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Autore: youboozeyoulosehaz    15/03/2015    0 recensioni
(...) «Harry, perché sei qua?» «Dannazione! Me ne stavo dimenticando – sbottò il riccio – ci sono news dal fronte tedesco. » Louis deglutì preoccupato. Adesso aveva gli occhi azzurri fissi in quelli verdi del suo Harry. «Cattive notizie Lou.»
Louis abbassò lo sguardo e si sedette sugli scalini davanti al portico. Harry continuò : «Hitler sta rivendicando il diritto di passaggio dalla Polonia. Alla fabbrica dicono che è questione di mesi e ci ritroveremo nazisti ovunque.» Lo sguardo di Louis era fisso nel vuoto, quelle parole lo avevano scosso come una doccia gelata e adesso stavano facendo comparire nella sua mente milioni di futuri possibili, nessuno dei quali positivo per lui e la sua gente. Harry attese per qualche secondo una risposta da Louis, ma non ricevendola lo disse. Lo disse e basta.
Disse a Louis ciò che voleva fare, o meglio, ciò che entrambi dovevano fare.. Insieme.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Tu sei la mia libertà.

 
   


 
“Io sogno di dare alla luce un bambino che chieda: “Mamma, che cosa era la guerra?”
(Eve Merriam)
 
 




 
28 aprile 1939, Chelm.
Era tornato il sole nella Polonia dell’ Est, non si vedevano temporali da tempo e una leggera brezza tiepida scuoteva le fronde degli alberi illuminati dai raggi caldi del sole.
Questo non bastava però a riscaldare il cuore di Harry che con furia correva attraverso la campagna polacca con un solo pensiero in testa.  Al suo passaggio si alzava un lieve strato di polvere dal suolo, che costituiva una perfetta scia dietro il ragazzo. Polvere e disperazione.
Doveva sbrigarsi. Doveva avvertire il suo Louis.
Dopo un centinaio di metri eccolo arrivare a destinazione. Davanti a lui si ergeva una piccola casetta in mattoni gialli. Le mura erano crepate, e quasi tutta la vernice era stata portata via dalle intemperie. La costruzione era piazzata dietro un piccolo giardino che ormai assomigliava più ad una distesa arida e trascurata. Nessun fiore, nessuna pianta sana. Harry si fermò qualche secondo ad osservarlo. In quell’ammasso di erbacce e fiori appassiti poteva vedere il futuro della Polonia, il suo futuro, quello del suo Louis e quello di tutti gli ebrei. Nonostante per mesi avesse provato a convincersi che tutto si sarebbe risolto gli era fin troppo chiaro che la situazione aveva raggiunto un punto critico, in quel giorno in particolare; ecco perché doveva parlare con Louis.
Rapidamente si introdusse all’interno del piccolo giardinetto, raggiungendo la porta d’ingresso dell’abitazione.
Bussò.
 una, due , tre volte.
Velocemente si sistemò i lunghi ricci passandovi la mano attraverso , per poi appoggiarsi con la spalla sinistra al muro dell’edificio attendendo una risposta dall’interno.
Ad aprire fu Charlotte, la sorella minore di Louis. « Harry!» gridò la piccola abbracciando il riccio alla vita, così stretto che il ragazzo quasi cadde all’indietro. «Lottie, piccola, devo parlare con Louis. E’ in casa?»
La ragazzina mollò delicatamente la presa e si scostò dalla fronte i lunghi capelli biondi che puntualmente le finivano in faccia. «Sì, si sta prendendo cura di mamma. sai, in questi giorni è peggiorata.»
 Una stretta al cuore.
 «Posso entrare Lottie?» La ragazzina annuì «Certo, vieni.»
 La piccola lo prese per mano e lo tirò verso la stanza di sua madre Johanna. 
L’interno dell’edificio era  arredato in maniera abbastanza scarna: vi era solamente una piccola cucina, un tavolo, tre sedie e una vecchia poltrona, che certamente aveva visto giorni migliori, buttata in un angolo. 
Harry seguiva Lottie, e man mano iniziava a sentirsi sempre più a disagio. Sapeva che la  madre di Louis era malata, e sapeva anche quanto questo si ripercuotesse su Louis stesso. Odiava vederlo giù, odiava il fatto che dovesse sopportare tutta quella situazione e soprattutto odiava non poter fare assolutamente nulla per aiutarlo.
Ma quel giorno si era presentato da lui con un’idea che avrebbe potuto cambiare le loro vite. Un’idea folle, ma comunque un’idea.
«Louis c’è Harry.» esordì la piccola Lottie dopo aver aperto delicatamente la porta della camera da letto.
Louis a quelle parole si voltò di scatto incrociando lo sguardo compassionevole del riccio. Il ragazzo era seduto in un piccolo sgabello, ai piedi del letto della madre. Teneva in mano una piccola bacinella d’acqua, che forse aveva usato per rinfrescare la fronte di Johanna. «Louis scusami, forse non dovevo presentarmi così senza preavviso, tua madre..» disse il riccio a bassa voce. «Stai tranquillo, sta dormendo. Andiamo fuori in giardino.» rispose Louis con voce flebile e, dopo aver lasciato un bacio sulla fronte della madre, uscì insieme ad Harry, lasciando Lottie nella stanza.
«Mi dispiace per tua madre, speravo che le sue condizioni migliorassero.» «Purtroppo va sempre peggio Harold.» rispose Louis abbassando lo sguardo.
Harry era sicuro di aver sentito un tremolio nella sua voce; senza pensarci due volte lo abbracciò, stringendo le braccia attorno alle piccole spalle del ragazzo. Louis allora nascose la testa nell’incavo della spalla del riccio, e così rimasero per qualche minuto. Quando Louis si staccò dalla stretta di Harry, che lo lasciò andare dolcemente,  quest’ultimo ebbe modo di concentrarsi bene sugli occhi di Louis. Dio quanto li amava. Glielo diceva sempre. Quegli occhi gli avevano catturato l’anima. Erano stati quegli occhi a conquistare il suo cuore senza lasciarlo mai più andare. Erano di un azzurro particolare, azzurro come il cielo d’estate; azzurro come l’acqua più pura della sorgente più incontaminata di tutto l’oriente, perché era così Louis: puro. Era troppo per quel mondo, così crudele, così spietato e senza regole. Ecco perché Harry lo custodiva come fosse la gemma più preziosa sulla faccia della terra. Louis era suo e lui doveva proteggerlo.
«Scusami Harold, non volevo addossarti i miei problemi.»
«Louis, i tuoi problemi sono anche i miei. Mi sei mancato.»
«Anche tu »rispose senza esitazione Louis, appoggiando le sue labbra a quelle dell’altro e regalandogli un dolce bacio. Harry tremò.  «Lou, dobbiamo stare attenti.  Non tutti sono comprensivi come la tua famiglia, e l’ultima cosa che ci serve è che si venga a sapere in giro che siamo.. » «Scusami, lo so.» rispose svelto Louis gettando un’occhiata dietro di sé per assicurarsi che nessuno li avesse visti, poi continuò «Harry, perché sei qua?» «Dannazione! Me ne stavo dimenticando – sbottò il riccio – ci sono news dal fronte tedesco. » Louis deglutì preoccupato.  Adesso aveva gli occhi azzurri fissi in quelli verdi del suo Harry. «Cattive notizie Lou.»
Louis abbassò lo sguardo e si sedette sugli scalini davanti al portico. Harry continuò : «Hitler sta rivendicando il diritto di passaggio dalla Polonia. Alla fabbrica dicono che è questione di mesi e ci ritroveremo nazisti ovunque.» Lo sguardo di Louis era fisso nel vuoto, quelle parole lo avevano scosso come una doccia gelata e adesso stavano facendo comparire nella sua mente milioni di futuri possibili, nessuno dei quali positivo per lui e la sua gente.  Harry attese per qualche secondo una risposta da Louis, ma non ricevendola  lo disse. Lo disse e basta.
Disse a Louis ciò che voleva fare, o meglio, ciò che entrambi dovevano fare. Insieme.
«Scappare?! – Louis si alzò di scatto – Harry, come pretendi che io scappi? Dove poi? Non c’è un posto sicuro in questo mondo, non esiste un posto dove la guerra e la morte non possano arrivare. Non esiste né esisterà mai finché gli uomini continueranno a combattersi fra di loro, cercando di esaltare le differenze invece che le affinità fra le razze. Finché non capiranno che questa – si strinse la pelle del polso – è la stessa di un soldato tedesco o italiano o americano.  Non può esserci pace in questo mondo finché anche in un singolo paese si continuerà a perpetuare l’odio. »
Harry ,che intanto si era alzato, adesso fissava di nuovo Louis negli occhi, tenendogli la faccia fra le sue grandi mani.
«Louis, so che fa paura, so che probabilmente è una cazzata, ma finché ci sarà una benché minima speranza io voglio provare.
Io voglio lottare per la mia libertà, e voglio farlo con te, perché tu sei il mio cuore,  e se anche Dio un domani mi permetterà di trovare la salvezza, se io non sarò con te, qualunque posto in cui io mi troverò sarà comunque l’inferno sulla terra.» A quelle parole Louis, dimenticandosi completamente di ciò che aveva detto il riccio pochi minuti prima, baciò Harry con più passione della prima volta, stringendolo a sé. Le sue lacrime bagnarono dolcemente il viso del ragazzo dagli occhi verdi. Avevano iniziato a singhiozzare entrambi.
«Louis, amore. Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? Ti ricordi? Era marzo, faceva freddo, tu te ne stavi sdraiato accanto al fiume Bug, mentre io stavo portando la legna raccolta a casa.  eravamo entrambi lontani dalla città. Appena ti vidi ebbi subito voglia di parlarti. Te ne stavi lì, a lanciare piccoli sassolini nell’acqua che scorreva senza tregua. L’azzurro dei tuoi occhi faceva sfigurare addirittura l’acqua limpida del fiume. Ti ricordi quando mi avvicinai con la scusa di chiederti indicazioni per tornare a Chelm, e tu ti offristi di accompagnarmi? Sapevo benissimo la strada, ma volevo solo avere l’occasione di parlarti. E la ebbi eccome. Ti ricordi Louis? Tu eri così orgoglioso da non voler ammettere di esserti perso. Passammo la notte in quel cazzo di bosco, appoggiati ad un albero, a parlare di tutto e di tutti. Scoprimmo che entrambi vivevamo nella stessa città, scoprimmo che tu eri più grande di me di 3 anni, nonostante fossi estremamente più basso – Louis rise –  scoprimmo che ci piaceva davvero la compagnia l’uno dell’altro e scoprimmo che può fare davvero molto freddo quando si passa una notte all’aperto.  Ma devo confessarti che se potessi vorrei rivivere altre mille volte quel giorno, per poter provare di nuovo la sensazione di immergermi nell’azzurro dei tuoi occhi per la prima volta, per potermi rinnamorare di te, ancora e ancora. Louis, ti ricordi quando decidemmo di rivederci il giorno seguente, una volta tornati a casa? Io arrivai in ritardo, mentre tu eri arrivato in anticipo. Ti ricordi le camelie rosa che mi portasti al nostro terzo appuntamento? Erano bellissimi Lou, ma niente a che vedere con la bellezza del  sorriso imbarazzato che mi regalasti quando mi porgesti quel piccolo mazzo di boccioli. Lou, te lo ricordi vero?  E ti ricordi anche quando facemmo per la prima volta l’amore? Eravamo così imbarazzati, nessuno dei due sapeva bene cosa fare, avevamo paura di sbagliare e di essere sbagliati, ma non ci importava. Ci eravamo trovati e da quel momento tutto il mondo aveva iniziato ad avere senso per me. Capisci Louis? È per questo che ti voglio con me, Io non  sono nulla senza il mio cuore. Parti con me, Andiamo a Londra! Stanno organizzando un viaggio clandestino verso l’Inghilterra, là si dice che la situazione sia migliore, là forse troveremo la nostra libertà.»
Adesso stavano entrambi piangendo a dirotto.  Louis aveva le mani strette a quelle di Harry, come se inconsciamente non volesse davvero lasciarlo andare. «Harry, amore mio, non posso venire in Inghilterra, non adesso.  Lottie e Johanna hanno bisogno di me. Non possono affrontare un viaggio del genere e io non posso abbandonarle, non me lo perdonerei mai. Io ti amo Harry, ma sai che le cose andranno diversamente da come ti sei immaginato. Tu devi partire, e giurami che lo farai, Ma io non posso lasciare mia madre e mia sorella in balia dei tedeschi. Quando  mia madre si sarà stabilizzata, te lo giuro, partirò. Partirò verso l’occidente e se tu non sarai più in Inghilterra, allora io andrò in Italia e in America e girerò tutto il mondo pur di trovarti.»
«Sapevo che lo avresti detto, Louis.» i due rimasero in silenzio per qualche minuto  e fu di nuovo Harry allora a parlare:
«Promettimelo. »  
Louis si asciugò con la manica del vecchio golf logoro che aveva addosso le lacrime che gli rigavano le guance. « Che cosa Harry? »
« Promettimi che ci ricongiungeremo.  Promettimi che appena ti sarà possibile partirai e lascerai questo posto. Promettimi che mi cercherai. Promettimi che non ti dimenticherai di me,  perché io certamente non lo farò. Promettimi che nonostante i Chilometri  a dividerci presto ci riabbracceremo, ritrovando la nostra libertà. »
«Te lo giuro sul mio cuore Harry. »
 
 
21 agosto 1939, Costa Settentrionale Polacca – 03:15 A.M.
La costa nei pressi della baia di Danzica era particolarmente animata quella notte. Quella era la notte in cui 57 ebrei avevano deciso di scappare verso l’occidente. Quella era la notte in cui due cuori venivano separati.
Louis fissava Harry consegnare il suo visto falso al capitano dell’imbarcazione che avrebbe condotto tutte quelle persone verso la speranza di una condizione di vita migliore; Liam, si chiamava così quel ragazzo, o almeno così aveva sentito Louis.  Doveva essere un vecchio cugino di Harry, o qualcosa del genere. Louis, sospirando avanzò verso il riccio e  gli altri, che stavano cominciando a salire sull’imbarcazione. Gli occhi azzurri adesso erano pieni di lacrime, che Louis faticava a trattenere. Non voleva piangere, non adesso. Non voleva ricordarselo così quell’addio  arrivederci. 
Senza esitare raggiunse Harry e lo cinse per la vita, stringendolo a se e schiacciando la sua testa contro la schiena del riccio. Harry allora si girò e prese il viso di Louis fra le mani, permettendo al verde dei suoi occhi di mescolarsi all’azzurro di quelli di Louis per un’ultima volta. «Lo sai Lou? Solo quando ti guardo mi sembra che questo mondo dannato abbia senso. » Louis sorrise di rimando, seppur il suo fosse un sorriso fin troppo malinconico. 
Sarebbero rimasti per sempre così, se non fosse stato per Liam che aveva iniziato ad imprecare, seppur a bassa voce, per far muovere i passeggeri. Dovevano sbrigarsi, sicuramente la voce si era sparsa e Liam non voleva  rischiare che qualcuno provasse ad ostacolarli. L’operazione non poteva complicarsi prima ancora di essere attuata.
 «Ho una cosa per te. » bisbigliò Louis. «Una cosa per me? » rispose Harry. Dopo essersi frugato per qualche secondo in tasca il ragazzo dagli occhi azzurri tirò fuori una piccola catenina in ottone con attaccata una medaglietta sulla quale vi era inciso qualcosa. « Questo è per farti capire che non mi dimenticherò di te, che non mi dimenticherò di noi. Ti sarò vicino, anche se non potremo vederci. Ti sarò vicino così, finché non ci riabbracceremo.  »
« איתך  » lesse ad alta voce Harry.  « Esatto Harold, “con te”. »  gli fece eco Louis. Il riccio sorrise di cuore, lasciando comparire due splendide fossette sulle sue guance. Anche Louis sorrideva, nonostante le lacrime. I due si scambiarono un ultimo bacio, facendo attenzione a non dare troppo nell’occhio.
 «Ci vedremo presto, te lo prometto Harry. »

Dalla costa ormai deserta e appena illuminata dalla luce della prima luna piena del mese, Louis vide Harry e tutte le sue speranze salpare su quell’imbarcazione. In quel momento Louis vide il suo unico amore  sfuggirgli dalle mani senza poter far nulla per fermarlo. In quel momento qualche migliaio di Chilometri  più lontano, nel segreto più assoluto,  veniva firmato il patto Molotov-Ribbentrop fra Russia e Germania, segnando per sempre il destino della Polonia.
 

***



Cos’è la speranza? Qualcosa che ci tiene in vita oppure qualcosa che ci uccide lentamente, colmandoci il cuore di illusioni? Molti la definiscono come la più umile delle tre virtù, poiché trova nascondiglio nella vita.  La speranza è però una virtù rischiosa, ma spesso è l’unica cosa che rimane a chi ha perso tutto. La speranza era tutto ciò che era rimasto ad Harry. Erano ormai passati due anni dal suo arrivo a Londra. Viveva in una piccola stanza collocata in un palazzo popolare, nulla di speciale, ma nulla in meno rispetto a ciò di cui aveva bisogno, o quasi.  La situazione nel mondo era peggiorata per gli Ebrei. A quanto ne sapeva Harry la Polonia era stata completamente piegata, gli Ebrei rinchiusi nei ghetti, il mondo spaccato in due e, nonostante questo,  non aveva mai smesso di sperare nell’arrivo di Louis. Si svegliava la mattina e passava la giornata ad immaginare quei due occhi azzurri comparire sull’uscio della porta. Si immaginava il suo Louis, che magari dopo tutto quel tempo si era fatto pure crescere la barba, bussare al portone d’ingresso. Stringeva ogni sera prima di addormentarsi la medaglietta che il ragazzo dagli occhi azzurri gli aveva regalato, ripetendosi che la promessa contenuta in quel “con te” sarebbe stata mantenuta. Harry lo vedeva, Harry vedeva Louis nei prati fioriti della campagna inglese, lo vedeva nelle pozzanghere lasciate dalle prime pioggerelle estive, lo vedeva nel sole che sorgeva a est e nelle stelle che accendevano il cielo di notte.  A volte gli sembrava di sentire ancora la sua risata cristallina echeggiare nel silenzio della sua abitazione. Ogni giorno ascoltava la radio sperando di non sentire il nome  dell’amore della sua vita fra le vittime della giornata. Nonostante il tempo che era passato, era rimasto in stretti rapporti con Liam,  che lo aveva condotto verso la sua “non libertà”. Si scrivevano occasionalmente. Liam era felice di ascoltarlo poiché sapeva che ciò serviva ad Harry per sfogare tutte le sue paure e le sue insicurezze. Qualche volta gli faceva bene riportare alla mente i vecchi ricordi delle giornate passate con Louis a “casa”, molto più spesso piangeva. Era come  gli aveva detto quel giorno, la vita senza quegli occhi azzurri era un inferno.
 L’amore ti consuma, ma soprattutto l’amore non è per chi vive in un mondo scosso dalla guerra. Questo Harry lo capì bene quando a Londra arrivò la notizia: erano iniziate le deportazioni degli ebrei.  L’intera popolazione di Chelm era stata deportata. Il suo Louis era stato deportato. Nessun fuggiasco, nessuna speranza.
Ne era quasi certo adesso: Il suo Louis non avrebbe attraversato mai quella porta d’ingresso.

 

***

 
 
 
21 agosto  1942, Sobibor.
“ Caro Harry.
Sono Io.  
Se solo tu potessi vedermi adesso.
Probabilmente sai dove sono, il mondo è piccolo e le notizie volano, perfino oltre oceano.
Perché ti sto scrivendo? Ormai è notte in questo posto dimenticato da Dio, dovrei riposare, mi serve energia nelle vene se voglio tenermi stretta la vita, nel vero senso della parola, ma ho trovato dei vecchi  fogli di giornale e voglio scriverti, ho anche un carboncino.
Voglio scriverti oggi perché esattamente tre anni fa tu sei partito.
Esattamente tre anni fa avrei potuto seguirti.
Adesso non ho più nulla, la guerra si è portata via tutto.
La guerra mi ha portato via te, ha portato via mia madre e mia sorella.
Sai, questo non è un campo di lavoro come gli altri, a noi di Chelm è toccato il destino peggiore.
Sobibor è un campo di sterminio.
Chi arriva muore.
E’ il destino di tutti, o quasi.
 Vengono scelti periodicamente circa 40 Ebrei da tenere in vita per svolgere la manutenzione nel campo.
Io come avrai capito sono fra quelli.
Mi occupo di lucidare gli stivali delle SS, e di rafforzare le recinzioni attorno al campo.
Non rallegrarti di ciò, credimi, è un destino peggiore della morte
Vedo ogni giorno migliaia di uomini, donne e bambini  arrivare in questo inferno e venir mandati a morire senza poter dare un ultimo abbraccio ai propri cari, senza poter guardare un’ultima volta la luna e le stelle, senza poter  assaporare di nuovo il piacere di un buon bicchiere di acqua fresca d’estate, senza poter vedere la primavera arrivare un’ultima volta, senza poter sentire mai più il tocco leggero della brezza primaverile sulla  propria pelle.
Sappi che preferirei la morte al dover guardare negli occhi ancora una volta un ebreo mandato a morire e ancora ignaro del suo crudele destino.
Ma non posso permettermelo Harry.
Non posso permettermi di morire.
Io ti ho fatto una promessa, e giuro che la manterrò.
Tuo, Louis. “
 
 
15 novembre  1942, Sobibor.
“ Harry, amore mio. Ho paura.
Oggi è stata una giornata terribile.
Ho visto un ragazzo ebreo morire davanti ai miei occhi. Ezra si chiamava. Dormiva nel mio Block.
Gli hanno sparato dritto alla tempia, solamente perché aveva provato a chiedere un’altra razione di zuppa durante la “cena”.
Ci stanno togliendo la dignità di esseri umani. Qua non siamo considerati persone, siamo considerati ancor meno di delle bestie.
Ogni giorno fisso la cifra che mi hanno tatuato sul braccio e mi sento un vuoto dentro.
Non abbiamo più nulla, nemmeno un nome.
Non voglio morire qua.
Non voglio morire dopo aver perso la mia identità.
Non permetterò che mi trasformino davvero in una bestia.
Io sono molto di più di quella fottuta cifra.
Probabilmente le mie frasi non hanno un senso,
forse sto delirando, la disidratazione e la fame non aiutano.
Harry, la paura è tanta, ma la voglia di rivederti è l’unica cosa che mi spinge ad andare avanti.
L’ho giurato sul mio cuore, ricordi?”


 
 
5 Marzo 1943, Sobibor.
“ Harry, Amore mio, scusami se non ti scrivo spesso, ma trovare la forza per farlo è davvero difficile.
Spesso preferisco dimenticare ciò che vedo qua.
Ma oggi non posso farlo.
Oggi mi avevano assegnato un compito differente.
Mi avevano ordinato di bruciare gli oggetti ed effetti personali degli altri ebrei deportati.
Harry sono in lacrime.
Le SS arrivavano con enormi carichi di vestiti, scarpe, cappelli e oggetti di ogni tipo.
Harry, quegli oggetti che io ho toccato appartenevano a qualcuno,
appartenevano a qualcuno che adesso non c’è più.
Appartenevano a qualcuno che è stato costretto a lasciare questo mondo nel peggiore dei modi.
Sento ancora fra le mani quel piccolo vestitino bianco di pizzo,
probabilmente apparteneva ad una bambina di non più di 5 anni.
Una bambina strappata all’affetto della sua famiglia.
Una bambina che non potrà mai diventare grande e conoscere l’amore.
Una bambina che domani non vedrà l’alba.
Mentre svuotavo le tasche di una giacca azzurra di buona fattura invece ho trovato una foto.
C’erano immortalati un uomo e una donna, non dovevano avere più di 20 anni.
Dietro c’era scritta una data, “ 11 gennaio 1940”.
Forse era la data in cui era stata scattata la foto, forse era la data in cui si erano scambiati il primo bacio o la prima carezza.
L’unica certezza è che anche quell’amore è stato distrutto dall’odio e dalla follia della guerra.
Harry non ce la faccio.
So che dovrei essere forte, ma sono solo un uomo e non riesco più a sopportare  tutta questa morte attorno a me.
Ho davvero paura.
Anche solo scriverti equivale ad un grandissimo pericolo per me.
Se le SS dovessero scoprire queste lettere probabilmente mi giustizierebbero davanti alla pizza del campo, senza nemmeno permettermi di dire un’ultima preghiera.
Per adesso provo a non pensarci, le nascondo dietro ad un’asse di legno nella parete del nostro Block.
Nessuno sa che sono lì a parte qualcuno dei miei compagni, ma sono certo che di loro ci si può fidare.
Stiamo lavorando per te Harry.. sto lavorando per te.”



 
 
 
28 aprile 1943, Sobibor.
“Amore mio, oggi una donna appena scesa dal treno per la deportazione mi si è avvinghiata al braccio chiedendomi cosa sarebbe successo a lei e alla sua famiglia.
Urlava, Piangeva.
Diceva di aver sentito delle voci su Sobibor.
Mi chiedeva aiuto, mi chiedeva di dirle la verità.
Prima ancora che potessi risponderle è stata presa di peso da due SS e portata dietro gli uffici delle guardie.
Inutile dirti che da là dietro non è più uscita.
E’ più di un anno che sono qua  e non credo di poter sopportare ancora a lungo tutta questa sofferenza.
In questo posto non esistono più il senso di dignità e di giustizia.
Spesso parlando con gli altri miei compagni loro mi raccontano di come man mano sparisca dalla loro mente il ricordo dei loro cari .
Io non permetterò che questo avvenga anche a me.
Non dimenticherò mai i tuoi occhi verdi smeraldo.
Harry, essere coraggiosi  qua significa essere destinati ad una morte terribile, ma non mi importa.
Sto lavorando per te.”
 



 
12 maggio 1943, Sobibor.
“ Oggi non ce la faccio a scrivere, la mia mano destra è coperta da delle orribili piaghe piene di pus.
Fa male Harry, ma tranquillo, Sto lavorando per te. “
 



 
7 luglio  1943, Sobibor.
“ Sto lavorando per te Harry, buonanotte.”
 




13  ottobre 1943, Sobibor.
“ Scusami Harry se non sono stato continuo nel riportare i miei pensieri in queste lettere, ma il lavoro al campo mi uccideva e in più te l’ho detto, stavo lavorando per te.
Ormai ci siamo amore mio.
Oggi è il 13 ottobre, ne sono certo perché sbirciando nel calendario pieno di polvere appeso alla parete della cucina ne ho avuto la conferma.
Non posso scrivere altro adesso, sappi solo che ti amo.
Ti amo Harry.
È stato solamente il tuo ricordo a tenermi in vita in questo inferno.
Tu sei la mia libertà.”


 


 
***

 
35 anni dopo, Manchester.
Se ne stava seduto in una vecchia poltrona  di velluto rosso, posizionata in un angolo del suo piccolo studio, accanto ad una grande lampada ad olio.
Davanti a lui erano sparse su un piccolo tavolo da caffè centinaia di fogli e foglietti, foto e scartoffie varie.
Se ne stava seduto sulla vecchia poltrona con un taccuino ed una penna ad inchiostro sulle ginocchia, mentre si rigirava fra le mani un foglio di carta lavorata, che aveva ormai assunto un colore giallastro, probabilmente a causa dell’usura del tempo.
I suoi occhi stanchi vagavano da angolo ad angolo della stanza, per poi riposarsi nuovamente sul foglietto che teneva tra le mani.
Lo rilesse per quella che doveva essere probabilmente la terza volta quel giorno.
 



 
8 Settembre 1943
“Caro Amico mio. Come stai? Spero con tutto il mio cuore che tu stia bene e te la stia cavando, davvero.
Qua la situazione non è delle migliori per me, ma ormai probabilmente mi ripeterei.
Sai, il nostro è un mondo crudele ma lui è migliore di tutti gli altri là fuori.
Molti mi dicono che sono coraggioso. Coraggioso perché continuo ad aspettare qualcuno che non tornerà.
Credo che siano tutti in errore, sai?
Louis scapperà.
Con la speranza che tu stia bene, Harry Styles.”

 
 



Finita per l’ennesima volta  la lettura i suoi occhi si  rivolsero alla piccola finestra posizionata sulla parete alla sua destra.
Fissò le nuvole candide e leggere che si facevano largo nel cielo limpido di quel magnifico giorno di Marzo.
Sorrise.
Il flusso dei suoi pensieri fu però interrotto dal cigolio della vecchia porta in ciliegio che veniva aperta lentamente.
«Nonno Liam? Mamma dice che è pronto il pranzo.»
«Mia Piccola Sophia, mi aiuteresti a mettere apposto tutte queste scartoffie, così poi possiamo scendere assieme, vuoi? » rispose Liam con voce roca ma comunque gentile, proprio quella che si addice ad un nonno. La piccola Sophia annuì contenta e con passi leggeri si avvicinò al vecchio tavolo dove erano sparsi tutti quei fogli. Ne prese qualcuno fra le mani, ma fu colta dalla tipica curiosità caratteristica di tutti i bambini.  «Nonno cosa sono queste?» chiese la piccola. « Lettere mia Cara, lettere e annotazioni.» rispose il vecchio.
 La piccola lì fissò ancora un po’ con aria confusa. «Ti servono per scrivere il libro a cui stai lavorando, vero Nonno? » Liam annuì sorridendole e accarezzandole dolcemente la testolina piena di lunghi capelli biondi.  «E dove le hai prese? » domandò di nuovo. «Bè, di molte ero io stesso il destinatario, altre invece mi sono state donate sempre dalla stessa persona che mi scriveva, appunto per permettermi di poter completare il mio libro. » Sophia aveva solo 9 anni, ma era molto intelligente. Sapeva che cosa era l’Olocausto e sapeva che suo nonno stava scrivendo qualcosa riguardante i sopravvissuti a quella barbarie. La piccola allora piegò la testa di lato e aggrottò le sopracciglia pensierosa «Sì, ma chi te le ha date? » chiese di nuovo. Liam allora sorpreso dall’interesse della piccola nipotina si frugò un po’ in tasca per poi tirare fuori il suo vecchio portafoglio in pelle marrone. Lo aprì e dopo qualche secondo ne tirò fuori una vecchia fotografia logora e dai bordi rovinati ed ingialliti. «Ecco tesoro, queste lettere mi sono state donate da questi due ragazzi. » Sophia prese fra le mani la foto ed ebbe modo di osservarla bene. Vi erano immortalati due ragazzi uno dai capelli ricci e uno invece un po’ più basso, dai capelli leggermente mossi. Entrambi sorridevano tenendosi per mano. Le sembrava quasi che i due stessero piangendo, ma non disse nulla, alla fine la foto era vecchia. «Chi sono Nonno? » Liam sorrise. «Loro sono Harry e Louis mia cara. Louis venne deportato in un terribile campo di concentramento –  Liam sospirò –  Erano due mie cari amici.» La bambina rimase in silenzio, forse dispiaciuta per la troppa invadenza dimostrata. «Vedi tesoro, sono venuti a mancare anni fa. » Sophia abbassò lo sguardo in segno di dispiacere e posò la vecchia fotografia sul tavolo, ma non poteva davvero  trattenere la sua curiosità. «Cosa avevano di speciale nonno? » Liam rimase in silenzio per qualche secondo. La sua mente adesso era lontana, tornata a quegli anni, agli anni della guerra, agli anni delle grandi sofferenze, a quegli anni senza speranza. Con le mani tremolanti prese la vecchia fotografia e la girò. Dietro vi era scritto qualcosa, lo lesse in silenzio.
 
 
24 dicembre 1944
 “ Caro Liam, il coraggio è la più grande delle virtù.
C’è il coraggio di lottare per ciò in cui si crede,
 c’è il coraggio di aspettare,
 c’è il coraggio di andare avanti lasciando le vecchie sofferenze alle proprie spalle.
C’è il coraggio di rincominciare a vivere.
 Io posso dire di averlo ritrovato.
Ho deciso di inviarti questa foto scattata qualche giorno fa
per farti sapere che io ho finalmente ritrovato  la mia libertà.
il mio Louis è tornato a casa. “
 
 

 
Con le lacrime agli occhi Liam posò di nuovo la foto sul tavolo per poi rivolgersi a Sophia che lo fissava interdetta. « Piccola Mia, secondo te qual è la forza più potente al mondo? » La bambina aprì la bocca per rispondere, ma poi la richiuse poiché sapeva di non avere la risposta giusta. «L’ amore mia cara. L’amore. Fu l’amore a tenere in vita Louis in quel campo. L’amore si prese cura di lui, l’amore sconfisse il tempo, l’amore incondizionato che gli colmava il cuore gli permise di trovare il coraggio di rischiare. La prigionia gli aveva portato via la sua famiglia, la salute e l’identità, ma Louis non lasciò mai che gli portasse via il ricordo di Harry. Vedi Cara, Louis scappò da quel campo. Louis Scappò da Sobibor per tornare dal suo amato Harry.»


 
***
 
 

 
20 ottobre 1943, circa 130 miglia da Sobibor.
“ Harry, Amore Mio.
Adesso posso permettermi di scriverti.
 Sono passati 7 giorni, sono lontano ormai.
Ancora non riesco a realizzarlo. 
Ce l’ho fatta.
Se solo tu potessi sapere dove mi trovo adesso.
Sono sopra un albero, davanti alla fattoria di un vecchio contadino che mi sta gentilmente ospitando da ormai due giorni.
E’ andato tutto come avevo sperato.
 La sera del 14 ottobre io e tutti gli altri compagni abbiamo attuato il piano di fuga che stavamo progettando da quasi un anno.
Il 14 ottobre 1943 a Sobibor è infiammata la rivolta.
600 prigionieri si sono scagliati verso la salvezza attraverso il campo minato che ci separava dal bosco;
molti sono morti a causa delle mine, ma il loro sacrificio ha permesso agli altri come me di avanzare senza pericoli.
Spero che avranno trovato la pace adesso.
Molti sono caduti a causa dei proiettili delle SS.
Circa 70 che erano arrivati al bosco sono stati ricatturati e uccisi sul posto.
Io, non so come, ce l’ho fatta.
 Correvo Harry, correvo più veloce che potevo, senza guardarmi indietro, provando ad ignorare le grida dei miei compagni, i latrati dei cani, gli spari.
 Ti vedevo Harry, ti vedevo correre affianco a me.
 Ed è allora che ho capito: non sarei potuto morire lì, non quando ormai ero così vicino al riabbracciarti.
Adesso sono qui, lontano da quell’inferno.
 Da quassù vedo il Bug d’Occidente in lontananza, forse posso addirittura vedere Chelm, ma non ho intenzione di tornare là.
Non posso fermarmi adesso, domattina ripartirò.
Sono vicino Harry, sono così vicino.
Sono pronto a riabbracciare la mia libertà, sono pronto a riabbracciare te. “

 
 
 
 
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Allora, eccoci qua. Vi ringrazio tantissimo se avete trovato il tempo per leggere questa mia os e spero davvero vi sia piaciuta.
E’ la prima che trovo il coraggio di pubblicare ed è particolarmente importante per me, ci tengo molto.
Da sempre desideravo scriverne una così, in modo da unire la mia otp preferita (i larry) con gli eventi della seconda guerra mondiale, periodo che mi affascina, diciamo. Amo molto la storia. Quasi tutte le date corrispondono a dei veri eventi significativi per la seconda guerra mondiale e l’Olocausto, e la stessa rivolta del 14 ottobre 1943 è veramente avvenuta.
Spero vivamente di non aver offeso nessuno, poiché so che i fatti di cui ho parlato riguardano questioni davvero serie. Ovviamente questa storia è pura immaginazione e fatti realmente accaduti sono uniti ad altri inventati ed a personaggi immaginari. Vi ringrazio ancora una volta per aver trovato il tempo di leggere questa os e vi sarei grata se ne trovaste anche per lasciare una recensione. Accetto qualunque tipo di critica, purché sia costruttiva.
Vi auguro una splendida giornata :)
   
 
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