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Autore: SagaFrirry    17/03/2015    1 recensioni
La Dea Atena risveglia i suoi cavalieri, condannati nella roccia dopo aver abbattuto il muro del pianto. Tutti gli Dei greci richiamano i loro sottoposti e creano alleanze. Perché? Non me ne vogliano i puritani della mitologia..in questa storia gli Dei greci lottano contro le divinità romane. L'Olimpo è troppo piccolo!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Olympus Chapter'
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XIII

 

DIMOSTRARE

 

Dopo un periodo trascorso a curarsi dalle ferite del drago, Arles era pronto a combattere. Ma non ne aveva alcuna voglia. Il gemello Kanon era partito, diretto al palazzo di Poseidone, per cercare di capire se l’armatura era stata un dono del Dio od una coincidenza. E, soprattutto, se la divinità gradiva quanto successo o se non vedeva l’ora di tirargli il collo. Ares si stava abituando al marchingegno di Efesto e riusciva a camminare, anche se solo per brevi tratti. Gli altri abitanti del tempio si tenevano in costante allenamento e stavano all’erta, pronti ad agire.

Steso sul tetto della tredicesima, il sacerdote si sentiva un pochino una lucertola e prendeva il sole. Il drago non lo aggrediva. Si limitava ad infastidirlo saltuariamente, quando si annoiava. Arles aveva scoperto che era solo un cucciolo e che Ares ne possedeva uno ben più grosso, così come più grandi erano quelli di Phobos e Deimos. La bestiola piaceva a qualche cavaliere d’Atena. A Milo, per esempio, piaceva giocarci a palla.  

“Cosa fai quassù?” domandò Deimos, raggiungendo con agilità il fratello “Giochi a fare l’acroterio, fratellino? Ti diverti?”.

“Che vuoi?” sbottò Arles.

“Vieni di sotto, mi voglio divertire”.

“Fottiti!”.

“Vieni!”.

Deimos tirò il fratello per un braccio.

“Sei un coniglio. Non vuoi affrontarmi perché hai paura di fare l’ennesima figura di merda!”.

Arles si accigliò e tentò di colpire il fratello, che svolazzò con agilità. Indossava una splendida armatura alata, un drago verde scuro.

“Torna qui, rompicoglioni!” sibilò il fratello più piccolo, cercando di afferrarlo.

Si inseguirono e finirono entrambi all’anfiteatro del tempio. Iniziarono ad azzuffarsi, senza risparmiarsi. Fra insulti e pugni, il sacerdote era furioso. Deimos, invece, rideva. Nonostante venisse colpito anche abbastanza violentemente, non sembrava preoccuparsene.

“Fai divertire anche me!” si intromise Phobos.

“Vaffanculo, aptero!” ringhiò Arles.

“Non sono aptero!”.

“Ma non sai volare. Come i pinguini..o i tacchini!”.

“A chi hai dato del tacchino?!”.

Phobos e Deimos infierirono sul fratello, che non si tratteneva e rispondeva a suon di cazzotti.

“Ti strappo tutti i capelli, mortale!”.

“Ed io ti sfascio la faccia a suon di esplosioni galattiche!”.

“Phobos! Deimos!” tuonò Ares “Piantatela di nonnizzare vostro fratello!”.

“Nonnizzare?!” risposero i due, in coro.

“Piuttosto..Arles! Ho qualche appunto da farti riguardo la tua tecnica di combattimento”.

“Prego?!” si stizzì il cavaliere.

“Hai una buonissima tecnica, per carità, ma con ampi margini di miglioramento”.

“A che titolo tu vieni qua, dopo tutta una vita che combatto, a dirmi che non va bene come lo faccio? Sono gran sacerdote mica per hobby..”.

“Ma non metto in dubbio la tua potenza. Solo che puoi migliorare”.

Arles alzò un sopracciglio.

“Il tuo problema..” continuò il Dio “..è che usi molto la parte superiore del corpo. I tuoi colpi e movimenti sono tutti incentrati dalla vita in su. Usi molto le spalle, le braccia, il torace..ma le gambe le utilizzi solo per muoverti”.

“Detto da uno che non può camminare..”.

“Sei proprio un piccolo bastardo”.

“Lo so..”.

“Quello che intendo, è che i tuoi fratelli ti battono perché hanno una tecnica più completa. Usano anche gli arti inferiori. Tu al massimo alzi le ginocchia ma preferisci di gran lunga usare le braccia. È notevole ammazzare la gente a suon di pugni, ma sarebbe meglio usare anche i piedi”.

“Lo farò quando li userai tu”.

“Arles! Dovresti ascoltarlo” lo rimproverò, velatamente, Atena.

La Dea era apparsa e stava raggiungendo il fratello. Il sacerdote la osservò e lei arrossì leggermente, perché il suo cavaliere era molto poco vestito.

“Ares è il Dio della guerra” riprese a parlare poi, indicando il fratello “Di combattimenti e tecniche ne conosce di certo più di te, che sei un mortale”.

“Anche voi siete la Dea della guerra” rispose Arles “Ma non credo accetterei suggerimenti di carattere strategico, dopo tutte le volte che vi siete fatta fare il culo e ci è toccato salvarvi”.

“Oggi sei nervoso..”.

“Meglio non risponda. Potrei essere cattivo”.

“Suvvia, Atena” rise Ares “Non serve che lo stuzzichi pure tu. Ci penso già io!”.

Il sacerdote fece per andarsene. Era stanco di discutere.

“Come ti sei fatto quelle cicatrici?” domandò ancora il padre.

“Quasi quarant’anni di botte” sbottò il figlio.

“Cosa vuoi che sia? Io ho migliaia di anni di botte alle spalle!”.

“Hem..fottesega?!”.

“Sei dolcissimo”.

“Come un pulcino di zucchero”.

“Questa cicatrice me l’ha fatta proprio Atena” informò il Dio, mostrano una spalla.

Arles, senza parlare, indicò il segno che aveva sul cuore, dove si era preso la bastonata della Dea quando si era suicidato.

“Sì, Atena ci ama” rise Ares.

“Da morire”.

“Segui il mio consiglio”.

“Ok. Fai due passi dalle mie parti, quando vuoi aiutarmi ancora”.

“Pulcino zuccheroso..non farmi incazzare!”.

“E tu smettila di sfottere perché sono mortale e perché non so cavalcare il tuo dannato cavallo, che vuole solo mangiarmi i capelli e mordermi!”.

“I cavalli non mordono!”.

“Il tuo sì!”.

Ares sospirò e scosse la testa. Avrebbe voluto prenderlo a calci, ma le sue gambe non ne erano in grado. E sculacciarlo non era proprio il caso.

 

Kanon conosceva molto bene le stanze di Poseidone. Giunse al cospetto del Dio senza troppi problemi, pur essendo piuttosto nervoso. Salutò i suoi colleghi di un tempo, che storsero un po’ il naso a vederlo. Il Dio dei mari, sul suo solito trono, osservò Kanon a lungo, prima di aprir bocca.

“Questa cosa non ha senso” commentò “Perché mai una delle mie armature è di nuovo su di te? E perché ha mostrato le ali?”.

“Non posso saperlo io” sbottò Kanon “Sono qui proprio per questo. La tua Sea Dragon mi ha inseguito per mezzo tempio, prima di mettersi a svolazzare con me dentro”.

“Strano..da Atena capitano sempre cose bizzarre”.

“Concordo. Adesso ci sono pure i draghi!”.

“I draghi? Ah, ma..Ares è da voi, giusto?”.

“Esattamente”.

“Allora è tutto chiaro! Dove sta Ares, si svegliano sempre i draghi. Quindi anche l’armatura ha reagito ed ha assunto quell’aspetto”.

“Sì ma..io sono il cavaliere dei Gemelli, non un tuo generale!”.

“Non è una scelta mia. Io non ti vorrei mai a mio servizio”.

“E nemmeno io voglio stare qua. Perciò riprenditi quest’armatura e lasciami in pace!”.

Kanon tentò di liberarsi della Scale, che però non ne voleva sapere di lasciarlo. Rimase ancorata al corpo del cavaliere, nonostante le sue proteste.

“È l’armatura a sceglierti, non viceversa” sorrise, divertito, Poseidone.

“Beh ma che si fotta l’armatura! Io sto bene alla terza casa!”.

“E restaci. Chi te lo vieta? Tanto siamo tutti alleati..”.

“Io sono qui per appurarmi che poi non ti girino le palle e venga a cercarmi per punirmi”.

“Non lo farò. Poi..mi sono giunte all’orecchio voci interessanti”.

“A che proposito?”.

“Su presunti legami di parentela divina”.

“Parli di Ares? Non ci sto capendo molto ma, quando avrò compreso, ti manderò un sms. Ok?”.

“Sms?”.

“Sì. Che c’è? Voi Dei non avete il cellulare?”.

Poseidone non rispose. Lo aveva, ma non dava il suo numero a nessuno, meno che mai ai suoi fratelli e parenti, che lo avrebbero riempito di foto imbarazzanti e messaggini inopportuni. L’idea che Kanon fosse in realtà figlio di Ares gli piaceva. Così giustificava il fatto di essere stato ingannato da quel mortale. Non era un semplice mortale bensì un discendente divino. Ottima cosa da dire, per salvarsi la faccia!

 

Milo e Deathmask osservavano da lontano le due donne. Pentesilea e Mirina, la regina delle amazzoni e la somma sacerdotessa di Ares, stavano dando bella mostra di sé all’arena del tempio. Allenandosi, le due stuzzicavano molte fantasie maschili. Quando videro arrivare Deimos, seguito da Arles, sorrisero.

“Come se la cava nel volo il nuovo arrivato?” domandò Mirina.

“Egregiamente, direi” rispose Deimos, con un cenno d’orgoglio verso il fratello.

“Splendido!”.

“Anche se possiamo ancora migliorare, vero Arles?”.

Il sacerdote si limitò ad annuire, stufo di continue chiacchiere a lui rivolte.

“Un giorno verrò a vederti” commentò Mirina “Sono sicura che sei bravissimo. Ed anche molto affascinante, con quelle ali spiegate”.

“Quando vuoi..” acconsentì lui, andando a sedersi fra i primi gradini dell’anfiteatro.

Era piuttosto stanco, ma c’era una cosa che si era ripromesso di fare..

“Hei!” interruppe i suoi pensieri Milo “Carina la fanciulla. Lieto di vedere che ti dai di nuovo da fare, sacerdote!”.

“Ma che discorsi fai? Guarda che è mia sorella!”.

“Sorella?”.

“Sì, sorella. Sei duro d’orecchi? Vuoi che te la presenti?”.

“Cosa? Io? Ma..”.

“Mirina!” non attese risposta Arles “Vieni qui un secondo”.

L’amazzone si avvicinò e Deathmask protestò. Ed a lui niente?!

“Sei fidanzato!” lo spinse via Milo.

“Fatti miei!”.

“Pentesilea” chiamò, con un sospiro, il sacerdote.

Entrambe le donne raggiunsero il fratello minore, che si rialzò.

“Questi miei amici..” spiegò “..vorrebbero tanto conoscervi”.

“Benissimo” ghignò Mirina “Allora alzatevi! Non c’è modo migliore di conoscersi se non con un bel combattimento corpo a corpo”.

“Che..?!” spalancò gli occhi Deathmask.

“Buon fortuna” rise Arles “Sono amazzoni. Picchiano di brutto!”.

“Lo sappiamo”.

“Me se le battete..stanotte vi divertite. Ora scusatemi, ma ho una cosa da fare”.

 

Ah, Eleonore! Bellissima Eleonore! Eleonore che mutava il suo aspetto seguendo le fasi della luna, che danzava per celebrare la Dea, che intrecciava i lunghi capelli con fiori variopinti. Eleonore, quella Eleonore, non esisteva più. Al suo posto, vi era la nuova moglie di Hades, molto più tenebrosa e silenziosa. Ed innamorata di un uomo diverso. Arles era rassegnato. Come poteva competere, contro un Dio? Un Dio che, per quanto fosse inquietante, era sano di mente e privo di individui che passavano la giornata a mettergli i piedi in testa..

In quella notte di luna piena, il sacerdote camminava nel buio. Con fra le dita il fiore preferito di lei, un giglio, il cavaliere sapeva bene che visitare la tomba della sua amata era del tutto inutile. Sospirò. Com’era triste all’idea che nemmeno vagamente lo ricordasse! Kanon amava fargli quei discordi filosofici sul fatto che è meglio amare e perdere piuttosto che non amare mai, ma per Arles non era così.  Aveva passato gran parte della sua vita nella totale convinzione di non poter essere amato da nessuno a causa della sua personalità ambigua ma Eleonore  aveva cambiato quella sua prospettiva. Era angosciante. Ma si era ripromesso di reagire e dimostrare a tutti di non essere di animo debole. Giunse nei pressi di un lago, su cui il riflesso del satellite argento era limpido e magnifico. In esso, un gruppo di donne nuotavano, di cielo vestite. La loro pelle nuda brillava, riflettendo la luna con ogni goccia che scivolava su di essa. Erano immerse fino ai fianchi e danzavano, tenendosi per mano. Poi una di loro spalancò gli occhi, coprendosi il seno.

“Un uomo!” gridò.

Arles continuò ad avanzare, senza cambiare espressione. Le donne stavano facendo un gran baccano, cercando di coprirsi.

“La pagherai!” parlò, con tono grave, colei che stava al centro del gruppo “Mortale, pagherai caro questo affronto!”.

“Non vedo l’ora” rispose Arles “Diana, Dea romana della luna”.

“Chi sei? Voglio sapere il nome che scriverò sulla tua tomba”.

“Non ha importanza il mio nome. Dovessi morire, lasciami pure marcire in pasto ai corvi”.

“Non usare frasi ipotetiche. Tu stanotte morirai!”.

Uscendo lentamente dall’acqua, mostrandosi del tutto nuda per qualche istante, Diana chiamò a sé la sua armatura. Le sue sacerdotesse fecero lo stesso. Arles lasciò cadere il giglio che aveva fra le mani e lasciò che anche la sua armatura lo vestisse.

“Sei un guerriero di Ares?” domandò Diana, riconoscendo le vestigia.

“Sono tante cose. Fra queste, l’uomo che follemente amava Eleonore”.

“E chi è?”.

“Magari all’altro mondo te ne ricorderai”.

“Ti piacerebbe! Porta i miei saluti al tuo caro padrone, quando varcherai le soglie del regno dei morti! E spero di spedirti presto, a farti compagnia, Artemide!”.

Arles non rispose. Era bello sapere che i nemici ancora credevano Ares morto. La Dea romana si preparò a scoccare le sue frecce. Con rabbia, ne inviò una schiera contro l’invasore che però riuscì a respingerla, spedendola in una diversa dimensione.

“Notevole che un mortale faccia questo”.

“Non hai ancora visto niente..”.

Arles non era affatto sicuro di riuscire a battere la Dea ma non riusciva a togliersi dalla testa quella scena: la sua amata stesa a terra in un lago di sangue, in un coma da cui non si era mai più risvegliata. Per anni aveva sofferto ricordando, senza mai trovare la forza necessaria per reagire e vendicarsi. Ora l’aveva trovata quella forza..ma forse aveva fatto una cazzata! La Dea lo colpì violentemente, con un calcio. Lui si riprese in fretta e saltò, prendendo il volo. Lei lo imitò ed iniziò uno scontro aereo, fra le frecce che le sacerdotesse di Diana lanciavano verso il nemico. Alcune andavano quasi a segno ma non fermavano la furia di Arles, il cui sguardo rosso sangue incrociò quello della Dea. Lei parve intuire il legame fra quell’uomo che la sfidava ed il Dio della guerra. Ne fu lievemente spaventata.

“Non riuscirai a battermi” commentò “Sei comunque un mortale, anche se di discendenza divina”.

Lo colpì, facendo lo indietreggiare.

“Ora ricordo..” commentò “Eleonore! La somma sacerdotessa di Artemide! Una cosa inaudita per me che una delle mie adepte si faccia toccare da mani maschili”.

“Anche per Artemide lo era. Ma ha compreso il legame che vi era fra lei e la sua sottoposta e non ha avuto nulla da ridire. Lei aveva compreso il nostro amore”.

“L’amore è qualcosa di decisamente sopravvalutato”.

“Ti do ragione. Ma io affronterei mille e più nemici se, in cambio, potessi riaverla accanto”.

“Capirai! Non sai fare altro, galoppino di Ares! Null’altro, se non combattere”.

Arles schivò l’ennesimo attacco ed avanzò sicuro. Allungò il braccio ed affondò gli artigli delle sue vestigia nella carne di lei. Questo lo scoprì, permettendo alle sacerdotesse di raggiungerlo con qualche freccia.

“Io non sono il galoppino di Ares” commentò, afferrando la Dea per i capelli “Io sono il gran sacerdote di Atena. E Ares..Ares è mio padre, romana!”.

Detto questo, strinse la Dea a sé e le diede un bacio, di quelli che la sua avversaria tanto odiava, con tanta lingua e disprezzo. Lei gemette, trovando la cosa disgustosa ed umiliante. Cercò di liberarsi dalla presa di lui ma non ci riuscì.

“Ringrazia che sono qui solo per ucciderti..” le sussurrò all’orecchio Arles “..perché questa battaglia mi ha decisamente eccitato”.

Diana spalancò gli occhi e gridò, pronta a lanciare un ulteriore attacco. Il cavaliere l’anticipò e la colpì con violenza. La Dea cadde in terra, nel suo stesso sangue. Poi l’avversario si concentrò sulle sacerdotesse. Estraendosi dal corpo  varie frecce, capì che non aveva altro che delle fanciulle smarrite dinnanzi a sé. Senza la loro Dea, non erano niente. Ci mise qualche istante a sconfiggerle, anche perché erano poche e deboli.

 

Il lupo ringhiò. Mirina, ancora fra le braccia dello Scorpione, si svegliò.

“Hai sentito?” mormorò.

“Sì, sono Shaina e Deathmask che litigano” sorrise Milo “Normale amministrazione”.

“No. C’è altro. Il lupo di mio padre sta ringhiando”.

“Nemici?”.

“Non lo so”.

Milo uscì dal letto, senza preoccuparsi troppo della sua nudità. Raggiunse l’uscio della sua casa ed intravide un’ombra sulle scale.

“Chi è là?” domandò.

L’ombra si mosse leggermente, facendosi illuminare dalla luna.

“Arles!” sobbalzò Milo.

Il sacerdote era ricoperto di sangue, suo e del nemico. Con i capelli neri incollati al viso in ciocche scomposte, fra sudore e coaguli, non aveva di certo un aspetto rassicurante. Inoltre il suo sguardo era spaventoso.

“Torna a letto, Scorpione” mormorò Arles, riprendendo il suo cammino.

“Sì” balbettò il guardiano dell’ottava casa.

Era sceso uno strano silenzio. Nemmeno Deathmask e Shaina si udivano più. Probabilmente, dopo la rabbia iniziale nel trovare il suo uomo con un’altra donna, l’Ofiuco aveva trovato il modo di farsi rabbonire. Pentesilea, nel frattempo, si era allontanata in silenzio, soddisfatta.

 

Ares dormiva e sognava. Si svegliò di colpo, udendo un rumore.

“Arles! Sei tu! Smettila di farmi spaventare!” borbottò.

Si alzò a sedere, un pochino intontito, e solo in quel momento si accorse dello stato in cui versava il figlio.

“Che ti è capitato? Non dirmi che sono stati Phobos e Deimos!”.

Il sacerdote camminò lentamente e si inginocchiò dinnanzi al padre.

“Chiedo perdono” mormorò “Avevate chiesto la testa di Marte ma io, per quella, non sono ancora pronto. Vogliate, intanto, accettare questa”.

Con riverenza, Arles mostrò al Dio il suo trofeo: la testa di Diana. Ares sobbalzò.

“Arles! Hai affrontato Diana da solo?”.

“Sì”.

“Sei un pazzo!”.

“Perdonatemi. È che..avevo un peso dentro di me..”.

“Ed ora se n’è andato?”.

“No..” sospirò Arles, chinando ancora più il capo.

Il Dio della guerra pose una mano fra i capelli del figlio.

“Sono fiero di te” gli disse “Ma non correre rischi inutilmente. Potevi morire..”.

“Lo so. Ma che importa?”.

“In guerra contano gli uomini migliori. Se li perdo per strada, non va certo bene! Ora va a riposare. Sei ferito”.

Arles si rialzò, senza dire nulla. Si trascinò fino alla grande vasca della tredicesima e, spogliatosi di vesti ed armatura, vi si immerse. L’acqua limpida cambiò colore, tingendosi di rosso sangue. Il sacerdote gemette e chiuse gli occhi. Si sentiva meglio, ora che lo sciabordio della lieve corrente lavava via ogni segno dello scontro. Si ritrovò con le lacrime sul viso. Che razza di ennesimo mostro era diventato? Accecato dalla rabbia e dalla vendetta, aveva affrontato ed ucciso una Dea. Una figura in cui molti credevano ed ora ai quei molti mancava una guida. E quante altre vite aveva distrutto, uccidendo le sacerdotesse? E tutto questo per quale motivo? Eleonore non sarebbe mai tornata, mai più. Un rumore lo distrasse da quei pensieri. Un’ancella, una delle poche rimaste al tempio, era entrata e si era lasciata sfuggire un gridolino di spavento.

“Chiedo perdono!” si affrettò a dire “Io a quest’ora pulisco, perché non c’è mai nessuno. Me ne vado subito”.

Iniziò a raccogliere gli asciugamani che aveva fatto cadere in terra. Quando rialzò lo sguardo, Arles le stava di fronte. Le afferrò i polsi, facendo di nuovo finire in terra i panni.

“La prego, non mi punisca. Mi dispiace!” supplicò lei “Non succederà più”.

Il sacerdote non cambiò espressione. La strinse a sé e la fece sua. La fanciulla gridò.

“Scusami” gemette Arles “È che questa battaglia mi ha decisamente eccitato”.

 

 

Chiedo perdono per chi si sentirà in qualche modo turbato da certi passaggi e grazie a tutti coloro che stanno seguendo la storia fin ora. A presto!

   
 
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