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Autore: Isidar Mithrim    17/03/2015    3 recensioni
La natura non tollera una salute inguaribile.
Storia di una ragazza vinta che non si è arresa.
{Seconda classificata al contest “Un segno zodiacale per una storia” indetto da Aurora_Boreale con il prompt Cancro}
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ultima partita

La natura non tollera una salute inguaribile
{Thomas Bernhard}

Neoplasia.
Così c’era scritto sulla sua cartella, come fosse l’etichetta di un barattolo o il titolo d’un libro, di quelli con le copertine rigide e il prezzo alle stelle.
Nuova formazione, voleva dire. Quando aveva scoperto il significato di quella parola quasi le era venuto da ridere, perché formazione evocava l’idea di qualcosa di schematico, definito, controllato. Una formazione era quella che il suo allenatore consegnava all’arbitro prima di ogni set, era quella dei caccia da combattimento, quella dei soldati in marcia.
Quella che le cresceva in corpo, di formazione, era tutt’altro che definita e controllata.

Tumore lo chiamavano invece i dottori quando parlavano con lei, come se il termine tecnico fosse troppo ostico da digerire, troppo duro per costringere le sue orecchie nude ad ascoltarlo.
Gonfio, edematoso, era questo che significava. Aggettivi che poco si addicevano alla massa annidata dentro di lei. Piccola, ma non per questo meno insidiosa.
Non per questo meno letale.
Quella parola le richiamava alla mente solo la dolorosa tumefazione che due anni prima le aveva fatto lievitare il piede quando era scesa male da un salto.
Era dovuta stare ferma un mese e all’epoca, ancora ignara della sua malattia, le era parsa una tragedia.

Kappa era invece il termine che usavano i medici tra loro, se dovevano nominarlo davanti a lei tagliandola fuori dal discorso. Per questo era la parola che odiava di più: udirla le dava quella stessa spiacevole sensazione che si ha quando si sente qualcuno sghignazzare e non si può fare a meno di temere che stia ridendo di te. La faceva sentire un’inetta, come se fosse l’unica persona presente incapace di comprendere l’intima natura della propria malattia. La faceva sentire debole, come se quello fosse un mostro tanto spaventoso da non poterne pronunciare il nome, da non poterlo combattere.
Figuriamoci vincerlo.
Kappa, come la K di carcinoma.
Che non inizi davvero con la K è un dettaglio a cui nessuno sembra aver mai dato troppo peso.

Cancro, invece, era il nome con cui preferiva chiamarlo lei. Granchio.
Primo, perché aveva un solido carapace centrale, un cuore duro da cui si dipanavano sottili ed infide zampe. Non otto, non dieci, non cento, ma migliaia di propaggini digitiformi erano gli arti del suo cancro dai margini slabbrati. Si estendeva maligno senza soluzione di continuità, incapace di accontentarsi dei suoi spazi, e con le sue potenti chele si faceva strada tra le strutture adiacenti, sovvertendole, logorandole.
Secondo, perché era indubbiamente vivo. E – come ogni creatura vivente che si rispetti – era nato, si nutriva, cresceva e si riproduceva, diffondendosi e metastatizzando.
Solo una voce mancava all’appello.
Perché il suo cancro sembrava proprio non volerne sapere, di morire.
Anzi, era uno specialista del non morire.
Era in grado di crescere senza ossigeno, succhiando come un parassita tutto il suo glucosio, la sua linfa vitale. Aveva accumulato mutazioni su mutazioni, prima per evitare il sadico destino dell’apoptosi – la morte cellulare programmata – quindi per proliferare in modo sempre più incontrollato e disordinato.
In sintesi, era diventato immortale.

Quando infine le confessarono che nel giro d’una manciata di giorni tutti i suoi organi vitali avrebbero cominciato ad andare in insufficienza, allora capì.
Anche quel cancro, come tutti gli esseri viventi, era destinato a soccombere. D’altronde, nessuna mutazione sarebbe stata capace di tenerlo in vita quando lei fosse tornata polvere.

**

Qui giace Sofia,
figlia, sorella, amica e atleta
che ha perso a vent’anni
la partita della vita.

*******





NdA
La storia partecipa al contest "Un segno zodiacale per una storia" di Aurora_Boreale con il prompt Cancro.
L’introduzione è parafrasata dall’epitaffio dello scrittore statunitense Saul Bellow, “Qui giace un vinto che non si è arreso”. Per un po’ ho pensato di usarla direttamente come titolo, poi come sottotitolo.
Come sottotitolo ne ho poi preferita un’altra (che è stata anche in lizza per diventare titolo), il cui senso – a mio avviso – è che anche la salute va “guarita” (per contrasto, lo leggo come uccisa, annientata), perché è nella natura delle cose che tutto finisca.
Per quanto credo sarebbero stati titoli migliori, il fatto che non fossero farina del mio sacco mi ha fatto optare per quello attuale.
Altre citazioni interessanti che ho trovato durante la mia ricerca sono: “She did it the hard way” [Epitaffio di Bette Davis, a cui la traduzione italiana non rende giustizia]; “Tu hai una malattia mortale: è chiamata morte” [Socrate].
Tutte le informazioni mediche sono singolarmente vere e globalmente plausibili (ovvero, uno stesso tumore può effettivamente avere tutte quelle caratteristiche). Lo stesso vale per il significato dei termini. Carcinoma si scrive così (senza K) anche in inglese.
Ho molto penato a scrivere l’epitaffio finale… Non so se “partita della vita” risulterà una scelta azzeccata (piuttosto che ‘ultima partita’, ad esempio), ma mi piaceva il fatto che celasse una doppia interpretazione, una metaforica (la vita come una partita, che comunque Sofia ha combattuto, nonostante tutto), una meramente sportiva (ogni atleta che si rispetti prima o poi giocherà “la partita della vita”, che può significare sia la partita perfetta, sia che è una partita fondamentale).
“Scesa male da un salto” è una frase usata nel gergo sportivo per descrivere un infortunio avvenuto durante la fase di “atterraggio” di un salto, non so se sia diffusa al di fuori dell’ambito.
Le ripetizioni sono volute, spero non risultino pesanti.
E basta, credo sia tutto… Ah, no, ci tenevo a dire che è la mia terza storia originale, e le altre due le ho scritte anni or sono. È stato un bell’esperimento!
Grazie per aver aver letto :)

   
 
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