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Autore: giraffetta    16/03/2015    4 recensioni
| Effie!Centric // Missing Moment Mockingjay |
Iniziò a dondolarsi sui talloni, aspettando che la voce tornasse a tormentarla, ma ad avvolgerla rimase solo il silenzio. E, quello, le faceva ancora più paura.
Sola, senza nessuna voce da assecondare, sentiva i suoi pensieri galleggiare spauriti nella testa. Tutti, però, la conducevano verso un’unica soluzione: era lei la colpevole di tutto, solo lei.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Effie Trinket
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La porta dell’elegante attico di Capitol City si spalancò di colpo. Effie si voltò spaventata, osservando ben quattro pacificatori fare irruzione nell’appartamento.
“Cosa succede?” domandò con voce tremolante, guardando gli uomini avvicinarsi minacciosi e fingendo di non sapere.
Solo pochi minuti prima il grande televisore si era oscurato, subito dopo aver ripreso una Katniss intenta a scoccare una freccia contro il campo di forza dell’arena. I Settantacinquesimi Hunger Games erano terminati con un boato e una grossa palla di fuoco. Poi, lo schermo si era fatto nero ed aveva emesso un sibilo ed Effie era rimasta incredula ed immobile ad osservare il vuoto.
“Effie Trinket, per ordine del Presidente Snow deve seguirci.” comandò uno dei pacificatori con voce metallica. Effie deglutì e si torse le mani.
“Io davvero, davvero, davvero non capisco.” cercò di ribattere. Si guardò in giro in cerca di un’eventuale via di fuga, ma l’unica a disposizione era la porta, ora sbarrata dagli uomini.
“Effie Trinket deve seguirci, è un ordine del Presidente.” tuonò ancora il pacificatore. La donna si sentì le gambe molli ma cercò di resistere. Non poteva mostrarsi debole, non poteva svenire come una donnetta.
“Potreste anche evitare di urlare, è proprio, proprio scortese. E, inoltre, non sono sorda.” ribattè infastidita, dirigendosi verso gli uomini. Si impettì e alzò la testa, allungando la mano automaticamente verso la scheda elettronica dell’attico. Un pacificatore la bloccò per il polso.
“Questa non le servirà, signora.” spiegò, spingendola verso l’esterno.
Effie spalancò gli occhi e un tremito le attraversò le mani, ma ignorò la paura e si concentrò sui suoi passi. Le scarpe col tacco ticchettavano rumorosamente sulle lucide mattonelle, mentre Effie percorreva il corridoio verso gli ascensori. Per un breve istante, le sembrò di essere un condannato a morte diretto al patibolo, con quel fastidioso ticchettio che scandiva i suoi ultimi momenti di vita.
In realtà, Effie non poteva ancora saperlo, ma quel fastidioso ticchettio stava scandendo i suoi ultimi momenti di libertà.
 

                                                                                                                   ***

 

E ti si legge negli occhi perchè
                                                                                                              Sempre più rare le tue lacrime.
                                                                                                       La nostalgia per chi non rivedrai…

 
La cella cigolò appena quando fu aperta. Un vassoio venne posato al suo interno e poi la porta venne richiusa con un tonfo. Nel buio, una strana figura stava accovacciata in un angolo.
Guardò in direzione del vassoio e si trascinò stancamente sulle ginocchia, fino a raggiungerlo. Prese il pezzo di pane e lo morse con rabbia, con fame. Erano tre giorni che era a digiuno e si sentiva lo stomaco dolorante.
Una lacrima le rigò il viso, ma Effie la asciugò subito. Sapeva di essere controllata e non voleva apparire debole, non poteva permetterselo.
“Sono tutti morti!” rimbombò una voce metallica. “Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Haymitch Abernaty…”
Effie si coprì le orecchie, cercando di non ascoltare, ma la voce le penetrava fin sotto la pelle, fin dentro il cervello e il cuore.
“Sono tutti morti ed è colpa tua!” tuonò ancora la voce, prima di spegnersi in un eco lontano. Effie si rotolò al suolo, le mani ancora strette a pugno sulle orecchie e il volto rigato di lacrime.
“Non… non è… vero” cercò di sillabare a fatica. Ma la voce era forte, chiara e le scavava dentro con dolore.
“È colpa tua, solo colpa tua!” tuonò ancora la voce, insinuandosi nelle viscere della capitolina. La donna si raggomitolò su se stessa, lasciando che le ondate di dolore la sommergessero senza fatica. Era colpa sua, solo colpa sua se tutti erano morti. La voce aveva ragione, doveva per forza essere colpa sua, della sua leggerezza, della sua disattenzione. Erano tutti morti e non li avrebbe più rivisti.
Iniziò a dondolarsi sui talloni, aspettando che la voce tornasse a tormentarla, ma ad avvolgerla rimase solo il silenzio. E, quello, le faceva ancora più paura.
Sola, senza nessuna voce da assecondare, sentiva i suoi pensieri galleggiare spauriti nella testa. Tutti, però, la conducevano verso un’unica soluzione: era lei la colpevole di tutto, solo lei.
Effie sentì gli occhi bruciarle per il sale delle lacrime, ma non li asciugò. Rimase tremante a stringersi le ginocchia, convincendosi per l’ennesima volta che era sola, completamente sola, e che era quello ciò che meritava.
La solitudine.
 

                                                                                                                        E tieni a mente le parole,
                                                                                                                                      solo le più belle,
                                                                                                                                   rotta è la tua voce
                                                                                                                            mentre il cielo piange.

 

                                                                                              ***

 
Effie si sdraiò sul letto e quasi non riconobbe la morbidezza delle lenzuola di cotone né il profumo di pulito che esse emanavano. Erano passati mesi dall’ultima volta che aveva dormito su di un letto, comodo per giunta.
Rimase immobile, il respiro lento e la mente ferma. Non aveva voglia di pensare, voleva solo riposare. Eppure, sapeva di non poter rimanere in quell’oblio ancora a lungo.
A fatica, si rialzò e gettò un’occhiata ostile al piccolo specchio quadrato del bagno. Sembrava fissarla con prepotenza, invitandola ad avvicinarsi con aria imperiosa. Effie si fissò le mani, un po’ screpolate e rosse, e sospirò.
Doveva farlo.
Si avvicinò a passi lenti, lasciando che il suo viso prendesse forma nella lastra riflettente e sussultò di sorpresa quando lo mise a fuoco. Un viso stanco e tirato, occhi cerchiati e spenti, un fazzoletto a nascondere il capo, fu questo quello che vide.
Una piccola lacrima le rigò la guancia, ma Effie la asciugò subito. Non poteva piangere, non in quel momento. Non ora che era salva, dopotutto.
Si morse un labbro e distolse lo sguardo dallo specchio. Forse era ridotta male, ma almeno era viva. O, meglio, era viva fuori.
Un bussare leggero risvegliò la sua attenzione. Effie fissò la porta grigia, curiosa. Non disse nulla, non parlò. Rimase in attesa, il respiro trattenuto. Finalmente, la porta si aprì e un circospetto Haymitch comparve sulla soglia. Scrutò Effie e provò a sorriderle, a disagio.
Lei lo fissò incredula: aveva creduto che fosse morto, che la colpa fosse stata sua, invece lui era lì, vivo. Forse anche Katniss e Peeta erano vivi? Doveva sapere, accertarsi della verità, ma i pensieri le vorticavano confusi nella testa e si sentì quasi svenire. Furono le braccia di Haymitch a sostenerla in tempo, tenendola in piedi.
“Haymitch…” gracchiò la donna, fissando gli occhi azzurri del mentore e sentendo le lacrime offuscargli la vista. L’uomo le sorrise e, goffamente, la strinse in un abbraccio, prima di sussurrarle poche parole all’orecchio, le parole che Effie sognava di sentire da mesi.
“Bentornata a casa, dolcezza.”                                               

 






Note:
Ormai sono in fissa con le Hayffie e con i personaggi di Effie e Haymitch in generale, quindi chiedo perdono >.< 
Avevo in mente da tempo di scrivere qualcosa su Effie, di "approfondirla" in un certo senso, e lo spunto mi è venuto grazie alla canzone della Michielin, che fa un po' da sfondo alla parte centrale della mia storia. Ho voluto rappresentare i momenti prima-durante-dopo la prigionia di Effie e spero di aver mantenuto il suo personaggio IC. Ovviamente, nel finale, non potevo non far fare una comparsa anche a quel burbero di Haymitch :3 
Insomma, spero vi sia piaciuta! <3

baci,Giraffetta
  
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