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Autore: Fenio394Sparrow    17/03/2015    3 recensioni
{Lo Hobbit|| OC|| Arya!Centric || Movieverse|| Long|| Prequel! Winter is Coming}
{«State sorvolando sulle condizioni in cui lascerete andare, signore.»
Thranduil la guardò stupito, senza capire dove stesse andando a parare Arya. «Non so quale considerazione abbiate riguardo gli uomini, signore, o delle bambine che si accompagnano ad un gruppo di nani, ma vi assicuro che io non sono stupida, e questo accordo mi puzza d’imbroglio. Ci lascerete liberi, certo, ma magari nel mezzo della foresta e senza viveri né armi e saremo alla mercé dei ragni in meno di un giorno, e tanti saluti alla nostra impresa. Perciò penso che vi convenga alzare un po’ la posta, Sire, perché io non faccio beneficenza e i miei servigi non sono a poco prezzo.» Arya sorrise amabilmente.}
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bilbo, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di Sette Regni e una Terra di Mezzo'
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'Can a man still be brave if he's afraid?'
‘That is the only time a man can be brave’

 
 

La pioggia scrosciava incessante su di loro, bucandole la pelle come tanti piccoli aghi dispettosi, facendole male. Il vento le sferzava con forza il viso e la cima della montagna, battendo incessantemente anche sui versanti opposti: i mostri potevano ancora essere in agguato.
«AFFERRA LA MIA MANO!»

Arya tese la propria, tremante, mentre la vista le si appannava e il terreno sotto di sé cedeva, sporgendosi un po’ di più per aiutarlo.
Thorin afferrò la sua mano tesa con foga, aggrappandosi anche a Dwalin e puntando i piedi per tirarsi su. Arya non sapeva cosa l’avesse spinta a buttarsi e a tendere la propria mano per soccorrerlo, a farla praticamente scivolare nel vuoto per offrirgli il suo aiuto: da dove veniva tutta quel coraggio? Si sentiva le membra tremanti non solo di paura, ma anche di adrenalina. La sentiva in corpo, scorreva tutto velocissimo e il suo corpo reagiva di conseguenza: scatti felini, mani che si aggrappano alla roccia, poca attenzione alle cose che ti circondano, ecco come  aveva risposto agli eventi. Quei mostri giganti … li aveva visti davvero? O erano stati frutto della sua immaginazione? Cosi enormi, completamenti fatti di spuntoni di roccia, che si staccavano dalle montagne e combattevano fra loro. Velocissimo, le ritornò in mente un ricordo di pochi secondi prima: metà della compagnia ammassata una sull’altra, il sollievo di non averli persi e il panico per non aver trovato Bilbo. Thorin che si getta a capofitto nel vuoto per salvarlo e Thorin che scivola: e all’improvviso lei urla di afferrare la propria mano al nano sul terreno infido e scivoloso, sporgendosi incurante di cadere. Thorin era più pesante di quanto immaginava. Udiva il suo respiro e quello di qualcun altro – Bilbo, sospettava- affannoso e irregolare.
«Credevo l’avessimo perso» esclamò Dwalin sollevato.
«Lui si è perso, fin da quando ha lasciato casa sua» sibilò Thorin velenoso. Rivolse al mezz’uomo un’occhiata di disprezzo e gli voltò le spalle: «Non sarebbe mai dovuto venire. Non c’è posto per lui tra noi.»

E se ne andò, richiamando Dwalin per esplorare una caverna. Arya aveva assistito alla scena allibita, dal basso verso l’alto, praticamente ancora sdraiata per terra, con la pioggia a molestarle il viso. Era rimasta a bocca aperta nell’udire le parole del nano, nel percepire la cattiveria di cui erano intrise. Non poteva pensarlo veramente. Osservò Bilbo, mortificato e perso, soffocando un singhiozzo. Non … non era possibile. Lei aveva rischiato la propria vita - la sua giovane e innocente vita- per lui? Per un uomo – nano, si corresse mentalmente, nano- per un nano così … cattivo? Così meschino? Ori le diede una mano ad alzarsi, ignorando gli occhi lucidi della ragazza, cosa per la quale lei gli fu molto grata. Non capiva perché stesse sull’orlo del pianto. Paura di essersi gettata a capofitto verso lo strapiombo e solo adesso se ne rendeva davvero conto, a mente più lucida? O forse perché aveva avuto davvero paura, terrore, al pensiero che Fili e Kili fossero morti, schiacciati contro la montagna da un mostro di roccia?

Non era la paura che aveva provato davanti ai mannari, una paura istintiva e primordiale, la paura della preda davanti al predatore, affatto. Aveva temuto per loro, per i suoi amici. Non era sicura che Thorin meritasse la sua fiducia, perché quelle parole, le parole che aveva rivolto a Bilbo, avevano ferito anche lei, sebbene non capisse perché. Decise di ignorare la questione ed entrò nella caverna che avrebbe fatto da rifugio per la notte. A quanto pareva, Thorin aveva ordinato di non accendere il fuoco, così Arya si scelse il posto più lontano dall’entrata, dove pioggia e vento continuavano ad imperversare.
«Cercate di dormire, partiremo non appena giunge l’alba» disse Thorin.
Balin era sorpreso: «Dovevamo aspettare l’arrivo di Gandalf fra le montagne. Questo era il piano»
«I piani cambiano» rispose il capo, mettendo fine alla discussione. «Bofur, primo turno di guardia»
Bofur accettò sconsolato, il sorriso spento sul volto. Per lo meno quella scena riuscì a strapparne uno alla ragazza, che andò accanto a lui mettendogli una mano sulla spalla per consolarlo. «Se vuoi possiamo farlo insieme»
«No, grazie» replicò lui: «Faccio io. Ti ho vista, sai?»
Arya corrugò la fronte: «Mi hai vista? Intendi nuda?»
«No, ma che dici!» Bofur rise: «Intendo dire prima, quando hai aiutato Thorin. Sei stata molto coraggiosa»
«Oh .. grazie» Arya arrossì: «Lo avrebbero fatto tutti. Buona notte»
Le parve di star sognando quando la terra si aprì sotto di lei, inghiottendo la compagnia nella profondità della montagna.
 
Stava strillando come una ragazzina isterica, e si stava dando della stupida da sola per questo, ma davvero, non poteva farne a meno. Vocali indistinte uscivano fuori, mentre le sue corde vocali davano il meglio di sé per far comprendere lo spavento e la paura che stava provando in quel momento. Arya aveva sempre amato le montagne russe, ma un conto sono le montagne russe, sicure, con le cinture di sicurezza e i piani B per le emergenze, un conto è cadere su sentieri scoscesi e irregolari creati nella roccia, troppo ben articolati per essere naturali. Arya questo lo comprendeva, anche se la sua mente era occupata a proteggere testa e busto. Alla fine caddero tutti in una specie di gabbia di legno, dall’inquietante forma di una mano. Sembrava pronta a chiudersi su di loro, a stringerli in una morsa senza fine. Sbattè e per il contraccolpo i polmoni si svuotarono, lasciandola senza fiato. Le membra pulsavano per il dolore, ma non appena si sentì stabile alzò la testa, e ciò che vide le fece spalancar gli occhi per la paura e per lo schifo.

Strillò ritraendosi di scatto, andando a sbattere contro il povero Dwalin, che se la ritrovò addosso senza capire cosa stesse succedendo. Ma quei cosi piombarono su di loro strillando ed emettendo versi acuti, separandoli e artigliandoli.
«Lasciami! LASCIAMI!» urlava Arya tentando di levarseli di dosso, completamente nel panico, ma quelli continuavano a mettere le mani dove non dovevano, e lei si agitava e menava pugni e calci a caso, con l’unico scopo di liberarsi. Sentiva che volavano insulti da ambo le parti, ma più di una volta le voci dei suoi amici intimarono ai goblin – quello era il nome che Arya dava loro- di lasciarla stare, di non toccarla, ma quelli non li ascoltavano, sogghignando e ridendo. La cosa peggiore era che erano dappertutto, venivano da tutte le parti e li spingevano lungo dei sentieri, illuminati dalle torce che non facevano altro che peggiorare la situazione, gettando ombre macabre su di loro.
Alla fine dovette arrendersi e seguì i goblin, lanciando loro occhiate cariche di disprezzo e odio: «Giuro che quando usciamo da qui vi spezzo le ossa e me le mangio»

Non sembrò sortire alcun effetto su di loro: dopotutto le ossa non si possono mangiare, e il livello di inglese della ragazza era momentaneamente calato, forse per via dello choc, rendendo la loro minaccia più simile ad un tentativo di spavalderia che di omicidio.
Osservandosi intorno vide centinaia, migliaia di goblin ammassati gli uni sugli altri, stretti su ponti e passerelle di legno poco stabili, alcune della quali avevano delle gabbie con degli scheletri all’interno. Arya non voleva sapere di chi fossero. Li portarono di fronte all’essere più brutto e abominevole che la ragazza avesse mai visto, così orribile da farle dimenticare del disprezzo e della rabbia che provava, instillandole una punta di paura.
Sedeva su un trono di legno assicurato ad una piattaforma che dava sul vuoto della montagna, l’espressione compiaciuta di chi sa di avere la vittoria in pugno e vuole giocare un po’ con la ricompensa. Era incredibilmente grosso e brufoloso, con un ventre prominente coperto di macchie e bolle e altro, un gonnellino striminzito a coprire le nudità. Il viso era orribile, viscido, e aveva una … barba? Arya doveva chiamarla così perché non c’era altro termine per descriverla. Sembrava che avessero spostato il suo cervello dal cranio al mento, chiudendolo in una sacca fatta di pelle raggrinzita e coperta di brufoli, sporca e maleodorante. Una corona di zanne e uno scettro con un teschio completavano il quadretto, assieme agli occhi folli e viscidi che sembravano squadrarli come per capire chi potesse valere di più. Non si stupì quando udì la propria gola emettere un verso schifato.

I goblin gettarono a terra tutte le loro armi, compattandoli in gruppo e serrando i ranghi attorno a loro. Arya finì fra Ori e Kili, lanciando un’ultima occhiata di disprezzo verso i loro carcerieri.
«Chi è stato così sfrontato da entrare nel mio dominio armato?» esordì il re barcollando giù dal trono, indicandoli con un dito: «Spie? Ladri? Assassini?»
«Nani, vostra malevolenza» rispose uno dei goblin accanto a Kili: «Più questa qua. Trovati nel portico anteriore!»
Questa qua. Va bene, Arya, stai calma.
«Bè non statevene lì impalati! Perquisiteli! Ogni fessura, ogni crepa!»
Saltarono loro addosso eccitati, eseguendo alla lettera l’ordine del loro padrone. Le strapparono la collana che le aveva regalato sua sorella dal collo, tentarono di frugare ovunque, ma Arya li respinse tutti con una forza che sorprese anche sé stessa, che menava schiaffi e calci a chiunque avesse sotto tiro. Si dispiacque tantissimo, molto più di quanto avrebbe dovuto fare, quando presero il cornetto acustico di Oin e lo schiacciarono sotto i loro piedi. Kili, accanto a sé, guardava stoico e con una dignità ammirevole il re, maledicendolo con lo sguardo.
«Che cosa ci fate, da queste parti?»
Nessuno rispose.
«Parlate!»
«Una gita in montagna» rispose acida.
Per l’occhiata che il re dei goblin le rivolse, avrebbe potuto non esistere.
«Molto bene» disse: «Se non vorranno parlare, saremo costretti a farli strillare!»

L’affermazione del re fu accolta con piacere dai goblin. Arya non capì bene cosa disse dopo, erano dei nomi che non comparivano nel suo repertorio. Afferrò solo il verbo “spezzare” e la parola “ossa” e la cosa non le piacque affatto, infatti sentì i peli rizzarsi sulla nuca e la pelle d’oca raggrinzirle la pelle.
Il viso del re dei goblin si arricciò in un ghigno, indicando Ori: «Cominciate dai più giovani»
Senza pensarci, Arya si frappose fra lui e il nano, facendogli da scudo con il proprio corpo, protettiva.
«Aspetta» parlò Thorin. Emerse dalla calca, goblin e nani che si spostavano per farlo passare.
«Bene bene bene» lo schernì il mostro: «Guarda chi c’è … Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror! Re, sotto la Montagna» si esibì in un inchino ossequioso, poi alzò la testa, simulando preoccupazione: «Oh, ma mi dimenticavo! Non ce l’hai, una Montagna, e non sei un Re. Il che fa di te … un nessuno in verità.»
«Un nessuno? Un nessuno!? Lui ne vale mille di te!»
Tutti, nessuno escluso, si girarono a guardarla: Thorin, Bofur, perfino i goblin e il loro re si girarono verso di lei, stupiti. Ma per una volta, Arya non si sentiva imbarazzata. Per una volta, sapeva esattamente cosa dovesse fare.

«Come osi tu parlare così a lui, Thorin Scudodiquercia. Come osi anche solo pensare di poter essere un suo pari? Lui aveva una Montagna e l’ha persa, e ora combatte per riprendersela. Lui è mille volte migliore di te, obbrobrio, e non ha paura di vivere alla luce del sole. Tu parli di titoli e cose perdute, ma è meglio perdere cento Montagne Solitarie piuttosto che regnare in questo fetido buco.» Sputò ai piedi del re dei goblin.
Quello non sapeva cosa fare. La fissava allibito e furioso, aprendo e chiudendo la bocca, incapace di parlare: «Tu .. lurida umana … come osi … Prendetela! Gettatela di sotto!»

Prima che Arya potesse aprire la bocca per fare qualsiasi cosa – urlare, per esempio- un drappello di nani si schierò davanti a lei, facendole da scudo contro l’attacco dei goblin: «Dovrai passare sui nostri cadaveri prima» disse Thorin.
Il re dei goblin levò una mano, fermando così l’avanzata dei mostriciattoli verso di loro, ghignando: «Oh, succederà molto presto, vedrai. E allora non ci sarà nessuno a salvare la vostra amichetta. Conosco qualcuno …» sorrise maligno, completamente dimentico di Arya: «Che pagherebbe un bel prezzo per la tua testa … solo la testa. Con niente attaccato» rise: « Forse, tu sai di chi sto parlando.»
Si erse in tutta la sua altezza, diventando molto più minaccioso: «Un vecchio nemico tuo …»
Thorin alzò la testa lentamente, incontrando lo sguardo del mostro: «Un orco pallido, a cavallo di un bianco mannaro.»
«Azog il Profanatore» replicò Thorin: «E’ stato distrutto. Trucidato in battaglia molto tempo fa.»
«Così pensi che i suoi giorni di profanatore siano finiti, vero?» scoppiò a ridere, rivolgendosi ad un messo su una sorta di funivia: «Invia un messaggio all’orco pallido: digli che ho trovato il suo premio!»
Il mostriciattolo rise e avviò la carrucola, sparendo nel buio.
«Portate i giocattoli» sibilò il re, guardandoli con sadismo. Arya non si sentiva più tanto coraggiosa.

Il suo ardimento vacillò di più quando vide cosa fossero i giocatoli: enormi macchinari pieni di rostri e aggeggi di legno, perfetti per uccidere e torturare. Intanto, il re stava intonando una canzone davvero orribile di cui Arya non comprendeva che qualche vocabolo poco rassicurante, come “morte”e “oscurità” e “mai lascerete la nostra città!”
Stavano combattendo contro i goblin che li stavano accerchiando per portarli verso i giocattoli, quando un urlo acuto e il clangore metallico di un’arma li interruppero, terrorizzando addirittura il re dei goblin che si ritirò di scatto sul suo trono, schiacciando i pochi rimasti ai piedi del sedile: «Conosco quella spada! E’ la fendi orchi!»
Tutti i goblin cominciarono a strillare, allontanandosi: «Il coltello, la lama che ha squarciato mille colli! Squarciateli! Picchiateli! Uccideteli, uccideteli tutti!»
Arya era stata accerchiata da tre goblin che tentavano di pugnalarla, fermati da lei che li bloccava prendendoli per le braccia e usandoli come scudo dalle incursioni degli altri due. Ma alla fine, riuscirono a bloccarla, con lei che scalciava e urlava in preda al panico e alla rabbia più totale di lasciarla andare. Il goblin alzò la lama del pugnale in alto, preparandosi a calarla …

E una luce bianchissima e potente li scaraventò via da lei.
Un attimo di silenzio calò sulla scena, lasciandole il tempo di riprendere fiato e di rialzarsi di scatto, cercando l’origine della luce. Una figura in ombra, con bastone e cappello a punta incedeva con calma e regalità in mezzo ai cadaveri dei goblin. Un sorriso spuntò sul viso della ragazza: «Gandalf!»
Lo stregone tacque, venendo alla luce. Li osservò riprendersi dallo choc, scandendo le parole: «Imbracciate le armi. Combattete. COMBATTETE!»
E combatterono. Partirono alla carica, lanciando urla di battaglia e colpendo con cattiveria i nemici, sbaragliandoli dal loro cammino. Arya si fiondò sulle armi, lanciandole ai nani che ne avevano bisogno, usando la fionda di Ori contro un goblin che si era avvicinato troppo. Tuh! Lo colpì in pieno viso, finendolo con un pugno ben assestato. Combattevano come se non ci fosse stato un domani, combattevano per le loro vite, per il futuro della Compagnia, per riuscire a vedere il sole sorgere l’indomani.

«Brandisce la Batti Nemici! Il martello splendendo come il Sole!» piagnucolò il re dei goblin allontanandosi. Arya si girò verso di lui e mai, in tutta la sua vita, desiderò così tanto avere una pistola a portata di mano. Sarebbe bastato girarsi, puntare l’arma, premere il grilletto e sparare in testa, ponendo per sempre fine ai giorni del dominio dei goblin sulle montagne. Ma Arya non aveva una pistola, e non poteva fare niente di tutto ciò. Ci pensò Thorin a finirlo. Il re dei goblin stava brandendo la sua arma contro di loro, Arya si preparò a morire, Thorin si girò e mulinò Orcrist con una forza tale da rimbombare nelle grotte, il contraccolpo fu così potente che il re indietreggiò e cadde, sparendo nel baratro.
Gandalf l’aiutò a rialzarsi: «Seguitemi, svelti, seguitemi!»

Scapparono dietro di lui, seguendolo attraverso cunicoli e ponti, strapiombi e scale, facendo gioco di squadra contro i goblin: tagliarono corde e buttarono giù intere strutture, oltrepassarono strapiombi e ammazzarono tanti ma tanti mostri.
Arya ne vide uno, un arciere puntare verso Kili: «KILI, ATTENTO! Dietro di te!»
Il nano si girò appena in tempo: parò prima una poi due e infine tre frecce usando solo la spada – come cavolo faceva?- poi acciuffò una scala e la usò come arma impropria per gettare giù tutti i goblin dalla corsia, adattandola a ponte fra due strutture. Fu solo per miracolo che Arya non cadde, anche se arrivata dall’altra parte rovinò addosso a Balin, che l’aiutò con molta delicatezza ma in fretta a rialzarsi da terra, facendola proseguire davanti a lui. Arrivati ad un certo punto Gandalf si fermò di botto, rischiando di cadere, e il re dei goblin spuntò dal nulla con un ruggito: «Pensavi di potermi sfuggire? Che intendi fare, ora, Stregone?» Mulinò il suo scettro con cattiveria, facendolo scivolare a terra.

Gandalf  si rialzò, lo colpì all’occhio col bastone, il mostro si accasciò gemendo di dolore e Gandalf mulinò la sua spada aprendo un taglio profondo sul ventre, esponendo la carne rossa e vivida.
Il Re era allibito: «Sarò sconfitto»
Arya sorrise, maligna: «Buon viaggio per l’inferno» e Gandalf lo finì recidendogli la giugulare. Il corpo crollò al suolo con un tonfo sordo, facendo crollare la struttura precaria del legno nelle profondità del buio.
Urlando si strinsero l’una all’altra, cadendo sdraiati sotto i resti di legno, stretto nelle pareti di roccia.
Impattarono a terra, schiacciati dal peso del ponte.
«Bè, poteva andare peggio» ironizzò Bofur con la sua solita allegria. Poi un boato e il corpo del re dei golbin li compresse come sardine, svuotando loro i polmoni.
«Vorrai scherzare, spero» Dwalin, senza dubbio.
Kili indicò verso l’alto: «GANDALF!»

Un orda di goblin avanzava urlando verso di loro, armati fino ai denti. Arya non riusciva ad uscire dal ponte, aveva le gambe incastrate e nonostante stesse strattonando a più non posso quelle non ne volevano sapere di uscire. «Ragazzi» ansimò: «Ho bisogno di una mano!»
Thorin accorse in suo aiuto, liberandola e tirandola su di peso. La spinse davanti a sé e continuarono a correre, attraverso gallerie oscure e irte d’ostacoli – più volte la ragazza inciampò nel buoi, più volte Thorin fu costretto ad aiutarla a rialzarsi- e alla fine giunsero alla fine delle grotte: una luce era visibile in lontananza.
Sentiva la sua milza mordere per il dolore, i polmoni bruciavano reclamando ossigeno, la gola era fredda per il fiatone ma c’era una speranza, la luce laggiù brillava così vivida e vera …
Uscirono all’aria aperta, correvano il più velocemente possibile per mettere quanta più distanza fra loro e le gallerie: scattavano come saette, i piedi che si muovevano da soli, saltando massi e evitando rocce, spezzando rami e facendosi venire la pelle d’oca – perché davvero, i goblin potevano ancora essere in agguato. L’aria della sera era fredda, ostile.

Si rifugiarono nella coltre dei boschi, il respiro affannoso e lo sguardo vigile. Arya aveva la gola secca e un disperato bisogno di ossigeno: crollò a terra, boccheggiante, e scoppiò in una risata isterica: «Ahaha! Noi .. eravamo in quindici … ahaha! E bum! Zac! Li abbiamo ammazzati tutti!»
«DOV’E’ BILBO?! DOV’E’ IL NOSTRO HOBBIT?!»
Dwalin ringhiò: «Accidenti al mezz’uomo! Ora si è perso?»
«Credevo che fosse con Dori!»
«Non incolpare me-»
«Dove lo avete visto l’ultima volta?» chiese Gandalf. «Mi sa che è sgattaiolato via quando ci hanno catturati» rispose Nori.
«Che è successo esattamente? Dimmelo!»
«Te lo dico io che è successo esattamente» s’intromise Thorin «Mastro Baggins ha visto la sua occasione e l’ha colta! Pensava solo al suo soffice letto e al suo caldo focolare da quando ha messo piede nella nostra Compagnia! Non rivedremo mai più il nostro hobbit. E’ ormai lontano.»
Fili e Kili la guardarono, come se avesse avuto chissà quali risposte. Ma anche lei era desolata e allibita, fissando Thorin con le labbra rivolte all’ingiù, triste che il nano avesse una tale bassa considerazione di Bilbo.

«No, invece.» se ne uscì sorniona una voce a loro nota. Alcuni nani sospirarono di sollievo. Bilbo entrò nel loro campo visivo a passo andante. «Bilbo Baggins! Non sono mai stato felice di vedere qualcuno in vita mia!» esclamò Gandalf. Lo hobbit sorrise, dando una pacca amichevole a Balin.
«Bilbo» Fili sorrise: «Ti credevamo scomparso! Ma come hai fatto a superare i goblin?»
«Già, come?» gli fece eco Dwalin.
Bilbo ammiccò ma non rispose, ponendosi nervosamente le mani in tasca. Arya s’insospettì un po’ a quel comportamento, ma gli sorrise calorosa: «Ma che importa? E’ tornato, è sano e salvo»
«Ha importanza» ribattè Thorin: «Voglio saperlo. Come mai sei tornato?» L’ultima domanda era stata posta non con tono di sfida, o rabbia, come Thorin era solito rivolgersi allo hobbit, ma in modo quasi rispettoso, in modo stupito, più che altro.
«So che dubiti di me, lo so, lo hai sempre fatto» esordì lo hobbit: «e hai ragione, penso spesso a casa Baggins. Mi mancano i miei libri e la mia poltrona e il mio giardino. Vedi, quello è il mio posto. E’ casa mia. Perciò sono tornato, perché … voi non ce l’avete, una casa. Vi è stata portata via. E voglio aiutarvi a riprendervela se posso.»

Era vero, era così. Arya glielo leggeva negli occhi. Un silenzio religioso era caduto sui nani, perfino Thorin aveva abbassato la testa davanti alla veridicità di quelle parole. Perché Bilbo aveva ragione. Loro una casa non ce l’avevano. Era per quello che Thorin era partito: ancora prima di recuperare un onore perduto, ancora prima di riprendersi le sue ricchezze, era una casa ciò che andava cercando. Una casa per sè e il suo popolo, per la sua gente. Non occorreva essere così autoritari e freddi per essere monarca. Era quella consapevolezza, la consapevolezza di esser partiti per una buona causa a spingere i nani verso l’ignoto. Per far sì che la gente lo seguisse, Thorin non aveva bisogno di interpretare un personaggio. Si vedeva lontano un miglio la dedizione e la lealtà che il Re aveva verso il suo popolo, aveva solo bisogno che ogni tanto qualcuno glielo ricordasse.

Un suono, una voce gutturale e cavernosa, interruppe il momento creatasi, facendoli voltare di scatto verso di lui. Perché non poteva essere nient’altro che un lui.
Un orco, grande, alto, spaventoso, li guardava con cupa soddisfazione dalla cima del versante, a cavallo di un mannaro bianco come la neve. E per la prima volta nella sua vita, Arya ebbe davvero paura. Tutto ciò che aveva provato nelle grotte dei goblin, quello che aveva sentito nella battaglia fra tuoni, non era niente in confronto a ciò che provava in quel momento.
Aveva la pelle nivea e solcata da profonde cicatrici, gli occhi freddi come il ghiaccio – non come quelli di Thorin, che nonostante tutto erano in grado di trasmettere calore- ma crudeli e velenosi come il morso di un serpente. Mulinava una mazza ferrata dall’aria pericolosa e al posto del braccio sinistro aveva una spietata lama ricurva, affilata e pronta ad uccidere. Era circondato da orchi, attendenti a cavallo di mannari ringhianti e affamati. Ordinò qualcosa nella sua lingua agli orchi e subito piovvero giù dalla montagna, pronti a sbranarli.
Gandalf urlò: «SCAPPATE!»

Loro non se lo fecero ripetere due volte. Arya balzò in piedi e scattò velocissima con il gruppo, acciuffando Ori per una manica e spingendolo davanti a sé: «Corriamo!» La notte era ormai calata, i mannari li avevano raggiunti. Si lanciavano le armi proteggendosi a vicenda: urlò un «Bofur!» quando una bestia si accanì contro di lui, ma il nano la finì in fretta, spingendo la ragazza in avanti per correre.
Ma non c’era via dove andare. Una lingua di roccia era tutto ciò che restava da percorrere, il sentiero punteggiato di pini, la terra a strapiombo, giù, nel blu infinito. Erano in trappola.
«Presto, correte sugli alberi! SUGLI ALBERI!»
Oh no! Come avrebbe fatto Balin? Era anziano, non poteva salire da solo …

«PRESTO, ARYA, SALI!» urlò qualcuno, ma lei non lo ascoltò. Si voltò per vedere che fine avessero fatto gli altri e vide che tutti erano al sicuro sugli alberi, compreso Balin, solo lei era a terra. E i mannari la stavano puntando. Con uno scatto felino s’aggrappò al primo ramo che trovò, salì velocemente senza prestare attenzione a dove metteva i piedi, aiutata da Dwalin. I si fermarono sotto di loro, annusando l’aria, annusando la loro paura.
«Azog» ringhiò Thorin: «Non è possibile»
L’orco pallido – Azog- annusò l’aria. Sorrise malvagio in direzione del nano, parlando nella sua lingua raschiante e gutturale, scandendo bene il suo nome: «Thorin ... Thrain»
Lo indicò con la mazza ferrata ordinando qualcosa, poi la ruotò e lasciò che i mannari li attaccassero. Le bestie presero d’assalto gli alberi, saltando troppo in alto, troppo! Uno balzò così vicino a Fili …
«Resisti, Fili! RESISTI!»
Non seppe dire cosa accadde dopo, ma gli alberi cominciarono a scricchiolare, a rovesciarsi, a cadere l’uno sull’altro, costringendoli a saltare in un intrigo di fronde e rami. Alla fine, si ritrovarono su un unico pino, ammucchiati. Ovviamente, era quello a strapiombo sul vuoto. Precario, fra l’altro.
Gandalf le passò una pigna infuocata, lei non ci pensò due volte a scagliarla contro i mostri: uno dopo l’altro, i nani diedero il meglio di sé, ferendone alcuni e creando un fuoco che rischiarava la notte, oscura e piena di terrori. Esultarono tutti insieme – ce l’avevano fatta!- ma l’albero scricchiolò. S’incrinò.
E cadde.

Riverso su sé stesso, giaceva quasi orizzontalmente, soltanto un ciuffo di radici a tenerlo ancorato al terreno. La Compagnia per non cadere era aggrappata ai rami dell’abete con le unghie, lottava disperata per mantenersi, ma qualcuno scivolò.
«ORI!» Gridò disperata Arya, allungandosi verso di lui, ma il suo ramo scricchiolò, non potè fare nulla per aiutarlo. Per il momento piagnucolava aggrappato alla gamba di Dori, che invocava l’aiuto di Gandalf per fare qualcosa. Ma cosa si poteva fare con la morte ormai prossima? La ragazza si strinse di più al proprio ramo, avvicinandosi al tronco dell’albero. Si trovava vicino alla base del pino, un paio di metri più in là riusciva a vedere le radici che li tenevano ancorati al terreno. Si sporse un po’, per vedere il fondo. Ma non c’era un fondo da vedere.
C’era qualcos’altro, molto più importante, che occupò la vista della ragazza.

Thorin si alzò dal ramo, ergendosi in tutta la sua altezza, Orcrist sguainata. Arya vide tutto al rallentatore. Il nano guardava con odio l’orco pallido, che lo seguiva con malcelato interesse in ogni mossa che faceva. Le fiamme brillavano vivide, illuminando la figura possente e regale del nano. Sembrava che tutto si fosse fermato, perfino il vento, anche se non aveva smesso di spirare, aveva abbassato i toni, lasciando il rumore del sangue pompare nelle orecchie, colonna sonora dell’atto di coraggio più incredibile a cui Arya avesse mai assistito. Pum. Pumpum.
Dapprima partì lentamente, mettendo un piede dopo l’altro sul tronco, mantenendo sempre lo sguardo fisso su Azog, avanzando quieto ma inesorabile. E poi accellerò.
Partì alla carica lanciando un urlo da guerra, mulinando Orcrist con ferocia, la lama che brillava …
E Azog lo colpì, stendendolo al suolo. Thorin cadde a terra.
Il nano provò a rialzarsi, ci provò, ma Il Profanatore era inesorabile, roteò la sua mazza ferrata, colpendolo. Il suo scudo di quercia lo abbandonò, lasciandolo in balia dell’orco. Il mannaro lo strinse nelle sue fauci.

Thorin urlava, Dwalin urlava, lei urlava, Thorin assestò un colpo maldestro sul muso del carnefice che lo lasciò andare, guaendo. Ma Azog non si scompose: chiamò a sé un attendente, e gli ordinò qualcosa. L’orco scese dal mannaro, estraendo la propria arma, si avvicinò per ucciderlo. Alzò la lama …

E due figure lo bloccarono. Una, la più piccola, lo placcò con urlo, gettandolo lontano da corpo del Re. L’altra accolse in grembo il capo di Thorin, che la guardò negli occhi: «Sh, resisti, resisti …» gli sussurrò quella, liberandogli gli occhi da una ciocca di capelli. Si girò verso Bilbo che aveva appena ucciso l’orco e si era messo davanti a lei e a Thorin, ultima difesa contro gli altri. Guardò il nano la cui testa era posata sulle sue gambe e realizzò con orrore che aveva gli occhi chiusi, il capo completamente abbandonato a lei. Spalancò gli occhi con orrore: «No, Thorin … No … »
Diede qualche leggero schiaffo al viso del nano, completamente in preda al panico – respirava, certo, ma non doveva perdere conoscenza!- «Resta con me, Thorin, resta!»

Gli altri erano arrivati in loro soccorso, stavano combattendo e li tenevano lontano dai mannari, ma avevano bisogno di un medico, Thorin aveva bisogno di aiuto …
Un ringhio la distrasse, ritrovandosi a fissare un mannaro che sembrava ghignare, nel vederla sola e inerme. Sarebbe morta. Sarebbe morta lì, in quel momento, quel giorno, provando a difendere un nano scorbutico e altero con cui aveva scambiato sì e no sue parole … ma era una persona. Arya .. Arya credeva in lui. Si chinò un po’ di più sul corpo del nano per proteggerlo, per concedergli quei due minuti in più di vita, chiudendo gli occhi …
E il mannaro volò via.

Ma cos ..?  Alzò la testa e ciò che vide la lasciò completamente senza fiato: aquile ...  Enormi, grandi, bellissime aquile volteggiavano sopra di loro, artigliando le bestie e buttandole giù dal dirupo, salvando i suoi amici e prendendoli in groppa. Spalancò gli occhi per la sorpresa, mentre sentiva delle lacrime di felicità rigarle il viso: «Le aquile … Thorin, ci sono le aquile …»
Non si stupì quando glielo presero dalle braccia, tenendolo al sicuro fra gli artigli, né si stupì quando presero lei e la deposero in groppa ad un altro uccello; aveva fatto in tempo ad acciuffare Orcrist ed ora la teneva stretta a sé, impedendole di cadere.
Volare era una sensazione bellissima. Sentiva il vento sulla pelle, le piume dell’aquila solleticarle il viso e i capelli librarsi leggeri in volo, facendole rizzare i peli sulla nuca, mentre l’alba sorgeva, avvolgendola in un balsamo per i suoi sensi …
Eppure, era preoccupata, era dannatamente preoccupata. «Thorin!» urlarono insieme lei e Fili, ma il Re non rispose, il braccio che ciondolava inerte.
«Thorin» sussurrò la ragazza, coprendosi la bocca con una mano. Non era morto.
Per tutta la durata del viaggio, fu quello che si sussurrò per calmarsi. Non. Potevano. Perderlo.
Le aquile li adagiarono su un’altura di pietra circondata da montagne verdi, Orcrist cadde con un clangore metallico quando Arya la depose con malagrazia sulla roccia.

«Thorin!» biascicò non appena le sue gambe, tremanti, toccarono il terreno. «E’ vivo? Gandalf, è vivo?»
Bilbo le si avvicinò, avvolgendole la vita con un braccio. Probabilmente capiva che Arya stava per avere una crisi di nervi.
Gandalf si accasciò vicino al nano, passandogli la mano sulla faccia e mormorando qualcosa in una lingua sconosciuta. Il viso tumefatto e coperto di ferite di Thorin si aprì, rivelando gli occhi glaciali.
«E’ vivo» boccheggiò la ragazza, per poco non cadde per la gioia – le gambe tremavano ancora, l’incredulità troppa da poter contenere.
«La ragazza» biascicò: «Il mezz’uomo»
«Loro stanno bene. Sono qui, salvi.» sorrise Gandalf, facendosi da parte.
Dwalin e Fili aiutarono il nano a rialzarsi, ma Arya non sorrideva più. Thorin era livido.
«Voi. Cosa credevate di fare? Vi siete quasi fatti uccidere. Non vi avevi detto che sareste stai un peso? Che non sareste sopravvissuti alle Terre Selvagge? Che non c’è posto per voi fra noi?»
Figlio di-
«Bè, non mi sono mai sbagliata tanto in vita mia»
Li accolse di slancio, stringendoli in un abbraccio stritolatore. In un primo momento, Arya non capì cosa stesse accadendo e non ricambiò l’abbraccio, troppo stupita e sorpresa. Ma non appena la consapevolezza fece breccia in lei un sorriso radioso le illuminò il viso, e ricambiò con slancio, stringendo a sé quell’orso. Successivamente le dolse ammettere che delle lacrime di commozione le rigarono il volto, e che non fu lei, molto più tardi, a sciogliere l’abbraccio.

Baby you’re a firework!
Come on and show what you are:
Make them oh! oh! oh!
 



Siete liberissimi di ammazzarmi. Troppo tempo, troppe cose da spiegare, troppe venie da chidere.
Sono tipo 10 pagine di word, ma IO LO AMO <3
Vi prgo, ditemi che lo amate anche voi. Recensite, vi prego, devo  sapere cosa ne pensate. Magari con qualche dettaglio, così mi sento perdonata ^^
Ah, da oggi cambierò Nickname. Tornerò Fenio394Sparrow.
Feniah <3

 
   
 
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