Capitolo 32
«Achille ha
sempre avuto la Mela?!» Intervenne Charles. Sembrava quasi più sconvolto di me, e
diavolo, ripensando a tutto quello che era successo, sarei dovuto arrivarci
prima. «Ne sei
certo?»
«Sì» Connor abbassò
lo sguardo, mentre la mano destra si infilava nella tunica bianca e tirava
fuori il mio diario. Non gli lasciai il tempo di dire nulla che glielo strappai
di mano, gli occhi ridotti a due fessure e le labbra serrate. «Quella
volta... Quando eri venuto alla Tenuta per riprenderlo e io... Insomma, hai
capito» sospirò, «non è
stata colpa mia. Non volevo farti del male.»
Posai il quaderno nella solita
tasca interna della redingote e lo fissai in
silenzio, indeciso se credergli o no. In effetti quella volta aveva avuto uno
sbalzo d'umore non indifferente, e solitamente il ragazzo non era così. Poteva
anche essere una spiegazione plausibile, ma perché arrivare a tanto? Perché
usare un oggetto potente come la Mela per plagiare un ragazzino come Connor? Perché parliamoci chiaro, qualsiasi cosa gli avesse
detto Achille, mio figlio gli avrebbe creduto. Gli Assassini avrebbero potuto sostenere
che le acque dei mari fossero dolci, e con molte probabilità lui sarebbe stato
d'accordo. Doveva esserci sotto dell'altro. Per forza.
«No,
aspetta, vediamo se ho capito bene» Charles
parlò ancora, passandosi una mano tra i capelli ancora umidi e tirandoli
indietro. «Achille ha la Mela da chissà quanto tempo e l'ha usata sul suo
unico allievo e membro attivo della Confraternita?»
Ridacchiò. «È assurdo!»
Connor sospirò. «Non lo è» lo
guardammo incuriositi mentre si passava due dita sugli occhi. «Vorrebbe
che vi uccidessi.»
Sbuffai. «Smettila
di dire frase per frase, fa' un discorso, spiegati.»
Il ragazzo guardò prima
Charles, poi me. «Il mio unico obiettivo è sempre stato quello di uccidervi. Tutti e
due.»
«Quale
onore.» Ironizzò
Lee, beccandosi una gomitata nelle costole dal sottoscritto.
«Ma da
quando abbiamo iniziato a collaborare ho visto dei risultati, sono convinto che
lavorando insieme riusciremo a vincere la guerra e a liberare queste terre,
però Achille non è d'accordo. Continua a ripetermi che se e quando batteremo gli
Inglesi, dovrete morire comunque.»
«E hai
intenzione di farlo, ragazzo?» Sogghignò Charles.
«Non lo so» replicò
guardandolo negli occhi, «dipende dai piani che avrete in mente, se saranno nocivi per la
popolazione state pur certi che non resterò a guardare»
Charles schioccò la lingua
contro il palato, affondando le mani nelle tasche dei calzoni. «Sarà sicuramente
così, raramente le nostre filosofie di pensiero coincidono.» Connor si prese qualche secondo per trovare le parole più
adatte, quindi mi guardò.
«Haytham, sai
quanto me che questa lotta è stupida. Non voglio perdere tempo a combattere su
due fronti, e so che lo vuoi anche tu.» Alzai un
sopracciglio. Mi stava proponendo una tregua? Connor
voleva la pace tra Assassini e Templari? Forse leggere di straforo il mio
diario gli aveva schiarito le idee.
Raddrizzai la schiena, la mani
giunte sotto il mantello come ero solito fare. «È da anni
che propongo questa soluzione alla Confraternita, ma nessuno di loro ha mai
accettato. Achille per primo.» Abbassò lo sguardo, colpevole, sentendo gravare sulle spalle il
senso di colpa nell'aver difeso il suo Mentore senza che lui lo meritasse. «Sarei
contraddittorio se ora rifiutassi, dopotutto sono stato io il primo a proporti
di collaborare, quindi sì, hai ragione, questo combatterci continuamente è
inutile. Ma per lavorare insieme come si deve dovrete impegnarvi come quando
ero in Europa. Ciò significa stare a delle condizioni.» Guardai
sia Lee sia il ragazzo, sperando fossero disposti a cooperare. «Significa
niente battibecchi inutili, niente litigi, niente discorsi sulle ideologie,
sulla Confraternita o altro che non c'entri con i nostri compiti» mi
rivolsi a Charles, che acconsentì in silenzio mostrando i palmi delle mani.
«E sia.»
«E
significa anche niente minacce di morte, niente ripensamenti o ritirate, né
tradimenti di alcun genere. Mi sono spiegato?» Stavolta guardai
Connor, che annuì senza dire una parola. «Bene,
allora. Possiamo entrare» senza perdere altro tempo voltai le spalle a entrambi e
attraversai il piazzale, dirigendomi verso Jenny, a braccia conserte, ancora
sulla soglia.
La affiancai attendendo che il
ragazzo e Lee ci raggiungessero, e quando Charles fu abbastanza vicino, mia
sorella gli gettò le braccia al collo. «Sei stato
bravissimo» cinguettò per poi schioccargli un bacio appiccicoso sulle labbra.
Lui sorrise di rimando, solleticandole una guancia con le dita e scostandole
una ciocca di capelli dal viso.
Dio, non ero ancora abituato a
vederli in quei termini, e forse mai lo sarei stato. Insomma, stavamo parlando
di Jennifer Scott, la donna più dispotica e acida che avessi mai conosciuto, e
di Charles Lee, l'uomo che aveva attenzione solo per l'esercito, l’onore e
l'Ordine Templare, che desiderava combattere più di qualsiasi altra cosa e che
si sarebbe fatto ammazzare piuttosto che tradire i suoi compagni. Erano
decisamente una coppia strana.
Charles le posò una mano sul
fianco destro, avvicinandola a sé. «Di che
parli?»
«Dell'allenamento.
Ti ho visto dalla finestra» appoggiò entrambi i palmi sui pettorali sudati di Lee, coperti
dal tessuto sottile della camicia, «e poi hai
battuto mio fratello» mi guardarono entrambi, avevo le guance in fiamme.
Mi schiarii la gola e
li fissai accigliato. «Non c'è da stupirsi che sia bravo, l'ho addestrato personalmente» perdere non
mi era mai sembrato tanto rincuorante. Già immaginavo il mio allievo prediletto
combattere contro cinque uomini armati e, Dio, dovetti fare uno sforzo enorme
per non immaginarmelo infilzato come un pezzo di carne da macello. Rabbrividii.
No, se la sarebbe cavata egregiamente. Deglutii a fatica e sbattei un paio di
volte le palpebre, Charles era lì, vivo e vegeto a flirtare con mia sorella.
Dovevo stare tranquillo.
Notai che Connor
era rimasto fermo sulla soglia, forse imbarazzato per gli atteggiamenti un po’
troppo intimi e confidenziali dei due innamorati, quindi appoggiai pesantemente
una mano a metà tra la nuca e il collo di Charles, facendolo sobbalzare come un
bambino. «Basta con queste smancerie inutili» mollai
Lee, avvicinandomi al ragazzo, «potrebbe fare domande inopportune e non ho voglia di spiegargli
com’è venuto al mondo. Su, entra, non startene lì impalato.» Lo
afferrai per il braccio muscoloso avvolto nella tunica bianca e lo tirai
dentro. Salimmo al primo piano, accomodandoci nella sala principale di Fort
George per bere un bicchiere di vino e per una volta presi posto vicino a mio
figlio. Dovevo capire come aveva fatto Achille ad essere in possesso della Mela
e, cosa più importante, perché usarla su Connor.
«Sa che sei qui?»
Chiesi guardandolo. Lui serrò la mascella e deglutì.
«No. Gli ho detto che
sarei andato da Washington, non credo neanche che sappia che me ne sono
accorto, ma io l’ho visto. Se ne stava chiuso nella sua stanza a contemplarla,
lanciava fasci di luce dorati e…» si coprì il viso con le mani «io credevo che
chi la usasse perdesse la ragione, ma lui non è impazzito, cerca solo di
convincermi ad uccidervi.»
Jenny riempì tre
bicchieri di vino, sedendosi poi vicino a Charles e dandogli un bacio innocente
all’angolo della bocca. Gesù.
Scossi la testa e
afferrai un calice per distrarmi, concentrandomi di nuovo su Achille.
«Quindi che
intenzioni hai?»
Sospirò. «Devo prenderla»
mi scoccò un’occhiata, «ma non la darò a te, sarebbe ancora peggio.»
Risi sommessamente.
Dio, era ancora convinto che mi servisse la Mela per mandare avanti l’Ordine? «Non
ne ho bisogno, credi seriamente che la userei per soggiogare le persone?
Diavolo, non hai ancora capito niente.» Fece per rispondermi, ma un paio di
colpi alla porta gli fecero morire le parole in gola.
«Scusate l’interruzione» una delle
guardie di Fort George fece capolino sulla soglia della sala principale, «un certo Artemas Ward chiede di voi,
generale Lee.» Lanciai un'occhiata a Charles, che aveva smesso di ondeggiare il
calice pieno di vino fino a metà.
Era sbiancato, ma aveva serrato
la mascella per darsi un minimo di contegno. «Arrivo
subito» posò con
cura il bicchiere sul tavolo e si alzò deglutendo. Scattai in piedi anch'io,
pronto a seguirlo, venendo imitato da Jennifer.
«Che
succede?»
«Nulla di
grave, è solo un colloquio» minimizzò Charles, che ostentando sicurezza era uscito dalla
stanza per imboccare le scale. Uscimmo anche noi, e mentre lo seguivamo nel
piazzale, verso il cancello, pensai che forse avrei dovuto escogitare un piano
per togliere di mezzo anche Ward.
Jenny mi afferrò il braccio
destro, costringendomi a rallentare. «Che
diavolo succede? Cosa vogliono da Charles? Non mentirmi.» Era
preoccupata quanto me, con la differenza che io riuscivo a nasconderlo
piuttosto bene. Dovevo farlo per lui, per non destare sospetti.
«Non lo so,
probabilmente dovranno discutere sulla prossima tattica militare da usare.
Charles è pur sempre un generale» mentii.
Mentii spudoratamente e il cuore prese a battere forte contro la cassa
toracica. E se avevo sperato che al Congresso Artemas
avesse bleffato per intimidirci, beh, avrei dovuto rimangiarmi tutto. Faceva
sul serio. Era seriamente convinto di scoprire qualcosa su Washington da noi?
In quel momento affiancammo
Charles, che fissava Ward con una calma innaturale.
«Vedo che
stai sempre in compagnia» mi scoccò un'occhiata derisoria, poi tornò a guardare Lee, «non avevi
il coraggio di fare una chiacchierata da solo con me?»
Sentendomi tirato in causa alzai
le mani in segno di resa ed indietreggiai di due passi. «Come
desideri» sogghignai,
«ero solo
curioso di sentire quello che avevi da dire, e dato che fino a prova contraria
sei tu quello che si è scomodato venendo da noi, credo di avere tutto il
diritto di assistere.» Non rispose, limitandosi a fissarmi con odio. Attendevo una
reazione, una qualsiasi per avere la scusa di cacciarlo a calci in culo, ma non
era stupido. Ingoiò la mia provocazione, tornando poi a dare attenzione a
Charles.
«Immagino
tu sappia perché sono qui, vero?»
«No, ad
essere sincero.»
«Non prendermi
per il culo, stronzetto» trattenni a stento una risata. Dio, gli parlava come se Charles
avesse vent'anni.
Lee non si scompose.«Smettila
di fare l'arrogante e parla. Perché sei qui?»
Artemas lo
afferrò con una mano per il bavero della giacca, strattonandolo malamente. «Lo sai
perfettamente visto che è colpa tua. Credevi davvero che nessuno avrebbe
sospettato di te? Traditore!»
Charles si tolse la mano di
dosso, spingendo Ward e facendolo arretrare di un
passo, poi sbottò indignato. «Traditore? Io?!»
Gli puntò contro un dito con
fare accusatorio. «Hai ucciso George Washington!»
«Cosa?!»
Fa' qualcosa. Intervieni,
inventa una scusa, una qualsiasi, ma fa' qualcosa.
«Fermi un
momento!» Ci
voltammo tutti verso Jenny, che con faccia tosta si era fatta avanti per
dividere Lee e Artemas. «Con che
prove state accusando Charles di omicidio?» Le mani
sui fianchi, i gomiti in fuori e la voce agguerrita.
Ward rise
sommessamente, indeciso se essere divertito per la banalità della domanda o per
il fatto che Charles avesse bisogno di essere difeso da una donna. O forse per
entrambe le cose. La squadrò da capo a piedi, scoccando poi un'occhiata
d'intesa al collega. «Quindi è lei che ti scalda il letto?» Jennifer
ignorò il commento, a differenza di Lee che aveva serrato i pugni, le braccia
tese lungo i fianchi. «E tu lo scaldi a lui» guardò
me.
Lo conoscevo abbastanza bene da
prevedere una reazione tutt'altro che tranquilla. «Sta'
zitto, Artemas. Non c'entro niente con George, l'ho
scoperto adesso. Quand'è successo?»
Ward scoppiò a
ridere. «Charles,
per favore. Non rendere le cose più difficili, ammettilo e basta, sanno tutti
quanto odiassi George Washington per averti sottratto il ruolo di comandante.
Speravi davvero che ti sarebbe bastato ucciderlo per essere nominato come
sostituto? Tu?, un traditore?»
«Non sono
un traditore» sibilò tra i denti, gli occhi ridotti a due fessure, «ho fatto
molto più di quello che credi per questo paese, ho salvato centinaia di uomini
destinati a morire se solo avessi eseguito gli ordini di George e ho subìto in
silenzio due ore di richiamo per insubordinazione! Tutto per vincere la guerra,
e non ammetto che tu venga qui ad accusarmi del suo omicidio solo perché non
gli ho leccato il culo come hai fatto tu.» Fece
appena in tempo a concludere la frase prima di incassare un pugno sul naso.
Jenny si portò le mani alle labbra mentre istintivamente mi allungai per
afferrarlo. Charles riuscì a mantenere l'equilibrio, ruotando su un piede e
bilanciando il peso con le braccia. Sanguinava dal naso, ma non sembrava nulla
di grave.
«Come
osate?!» Jenny si
lanciò contro Artemas, tempestandogli il petto di
pugni. «Come osate
alzare le vostre luride mani su Charles?»
«Tutto bene?» Gli domandai.
Lui annuì, portando una mano sotto
le narici e macchiandosi immediatamente di sangue. «Ah, cristo» strinse le dita pulite alla base
del naso per bloccare il flusso, poi si voltò verso Ward,
fissandolo con astio.
Nel vedere il volto di Lee
imbrattato di rosso dal naso in giù, Jenny sbiancò. «Santo cielo, stai perdendo sangue!» Gli si avvicinò preoccupata. «Non te l’avrà rotto, spero!» Gli accarezzò una guancia per
calmarlo, facendola poi scivolare sul petto.
«No, non è niente» tagliò corto Charles senza
neanche guardarla, troppo impegnato a fissare Artemas.
Oh, Dio, speravo di sbagliarmi. Conoscevo bene quell’atteggiamento, non
prevedevo nulla di buono.
«Ve lo ripeto!» Strillò Jennifer «Non potete venire qui e accusare
Charles senza prove. È a Fort George da una settimana intera, non può essere
stato lui!»
La guardai sorpreso. Lei non sapeva. Non sapeva niente né della nostra guerra
personale con Washington né delle minacce di Ward,
non sapeva che Lee era in minima parte colpevole, eppure aveva reagito come era
nei miei piani. L’aveva difeso senza neanche porsi il problema di essere in
errore.
Avrei dovuto avvertire subito le
guardie di dire a chiunque l’avesse chiesto che Charles non usciva dalle mura
da giorni, ma la stanchezza aveva preso il sopravvento. E a dirla tutta non
avevo preso in considerazione che Artemas, venuto a
conoscenza della morte di George, si sarebbe precipitato qui per chiedere spiegazioni.
Avevo sperato in almeno un giorno di tempo.
Ward sorrise sarcastico in direzione
di Jennifer. «Che
valore può avere detto dalla sua concubina?» Oh, Dio, ci teneva sul serio a
perdere un paio di denti.
Charles non sopportò oltre, come temevo. Con due falcate raggiunse il compagno
d’armi e lo prese per il bavero con entrambe le mani, per poi affondargli un
calcio in pieno ventre, all’altezza dello stomaco. «Ripetilo e t’ammazzo!» Ebbi la prontezza di afferrarlo
per le braccia e trattenerlo prima che continuasse ad infierire sul collega,
piegato in due a terra. «Parola mia che lo faccio se non te ne vai in questo istante!»
«Charles! Calmati!» Non mi sentì nemmeno, sgomitando
e agitandosi per liberarsi. Esercitai più pressione e gli unii i gomiti dietro
la schiena, poi lo attirai a me, tentando di tenerlo fermo. «Non fare cose di cui potresti
pentirti»
gli sussurrai in un orecchio.
«Lasciami, Haytham,
ho detto lasciami!» Senza rendermene conto allentai la presa, stupito dal fatto
che per la prima volta mi avesse chiamato per nome e non con quegli inutili appellativi
ossequiosi.
Lee si accorse che avevo involontariamente
diminuito la forza e tentò di sgusciare via, ma lo trattenni, mentre Ward si rialzava tossicchiando. «Non finisce qui, Lee. Non credere
di passarla liscia solo perché non ci sono prove, sospettano tutti di te!» Sabotai il suo ultimo tentativo
di liberarsi, tirando un sospiro di sollievo quando Artemas
varcò la soglia di Fort George e sparì dietro le mura. Solo quando fui certo
che fosse abbastanza lontano mollai Charles, che tornato lucido, si passò una
mano sul viso. Prendere a calci un generale non era come uccidere il comandane
in capo, però avrebbe potuto causargli problemi non indifferenti.
Si passò ancora una volta le dita
tra i capelli, poi sospirò, suppongo maledicendosi per aver reagito d’impulso. Gli
diedi una pacca sulla spalla sinistra e non so con quale coraggio riuscii a
guardarlo in faccia. Era solo colpa mia, cristo. Perché per una volta non
poteva andare tutto liscio?
Jenny lo abbracciò, affondando il
viso nella camicia bianca di Lee che, teso in viso, si limitò a deglutire. «Che facciamo ora? Perché accusano
Charles?» Piagnucolò guardandomi da sopra
la spalla del mio allievo. Bene. Ora devi
confessarle tutto, coraggio. Dio, perché la temevo così tanto? Cos’avrebbe
potuto farmi? Nulla, ma forse quello che mi spaventava di più era ciò che
avrebbe pensato di me, e ad essere onesti mi bastava già la considerazione che avevo di me stesso. Ero stato egoista, d’accordo? Ne ero consapevole. Ed ero stato un
bastardo senza scrupoli a non aver ammesso tutto davanti ad Artemas.
Avrei scagionato Lee, ma mi avrebbero impiccato senza neanche un processo. Onestamente
preferivo aspettare, lasciando la confessione come ultima spiaggia.
«Niente. Cosa vorresti fare? Armarti
di fucile e correre dietro a quell’imbecille? Smettila di parlare di cose che
non conosci.»
Mi si avvicinò minacciosa,
staccandosi da Charles in mezzo secondo. «Ho tutto il diritto di dire la
mia, e mi stupisco del fatto che tu non abbia aperto bocca davanti a una tale
calunnia! È così che proteggi i tuoi sottoposti? Sei o non sei il Gran Maestro?
Assumiti le tue responsabilità, Haytham!» Serrai le labbra lanciando un’occhiata
a Charles, che teneva gli occhi bassi. Forse anche lui si sarebbe aspettato un
intervento da parte mia, anche solo una parola.
«Le mie responsabilità non sono affar tuo, è chiaro?»
«E allora perché non l’hai difeso?»
«Perché sono stato io ad uccidere Washington, ora sei soddisfatta?»
Toh, una volta ogni tanto riesco ad aggiornare ad orari normali –non
fateci l’abitudine, lo dico per voi, lol-
Non voglio dilungarmi in commenti perché credo sia palese da che parte stia,
vero? Suppongo di sì. Ormai sono ripetitiva, ma va beh: grazie come sempre a
chi legge e recensisce, vi adoroh (?).
A lunedì prossimo c: