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Autore: fanny_rimes    16/03/2015    9 recensioni
Damon Salvatore, affascinante seduttore, fa strage di cuori — e di vittime — sullo sfondo di una Chicago proibizionista. Ma stavolta ha giocato con i sentimenti della donna sbagliata: una strega che lo condannerà a 100 anni di prigionia insieme ad un'Originale compagnia, a meno che il suo gelido cuore non impari ad amare.
Chicago, giorni nostri:
Per sfuggire ad un temporale estivo e ad un autostoppista molesto, Elena si ritrova davanti a quella che, dall'esterno, appare come una vecchia dimora abbandonata e distrutta dal tempo...
L'amore vero può davvero sciogliere un cuore di ghiaccio?
Dal testo:
Elena emise un gemito sommesso. «Vi prego, lasciatemi andare.»
Damon la guardò per un istante, allungando una mano per sfiorarle il viso in una leggera carezza da cui lei si ritrasse con un brivido. «Mi spiace, Elena, ma credo proprio che per un po' resterai con noi.»
Ispirato ai film "Beauty and the Beast" e "Beastly" e un tantino al classico Disney.
|AU| AR|
[Scritta per il contest a Turni "Qui comandano i Pacchetti", di DonnieTZ]
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon, Salvatore, Elena, Gilbert, Elijah, Klaus, Mikael, Rebekah, Mikaelson | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Pacchetto scelto: Rosso
- Azione: ridere
- Oggetto: vino
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- Citazione: “Dietro un bel viso può nascondersi un'anima glaciale o un'anima sola, perché la bellezza non corrisponde a felicità.”



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Segreto


 

«Se non è Katherine, allora perché le somiglia tanto?»
«Come fa a vederci?»
«Elijah aveva ragione, l'incantesimo ha una falla.»
Elena aveva riacquistato i sensi da qualche secondo, ma si costrinse a restare perfettamente immobile, sdraiata su quello che pareva essere un soffice divano ad ascoltare quelle voci che si accavallavano in una miriade di domande che non riusciva a comprendere. Chi era Katherine e, soprattutto, perché tutti continuavano a dire che lei le somigliava? Perché tutto quello stupore per il fatto che lei li vedesse? Di che incantesimo parlavano?
Anche ad occhi chiusi, Elena aveva imparato a distinguere quelle voci diverse tra loro. C'era un'unica ragazza, la stessa che l'aveva aggredita poco prima; gli uomini, invece, erano almeno tre: uno di loro aveva un marcato accento inglese, un altro una voce bassa e composta. E poi c'era quella profonda e un po' roca del giovane dagli occhi azzurri.
«La ragazza è sveglia» udì dire e, trattenendo un gemito di paura, schiuse appena le palpebre. Quegli occhi color acquamarina erano a pochi centimetri dai suoi ed Elena scattò a sedere sui soffici cuscini, rannicchiandosi terrorizzata contro lo schienale e stringendosi le ginocchia al petto. Il giovane stava per parlare, ma un secondo ragazzo gli si affiancò, interrompendolo.
Elena si guardò intorno, accorgendosi che, come aveva intuito, nella stanza c'erano altre quattro persone oltre a lei.
«È davvero identica a Katherine» commentò l'uomo dall'accento inglese, osservandola con un sorrisetto a mezza bocca. «La strega ha detto che umani, vampiri, licantropi o streghe non sarebbero riusciti a vederci» disse a nessuno in particolare, poi si chinò per osservarla un po' più da vicino. «Quindi cosa sei?»
Elena si ritrovò a deglutire, mentre gli occhi blu dell'uomo la fissavano con una perturbante curiosità e le parole sembrarono morirle nella gola. Vampiri, licantropi... di che diavolo stava parlando?
Se non avesse visto la sua amica Bonnie praticare piccoli incantesimi da quando, durante l'estate, sua nonna l'aveva informata che la loro famiglia discendeva dalle streghe di Salem, avrebbe pensato di essere finita tra un gruppo di malati di mente. Eppure aveva visto il volto perfetto e bellissimo di quella ragazza trasformarsi in qualcosa di mostruoso. Quelli non erano normali esseri umani.
«Siete streghe?» Elena trovò a stento il coraggio di parlare. Il giovane di fronte a lei fece una smorfia e qualcuno alle loro spalle emise un verso disgustato.
«Allora cosa siete?» insisté, rivolgendo a lui la stessa domanda che lui le aveva fatto poco prima.
Fu il ragazzo dagli occhi di ghiaccio a parlare: «Vedi, Elena, forse non è il caso che tu sappia questo. Per quanto mi spiaccia ammetterlo, abbiamo tutti bisogno di te. E non è il caso che tu ti spaventi.»
«Forse avreste dovuto pensarci prima di aggredirmi e rinchiudermi qui» rispose con un'audacia che la stupì. In realtà stava pensando a quelle parole. Sapere cos'erano l'avrebbe spaventata...
«Credo che abbiamo iniziato col piede sbagliato» continuò l'altro. «Non vogliamo farti del male» aggiunse, ma il luccichio crudele in fondo ai suoi occhi la informò che l'idea non gli sarebbe dispiaciuta. «Quindi faresti a tutti un gran favore se tu facessi amicizia con nostro caro amico Damon.» Avvolse un braccio attorno alle spalle del bruno, che in tutta risposta si scostò con un lieve strattone.
«Non mi serve una balia, Klaus» disse con un ghigno, avvicinandosi un po' di più alla ragazza per osservarla meglio.
Era bellissimo, si ritrovò a pensare Elena, stupendosi di quel pensiero decisamente assurdo data la situazione in cui si trovava.
«Forse stiamo correndo un po' troppo» s'intromise l'altro uomo nella stanza.
Elena alzò lo sguardo verso di lui. Era in disparte, su un lato della stanza e, come gli altri tre, era vestito in modo impeccabile. Si infilò entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni scuri. «Dovremmo lasciarle il tempo di ambientarsi, e fare le presentazioni, magari. La ragazza è spaventata e non credo che questo torni a nostro favore, non pensi?»
«Correndo un po' troppo?» Klaus si posò la punta delle dita sulle tempie, come a voler bloccare un forte mal di testa, poi strinse gli occhi per qualche secondo. Un attimo dopo, aveva afferrato l'enorme tavolo in mogano accanto a lui, scaraventandolo dall'altra parte della stanza e mandandolo in mille pezzi. «Più di ottant'anni bloccato in questa casa e tu vieni a dirmi che sto correndo un po' troppo!» Dalle sue labbra fuoriuscì un verso che, alle orecchie di Elena, parve il ringhio di una bestia. Il suo viso si rilassò di colpo. «Vuoi che faccia le presentazioni? Bene. Questo, Elena, è mio fratello Elijah» disse indicando l'uomo elegante accanto alla parete. «E quella è mia sorella Rebekah.» Fece una pausa. «Ma non devi preoccuparti di loro. Le uniche persone su cui dovrai concentrarti sono il nostro Damon e me.»
«Cos'è che volete?» La voce di Elena venne fuori come un sussurro roco.
«Te l'ho detto. Vogliamo solo che vuoi due diventiate amici.» Sulle sue labbra si allargò un sorriso che le mise i brividi. «In caso contrario, ti strapperò il cuore dal petto con le mie mani.»

«Questa sarà la tua stanza.» Elijah la condusse in una enorme camera da letto al primo piano. Un grosso baldacchino capeggiava al centro della stanza pressoché spoglia; solo un armadio in legno e un'elegante toilette completavano l'arredamento.
«Per quanto tempo resterò qui?» chiese lei, stringendosi nelle braccia mentre un brivido freddo le correva lungo la schiena.
«Spero per poco» rispose l'altro con calma.
«Mi farete del male?» Per qualche strano motivo, quell'uomo era l'unica persona a non metterle paura.
Elijah prese un piccolo respiro, poi scostò lo sgabello imbottito ai piedi della toilette e vi si sedette.
«Klaus a volte può sembrare un tantino...» Fece una pausa, alla ricerca della definizione giusta.
«Crudele e senza cuore?» intervenne l'altra.
«Non è così cattivo come vuole far credere di essere.»
Elena si appoggiò sul soffice copriletto, prendendo a tormentarsi una ciocca di capelli. «Tu sei diverso» si scoprì a rivelare. «Non mi fai paura ma, nei loro occhi, invece... c'era qualcosa.»
Elijah aggottò appena le sopracciglia. «Di chi parli?»
«Di tuo fratello. E di Damon. È come se i loro sguardi fossero completamente vuoti, come se a quei corpi bellissimi mancasse qualcosa. Sono...» Emise uno sbuffo. «Sto parlando a vanvera, come al solito.»
L'altro però la invitò con un cenno della testa a continuare.
«Sembrano così soli e tristi.» Un sorriso amaro le si dipinse sul viso. «È assurdo, vero?»
«No, non lo è. Dietro un bel viso può nascondersi un'anima glaciale o un'anima sola, perché la bellezza non corrisponde a felicità. Niklaus, Damon e Rebekah... e io stesso non abbiamo mai avuto una condotta irreprensibile, e questo ci ha cambiato nel profondo. Ma non è da tutti riuscire a cogliere la tristezza di uno sguardo.» Si alzò in piedi, dirigendosi verso la porta. «Forse sei davvero la nostra speranza.»
«Klaus ha detto che siete intrappolati qui da più di ottant'anni. È questa la maledizione di cui parlavate? È stata una strega?»
Elijah annuì piano.
«Perché credete che io possa fare qualcosa? Non so nulla di incantesimi.»
«Non importa.»
«Ditemi cosa volete che faccia e lo farò.»
«Non è così semplice, Elena.»
«Voglio tornare a casa.» Una lacrima silenziosa le rigò una guancia, poi la vista le si appannò di colpo.
Aveva tentanto di mantenere la calma, di non farsi prendere dal panico, sperando che fosse tutto uno scherzo, un brutto sogno. Ma adesso iniziava a temere che non sarebbe più uscita di lì.
«Dovresti riposare» mormorò lui. «Rebekah ti porterà qualcosa da mangiare e più tardi ti aiuterà a prepararti.»
«Prepararmi per cosa?»
«Per la cena di stasera.»
Elena si morse un labbro e si costrinse ad annuire, ma non appena la porta si chiuse alle sue spalle, tutto quello che riuscì a fare fu lasciarsi cadere sul materasso e piangere.

Elena si strinse nell'asciugamano, mentre Rebekah finiva di acconciale i capelli.
«Ci è voluto un miracolo per coprire quelle occhiaie» si lamentò la ragazza alle sue spalle, lanciandole un'occhiata seccata attraverso lo specchio.
Elena osservò la propria immagine riflessa, anche se, in quel momento, non le importava nulla del suo aspetto. Se se ne stava seduta lì a farsi arricciare i capelli solo perché quella ragazza — o qualunque cosa fosse — le faceva paura.
Rebekah le appuntò un'ultima forcina, poi emise un verso che pareva compiaciuto.
Elena si avvicinò un po' di più allo specchio, mentre l'altra apriva l'armadio: i capelli raccolti sulla nuca erano stati acconciati in morbide ciocche ondulate. Le sopracciglia sottili mettevano in risalto gli occhi leggermente truccati dalle ciglia lunghissime e le labbra rosse brillavano sul viso pallido di cipria.
«Questo può andare, direi» disse la ragazza alle sue spalle, avvicinandosi con un abito scuro ricoperto di paillette.»
«Già» commentò con non troppa enfasi. «Forse solo un tantino... fuori moda?»
Rebekah arricciò le labbra in un'espressione contrita. «Be', scusami tanto, ma non ho avuto molte occasioni per fare acquisti negli ultimi anni. Ora sbrigati» la liquidò, uscendo dalla stanza a passo svelto.

Venti minuti dopo, Elena era seduta davanti allo stesso tavolo in mogano che — ci avrebbe giurato — Klaus aveva mandato in pezzi qualche ora prima.
Damon sedeva alla sua destra, a capo tavola e, da quando era entrata nella stanza, non le aveva tolto gli occhi di dosso nemmeno per un istante.
«Gradisci del vino?» le chiese in tono gentile.
Lei annuì, anche se quella gentilezza le parve in qualche modo forzata. Dopotutto, quel ragazzo la teneva lì contro il suo volere, non aveva battuto ciglio quando Klaus l'aveva minacciata di morte e, da quanto aveva intuito, se si trovava in questa situazione dipendeva in qualche modo esclusivamente da lui. Altrimenti perché l'avrebbero costretta a mettersi in tiro per quella che aveva tutta l'aria di essere una cenetta romantica?
Buttò giù tutto d'un fiato il contenuto del suo bicchiere poi, senza aspettare che l'altro se ne occupasse, lo riempì ancora.
La tavola era piena di pietanze di ogni tipo e, nonostante tutto, Elena iniziò ad avvertire i morsi della fame.
«Devo dedurre che neanche tu hai in mente di informarmi su quello che avete intenzione di fare con me?» disse al secondo bicchiere, con un'audacia che la stupì, forse scaturita dall'alcol.
«Direi che le tue deduzioni sono esatte» commentò l'altro, portandosi la forchetta alle labbra e fermandosi a masticare con calma.
«Per quale motivo non mi dite cosa devo fare e mi lasciate andare?»
«Perché non è una cosa che puoi decidere di fare. Né io né tu possiamo.»
«Come pensate che io possa esservi d'aiuto, allora?»
Un po' stordita dal vino, urtò con il gomito il bicchiere, rovesciandone il contenuto sul proprio abito.
Damon scattò in piedi, afferrando un tovagliolo per aiutarla.
«Non toccarmi» protestò lei, scivolando all'indietro e producendo un fastidioso stridio mentre la sedia strofinava sul pavimento.
«Io...» Fissò la macchia scura che si allargava sulla stoffa, all'altezza del ventre e d'un tratto il panico le attagliò lo stomaco. «Volete che noi due diventiamo amici, organizzate tutta questa messa in scena della cena e... Oh, mio Dio. Mi costringerai a fare sesso con te, vero? Avete bisogno di un erede o qualcosa del genere? Oppure volete organizzare uno di quei riti esoterici in cui gli altri si accoppiano con la vittima sacrificale...» Si alzò dalla sedia, allontanandosi dal tavolo, mentre Damon la fissava.
Aveva così paura che le mancava il fiato e il cuore le batteva all'impazzata.
Prese a correre in direzione delle scale, ma l'altro fu più veloce. La afferrò per i polsi, bloccandola contro una parete. «Sta' calma» le ordinò, fissando lo sguardo in quello di lei. Elena vide le sue pupille dilatarsi, inghiottendo le iridi chiare e una strana sensazione di tranquillità la convinse a smettere di agitarsi per liberarsi dalla sua presa.
Damon inclinò la testa da un lato, piegò un labbro in un sorriso asimmetrico e, senza alcuna ragione, scoppiò a ridere. Una risata profonda, spontanea, che lo portò a pensare che erano passati anni dall'ultima volta che aveva riso così di gusto.
Elena lo fissò, sconvolta e confusa da quella reazione.
«Sei una ragazza strana, Elena» commentò lui, riprendendo fiato. «Non voglio accoppiarmi con te. Non che la cosa mi dispiaccia» si affrettò ad aggiungere, correndo con lo sguardo sul suo corpo.
Elena fu attraversata da uno strano brivido e, quando gli occhi di ghiaccio di lui tornarono nei suoi, si ritrovò a mordersi un labbro.
«Ma non credo che al momento servirebbe a qualcosa» continuò. «E non voglio avere un erede — nessuno di noi può avere figli — né tantomeno sacrificarti su un altare nel bosco. Anche perché mi è impossibile attraversare la porta d'ingresso, come avrai capito.»
Elena parve stranamente imbarazzata.
«Allora cosa?»
«Voglio che ti innamori di me» confessò, mentre il suo sguardo si scuriva ancora una volta.
«Innamorami di te? Come potrei innamorarmi di te? È colpa tua se sono qui.»
Damon emise un verso seccato, poi strinse i denti con rabbia. «A quanto pare la compulsione non funziona. Dovevo immaginarmelo, maledetta strega!»
Elena aggrottò la fronte. «Di cosa stai parlando?»
«Di niente. Dimentica quello che ti ho detto.»
Elena batté le palpebre. «Quindi? Cosa vuoi da me?» chiese ancora.
«Se ti raccontassi i dettagli, questo potrebbe influenzare in qualche modo le tue scelte» rispose il bruno, lasciando finalmente andare la ragazza che, però, restò immobile contro la parete.
«Le mie scelte?» Elena tentò di trattenere le lacrime. «Sono conciata come una diva degli anni trenta, sto cenando a lume di candela con uno dei miei rapitori, sono rinchiusa in una casa maledetta da una strega e ti preoccupi di non influenzare le mie scelte? Quali scelte? Non ho deciso io di restare qui. Voglio andare a casa, voglio tornare dalla mia famiglia e dai miei amici.» Nonostante gli sforzi, le lacrime avevano cominciato a rigargli il viso, rovinando il duro lavoro di make-up di Rebekah.
Damon le avvolse il viso con le mani, avvicinandosi tanto a lei che Elena credette stesse per baciarla. Lasciò scivolare i pollici sulle sue guance, asciugandole le lacrime e Elena scorse di nuovo quelle ombre scure e tristi in fondo ai quei due pezzi di cielo color acquamarina.
«Mi dispiace, Elena» disse. «Mi spiace davvero. Ma sei l'unico modo che ho per salvarmi la vita ed uscire di qui. Non posso lasciare che tu te ne vada.»
«Bene.» Lei si sostò dalla sua presa con uno strattone. «Spero tu voglia scusarmi, ma mi è passata la fame.»
Senza aggiungere altro, si diresse su per le scale. Non si voltò a guardare indietro, nemmeno quando lo udì emettere un grido di rabbia e, quella che sarebbe dovuta essere la loro cena, si infranse sul pavimento in un mare di cocci e rifiuti.

 

                                                                                                                                                                                                         

Damned Again: Sono un po' in ritardo, lo so. Ma il pc ultimamente fa strani scherzi e temo che da un momento all'altra sia costretta a dovergli dare l'ultimo triste addio (distruggo un pc all'anno, ma ogni volta è dura da accettare). 
Detto questo. Avendo passato il primo turno del contest a cui questa storia partecipa, ecco a voi il secondo capitolo! (Non temete, la porterò a termine comunque, anche se mi fanno fuori dal contest!) XD
No aggiungo altro, solo i miei ringraziamenti a LilyStel, PrincessOfDarkness90, Simiale72, Danila_ians e ire_39 per le loro reensioni e a tutti quelli he hanno inserito questa breve storia tra le seguite e le preferite.
Baci
♥ Fanny
 

 

   
 
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