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Autore: SagaFrirry    16/03/2015    1 recensioni
La Dea Atena risveglia i suoi cavalieri, condannati nella roccia dopo aver abbattuto il muro del pianto. Tutti gli Dei greci richiamano i loro sottoposti e creano alleanze. Perché? Non me ne vogliano i puritani della mitologia..in questa storia gli Dei greci lottano contro le divinità romane. L'Olimpo è troppo piccolo!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Olympus Chapter'
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XII

 

QUESTIONI DI SANGUE

 

“Saga! Tutto bene?” domandò Kanon.

“Dove sono? Cosa è successo?” rispose il gemello.

“Sei caduto dal cielo. Ti ho visto, ti ho preso al volo”.

“Volo? Dov’è il drago?”.

“Quale drago?”.

“C’era un drago!”.

“Il drago ti ha ridotto così? Sei pieno di ferite”.

“Sì”.

Saga si guardò. Era pieno di graffi e con un morso sul fianco.

“Sicuro di non essertelo immaginato?” ipotizzò Kanon “Insomma..lo sappiamo tutti e due che sei fuori di testa!”.

“Non me lo sono immaginato! Tu, piuttosto, cosa ci facevi sul tetto della terza casa?”.

I due erano proprio sul tetto della terza.

“Scappavo da un problema ben più serio e reale del tuo!”.

“Più serio di un drago che vuole uccidermi?”.

“Che razza di roba ti sei fumato per vedere i draghi?!”.

“Ma fottiti!”.

“Sei sbronzo?!”.

“Ma no! Come mi sarei ferito così?”.

“Non lo so, ma non sei normale”.

“E tu, invece? Sei insano tanto quanto me!”.

“Zitto! Arriva!” esclamò Kanon, tappando la bocca al fratello.

Con un rumore metallico, qualcosa si avvicinava.

“Come ha fatto ad arrivare qui?” sibilò Kanon, mentre un riflesso oro si intravedeva fra la pietra.

“Che succede? Che hai? C’è un nemico?” domandò Saga.

“Taci!”.

Un’armatura si mostrò controluce, brillando. Camminava, diretta verso i due gemelli. Il sacerdote si preparò ad attaccare. Chi era quel nemico? Non percepiva un cosmo!

“Ma quella è una Scale! Poseidone ci attacca?” si stupì Saga.

Poi la guardò meglio. Quell’armatura, che continuava a camminare, era quella che un tempo indossava suo fratello.

“Kanon! Quella è la Sea Dragon!”.

“Ma non mi dire!” si stizzì il gemello.

“Il suo attuale possessore ti infastidisce?”.

“No. Guarda meglio”.

Il sacerdote osservò meglio. Sobbalzò. L’armatura era vuota! Com’era possibile? Chi altro era in grado di creare un’illusione simile?

“Non è un’illusione” spiegò Kanon “Quella cosa è assolutamente reale e non è governata da qualcuno non presente”.

“E allora cos’è? L’armatura va in giro da sola?!”.

“Non vedo altre soluzioni”.

“E che vuole?”.

“E che ne so?!”.

L’armatura allungò un braccio e Kanon strinse i pugni. Non voleva avere niente a che fare con quell’affare! Poseidone sarebbe andato su tutte le furie al solo pensiero!

“Cosa pensi di fare?” volle sapere Saga.

“E tu?” rispose il fratello, continuando a fissare l’armatura ma indicando il senso opposto.

Il sacerdote si voltò e deglutì. Il drago era alle sue spalle, ora mostrando una splendida armatura indosso, pronto ad attaccare.

“Non me l’ero inventato, visto?” mormorò a Kanon.

“Chiedo venia”.

Schiena contro schiena, i due gemelli erano alle strette, sempre sul tetto della terza casa. Le vestigia una volta appartenute al gemello minore brillarono. Ad ogni passo, mutavano.

“Ma che..”.

Ora l’armatura aveva le ali. Una cosa che non era mai successa prima! Drago e Scale scattarono nello stesso momento, con l’intento di colpire i gemelli. I due fratelli si mossero lateralmente, saltando nel tentativo di riuscire a fuggire. Corsero lungo le scale ma entrambi gli inseguitori volavano piuttosto in fretta.

Phobos e Deimos, dall’alto della tredicesima, se la ridevano. Che buffo e patetico era il loro fratellino mentre scappava dal drago! Il sacerdote, stanco di farsi deridere, non sapeva che altro fare. Aveva lanciato contro quella bestia le sue tecniche migliori, senza ottenere nulla.

“Tutti hanno un punto debole..” si disse “Quale sarà quello di questo coso?”.

“Se hai qualche idea..” gridò Kanon “..condividi, grazie!”.

“Ma che vuoi? La tua armatura non ha gli artigli e non morde!”.

“Certo. Però è fatta di metallo! Fa male!”.

Saga prese un profondo respiro. Non sapeva che altro inventarsi, ma forse qualcun altro lo sapeva!

Il drago ringhiò minaccioso.

“Saga! Corri!” lo incitò Kanon.

“Corri tu, che la mammina ti aspetta!”.

“Ciao, Arles”.

“Ciao, principessa!”.

Arles ghignò, senza fuggire più. La creatura stava per raggiungerlo ma il sacerdote lo sfidò, guardandolo negli occhi.

“Non ho niente da perdere, bestiaccia! Sei stata sul mio elmo per anni e anni ed è lì che tornerai!”.

Kanon, salito sulla cima di una colonna, osservava la scena.

“Ti farai ammazzare!” gridò al gemello.

“Che sia! Piuttosto che correre come un cretino per tutto il santuario, inseguito da un lucertolone rosso e pedante, preferisco farmi mangiare!”.

“Arles! Sei impazzito?!”.

“Non sono mai stato normale, lo hai detto tu!”.

“Smettila di fare il fenomeno!”.

Arles ignorò i suggerimenti del fratello e si preparò ad affrontare l’avversario. Kanon, vedendo questo, storse il naso. Non poteva essere da meno del fratellone esaltato!

“A noi due, dragone marino!”.

 

“Straordinario!” esclamò Mur, osservando con attenzione tutto ciò che Efesto faceva.

Anche Kiki, seppur con meno entusiasmo, era meravigliato. Il Dio, come se fosse la cosa più semplice del mondo, stava migliorando le armature del tempio di Atena. Doveva renderle adatte ad uno scontro fra divinità, nel caso anche i mortali ne venissero coinvolti.

“Hai fatto un ottimo lavoro. Queste armature sono ben fatte” commentava il Dio e Mur ne era lusingato.

“Il ragazzo è tuo figlio?” parlò ancora Efesto, indicando Kiki.

“No, è mio fratello minore”.

“E quanti anni ha?”.

“Diciassette”.

“E fa mai armature?”.

“Certo. Lavoriamo assieme”.

“Allora può farmi anche lui da assistente”.

Il Dio sorrise e Kiki rispose con un altrettanto largo sorriso.

“Ma che succede fuori?” si chiese Mur, sentendo un gran baccano.

“I cuccioli di Ares” spiegò Efesto.

“I cuccioli di Ares?!”.

“Sì. La sua nidiata di bastardelli si diverte tanto a fare casino”.

“Ma io ho sentito gridare Saga”.

“E secondo te da che nidiata è mai uscito?”.

Mur si zittì, capendo che fra Efesto ed Ares non correva buon sangue. Meglio concentrarsi sulle armature..

 

Ares era frustrato. Udiva grida, ringhi e ruggiti ma non riusciva ad alzarsi per vedere cosa stesse succedendo. Sapeva di aver contribuito al risveglio del drago, ma non era affatto certo che il suo erede mortale fosse in grado di affrontarlo. Forse aveva commesso un errore imperdonabile. Strinse i denti, rigirandosi nel letto e cercando di uscirvi. Le gambe però non ressero e cadde in terra. Gridò per la rabbia e la frustrazione. Atena, allarmata nel sentire quell’urlo, lasciò la sua dimora ed andò a controllare.

“Tutto bene?” domandò, sull’uscio.

Non ricevette risposta ed entrò. Subito capì quanto successo e si preoccupò.

“TI sei fatto male, fratello?” domandò.

“Stai lontana. Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno!” rispose Ares, provando a rialzarsi.

“Non dire sciocchezze! Non sei in grado di usare le gambe”.

“Non serve che me lo fai notare, donna!”.

“Ed a te non serve essere così scorbutico!”.

La Dea scosse la testa, leggermente infastidita, e cercò aiuto. Perché il suo gran sacerdote era sempre a bighellonare quando serviva? Per fortuna il suo richiamo fu udito da Aphrodite, che viveva nella casa più vicina, e da Aiolos che ronzava sempre attorno alla dimora divina, temendo  il manifestarsi di nemici improvvisi.

“Cosa succede, mia signora?” domandò il Sagittario “Siete in pericolo?”.

“No, Aiolos. Il nostro ospite ha bisogno di aiuto”.

“Ares?”.

“Non fare quella faccia infastidita, cavaliere! È mio fratello ed è ferito, non è una minaccia”.

Aiolos chinò leggermente il capo. Aphrodite sorrise divertito. Insieme, entrarono nella stanza dove il Dio tentava di sollevarsi, aggrappandosi al letto.

“Stai fermo!” ordinò Atena “Rischi di riaprire le tue ferite”.

“Non credo siano affari tuoi” ribatté il Dio.

“Ora capisco da chi ha preso Arles!” commentò Aphrodite, avvicinandosi al Dio.

Ares lo fissò, non volendo alcun tipo di aiuto, specie da parte di estranei con rose fra i capelli.

“Lo conosci bene?” domandò.

“Chi?”.

“Arles. Lo conosci bene?”.

“Certo. È stato mio amico e mio maestro”.

“Maestro?”.

“Certo. E ora lasciati aiutare”.

“Lascialo in terra, Aphrodite!” suggerì Aiolos “Rischi di farti colpire, se ha un attacco di collera”.

“Aphrodite?” storse il naso Ares.

“Sì, è un soprannome. Non mi chiamo davvero così, così come nemmeno lui si chiama Aiolos”.

“Lo immaginavo. Ma perché proprio Aphrodite?”.

“Perché sono il più bello del tempio. Inoltre, il mio segno zodiacale sono i pesci, legati alla Dea della bellezza”.

“Comprendo ma..perché non vi fate chiamare per nome?”.

“Rinunciamo a ciò che eravamo, entrando al tempio. Un po’ come quando si entra in convento”.

Ares, poco convinto, ancora guardava male il cavaliere, che voleva solamente aiutarlo. All’esterno, si udì un forte boato e delle grida.

“Che succede fuori? Stanno lottando?” domandò il Dio.

“C’è un drago” spiegò Aiolos “Niente che un cavaliere di Atena non possa gestire”.

“Quanto sei tronfio, Saint!”.

“Mai quanto voi, divinità della guerra”.

“Io ho tutte le ragioni per esserlo”.

“Ah sì? Conosco la mitologia. Ne avete fatte di figure di merda..”.

“E tu sbaglio o sei stato ucciso da un bambino di nove anni?”.

“Quella è..una storia lunga..”.

“Non litigate!” zittì tutti Atena “Aiutatelo a tornare a letto e poi sparite. Mi fate venire il mal di testa, accidenti a voi!”.

“Voglio vedere la battaglia” commentò Ares “Fatemi vedere come combatte Arles”.

“Non puoi. Devi riposare!”.

“Suvvia, signora!” si intenerì Aphrodite “É solo un padre preoccupato per il proprio figlio e vuole vederlo combattere!”.

“Non sono preoccupato!” si affrettò a dire il Dio “Se crepa, vuol dire che non è all’altezza della prova a cui l’ho sottoposto. Poco mi importa. Se sopravvive, meglio. Ma se muore, non  ne farò di certo un dramma”.

“Che affetto..”.

“Tu menti!” sorrise Atena “So che stai mentendo. A te importa, e molto”.

“Mia cara..ho visto morire fin troppo figli miei, uccisi nei modi più disparati. Sopravvivono i più forti, come è giusto che sia. Se lui non rientra fra questi, non so che farci”.

“Ma lui è un mortale, non un Dio come gli altri che ti porti sempre appresso”.

“Inconveniente che capita”.

“Sei senza cuore”.

“Senza cuore, senza cervello..quale altro meraviglioso complimento riceverò prima del tramonto?”.

Atena lo fissò, leggermente scocciata, ma non ribatté con cattiveria. Si limitò a sospirare e scuotere la testa.

“Aiutatelo a vedere la battaglia” ordinò ai suoi cavalieri “Poi lasciate che faccia quel che gli pare”.

Fuori dalla stanza, Seiya era preoccupato per la sua Dea. Solo la presenza di Aiolos lo faceva stare abbastanza tranquillo. Atena voleva percuoterlo con il bastone, per levarselo dai piedi, ma preferì trattenersi. Aiolos ed Aphrodite, nonostante le proteste di Ares, che non voleva che mani smaltate maschili e paladini della giustizia lo toccassero, accontentarono la divinità. Sorretto, il Dio della guerra riuscì a giungere fino al terrazzino che dava sull’anfiteatro. Da lì, le case e l’intero tempio erano in vista. Non volendo mostrare quanto il dolore fosse insopportabile, ordinò loro di allontanarsi. Mezzo steso in terra, la divinità cercò di capire dove fosse il figlio. Finalmente lo vide e si stupì, perché il drago era diventato più grande del previsto.

“Se mi ammazzi il gran sacerdote con i tuoi giochetti..” brontolò Atena, raggiungendolo “..me la pagherai cara!”.

“Non vedo l’ora. È da troppo che io e te non ci azzuffiamo”.

“Prima rimettiti in piedi”.

“Lo farò, Atena”.

“Comunque ho ragione io..”.

“Su cosa?”.

“Sei preoccupato”.

“Nutro totale fiducia. È questione di sangue”.

 

Milo sobbalzò. Kanon era entrato nella casa dello Scorpione, lottando contro l’armatura marina.

“Hei!” si lamentò il padrone dell’ottava dimora “Non distruggermi la casa! Vai fuori a litigare!”.

L’armatura fu lanciata contro una delle colonne, che tremò e si incrinò.

“Paghi tu i danni, Kanon!” insistette Milo.

Le vestigia attaccarono di nuovo il cavaliere dei gemelli. Kanon, per quanto fosse potente, provava dolore, a differenza dell’avversario.

“Non mi fermerai!” gridò il cavaliere.

“Va fuori da casa mia!” urlò, di rimando, Milo.

 

Arles, sanguinante da vari punti, si stava stancando. Il drago, rimandato indietro, si preparò e caricò di nuovo. Il sacerdote saltò e vi salì in groppa.

“Pessima scelta” commentò Phobos, rivolto a Deimos “Non sa manco andare a cavallo e pretende di governare un drago?”.

“Forse dovremmo fare qualcosa” rispose il gemello.

“Papà si arrabbierebbe”.

“Si arrabbierebbe lo stesso, anche se morisse”.

“Forse hai ragione..lasciamogli ancora qualche istante”.

Arles non poteva sentire i commenti dei fratelli. L’animale era furioso e si librò in volo. Al sacerdote questa cosa non piacque per niente e dovette mettere un braccio attorno al collo della bestia per non cadere. Il drago scese in picchiata e Arles perse la presa. Dovette ancorarsi alle ali, ritrovandosi aggrappato all’armatura che copriva quella parte della bestia. Non riuscì a mantenere la presa e scivolò, catapultato in aria. Agitò le gambe e le braccia, in modo sconnesso. Il drago parve ridere divertito. Il sacerdote spalancò gli occhi, non volendo schiantarsi al suolo. Un calore strano lo stava avvolgendo, simile a quello provocato dalle fiamme. Tutta la pelle bruciava e infine udì un suono familiare. Un’armatura?

 

Milo non sapeva se intervenire o meno. Kanon pareva in difficoltà ma chi glielo faceva fare di interferire in affari che non lo riguardavano? Il cavaliere dei gemelli lottava ancora contro l’armatura vuota. Lo Scorpione era stufo di tutto quel casino alla sua casa, ma che poteva fare? L’Antares su un’armatura vuota era del tutto inutile! Però era stanco di veder creare danni.

“Adesso basta!” gridò, colpendo l’armatura, che si smontò.

Kanon guardò in malo modo il padrone di casa. Bastava così poco? Si dovette ricedere però, perché l’armatura subito si riprese e, brillando d’oro, si attaccò al saint della terza casa.

 

Il sacerdote, ormai a poca distanza dal terreno, si mosse d’istinto, con l’intento di non spiaccicarsi. Inaspettatamente, non cadde al suolo ma si sentì di nuovo sollevare verso l’alto. Che stava succedendo? Senza rendersene conto, stava volando. Al posto della tunica, ormai distrutta per i graffi del nemico, Arles indossava un’armatura rossa la cui forma ricordava quella di un drago, le cui grandi ali lo sollevavano. I lunghi capelli neri di vedevano da sotto l’elmo, che lo faceva somigliare un po’ ad un demone. Ogni arto terminava con una fila di artigli. Lungo la schiena, una fila di punte acuminate ed una lunga coda. Due ulteriori arti con artigli apparivano, in semirilievo, sul petto, a formare come un cerchio attorno al cuore. Quando si ricomponeva a totem, quel semirilievo formava la zampa sinistra del drago mentre invece la destra si creava con le due parti che ora coprivano le braccia di Arles. Volava sempre più in alto, capendo in fretta come governare quelle vestigia. Il drago parve  perplesso, lo fissò volteggiare e provò ad inseguirlo, per un po’. Il sacerdote virò, con una mezza piroetta. Virando di nuovo, prese quota.

“Fratello!” lo chiamò Kanon, uscendo allo scoperto.

“Sto bene” lo rassicurò Arles “Prova a volare. È divertente”.

“Volare? Sono un drago del mare!”.

“Vigliacco..”.

Kanon ,punto nell’orgoglio, saltò e si librò in aria. Raggiunse il gemello con un paio di battiti di ali.

“Perché indossi quell’armatura?”domandò il sacerdote.

“Non ne ho idea. E tu perché indossi quella cosa?”.

“Non lo so”.

 Arles prese velocità. Il drago lo seguì, ma si mostrava più calmo rispetto a prima.

“Devi ammetterlo, Deimos..” ridacchiò Phobos “Il nostro fratellino è una vera schifezza con il cavallo ma a volare è un fenomeno!”.

“Ognuno fa quel che può. Tu a volare sei un disastro!” ribatté Deimos.

Il sacerdote raggiunse la tredicesima dimora. Il drago non lo infastidiva più con ringhi ed atteggiamenti minacciosi. L’animale atterrò sul tetto della casa di Arles. Guardò in giù, incuriosito. Là sotto, Ares guardava verso la bestia, con un sorriso.

“Non dovresti esporti così” parlò Arles, rivolto al padre “Se un nemico ti attaccasse, in questo stato non potresti fuggire o reagire”.

“E chi sei tu per farmi la predica?” sbottò il Dio.

“Il padrone di casa. E non pulisco le tue interiora sparse per la tredicesima dopo che un nemico ti ha smembrato”.

“Che immagine raccapricciante. Mi piace”.

“Sei un pazzo”.

“E tu hai la coda”.

Arles si guardò, notando che quell’armatura aveva effettivamente una lunga coda.

“Perché c’era una tua armatura ed un drago dentro l’elmo del gran sacerdote di Atena?”.

“Efesto ha sparso le cose in giro” spiegò il Dio “Hades ha, fra le sue vestigia, quella del gufo di Atena, tanto per farti un esempio”.

“E perché?”.

“Chiediglielo”.

Arles rimase qualche istante in silenzio. Vedeva Kanon svolazzare da un tetto all’altro, come fosse qualcosa di naturale.

“Dunque anche Kanon è figlio tuo?” domandò il sacerdote.

“Non ne sono sicuro. La Sea Dragon era già sua, è solo passata allo stadio successivo. Come Kamui è molto più adatta alla guerra e probabilmente Poseidone l’ha concessa, sapendo che con la mia vicinanza i draghi si risvegliano”.

“A proposito di drago.. sapevi che era lì e che mi avrebbe attaccato!”.

“Certo..”.

“Quindi volevi uccidermi!”.

“No. Volevo metterti alla prova”.

“Ma chi te lo ha chiesto?! Che problemi hai?!”.

“Rilassati, ragazzo”.

“Non sono un ragazzo. E non mi rilasso. Sono stufo di avere a che fare con gente che vuole ammazzarmi continuamente”.

“Siamo in guerra”.

“Sì ma non fra noi!”.

“Vai a farti medicare, Arles. Le ferite inferte da un drago non sono mai da prendere sottogamba”.

“E tu torna a letto. Lo spettacolo è finito. E vale anche per quei due bastardi di Phobos e Deimos”.

Ares non disse nulla. Probabilmente si voleva allontanare ma non ne era in grado. Sorrise. Ora aveva due draghi in più nel suo esercito.

   
 
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