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Autore: vegeta4e    16/03/2015    3 recensioni
Haytham e Connor sono alla ricerca di B. Church, colpevole di aver tradito l'Ordine Templare e di aver sottratto a Washington i rifornimenti destinati all'Esercito Continentale. Il birrificio di New York è palesemente abbandonato e questo piccolo dettaglio obbligherà padre e figlio a collaborare, costringendo il Gran Maestro a lavorare separatamente sia con Charles sia con il figlio. Successivamente Haytham li convincerà a cooperare, tentando di metter da parte l'odio tra Assassini e Templari per raggiungere uno scopo più grande, desiderato da entrambe le fazioni: vincere la guerra contro gli Inglesi.
Ma non sarà questo l'unico intoppo. Torneranno vecchie conoscenze, vecchi problemi che H. Kenway credeva di essersi lasciato alle spalle. A cosa dare la precedenza? Ad una richiesta d'aiuto o a Washington che, battaglia dopo battaglia, sta perdendo sempre più terreno?
Questi eventi coinvolgeranno anche Connor e Charles Lee, nel bene e nel male.
Dal testo:
Charles e Connor entrarono nella sala, notandomi assente e pensieroso.
«Signore? Che succede?» Sospirai nuovamente, premendomi due dita alla base del naso.
«Temo di dovervi lasciare soli nelle prossime missioni. Devo tornare in Europa» annunciai tornando in posizione eretta per darmi un contegno.
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Lee, Connor Kenway, Haytham Kenway, Jenny Kenway
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 32

«Achille ha sempre avuto la Mela?!» Intervenne Charles. Sembrava quasi più sconvolto di me, e diavolo, ripensando a tutto quello che era successo, sarei dovuto arrivarci prima. «Ne sei certo?»

«» Connor abbassò lo sguardo, mentre la mano destra si infilava nella tunica bianca e tirava fuori il mio diario. Non gli lasciai il tempo di dire nulla che glielo strappai di mano, gli occhi ridotti a due fessure e le labbra serrate. «Quella volta... Quando eri venuto alla Tenuta per riprenderlo e io... Insomma, hai capito» sospirò, «non è stata colpa mia. Non volevo farti del male.»

Posai il quaderno nella solita tasca interna della redingote e lo fissai in silenzio, indeciso se credergli o no. In effetti quella volta aveva avuto uno sbalzo d'umore non indifferente, e solitamente il ragazzo non era così. Poteva anche essere una spiegazione plausibile, ma perché arrivare a tanto? Perché usare un oggetto potente come la Mela per plagiare un ragazzino come Connor? Perché parliamoci chiaro, qualsiasi cosa gli avesse detto Achille, mio figlio gli avrebbe creduto. Gli Assassini avrebbero potuto sostenere che le acque dei mari fossero dolci, e con molte probabilità lui sarebbe stato d'accordo. Doveva esserci sotto dell'altro. Per forza.

«No, aspetta, vediamo se ho capito bene» Charles parlò ancora, passandosi una mano tra i capelli ancora umidi e tirandoli indietro. «Achille ha la Mela da chissà quanto tempo e l'ha usata sul suo unico allievo e membro attivo della Confraternita?» Ridacchiò. «È assurdo!»

Connor sospirò. «Non lo è» lo guardammo incuriositi mentre si passava due dita sugli occhi. «Vorrebbe che vi uccidessi.»

Sbuffai. «Smettila di dire frase per frase, fa' un discorso, spiegati.»

Il ragazzo guardò prima Charles, poi me. «Il mio unico obiettivo è sempre stato quello di uccidervi. Tutti e due.»

«Quale onore.» Ironizzò Lee, beccandosi una gomitata nelle costole dal sottoscritto.

«Ma da quando abbiamo iniziato a collaborare ho visto dei risultati, sono convinto che lavorando insieme riusciremo a vincere la guerra e a liberare queste terre, però Achille non è d'accordo. Continua a ripetermi che se e quando batteremo gli Inglesi, dovrete morire comunque.»

«E hai intenzione di farlo, ragazzo?» Sogghignò Charles.

«Non lo so» replicò guardandolo negli occhi, «dipende dai piani che avrete in mente, se saranno nocivi per la popolazione state pur certi che non resterò a guardare»

Charles schioccò la lingua contro il palato, affondando le mani nelle tasche dei calzoni. «Sarà sicuramente così, raramente le nostre filosofie di pensiero coincidono.» Connor si prese qualche secondo per trovare le parole più adatte, quindi mi guardò.

«Haytham, sai quanto me che questa lotta è stupida. Non voglio perdere tempo a combattere su due fronti, e so che lo vuoi anche tu.» Alzai un sopracciglio. Mi stava proponendo una tregua? Connor voleva la pace tra Assassini e Templari? Forse leggere di straforo il mio diario gli aveva schiarito le idee.

Raddrizzai la schiena, la mani giunte sotto il mantello come ero solito fare. «È da anni che propongo questa soluzione alla Confraternita, ma nessuno di loro ha mai accettato. Achille per primo.» Abbassò lo sguardo, colpevole, sentendo gravare sulle spalle il senso di colpa nell'aver difeso il suo Mentore senza che lui lo meritasse. «Sarei contraddittorio se ora rifiutassi, dopotutto sono stato io il primo a proporti di collaborare, quindi sì, hai ragione, questo combatterci continuamente è inutile. Ma per lavorare insieme come si deve dovrete impegnarvi come quando ero in Europa. Ciò significa stare a delle condizioni.» Guardai sia Lee sia il ragazzo, sperando fossero disposti a cooperare. «Significa niente battibecchi inutili, niente litigi, niente discorsi sulle ideologie, sulla Confraternita o altro che non c'entri con i nostri compiti» mi rivolsi a Charles, che acconsentì in silenzio mostrando i palmi delle mani.

«E sia.»

«E significa anche niente minacce di morte, niente ripensamenti o ritirate, né tradimenti di alcun genere. Mi sono spiegato?» Stavolta guardai Connor, che annuì senza dire una parola. «Bene, allora. Possiamo entrare» senza perdere altro tempo voltai le spalle a entrambi e attraversai il piazzale, dirigendomi verso Jenny, a braccia conserte, ancora sulla soglia.

La affiancai attendendo che il ragazzo e Lee ci raggiungessero, e quando Charles fu abbastanza vicino, mia sorella gli gettò le braccia al collo. «Sei stato bravissimo» cinguettò per poi schioccargli un bacio appiccicoso sulle labbra. Lui sorrise di rimando, solleticandole una guancia con le dita e scostandole una ciocca di capelli dal viso.

Dio, non ero ancora abituato a vederli in quei termini, e forse mai lo sarei stato. Insomma, stavamo parlando di Jennifer Scott, la donna più dispotica e acida che avessi mai conosciuto, e di Charles Lee, l'uomo che aveva attenzione solo per l'esercito, l’onore e l'Ordine Templare, che desiderava combattere più di qualsiasi altra cosa e che si sarebbe fatto ammazzare piuttosto che tradire i suoi compagni. Erano decisamente una coppia strana.

Charles le posò una mano sul fianco destro, avvicinandola a sé. «Di che parli?»

«Dell'allenamento. Ti ho visto dalla finestra» appoggiò entrambi i palmi sui pettorali sudati di Lee, coperti dal tessuto sottile della camicia, «e poi hai battuto mio fratello» mi guardarono entrambi, avevo le guance in fiamme.

Mi schiarii la gola e li fissai accigliato. «Non c'è da stupirsi che sia bravo, l'ho addestrato personalmente» perdere non mi era mai sembrato tanto rincuorante. Già immaginavo il mio allievo prediletto combattere contro cinque uomini armati e, Dio, dovetti fare uno sforzo enorme per non immaginarmelo infilzato come un pezzo di carne da macello. Rabbrividii. No, se la sarebbe cavata egregiamente. Deglutii a fatica e sbattei un paio di volte le palpebre, Charles era lì, vivo e vegeto a flirtare con mia sorella. Dovevo stare tranquillo.

Notai che Connor era rimasto fermo sulla soglia, forse imbarazzato per gli atteggiamenti un po’ troppo intimi e confidenziali dei due innamorati, quindi appoggiai pesantemente una mano a metà tra la nuca e il collo di Charles, facendolo sobbalzare come un bambino. «Basta con queste smancerie inutili» mollai Lee, avvicinandomi al ragazzo, «potrebbe fare domande inopportune e non ho voglia di spiegargli com’è venuto al mondo. Su, entra, non startene lì impalato.» Lo afferrai per il braccio muscoloso avvolto nella tunica bianca e lo tirai dentro. Salimmo al primo piano, accomodandoci nella sala principale di Fort George per bere un bicchiere di vino e per una volta presi posto vicino a mio figlio. Dovevo capire come aveva fatto Achille ad essere in possesso della Mela e, cosa più importante, perché usarla su Connor.

«Sa che sei qui?» Chiesi guardandolo. Lui serrò la mascella e deglutì.

«No. Gli ho detto che sarei andato da Washington, non credo neanche che sappia che me ne sono accorto, ma io l’ho visto. Se ne stava chiuso nella sua stanza a contemplarla, lanciava fasci di luce dorati e…» si coprì il viso con le mani «io credevo che chi la usasse perdesse la ragione, ma lui non è impazzito, cerca solo di convincermi ad uccidervi.»

Jenny riempì tre bicchieri di vino, sedendosi poi vicino a Charles e dandogli un bacio innocente all’angolo della bocca. Gesù.

Scossi la testa e afferrai un calice per distrarmi, concentrandomi di nuovo su Achille.

«Quindi che intenzioni hai?»

Sospirò. «Devo prenderla» mi scoccò un’occhiata, «ma non la darò a te, sarebbe ancora peggio.»

Risi sommessamente. Dio, era ancora convinto che mi servisse la Mela per mandare avanti l’Ordine? «Non ne ho bisogno, credi seriamente che la userei per soggiogare le persone? Diavolo, non hai ancora capito niente.» Fece per rispondermi, ma un paio di colpi alla porta gli fecero morire le parole in gola.

«Scusate l’interruzione» una delle guardie di Fort George fece capolino sulla soglia della sala principale, «un certo Artemas Ward chiede di voi, generale Lee.» Lanciai un'occhiata a Charles, che aveva smesso di ondeggiare il calice pieno di vino fino a metà.

Era sbiancato, ma aveva serrato la mascella per darsi un minimo di contegno. «Arrivo subito» posò con cura il bicchiere sul tavolo e si alzò deglutendo. Scattai in piedi anch'io, pronto a seguirlo, venendo imitato da Jennifer.

«Che succede?»

«Nulla di grave, è solo un colloquio» minimizzò Charles, che ostentando sicurezza era uscito dalla stanza per imboccare le scale. Uscimmo anche noi, e mentre lo seguivamo nel piazzale, verso il cancello, pensai che forse avrei dovuto escogitare un piano per togliere di mezzo anche Ward.

Jenny mi afferrò il braccio destro, costringendomi a rallentare. «Che diavolo succede? Cosa vogliono da Charles? Non mentirmi.» Era preoccupata quanto me, con la differenza che io riuscivo a nasconderlo piuttosto bene. Dovevo farlo per lui, per non destare sospetti.

«Non lo so, probabilmente dovranno discutere sulla prossima tattica militare da usare. Charles è pur sempre un generale» mentii. Mentii spudoratamente e il cuore prese a battere forte contro la cassa toracica. E se avevo sperato che al Congresso Artemas avesse bleffato per intimidirci, beh, avrei dovuto rimangiarmi tutto. Faceva sul serio. Era seriamente convinto di scoprire qualcosa su Washington da noi?

In quel momento affiancammo Charles, che fissava Ward con una calma innaturale.

«Vedo che stai sempre in compagnia» mi scoccò un'occhiata derisoria, poi tornò a guardare Lee, «non avevi il coraggio di fare una chiacchierata da solo con me?»

Sentendomi tirato in causa alzai le mani in segno di resa ed indietreggiai di due passi. «Come desideri» sogghignai, «ero solo curioso di sentire quello che avevi da dire, e dato che fino a prova contraria sei tu quello che si è scomodato venendo da noi, credo di avere tutto il diritto di assistere.» Non rispose, limitandosi a fissarmi con odio. Attendevo una reazione, una qualsiasi per avere la scusa di cacciarlo a calci in culo, ma non era stupido. Ingoiò la mia provocazione, tornando poi a dare attenzione a Charles.

«Immagino tu sappia perché sono qui, vero?»

«No, ad essere sincero.»

«Non prendermi per il culo, stronzetto» trattenni a stento una risata. Dio, gli parlava come se Charles avesse vent'anni.

Lee non si scompose.«Smettila di fare l'arrogante e parla. Perché sei qui?»

Artemas lo afferrò con una mano per il bavero della giacca, strattonandolo malamente. «Lo sai perfettamente visto che è colpa tua. Credevi davvero che nessuno avrebbe sospettato di te? Traditore!»

Charles si tolse la mano di dosso, spingendo Ward e facendolo arretrare di un passo, poi sbottò indignato. «Traditore? Io?!»

Gli puntò contro un dito con fare accusatorio. «Hai ucciso George Washington!»

«Cosa?!»

Fa' qualcosa. Intervieni, inventa una scusa, una qualsiasi, ma fa' qualcosa.

«Fermi un momento!» Ci voltammo tutti verso Jenny, che con faccia tosta si era fatta avanti per dividere Lee e Artemas. «Con che prove state accusando Charles di omicidio?» Le mani sui fianchi, i gomiti in fuori e la voce agguerrita.

Ward rise sommessamente, indeciso se essere divertito per la banalità della domanda o per il fatto che Charles avesse bisogno di essere difeso da una donna. O forse per entrambe le cose. La squadrò da capo a piedi, scoccando poi un'occhiata d'intesa al collega. «Quindi è lei che ti scalda il letto?» Jennifer ignorò il commento, a differenza di Lee che aveva serrato i pugni, le braccia tese lungo i fianchi. «E tu lo scaldi a lui» guardò me.

Lo conoscevo abbastanza bene da prevedere una reazione tutt'altro che tranquilla. «Sta' zitto, Artemas. Non c'entro niente con George, l'ho scoperto adesso. Quand'è successo?»

Ward scoppiò a ridere. «Charles, per favore. Non rendere le cose più difficili, ammettilo e basta, sanno tutti quanto odiassi George Washington per averti sottratto il ruolo di comandante. Speravi davvero che ti sarebbe bastato ucciderlo per essere nominato come sostituto? Tu?, un traditore?»

«Non sono un traditore» sibilò tra i denti, gli occhi ridotti a due fessure, «ho fatto molto più di quello che credi per questo paese, ho salvato centinaia di uomini destinati a morire se solo avessi eseguito gli ordini di George e ho subìto in silenzio due ore di richiamo per insubordinazione! Tutto per vincere la guerra, e non ammetto che tu venga qui ad accusarmi del suo omicidio solo perché non gli ho leccato il culo come hai fatto tu.» Fece appena in tempo a concludere la frase prima di incassare un pugno sul naso. Jenny si portò le mani alle labbra mentre istintivamente mi allungai per afferrarlo. Charles riuscì a mantenere l'equilibrio, ruotando su un piede e bilanciando il peso con le braccia. Sanguinava dal naso, ma non sembrava nulla di grave.

«Come osate?!» Jenny si lanciò contro Artemas, tempestandogli il petto di pugni. «Come osate alzare le vostre luride mani su Charles?»

«Tutto bene?» Gli domandai.

Lui annuì, portando una mano sotto le narici e macchiandosi immediatamente di sangue. «Ah, cristo» strinse le dita pulite alla base del naso per bloccare il flusso, poi si voltò verso Ward, fissandolo con astio.

Nel vedere il volto di Lee imbrattato di rosso dal naso in giù, Jenny sbiancò. «Santo cielo, stai perdendo sangue!» Gli si avvicinò preoccupata. «Non te l’avrà rotto, spero!» Gli accarezzò una guancia per calmarlo, facendola poi scivolare sul petto.

«No, non è niente» tagliò corto Charles senza neanche guardarla, troppo impegnato a fissare Artemas. Oh, Dio, speravo di sbagliarmi. Conoscevo bene quell’atteggiamento, non prevedevo nulla di buono.

«Ve lo ripeto!» Strillò Jennifer «Non potete venire qui e accusare Charles senza prove. È a Fort George da una settimana intera, non può essere stato lui!» La guardai sorpreso. Lei non sapeva. Non sapeva niente né della nostra guerra personale con Washington né delle minacce di Ward, non sapeva che Lee era in minima parte colpevole, eppure aveva reagito come era nei miei piani. L’aveva difeso senza neanche porsi il problema di essere in errore.

Avrei dovuto avvertire subito le guardie di dire a chiunque l’avesse chiesto che Charles non usciva dalle mura da giorni, ma la stanchezza aveva preso il sopravvento. E a dirla tutta non avevo preso in considerazione che Artemas, venuto a conoscenza della morte di George, si sarebbe precipitato qui per chiedere spiegazioni. Avevo sperato in almeno un giorno di tempo.

Ward sorrise sarcastico in direzione di Jennifer. «Che valore può avere detto dalla sua concubina?» Oh, Dio, ci teneva sul serio a perdere un paio di denti.
Charles non sopportò oltre, come temevo. Con due falcate raggiunse il compagno d’armi e lo prese per il bavero con entrambe le mani, per poi affondargli un calcio in pieno ventre, all’altezza dello stomaco.
«Ripetilo e t’ammazzo!» Ebbi la prontezza di afferrarlo per le braccia e trattenerlo prima che continuasse ad infierire sul collega, piegato in due a terra. «Parola mia che lo faccio se non te ne vai in questo istante!»

«Charles! Calmati!» Non mi sentì nemmeno, sgomitando e agitandosi per liberarsi. Esercitai più pressione e gli unii i gomiti dietro la schiena, poi lo attirai a me, tentando di tenerlo fermo. «Non fare cose di cui potresti pentirti» gli sussurrai in un orecchio.

«Lasciami, Haytham, ho detto lasciami!» Senza rendermene conto allentai la presa, stupito dal fatto che per la prima volta mi avesse chiamato per nome e non con quegli inutili appellativi ossequiosi.

Lee si accorse che avevo involontariamente diminuito la forza e tentò di sgusciare via, ma lo trattenni, mentre Ward si rialzava tossicchiando. «Non finisce qui, Lee. Non credere di passarla liscia solo perché non ci sono prove, sospettano tutti di te!» Sabotai il suo ultimo tentativo di liberarsi, tirando un sospiro di sollievo quando Artemas varcò la soglia di Fort George e sparì dietro le mura. Solo quando fui certo che fosse abbastanza lontano mollai Charles, che tornato lucido, si passò una mano sul viso. Prendere a calci un generale non era come uccidere il comandane in capo, però avrebbe potuto causargli problemi non indifferenti.

Si passò ancora una volta le dita tra i capelli, poi sospirò, suppongo maledicendosi per aver reagito d’impulso. Gli diedi una pacca sulla spalla sinistra e non so con quale coraggio riuscii a guardarlo in faccia. Era solo colpa mia, cristo. Perché per una volta non poteva andare tutto liscio?

Jenny lo abbracciò, affondando il viso nella camicia bianca di Lee che, teso in viso, si limitò a deglutire. «Che facciamo ora? Perché accusano Charles?» Piagnucolò guardandomi da sopra la spalla del mio allievo. Bene. Ora devi confessarle tutto, coraggio. Dio, perché la temevo così tanto? Cos’avrebbe potuto farmi? Nulla, ma forse quello che mi spaventava di più era ciò che avrebbe pensato di me, e ad essere onesti mi bastava già la considerazione che avevo di me stesso. Ero stato egoista, d’accordo? Ne ero consapevole. Ed ero stato un bastardo senza scrupoli a non aver ammesso tutto davanti ad Artemas. Avrei scagionato Lee, ma mi avrebbero impiccato senza neanche un processo. Onestamente preferivo aspettare, lasciando la confessione come ultima spiaggia.

«Niente. Cosa vorresti fare? Armarti di fucile e correre dietro a quell’imbecille? Smettila di parlare di cose che non conosci.»

Mi si avvicinò minacciosa, staccandosi da Charles in mezzo secondo. «Ho tutto il diritto di dire la mia, e mi stupisco del fatto che tu non abbia aperto bocca davanti a una tale calunnia! È così che proteggi i tuoi sottoposti? Sei o non sei il Gran Maestro? Assumiti le tue responsabilità, Haytham!» Serrai le labbra lanciando un’occhiata a Charles, che teneva gli occhi bassi. Forse anche lui si sarebbe aspettato un intervento da parte mia, anche solo una parola.

«Le mie responsabilità non sono affar tuo, è chiaro?»

«E allora perché non l’hai difeso?»

«Perché sono stato io ad uccidere Washington, ora sei soddisfatta?»

 

Toh, una volta ogni tanto riesco ad aggiornare ad orari normali –non fateci l’abitudine, lo dico per voi, lol-
Non voglio dilungarmi in commenti perché credo sia palese da che parte stia, vero? Suppongo di sì. Ormai sono ripetitiva, ma va beh: grazie come sempre a chi legge e recensisce, vi adoroh (?).
A lunedì prossimo c:

   
 
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