendo per innamorarsi, seppure, qualche volta in lite, entrambi videro l'altro crescere e trasformarsi nel bene. Laureati, i miei vollero andare a vivere insieme alla periferia della città, con loro Shiver, il mio vecchio amico d'infanzia. Un bellissimo esemplare di husky da un allevamento.

Papà comprò casa e mia madre rimase incinta, ma al momento del parto un'emorragia interna fece fermare il cuore del nascituro e fece sprofondare mia madre in una profonda depressione creata dalla perdita del piccolo e di quello che doveva essere mio fratello. Per risollevarle il morale, mio padre, dopo quasi un anno passato ad asciugarsi le lacrime, la portò nell'orfanotrofio in cui ero e optarono per un'adozione. Venni scelto io. Non descrivo il momento in cui vidi quella donna e quell'uomo venirmi incontro, sollevarmi e abbracciandomi dicendo: Verrai con noi, figliolo.

Abbandonare i miei compagni di allora mi dispiacque e certe volte mi chiedo dove sono, se sono per strada, soli, oppure in compagnia come me di una buona famiglia. A Shiver piacqui immediatamente e non passava un giorno che tutta la famiglia facesse un pic-nic all'aperto, i due adulti a sorseggiare del tè dal thermos caldo e io e il cane a giocare ad acchiapparella nei prati.

Shiver morì nell'anno in cui compii dieci anni, quando un'auto lo investì. Lo portammo dal veterinario troppo tardi. A volte mi pare ancora di sentire il suo sangue impregnato nei sedili posteriori della hummer di mio padre.

Tuttavia non fu quello il momento di maggiore tensione per la nostra famiglia o il più doloroso: fu quando a mia madre venne diagnosticata una leucemia rinoplastica acuta. Mio padre amava molto più di quel che comprendevo la mamma, per questo, al termine, firmò un contratto per l'esercito. Questo, però, alla fine del lungo periodo di travaglio che passammo tra una clinica all'altra, nei suoi spasmi e affanni improvvisi, di una cura costosa e troppo poco in termini di trionfo in percentuale, non c'era modo di sapere come lei stava, se bene, se male, se euforica o depressa per i medicinali che le somministravano per tenere sotto controllo la malattia. Per un po' funzionò, poi smise, perché dopo quella quantità di farmaci la malattia si era oramai evoluta ed era diventata resistente ai medicinali. Mamma era sempre all'ospedale e per le assenze che mio padre faceva venne licenziato al lavoro, lasciandoci tutti e tre in una profonda crisi economica e sentimentale.

Papà cominciò a bere, come lo definiva lui “un rimedio febbrile” (non so a cosa) e io mi sforzavo di non dire niente, di lasciare correre la cosa, seppure, certe notti, mi svegliavo e lo trovavo a piangere a terra, un cuscino bianco tra le mani, come la carnagione di Kathrina.

Stephen partì nell'inverno dei miei dodici anni per l'Iraq, dopo mesi di allenamento nel campo militare della zona e varie accertazioni mediche, il 29 Novembre.

Io e mamma ce la cavammo bene, gestimmo la cosa nel migliore dei modi, sebbene non era consentito ai soldati di portare con sé oggetti tecnologici di comunicazione, ogni settimana gli scrivevo una lettera e in allegato un mio disegno della casa o della mamma o delle foto, nel migliore dei casi. Con i soldi di Stephen mamma migliorò notevolmente, tanto che i medici definirono lei e la cura un quasi miracolo di Dio.

E, come suo pegno di benevolenza, prese la vita di mio padre un giorno prima del suo ritorno.

Doveva ritornare quasi sei mesi dopo, prima di Pasqua. Io lo aspettavo con ansia, lui, i suoi occhi azzurri e la sua barbetta ispida. E' morto da eroe per la nostra patria e non c'è stato momento in cui io abbia dubitato di lui e di quanto ci volesse bene.

Al funerale di Stephen ci vennero consegnate le sue cose; mia madre piangeva sopra la sua tomba, io reggevo una scatola con i suoi oggetti privati, alcuni gli ho tenuti perché sono veramente interessanti, come una piccola scultura di sassi colorati e incollati tra loro in modo impeccabile, o delle foto delle aree dove salvaguardava i civili. L'altra parte è da mia madre.

In mezzo a tutte quelle cianfrusaglie, però, trovai quello stupido biglietto rosa d'auguri, dentro, curato come uno dei suoi più preziosi tesori, la scritta di mia madre da piccola:

Sei il mio eroe.

Ed è vero, lo è stato per tutti.

E' stato il mio eroe e che il suo più grande viaggio cominci nel migliore dei modi.

Buona fortuna, papà.

   
 
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