XII
QUESTIONI DI
SANGUE
“Saga!
Tutto bene?” domandò Kanon.
“Dove
sono? Cosa è successo?” rispose
il gemello.
“Sei
caduto dal cielo. Ti ho visto,
ti ho preso al volo”.
“Volo?
Dov’è il drago?”.
“Quale
drago?”.
“C’era
un drago!”.
“Il
drago ti ha ridotto così? Sei
pieno di ferite”.
“Sì”.
Saga si
guardò. Era pieno di graffi e
con un morso sul fianco.
“Sicuro
di non essertelo immaginato?”
ipotizzò Kanon “Insomma..lo sappiamo tutti e due
che sei fuori di testa!”.
“Non
me lo sono immaginato! Tu,
piuttosto, cosa ci facevi sul tetto della terza casa?”.
I due erano
proprio sul tetto della
terza.
“Scappavo
da un problema ben più
serio e reale del tuo!”.
“Più
serio di un drago che vuole uccidermi?”.
“Che
razza di roba ti sei fumato per
vedere i draghi?!”.
“Ma
fottiti!”.
“Sei
sbronzo?!”.
“Ma
no! Come mi sarei ferito così?”.
“Non
lo so, ma non sei normale”.
“E tu,
invece? Sei insano tanto
quanto me!”.
“Zitto!
Arriva!” esclamò Kanon,
tappando la bocca al fratello.
Con un rumore
metallico, qualcosa si
avvicinava.
“Come
ha fatto ad arrivare qui?”
sibilò Kanon, mentre un riflesso oro si intravedeva fra la
pietra.
“Che
succede? Che hai? C’è un
nemico?” domandò Saga.
“Taci!”.
Un’armatura
si mostrò controluce,
brillando. Camminava, diretta verso i due gemelli. Il sacerdote si
preparò ad
attaccare. Chi era quel nemico? Non percepiva un cosmo!
“Ma
quella è una Scale! Poseidone ci
attacca?” si stupì Saga.
Poi la
guardò meglio. Quell’armatura,
che continuava a camminare, era quella che un tempo indossava suo
fratello.
“Kanon!
Quella è la Sea Dragon!”.
“Ma
non mi dire!” si stizzì il
gemello.
“Il
suo attuale possessore ti
infastidisce?”.
“No.
Guarda meglio”.
Il sacerdote
osservò meglio.
Sobbalzò. L’armatura era vuota! Com’era
possibile? Chi altro era in grado di creare
un’illusione simile?
“Non
è un’illusione” spiegò Kanon
“Quella cosa è assolutamente reale e non
è governata da qualcuno non presente”.
“E
allora cos’è? L’armatura va in
giro da sola?!”.
“Non
vedo altre soluzioni”.
“E che
vuole?”.
“E che
ne so?!”.
L’armatura
allungò un braccio e Kanon
strinse i pugni. Non voleva avere niente a che fare con
quell’affare! Poseidone
sarebbe andato su tutte le furie al solo pensiero!
“Cosa
pensi di fare?” volle sapere
Saga.
“E
tu?” rispose il fratello,
continuando a fissare l’armatura ma indicando il senso
opposto.
Il sacerdote si
voltò e deglutì. Il
drago era alle sue spalle, ora mostrando una splendida armatura
indosso, pronto
ad attaccare.
“Non
me l’ero inventato, visto?”
mormorò a Kanon.
“Chiedo
venia”.
Schiena contro
schiena, i due gemelli
erano alle strette, sempre sul tetto della terza casa. Le vestigia una
volta
appartenute al gemello minore brillarono. Ad ogni passo, mutavano.
“Ma
che..”.
Ora
l’armatura aveva le ali. Una cosa
che non era mai successa prima! Drago e Scale scattarono nello stesso
momento,
con l’intento di colpire i gemelli. I due fratelli si mossero
lateralmente,
saltando nel tentativo di riuscire a fuggire. Corsero lungo le scale ma
entrambi gli inseguitori volavano piuttosto in fretta.
Phobos e Deimos,
dall’alto della
tredicesima, se la ridevano. Che buffo e patetico era il loro
fratellino mentre
scappava dal drago! Il sacerdote, stanco di farsi deridere, non sapeva
che
altro fare. Aveva lanciato contro quella bestia le sue tecniche
migliori, senza
ottenere nulla.
“Tutti
hanno un punto debole..” si
disse “Quale sarà quello di questo
coso?”.
“Se
hai qualche idea..” gridò Kanon
“..condividi, grazie!”.
“Ma
che vuoi? La tua armatura non ha gli
artigli e non morde!”.
“Certo.
Però è fatta di metallo! Fa
male!”.
Saga prese un
profondo respiro. Non
sapeva che altro inventarsi, ma forse qualcun altro lo sapeva!
Il drago
ringhiò minaccioso.
“Saga!
Corri!” lo incitò Kanon.
“Corri
tu, che la mammina ti aspetta!”.
“Ciao,
Arles”.
“Ciao,
principessa!”.
Arles
ghignò, senza fuggire più. La
creatura stava per raggiungerlo ma il sacerdote lo sfidò,
guardandolo negli
occhi.
“Non
ho niente da perdere,
bestiaccia! Sei stata sul mio elmo per anni e anni ed è
lì che tornerai!”.
Kanon, salito
sulla cima di una
colonna, osservava la scena.
“Ti
farai ammazzare!” gridò al
gemello.
“Che
sia! Piuttosto che correre come
un cretino per tutto il santuario, inseguito da un lucertolone rosso e
pedante,
preferisco farmi mangiare!”.
“Arles!
Sei impazzito?!”.
“Non
sono mai stato normale, lo hai
detto tu!”.
“Smettila
di fare il fenomeno!”.
Arles
ignorò i suggerimenti del
fratello e si preparò ad affrontare l’avversario.
Kanon, vedendo questo, storse
il naso. Non poteva essere da meno del fratellone esaltato!
“A noi
due, dragone marino!”.
“Straordinario!”
esclamò Mur,
osservando con attenzione tutto ciò che Efesto faceva.
Anche Kiki,
seppur con meno
entusiasmo, era meravigliato. Il Dio, come se fosse la cosa
più semplice del
mondo, stava migliorando le armature del tempio di Atena. Doveva
renderle
adatte ad uno scontro fra divinità, nel caso anche i mortali
ne venissero
coinvolti.
“Hai
fatto un ottimo lavoro. Queste
armature sono ben fatte” commentava il Dio e Mur ne era
lusingato.
“Il
ragazzo è tuo figlio?” parlò
ancora Efesto, indicando Kiki.
“No,
è mio fratello minore”.
“E
quanti anni ha?”.
“Diciassette”.
“E fa
mai armature?”.
“Certo.
Lavoriamo assieme”.
“Allora
può farmi anche lui da
assistente”.
Il Dio sorrise e
Kiki rispose con un
altrettanto largo sorriso.
“Ma
che succede fuori?” si chiese
Mur, sentendo un gran baccano.
“I
cuccioli di Ares” spiegò Efesto.
“I
cuccioli di Ares?!”.
“Sì.
La sua nidiata di bastardelli si
diverte tanto a fare casino”.
“Ma io
ho sentito gridare Saga”.
“E
secondo te da che nidiata è mai
uscito?”.
Mur si
zittì, capendo che fra Efesto
ed Ares non correva buon sangue. Meglio concentrarsi sulle armature..
Ares era
frustrato. Udiva grida,
ringhi e ruggiti ma non riusciva ad alzarsi per vedere cosa stesse
succedendo.
Sapeva di aver contribuito al risveglio del drago, ma non era affatto
certo che
il suo erede mortale fosse in grado di affrontarlo. Forse aveva
commesso un
errore imperdonabile. Strinse i denti, rigirandosi nel letto e cercando
di
uscirvi. Le gambe però non ressero e cadde in terra.
Gridò per la rabbia e la
frustrazione. Atena, allarmata nel sentire quell’urlo,
lasciò la sua dimora ed
andò a controllare.
“Tutto
bene?” domandò, sull’uscio.
Non ricevette
risposta ed entrò.
Subito capì quanto successo e si preoccupò.
“TI
sei fatto male, fratello?”
domandò.
“Stai
lontana. Non ho bisogno
dell’aiuto di nessuno!” rispose Ares, provando a
rialzarsi.
“Non
dire sciocchezze! Non sei in
grado di usare le gambe”.
“Non
serve che me lo fai notare,
donna!”.
“Ed a
te non serve essere così
scorbutico!”.
La Dea scosse la
testa, leggermente
infastidita, e cercò aiuto. Perché il suo gran
sacerdote era sempre a
bighellonare quando serviva? Per fortuna il suo richiamo fu udito da
Aphrodite,
che viveva nella casa più vicina, e da Aiolos che ronzava
sempre attorno alla
dimora divina, temendo il
manifestarsi
di nemici improvvisi.
“Cosa
succede, mia signora?” domandò
il Sagittario “Siete in pericolo?”.
“No,
Aiolos. Il nostro ospite ha
bisogno di aiuto”.
“Ares?”.
“Non
fare quella faccia infastidita,
cavaliere! È mio fratello ed è ferito, non
è una minaccia”.
Aiolos
chinò leggermente il capo.
Aphrodite sorrise divertito. Insieme, entrarono nella stanza dove il
Dio
tentava di sollevarsi, aggrappandosi al letto.
“Stai
fermo!” ordinò Atena “Rischi di
riaprire le tue ferite”.
“Non
credo siano affari tuoi” ribatté
il Dio.
“Ora
capisco da chi ha preso Arles!”
commentò Aphrodite, avvicinandosi al Dio.
Ares lo
fissò, non volendo alcun tipo
di aiuto, specie da parte di estranei con rose fra i capelli.
“Lo
conosci bene?” domandò.
“Chi?”.
“Arles.
Lo conosci bene?”.
“Certo.
È stato mio amico e mio
maestro”.
“Maestro?”.
“Certo.
E ora lasciati aiutare”.
“Lascialo
in terra, Aphrodite!”
suggerì Aiolos “Rischi di farti colpire, se ha un
attacco di collera”.
“Aphrodite?”
storse il naso Ares.
“Sì,
è un soprannome. Non mi chiamo
davvero così, così come nemmeno lui si chiama
Aiolos”.
“Lo
immaginavo. Ma perché proprio
Aphrodite?”.
“Perché
sono il più bello del tempio.
Inoltre, il mio segno zodiacale sono i pesci, legati alla Dea della
bellezza”.
“Comprendo
ma..perché non vi fate
chiamare per nome?”.
“Rinunciamo
a ciò che eravamo,
entrando al tempio. Un po’ come quando si entra in
convento”.
Ares, poco
convinto, ancora guardava
male il cavaliere, che voleva solamente aiutarlo.
All’esterno, si udì un forte
boato e delle grida.
“Che
succede fuori? Stanno lottando?”
domandò il Dio.
“C’è
un drago” spiegò Aiolos “Niente
che un cavaliere di Atena non possa gestire”.
“Quanto
sei tronfio, Saint!”.
“Mai
quanto voi, divinità della
guerra”.
“Io ho
tutte le ragioni per esserlo”.
“Ah
sì? Conosco la mitologia. Ne
avete fatte di figure di merda..”.
“E tu
sbaglio o sei stato ucciso da
un bambino di nove anni?”.
“Quella
è..una storia lunga..”.
“Non
litigate!” zittì tutti Atena
“Aiutatelo a tornare a letto e poi sparite. Mi fate venire il
mal di testa,
accidenti a voi!”.
“Voglio
vedere la battaglia” commentò
Ares “Fatemi vedere come combatte Arles”.
“Non
puoi. Devi riposare!”.
“Suvvia,
signora!” si intenerì
Aphrodite “É solo un padre
preoccupato per il proprio figlio e vuole vederlo
combattere!”.
“Non
sono preoccupato!” si affrettò a
dire il Dio “Se crepa, vuol dire che non è
all’altezza della prova a cui l’ho
sottoposto. Poco mi importa. Se sopravvive, meglio. Ma se muore, non ne farò di certo
un dramma”.
“Che
affetto..”.
“Tu
menti!” sorrise Atena “So che
stai mentendo. A te importa, e molto”.
“Mia
cara..ho visto morire fin troppo
figli miei, uccisi nei modi più disparati. Sopravvivono i
più forti, come è
giusto che sia. Se lui non rientra fra questi, non so che
farci”.
“Ma
lui è un mortale, non un Dio come
gli altri che ti porti sempre appresso”.
“Inconveniente
che capita”.
“Sei
senza cuore”.
“Senza
cuore, senza cervello..quale
altro meraviglioso complimento riceverò prima del
tramonto?”.
Atena lo
fissò, leggermente
scocciata, ma non ribatté con cattiveria. Si
limitò a sospirare e scuotere la
testa.
“Aiutatelo
a vedere la battaglia”
ordinò ai suoi cavalieri “Poi lasciate che faccia
quel che gli pare”.
Fuori dalla
stanza, Seiya era
preoccupato per la sua Dea. Solo la presenza di Aiolos lo faceva stare
abbastanza tranquillo. Atena voleva percuoterlo con il bastone, per
levarselo
dai piedi, ma preferì trattenersi. Aiolos ed Aphrodite,
nonostante le proteste
di Ares, che non voleva che mani smaltate maschili e paladini della
giustizia
lo toccassero, accontentarono la divinità. Sorretto, il Dio
della guerra riuscì
a giungere fino al terrazzino che dava sull’anfiteatro. Da
lì, le case e
l’intero tempio erano in vista. Non volendo mostrare quanto
il dolore fosse
insopportabile, ordinò loro di allontanarsi. Mezzo steso in
terra, la divinità
cercò di capire dove fosse il figlio. Finalmente lo vide e
si stupì, perché il
drago era diventato più grande del previsto.
“Se mi
ammazzi il gran sacerdote con
i tuoi giochetti..” brontolò Atena, raggiungendolo
“..me la pagherai cara!”.
“Non
vedo l’ora. È da troppo che io e
te non ci azzuffiamo”.
“Prima
rimettiti in piedi”.
“Lo
farò, Atena”.
“Comunque
ho ragione io..”.
“Su
cosa?”.
“Sei
preoccupato”.
“Nutro
totale fiducia. È questione di
sangue”.
Milo
sobbalzò. Kanon era entrato nella
casa dello Scorpione, lottando contro l’armatura marina.
“Hei!”
si lamentò il padrone dell’ottava
dimora “Non distruggermi la casa! Vai fuori a
litigare!”.
L’armatura
fu lanciata contro una
delle colonne, che tremò e si incrinò.
“Paghi
tu i danni, Kanon!” insistette
Milo.
Le vestigia
attaccarono di nuovo il
cavaliere dei gemelli. Kanon, per quanto fosse potente, provava dolore,
a
differenza dell’avversario.
“Non
mi fermerai!” gridò il
cavaliere.
“Va
fuori da casa mia!” urlò, di
rimando, Milo.
Arles,
sanguinante da vari punti, si
stava stancando. Il drago, rimandato indietro, si preparò e
caricò di nuovo. Il
sacerdote saltò e vi salì in groppa.
“Pessima
scelta” commentò Phobos,
rivolto a Deimos “Non sa manco andare a cavallo e pretende di
governare un
drago?”.
“Forse
dovremmo fare qualcosa”
rispose il gemello.
“Papà
si arrabbierebbe”.
“Si
arrabbierebbe lo stesso, anche se
morisse”.
“Forse
hai ragione..lasciamogli
ancora qualche istante”.
Arles non poteva
sentire i commenti
dei fratelli. L’animale era furioso e si librò in
volo. Al sacerdote questa
cosa non piacque per niente e dovette mettere un braccio attorno al
collo della
bestia per non cadere. Il drago scese in picchiata e Arles perse la
presa.
Dovette ancorarsi alle ali, ritrovandosi aggrappato
all’armatura che copriva
quella parte della bestia. Non riuscì a mantenere la presa e
scivolò,
catapultato in aria. Agitò le gambe e le braccia, in modo
sconnesso. Il drago parve
ridere divertito. Il sacerdote spalancò gli occhi, non
volendo schiantarsi al
suolo. Un calore strano lo stava avvolgendo, simile a quello provocato
dalle
fiamme. Tutta la pelle bruciava e infine udì un suono
familiare. Un’armatura?
Milo non sapeva
se intervenire o
meno. Kanon pareva in difficoltà ma chi glielo faceva fare
di interferire in
affari che non lo riguardavano? Il cavaliere dei gemelli lottava ancora
contro
l’armatura vuota. Lo Scorpione era stufo di tutto quel casino
alla sua casa, ma
che poteva fare? L’Antares su un’armatura vuota era
del tutto inutile! Però era
stanco di veder creare danni.
“Adesso
basta!” gridò, colpendo
l’armatura, che si smontò.
Kanon
guardò in malo modo il padrone
di casa. Bastava così poco? Si dovette ricedere
però, perché l’armatura subito
si riprese e, brillando d’oro, si attaccò al saint
della terza casa.
Il sacerdote,
ormai a poca distanza
dal terreno, si mosse d’istinto, con l’intento di
non spiaccicarsi.
Inaspettatamente, non cadde al suolo ma si sentì di nuovo
sollevare verso
l’alto. Che stava succedendo? Senza rendersene conto, stava
volando. Al posto
della tunica, ormai distrutta per i graffi del nemico, Arles indossava
un’armatura rossa la cui forma ricordava quella di un drago,
le cui grandi ali
lo sollevavano. I lunghi capelli neri di vedevano da sotto
l’elmo, che lo
faceva somigliare un po’ ad un demone. Ogni arto terminava
con una fila di
artigli. Lungo la schiena, una fila di punte acuminate ed una lunga
coda. Due
ulteriori arti con artigli apparivano, in semirilievo, sul petto, a
formare
come un cerchio attorno al cuore. Quando si ricomponeva a totem, quel
semirilievo formava la zampa sinistra del drago mentre invece la destra
si
creava con le due parti che ora coprivano le braccia di Arles. Volava
sempre
più in alto, capendo in fretta come governare quelle
vestigia. Il drago
parve perplesso, lo
fissò volteggiare e
provò ad inseguirlo, per un po’. Il sacerdote
virò, con una mezza piroetta. Virando
di nuovo, prese quota.
“Fratello!”
lo chiamò Kanon, uscendo
allo scoperto.
“Sto
bene” lo rassicurò Arles “Prova
a volare. È divertente”.
“Volare?
Sono un drago del mare!”.
“Vigliacco..”.
Kanon ,punto
nell’orgoglio, saltò e si
librò in aria. Raggiunse il gemello con un paio di battiti
di ali.
“Perché
indossi quell’armatura?”domandò
il sacerdote.
“Non
ne ho idea. E tu perché indossi
quella cosa?”.
“Non
lo so”.
Arles
prese velocità. Il drago lo seguì, ma si
mostrava più calmo rispetto a prima.
“Devi
ammetterlo, Deimos..” ridacchiò
Phobos “Il nostro fratellino è una vera schifezza
con il cavallo ma a volare è
un fenomeno!”.
“Ognuno
fa quel che può. Tu a volare
sei un disastro!” ribatté Deimos.
Il sacerdote
raggiunse la tredicesima
dimora. Il drago non lo infastidiva più con ringhi ed
atteggiamenti minacciosi.
L’animale atterrò sul tetto della casa di Arles.
Guardò in giù, incuriosito. Là
sotto, Ares guardava verso la bestia, con un sorriso.
“Non
dovresti esporti così” parlò
Arles, rivolto al padre “Se un nemico ti attaccasse, in
questo stato non
potresti fuggire o reagire”.
“E chi
sei tu per farmi la predica?”
sbottò il Dio.
“Il
padrone di casa. E non pulisco le
tue interiora sparse per la tredicesima dopo che un nemico ti ha
smembrato”.
“Che
immagine raccapricciante. Mi
piace”.
“Sei
un pazzo”.
“E tu
hai la coda”.
Arles si
guardò, notando che
quell’armatura aveva effettivamente una lunga coda.
“Perché
c’era una tua armatura ed un
drago dentro l’elmo del gran sacerdote di Atena?”.
“Efesto
ha sparso le cose in giro”
spiegò il Dio “Hades ha, fra le sue vestigia,
quella del gufo di Atena, tanto
per farti un esempio”.
“E
perché?”.
“Chiediglielo”.
Arles rimase
qualche istante in
silenzio. Vedeva Kanon svolazzare da un tetto all’altro, come
fosse qualcosa di
naturale.
“Dunque
anche Kanon è figlio tuo?”
domandò il sacerdote.
“Non
ne sono sicuro. La Sea Dragon
era già sua, è solo passata allo stadio
successivo. Come Kamui è molto più
adatta alla guerra e probabilmente Poseidone l’ha concessa,
sapendo che con la
mia vicinanza i draghi si risvegliano”.
“A
proposito di drago.. sapevi che
era lì e che mi avrebbe attaccato!”.
“Certo..”.
“Quindi
volevi uccidermi!”.
“No.
Volevo metterti alla prova”.
“Ma
chi te lo ha chiesto?! Che
problemi hai?!”.
“Rilassati,
ragazzo”.
“Non
sono un ragazzo. E non mi
rilasso. Sono stufo di avere a che fare con gente che vuole ammazzarmi
continuamente”.
“Siamo
in guerra”.
“Sì
ma non fra noi!”.
“Vai a
farti medicare, Arles. Le
ferite inferte da un drago non sono mai da prendere
sottogamba”.
“E tu
torna a letto. Lo spettacolo è
finito. E vale anche per quei due bastardi di Phobos e
Deimos”.
Ares non disse
nulla. Probabilmente
si voleva allontanare ma non ne era in grado. Sorrise. Ora aveva due
draghi in
più nel suo esercito.