Fanfic su artisti musicali > The GazettE
Ricorda la storia  |      
Autore: latour    16/03/2015    6 recensioni
Ad un tratto, una farfalla si posò sulla spalla del piccoletto. Egli non fece una piega, ma ruotò impercettibilmente il capo ad osservare quel piccolo insetto dalle ali tremolanti. Allora era reale. Riusciva a vederla anche Takanori, da quanto Akira, immerso nel suo mondo irreale, poteva notare.
«Secondo te perché le farfalle sono così belle, pur essendo insetti?» domandò il ragazzino dai capelli biondi, carezzando i capelli soffici della bambola che teneva affettuosamente fra le braccia. Osservò l'elegante farfalla fino a che essa non si staccò dalla sua spalla, prendendo il volo e andando a posarsi sul volto dell'altro giovane; ma quando questi provò a sfiorarla con la mano, l'unica cosa che i suoi polpastrelli trovarono fu la punta del suo naso leggermente fredda a causa della temperatura di metà stagione. Come poteva quella creatura essere irreale se anche Takanori l'aveva vista? Ma anche se lo scricciolo l'avesse veramente vista... come aveva fatto a parlare? E soprattutto, come aveva fatto Akira a udire la sua voce e a riconoscerla nonostante non l'avesse mai sentito parlare prima d'ora?
[oneshot legata a "L'incanto di un sogno di ceramica" dedicata alla cara Luxie_Lisbon]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Reita, Ruki
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
DRIPPING REALITY

PREMESSA: questa oneshot non è tutta farina del mio sacco. In realtà, sarebbe una specie di “missing moment” della longfic intitolata L'incanto di un sogno di ceramica e scritta dalla cara Luxie_Lisbon. Consiglio a chiunque di leggerla perché mi ha veramente colpito – tanto che, appunto, ho sentito la necessità di spendere qualche riga per ringraziate l'autrice di aver partorito una cosa tanto bella e toccante! Non vorrei dilungarmi tanto e non vorrei farvi spoiler sulla trama, quindi lascio parlare questa piccola oneshot. Buona lettura!




DRIPPING REALITY


Si trovavano entrambi l'uno di fronte all'altro, senza dirsi nulla. Erano così vicini che i loro respiri, per qualche istante, parvero intrecciarsi a diventare una cosa sola. Ad un tratto, il ragazzo dagli splendidi capelli biondi si scostò, indietreggiando di qualche passo con la bambola di porcellana stretta fra le braccia. Non sembrava spaventato, né tantomeno inorridito. Nei suoi occhi si riusciva solamente a percepire un velo di curiosità mista a malinconia. Il giovane che gli stava di fronte piegò appena il capo da un lato, vedendo la piccola bambola dai capelli argentei muovere le piccole manine, cercando di divincolarsi dalla presa del proprietario mentre continuava a ripetergli che, se l'avesse stretta ancora un po', probabilmente le si sarebbe frantumato il petto. Il più alto dei due sorrise divertito, sedendosi su una panchina di legno immersa nel verde della radura che la sua mente aveva plasmato unicamente per lui. Chissà se anche l'altro riusciva a vederla...
Ad un tratto, una farfalla si posò sulla spalla del piccoletto. Egli non fece una piega, ma ruotò impercettibilmente il capo ad osservare quel piccolo insetto dalle ali tremolanti. Allora era reale. Riusciva a vederla anche Takanori, da quanto Akira, immerso nel suo mondo irreale, poteva notare.
«Secondo te perché le farfalle sono così belle, pur essendo insetti?» domandò il ragazzino dai capelli biondi, carezzando i capelli soffici della bambola che teneva affettuosamente fra le braccia. Osservò l'elegante farfalla fino a che essa non si staccò dalla sua spalla, prendendo il volo e andando a posarsi sul volto dell'altro giovane; ma quando questi provò a sfiorarla con la mano, l'unica cosa che i suoi polpastrelli trovarono fu la punta del suo naso leggermente fredda a causa della temperatura di metà stagione. Come poteva quella creatura essere irreale se anche Takanori l'aveva vista? Ma anche se lo scricciolo l'avesse veramente vista... come aveva fatto a parlare? E soprattutto, come aveva fatto Akira a udire la sua voce e a riconoscerla nonostante non l'avesse mai sentito parlare prima d'ora? Riempiendosi l'aria di polmoni, chiuse gli occhi. Espirò. Inspirò ancora. Trattenendo il fiato, riaprì lentamente gli occhi. Davanti a sé, Takanori c'era ancora; era sempre nella stessa posizione, ma qualcosa in lui era cambiato. I suoi vestiti. Non indossava più i blandi vestiti che usava per passeggiare nei corridoi della clinica o il solito pigiama che ad Akira tanto piaceva. Indossava un completo elegante e allo stesso tempo accattivante, da colori sgargianti e inserti in metallo, come borchie e catenelle. In testa portata uno strano cappello, simile ad un cilindro.
Akira cercò di sostenere il suo sguardo come se nulla fosse, rendendosi conto che anche il colore dei suoi occhi era cambiato: da un caldo e rassicurante color cioccolato erano diventati di un freddo e cristallino color ghiaccio. Chiuse ancora una volta gli occhi, troppo spaventato da quelle sue iridi glaciali per rispondere alla sua domanda. Per fortuna, quello gli bastò per vedere Takanori tornare il ragazzino di sempre, quello dall'aspetto insicuro e dagli occhi paradossalmente rassicuranti. Trasse un sospiro di sollievo e cercò le parole giuste per rispondergli. «Il paragone tra insetti e farfalle è simile a quello tra esseri umani e angeli, non credi?» mormorò a sua volta Akira, non riuscendo a capire se quella scena si stesse svolgendo unicamente nella sua testa o se anche l'altro ragazzo riusciva a sentire ciò che stava dicendo. «Insomma, trascorrere un'intera vita da vermi per poi ricevere un paio d'ali con cui spiccare il volo, anche se per poche ore...» continuò, alzando poi lo sguardo sul biondo. Con stupore, s'accorse che dalla sua schiena spuntavano un meraviglioso paio d'ali da farfalla. Erano enormi, coloratissime, e avevano due lunghe code che puntavano verso il basso. Se non si sbagliava, erano le ali della Coda di rondine, una delle più grandi farfalle esistenti al mondo. A Takanori donavano davvero molto... più ancora di un paio d'ali piumate da angelo.
«Tu credi... credi che io debba ancora liberarmi dalla mia crisalide?» mugolò ancora il ragazzino, tenendo la bocca serrata mentre un brivido lo attraversò da capo a piedi. Nel frattempo, la bambola che teneva fra le braccia sparì, venendo sostituita da un bozzolo formato da migliaia di filamenti argentei.
Akira esitò, osservando le onde incresparsi sulla riva mentre Takanori dava le spalle sole che, giunto ormai il tramonto, scompariva lentamente dietro l'orizzonte, riflettendo gli ultimi raggi nelle acque limpide e quiete della vastissima distesa marina. Il mare... quanta nostalgia in quella sua ennesima visione. Era davvero un peccato che il ragazzo dai capelli biondi non potesse assistere a quello spettacolo... forse. Akira sentiva,
sapeva che i suoi occhi acquosi vedevano qualcosa. Ma cosa, precisamente? «Takanori, tutti noi dobbiamo ancora rinascere. Ma per farlo, bisogna prima morire.» sentenziò freddamente, vedendo quelle sue grandi ali spiegate che, come cenere, venivano delicatamente sospinte via dal vento. Il mare sfumò, il paesaggio divenne sempre più indistinto fino a venir schiacciato dal peso della realtà. E così, i due si trovarono ancora nella stanza d'ospedale di Akira – quest'ultimo seduto sul bordo del letto e il compagno di convalescenza in piedi di fronte a lui.
Dopo tanto tempo, ecco che gli fu concesso un momento di lucidità. Un breve, effimero istante di lucidità. Un attimo nel mondo reale, nel mondo mortale – quel mondo in cui le ferite sanguinavano e le delusioni amorose erano ancor più dolorose di un pugno in pieno stomaco. Quel stramaledetto mondo dal quale Akira cercava sempre, disperatamente, di fuggire. Quel mondo che rifiutava quelli che erano come Akira, etichettandoli come “pazzi” o “disturbati mentali” e rinchiudendoli in quelle strutture insieme ad altri esseri
difettosi. Sì, difettosi era la parola giusta per descriverli. Sorrise sconsolato, guardandosi intorno, studiando per bene le pareti asettiche della stanza e dando una rapida occhiata fuori dalla finestra socchiusa, godendosi la fresca brezza di metà stagione che, facendo svolazzare blandamente la tenda, giungeva a carezzargli premurosamente il viso.
Ormai sazio di quella realtà, tornò a posare lo sguardo su Takanori, accorgendosi che la sua bambola dai capelli argentei non era ancora tornata: quasi certamente si trovava ancora al sicuro nella sua crisalide.
«Akira... ma io ho paura di morire. Io non voglio morire. Non ancora.» pigolò il piccoletto con voce spezzata dal pianto, mentre le sue labbra ancora rimanevano immobili e dai suoi occhi cominciavano a stillare le prime lacrime. Lacrime che sembravano vere, tremendamente reali. Era tornato indietro nel tempo, precisamente a quando era ancora un bambino di otto anni. In quel dannato giorno in cui aveva perso tutto, oltre alla voce. Si strinse la crisalide al petto, chiudendosi in se stesso per cercare in ogni modo di nascondere le lacrime dietro ai capelli.
Akira soffriva a vederlo così. Proprio non voleva che Takanori stesse così male. Come se non avesse già altro per cui soffrire. Come se la sua testa non fosse abbastanza colma di pensieri negativi e dolorosi. Alzandosi dal letto, tese un braccio nella sua direzione. Con il pollice e l'indice, gli sollevò delicatamente il mento, sul quale spiccava un grande neo bruno. Le lacrime erano già passate oltre alle sue guance arrossate e si stavano inesorabilmente avvicinando alle dita di Akira. “Fa che siano vere, fa che siano vere...” pregò dentro di sé il ragazzo. Ed ecco che la lacrima venne a contatto con la pelle del suo polpastrello. Era calda. Umida. Volendo avere un'ulteriore certezza, sollevò le dita e se le portò alle labbra. La lingua captò qualcosa di salato e, allo stesso tempo, dolce. Non c'era dubbio, quelle lacrime erano reali. Takanori stava piangendo. Takanori stava soffrendo. E lui non poteva far niente per aiutarlo perché si trovavano entrambi nella stessa situazione.
Istintivamente, lo abbracciò. Lo strinse forte a sé, fino a che non sentì i suoi singhiozzi vibrargli contro il petto. Chiuse le sue debole spalle in un abbraccio e affondò il naso nei suoi capelli morbidi e fini, chiudendo gli occhi e godendosi il suo buon profumo che gli rimase impresso nella mente. Intanto, seppur avesse gli occhi chiusi, davanti a lui si ritrovò ancora nella radura, illuminata dai primi raggi dell'alba. Li riaprì quasi improvvisamente, disturbato da uno strano rumore proveniente dall'incavo che i loro due ventri quasi attaccati l'un l'altro formavano. Rivolse lo sguardo verso il basso, trovandosi coi piedi affondati in una distesa d'erba verde e fresca. Si scostò appena da Takanori e vide che la crisalide che teneva in mano s'era spezzata, e da essa usciva la piccola manina di porcellana della bambola. La piccolina, sbarazzandosi in fretta della crisalide, tornò ad accucciarsi fra le braccia del proprietario, sorridendo serafica ad Akira che, chiudendo gli occhi per l'ennesima volta, desiderava solamente tornare nella realtà.
«Takanori, l'unica certezza che abbiamo è proprio quella della morte. Quello che si trova dopo, la nostra seconda vita da farfalla, è ancora da scoprire. Ma non devi aver paura...» cercò di rassicurarlo, cercando la sua spalla ad occhi chiusi. Quanto si sentiva idiota. Come poteva anche solo provare a consolarlo quando vivevano in due mondi paralleli? Akira poteva morire più e più volte nel suo mondo che non esisteva, nel mondo in cui tutto gli era concesso, ma che ne sarebbe stato di Takanori, condannato per sempre a vivere una sola vita – la vita mortale del verme? Un nodo gli serrò la gola. Riaprì gli occhi e le visioni tornarono a farsi più vivide che mai.
Ora, sulle labbra del biondo era posata una farfalla dalle ali blu, immobile. Un'altra era posata sulla sua spalla, dalle ali gialle e arancioni, e un'altra ancora, più grande e maestosa era posata nel punto esatto in cui doveva palpitare il suo cuoricino guasto, facendo fremere impercettibilmente le sue ali grande e scarlatte. C'era una quarta farfalla: era nera e le sue ali sembravano fatte di velluto. Noncurante dello sguardo di Akira, stava graziosamente con le zampe posate su un higanbana ordinatamente sistemato dietro il piccolo orecchio di Takanori, succhiandone avidamente il nettare. Chissà perché la sua mente continuava a partorire farfalle... sarà stata la prima curiosa domanda di Takanori, sarà stata quella prima farfalla che s'era posata sulla sua spalla.
Ad un tratto, Akira sentì qualcosa di piccolo e caldo posarglisi sul palmo della mano. Trattenne il fiato quando realizzò di cosa si trattava; le dita del ragazzino si intrecciarono alle proprie, stringendole morbidamente, con i polpastrelli pallidi affondati nel dorso della sua mano.

Non esisti, non esisti.”
Da dove veniva quella voce? Dalla bambola di porcellana? No. Da Takanori stesso? No. Da uno degli infermieri che era passato nel corridoio? No. Dalla testa di Akira? Sì. Sì, senza dubbio. Era un brutto segno. Le voci, le voci non dovevano cominciare. Non dovevano rovinare tutto. Quando Akira cominciava a sentire le voci, voleva dire che la ricaduta era ormai prossima. Abbassò lo sguardo, cercando di respirare ad un ritmo regolare. Il cuore gli palpitava all'impazzata, si sentiva sull'orlo del collasso fisico e nervoso. Non voleva andare in iperventilazione e tachicardia di fronte a Takanori, non voleva deluderlo. Doveva proteggerlo, non poteva farsi vedere così debole. Non l'avrebbe tollerato. Quando aprì gli occhi, vide che la bambola di porcellana era sparita per l'ennesima volta e al suo posto era apparso un voluminoso mazzo di gigli bianchi e candidi come la neve. Da uno di esso vide sbucare un piccolo ragno nero che, passo dopo passo, divenne sempre più grosso e le sue zampe si fecero più lunghe, fino a che non raggiunse la mano nivea di Takanori. Le fauci si preparavano a mordere quella carne tenera.

I gigli non sono adatti al tuo mondo che non esiste.”
Akira scacciò quel ragno dalla mano del ragazzo, incontrando poi i suoi occhi spaventati. Quest'ultimo ritrasse la mano, nascondendola nella veste della bambola che ancora una volta stringeva al petto. Nonostante tutto, non indietreggiò di neanche un passo. Rimase di fronte al giovane che viveva in un mondo che apparteneva solo a lui. Lo osservò con curiosità. Piegò le labbra in un sorriso. «Quel ragno era proprio brutto, vero?» sorrise il piccoletto, mentre nei suoi occhi si celava un orrore represso e sempre bruciante.
Il ragazzo che gli stava di fronte non perse tempo a farsi domande. Non gli importava se Takanori avesse effettivamente visto o meno quell'orrido animale. Non gli importava sapere se quello scricciolo gli stesse realmente parlando o se fosse ancora frutto della sua fervida immaginazione distorta. Non gli importava niente. L'unica cosa che gli importava era che fosse lì, accanto a sé. Le braccia gli si strinsero ancora contro quel suo corpicino fragile. Se lo premette contro e lo trovò così indifeso e spaurito che si sentì le lacrime agli occhi. «Non voglio che tu te ne vada... rimani con me...» sussurrò Akira al suo orecchio, mentre le lacrime gli rigavano vergognosamente il volto. Non s'era mai trovato a piangere per nessuno se non per se stesso, in quel suo disgustoso mondo in cui era sovrano indiscusso del nulla più totale.
«A... A-ki... A—ki-ra...»
Quel balbettio indistinto era reale. Oh sì che era reale. Akira l'aveva percepito sulla propria pelle, aveva sentito le labbra di Takanori sfiorargli l'orecchio. L'aveva sentito, l'aveva sentito! E l'aveva adorato. Aveva adorato la sua voce appena roca, aveva adorato quel breve suono intermittente ed incerto. Aveva adorato il modo in cui il proprio nome era stato pronunciato, così timidamente. Ma di tutte le cose che aveva adorato, quella che più adorava era Takanori stesso. Quella piccola testolina bionda che aveva amato sin dal primo momento che era apparsa nei suoi pensieri, quel suo sguardo spento e distaccato, quella sua bambola di porcellana che di tanto in tanto prendeva vita e con la quale si lasciava andare a delle lunghe chiacchierate...
«Takanori, rimani con me...» ripeté ancora una volta, inspirando a pieni polmoni il profumo dei suoi capelli, più potente di qualsiasi farmaco. Aveva l'odore della realtà, il profumo della libertà. Intorno a lui, ecco che tornarono le quattro pareti della stanza d'ospedale. Per la prima volta in tutta la sua convalescenza, quel posto gli sembrò familiare. Perché insieme a lui c'era Takanori.
«Sei tu che devi rimanere con me, Akira... con me in questo mondo ingiusto e... freddo.» disse il piccoletto, accoccolandosi al sicuro fra le sue braccia, strusciando il volto contro il suo petto, simile ad un gattino. «Promettimi che farai di tutto per uscire dal tuo mondo... e per stare con me, nel nostro mondo...» sussurrò ancora, mentre Akira sentiva le sue lacrime inzuppargli la maglia che indossava.
«Sì, Takanori... sì che te lo prometto. Se solo tu ti impegni a mantenere a tua volta una promessa, però.»
«Quale promessa?»
«Voglio che tu pronunci ancora il mio nome. Sempre. Voglio sentirti parlare con me, voglio che tu mi dica tutto. Adoro la tua voce e credo di non poterne fare a meno, scusami.»
«Ma... Akira, io ti sto già parlando.»
«Oh... hai ragione. A volte mi chiedo dove abbia la testa...»
E fu in quel momento che dalla schiena di Takanori spuntarono ancora un paio di maestose ali da Coda di rondine – le più belle che Akira avesse mai visto.









Holà! Siete ancora tutte intere? Mi mancava da morire scrivere un po' di angst, ma come potete vedere sono riuscita finalmente a placare la mia sete (almeno in parte, eh...). Comunque, per chi non avesse ancora capito [SPOILER] Akira è schizofrenico, mentre Takanori non parla perché affetto da una forma piuttosto grave di mutismo selettivo [/SPOILER] e... beh, ancora una volta vi consiglio di leggere la fanfiction di riferimento!
Cosa posso dire, mh... beh, se non altro spero vi sia piaciuta! So che non è molto (in fondo sono tre paginette scritte in una serata in cui mi sentivo particolarmente ispirata, lol), ma spero che vi abbia comunque lasciato qualcosa... almeno un brividino... forse... ?
Non so se qualcuno li ha colti, ma ci sono dei riferimenti ad alcune canzoni dei DIR EN GREY (sì, perché quei cinque vecchi rompipalle sono sempre fra i piedi): la Coda di rondine è citata in MACABRE e le frasi “Non esisti, non esisti / I gigli non sono adatti al tuo mondo che non esiste” sono prese da Soshaku, una delle loro ultime canzoni. Per quanto riguarda il titolo della oneshot... beh, non servono spiegazioni!
Vorrei ringraziare ancora infinitamente Luxie_Lisbon per avermi permesso di pubblicare questa oneshot e le auguro tanta ispirazione per continuare presto la longfic! Muoio dalla voglia di conoscerne gli sviluppi!
Alla prossima, people! Ultimamente sono parecchio ispirata per scrivere oneshot, a trovare il tempo ne scriverei una al giorno... quindi, aspettatevi di tutto che magari torno presto... chi lo sa!
Un bacio e un abbraccio a tutte, grazie di supportarmi sempre! Se riesco ad andare avanti come sto facendo, è proprio grazie a voi.

- g.

   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > The GazettE / Vai alla pagina dell'autore: latour