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Autore: VaVa_95    18/03/2015    0 recensioni
Le persone sono complicate. E tutti, ad un certo punto della loro vita, riescono a creare dei demoni che non riescono a domare, neanche per sbaglio.
Questo Matt lo sa bene.
E lo sa bene anche Liz.
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"- Sai, si dice che le storie portino demoni. -
Non aveva ben capito perché aveva detto proprio quella parola. Lui in fondo non la usava. Pensava che essi fossero semplicemente dei brutti pensieri, che prendevano forma solo quando la propria mente lo permetteva. Come diceva sempre a Matt, ogni persona aveva i propri demoni con cui fare i conti".
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: i fatti riportati a seguire sono completamente immaginari. Scrivo per semplice diletto personale, e i personaggi di cui parlo non mi appartengono.
 

CAP. 6

 
“These are our words, our words were our songs
Our songs are our prayers, these prayers keep me strong
And I still I believe”
Bon Jovi – In These Arms
 
 
 
Gennaio 2000
Huntington Beach, California

 
Brian non credeva nell’amore. A dire la verità, non ci aveva mai creduto.
O forse lo avevano praticamente obbligato a non crederci.   
Diceva sempre che l’ultima cosa che gli interessava era trovare una ragazza, non del genere che si scopava lui (e si trattava solo di questo, per l’appunto, una ripassata e via), ma una di quelle serie, farle una corte spietata e poi sistemarsi. No, non lo voleva per niente. E non perché era troppo giovane: anche in un ipotetico futuro, ciò che non voleva era, in generale, amare.
Perché? Perché portava solo a delusioni.
Quando parlavano di amore (e ultimamente era un argomento piuttosto ricorrente nella combriccola, e lui non riusciva proprio a capire perché – o forse sì, ma non voleva certo ammettere che quei discorsi li capiva) nessuno pretendeva un intervento da parte sua, a meno che esso non parlasse di qualcosa come sesso o dare buca alla povera malcapitata di turno. No, Brian Elwin Haner Jr. non si innamorava. Su questo punto di vista assomigliava molto al suo alter-ego, tale Synyster Gates.
Synyster era una persona ribelle e, come lo definiva lui, senza cuore, che non gli importava di niente se non della musica. Per questo Jimmy gliel’aveva affibbiato subito come stage name. Era il tratto oscuro della personalità del suo Brian, era pieno di demoni e cercava di scappare da essi nascondendosi dietro fiumi di alcol e, forse, a volte, solo quando era strettamente necessario, anche dietro qualche droga. Non gli interessavano le persone, fatta eccezione per i suoi compagni di band. Le donne erano oggetti e qualsiasi cosa potesse essere etichettata come “sentimento” veniva calpestata sotto i suoi piedi, ripetutamente.
Synyster era completamente diverso da Brian. Ed era giusto così, perché il chitarrista pensava che quest’ultimo non dovesse certo mischiarsi con la persona orribile che era quell’altro, assolutamente. Funzionava così: Gates sul palco e Brian nella vita reale, nella vita privata.
Non poteva negare però che sull’aspetto sentimentale Brian concordava molto con il suo alter-ego esistente solo quando si presentava l’occasione di fare concerti.
L’amore non faceva per lui. Al contrario, era quasi un animale. A lui non interessava niente: cercava, colpiva e distruggeva. Fine della storia.
Pensava che non si sarebbe mai innamorato. Era una cosa che si era imposto: nessuna donna, nessuna, avrebbe mai potuto fare breccia sul suo cuore nero.
Se non…
- Non deve succedere più – esclamò Eleanor, saltellando per la camera in modo da infilarsi alla bell’è meglio i jeans a sigaretta (come facevano le ragazze a portarli senza che il sangue smettesse di circolare lui non lo sapeva).
La bocca del giovane si increspò in un sorriso malizioso. Si mise in posizione seduta, osservando la ragazza cercare sul pavimento della camera una maglietta, una qualsiasi.
- Sai, è da un mese che dici che non deve succedere più, eppure… - fece un gesto allusivo con la mano, come a sottolineare l’ovvio.
La vide arrossire, cosa che lo fece scoppiare a ridere.
Aveva conosciuto Eleanor poco dopo l’inizio della sua frequentazione con Jimmy. Era la sua vicina di casa e, come lui, amava rifugiarsi lì quando le cose andavano male – anche se lui non capiva come potessero farlo, aveva una famiglia perfetta, lei. Non erano mai andati particolarmente d’accordo, anzi, tutto il contrario. Alla fine, rimanevano due estranei… che, diceva sempre il suo migliore amico, si conoscevano davvero molto bene. Non sapeva quando aveva cominciato a guardarla in quel modo, sapeva solo che un giorno si era svegliato una mattina e aveva decretato che la ragazza sarebbe stata sua, in un modo o nell’altro. Non che gli importasse: come tutte le altre donne, lei non era niente se non uno sfizio.
O almeno, era ciò che voleva far credere a tutti. Perché Eleanor era speciale e lui ne era perfettamente consapevole. Si meritava il ragazzo migliore del mondo e lui, ovviamente, non rientrava nella categoria. Anzi, lui poteva considerarsi parte di quelli della peggior specie. Aveva sfruttato l’attrazione che la ragazza provava nei suoi confronti nel modo migliore, considerando che era da un po’ che, quando lui aveva casa libera, succedev…
- Non importa, Bri. Non può più accadere, fine della storia – disse la ragazza, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
Era quello che voleva anche lui, ora che aveva occasione di pensarci bene. Era da un po’ che aveva cominciato ad avere paura, paura dei suoi sentimenti e soprattutto di quelli che la ragazza aveva nei suoi confronti. E aveva usato davvero la parolina magica: sentimenti. Quelli che, da qualche tempo, aveva cominciato a provare nei confronti della giovane. E quegli sguardi avevano assunto significato totalmente diverso, come lo avevano assunto le frecciatine e quegli incontri.
Lui non voleva niente di simile. Né lì né in un prossimo futuro.
Perché una cosa su cui Brian Elwin Haner Jr. e Synyster Gates andavano d’accordo era questa: l’unica cosa per cui valeva la pena soffrire era l’amicizia. Il legame profondissimo che lo legava ai ragazzi era l’unico, l’unico fattore per il quale avrebbe rinunciato a tutto. Non poteva permettere che se ne aggiungesse un altro.
- Se è quello che vuoi… -
Eleanor parve esitare un momento, poi scosse la testa e si chinò per prendere una maglietta nera dei Led Zeppelin situata sul pavimento per poi indossarla in tutta fretta. Prese al volo la borsa e mise le scarpe ai piedi, pronta ad andarsene.
- È quello che voglio. -
- Come ti pare. Ma tu sei mia, Rigby. Ricordatelo. Ti ho in pugno. -
Non sapeva perché l’aveva detto, ma su quello non c’erano dubbi. Il suo cuore, o qualsiasi altro aggeggio o organo del corpo che si usava per amare, era nero, completamente. Quello che c’era fra di loro non lo capiva nessuno, nemmeno i diretti interessati. Sesso occasionale? No. Relazione? Assolutamente no. Amore? No, no, mille volte no. Non poteva e non doveva.
Ma quella ragazza era sua. E lo sarebbe stata sempre, che la cosa le piacesse o meno.
- L’importante è esserne convinti, Haner – esclamò, cercando di sistemarsi i capelli – ci si vede. -
- Sai, quella maglia è mia – disse il giovane, facendola bloccare sulla porta della sua stanza.
Eleanor abbassò lo sguardo, per poi constatare che la maglietta le stava sia lunga che larga, per non parlare delle maniche che lasciavano scoperti solo gli avambracci.
Sorrise.
- Penso proprio che dovrai trovarti una nuova maglia dei Led Zeppelin – constatò, per poi chiudersi la porta alle sue spalle.
Brian la sentì scendere le scale, poi udì la porta d’ingresso aprirsi e richiudersi velocemente. Se n’era andata.
Tornò a sdraiarsi sul letto, osservando le travi sul soffitto e contandole distrattamente.
“Sicuro che non sia amore?”, gli aveva detto Zacky qualche giorno prima, mentre Johnny vicino a lui annuiva convulsamente.
No, non poteva e non doveva.
Perché lui non si innamorava. Non l’avrebbe mai fatto.

 
 
--


 
Dopo l’uscita di quel pomeriggio, l’unico che aveva avuto libero in settimane dal negozio di dischi, Liz aveva chiamato Eleanor con voce quasi tremante, dicendo che dovevano incontrarsi subito, che era una questione di vita o di morte.
A ripensarci, la ragazza ci rideva su: come poteva esserlo? Era quasi una banalità. Anzi, era normalità per tutti gli esseri umani. Quindi perché ne stava facendo un dramma?
Certo, lei era Elizabeth Dixon, e no, non rientrava per niente nei canoni della normalità.
Aveva raggiunto casa Rigby e aveva trovato l’amica ad aspettarla sul portico. Le aveva detto che avrebbe voluto esserci anche Phoebe, ma quella sera c’era la festa di compleanno di un suo compagno di non si ricordava quale corso. I genitori della ragazza l’avevano salutata calorosamente, poi erano tornati alle loro faccende: erano cose da ragazzi, e dovevano vedersela fra di loro.
Liz non sapeva bene di che cosa volesse parlare. Sapeva solo che aveva bisogno di consigli e chi era in grado di darglieli se non Eleanor? Lei conosceva Matt da tantissimo tempo, sapeva come prenderlo.
I due si erano conosciuti per puro caso in un contesto completamente separato da casa Sullivan. Uno dei suoi cugini giocava a basket nella squadra della sua scuola, così un sabato mattina la sua famiglia aveva deciso di andare ad assistere ad una partita. I giocatori avevano un’età compresa fra i quindici e i diciotto anni, erano altissimi e giocavano contro la squadra della scuola avversaria come se fossero professionisti. Ce n’era uno però che sembrava più piccolo di tutti gli altri, anche se tutti i presenti avevano capito che era uno dei più bravi. Era entrato a metà del secondo tempo, quando la loro squadra era in svantaggio, e in pochi minuti non solo era riuscito a recuperare, ma anche a portare in vantaggio il suo team, poi portato alla vittoria. Era come se fosse entrata in campo una piccola star del basket. Le tribune erano quasi in delirio. A fine partita Aidan Rigby aveva indicato il ragazzino con un gesto della mano, dicendole che aveva solo due anni in più di lei e che giocava già con i liceali. Eleanor aveva undici anni, all’epoca. L’aveva ritrovato qualche ora più tardi, alla pizzata organizzata dal coach per festeggiare. Il ragazzino era lì, leggermente in disparte da tutti gli altri, che mangiava la sua fetta di pizza. Poco lontano da lui, due persone che sembravano i genitori ricevevano complimenti da parte di tutti. La ragazza, allora bambina, si era avvicinata e si era seduta accanto a lui. Matt l’aveva guardata di striscio, ma non aveva obiettato. Solo dopo una decina di minuti i due si erano stretti la mano, presentandosi e cominciando a parlare di quanto fossero noiosi i dopo-partita. Nonostante tutto, però, isi erano trovati bene e avevano passato una bella serata. Eleanor pensava che non l’avrebbe più visto, fatta eccezione magari di qualche partita giocata in casa dalla squadra. Si sbagliava. Poco più di una settimana dopo lo trovò seduto sull’orlo del marciapiede poco lontano dal cancelletto d’ingresso di casa Sullivan. Lei e sua sorella stavano uscendo per portare il cane al parco. Matt le aveva fatto un cenno di saluto ed Eleanor l’aveva guardato sorpresa, per poi avvicinarsi e chiederle che cosa ci facesse da quelle parti. Il ragazzino le aveva indicato la casa cui era di fronte.
“Sto aspettando un amico”, aveva detto, sorridendole, “ma sono sicuro che conosci Jimmy. Tutti lo conoscono”.
Ed era vero, tutti lo conoscevano. Era iniziata lì, la loro amicizia. Solo molto più tardi, forse addirittura anni dopo, la ragazza scoprì che Matt e Jimmy si conoscevano da quando di anni ne avevano appena dieci ed erano praticamente inseparabili dal primo giorno. Lei non l’aveva mai visto in giro, ma Jimmy le aveva detto che non significava che i due non si frequentassero. Anzi, tutto il contrario.
Matt e Jimmy avevano un rapporto profondissimo. Erano legati per la vita da un invisibile filo sottile che non si sarebbe mai spezzato. E anche Eleanor, in qualche modo, era legata a Jimmy. Se Matt era suo fratello, allora automaticamente era una persona fondamentale per la sua vita. E, piano piano, lo era diventata davvero.
Una volta, in una delle loro uscite, il cantante aveva detto a Liz che Eleanor era la sua dose di realismo. Quando voleva e doveva essere riportato con i piedi per terra, andava da lei. Perché a volte gli capitava di perdere il senso della realtà e la cosa doveva essere risolta subito. Era fondamentale, per lui. A differenza sua, Matt non aveva mai negato di aver bisogno di qualcuno. Non aveva mai negato di aver bisogno di tutti loro: dei ragazzi, delle sorelle Rigby… persino di lei. Diceva che se avesse sostenuto il contrario quello sarebbe stato mentire, e a lui mentire non piaceva per niente.
Forse era stato proprio questo a spaventarla.
- Aspetta, aspetta, fammi capire – esclamò Eleanor, interrompendo il flusso dei suoi pensieri – hai paura di… innamorarti? -
Liz si ritrovò a sospirare. Dopo averle raccontato diversi episodi che per lei erano cruciali, la ragazza aveva concluso il suo discorso dicendo che tutto sembrava portare al fatto che lei e Matt fossero innamorati l’una dell’altro e questo era inaccettabile.
Lei non credeva nell’amore. Forse non ci aveva mai creduto.
Aveva avuto diverse storie, in passato. Non tante, ma nemmeno così poche da non sapere a che cosa si andasse incontro quando si portava avanti quello che sembrava essere un rapporto piuttosto serio. In tutte quelle relazioni, non aveva mai e poi mai pensato di innamorarsi. Innanzitutto perché era troppo giovane. Certo, c’erano storie che parlavano di persone che si erano conosciute al liceo ed erano rimaste insieme per la vita, sposandosi giovani, avendo tanti figli e magari anche comprando una di quelle villette costruite apposta per famiglie poco lontane dal mare. Ma quelle erano, per l’appunto, delle storie. Come… come se fossero delle favole.
Innamorarsi a quell’età era folle. Anzi, era completamente da immaturi. Come si poteva essere pronti a comprendere l’amore quando, in media, un adolescente non capiva nemmeno sé stesso?
Aveva detto tutto quello, aveva provato a spiegare all’amica quello che sentiva. Non sapeva se ci era riuscita nel modo migliore, ma almeno ci aveva provato. E sperava con tutta sé stessa che Eleanor capisse lo stesso. In fondo, lei capiva, capiva sempre. Soprattutto in situazioni in cui una persona come Liz andava completamente in panico.
- Lo so, è stupido. -
- Non… non penso che lo sia, ma… perché? -
Era leggermente incredula, lo era stata per tutto il tempo a dire la verità. Non sapeva se fosse perché quella doveva essere una cosa quasi scontata oppure perché, forse per la prima volta, non riusciva a capire. E in quest’ultimo caso per lei quella sarebbe stata una sconfitta.
Negli ultimi mesi Matt e Liz si erano avvicinati sempre di più. Quando poteva, lui la andava a prendere la mattina e la riaccompagnava a casa, andava a trovarla al negozio di dischi dove lavorava per chiacchierare un po’ durante i tempi morti, la invitava in ogni dove, giusto per passare un po’ di tempo insieme. E lei invece lo aiutava a studiare, andava a tutte le prove e a tutte le esibizioni degli Avenged Sevenfold, lo chiamava la sera giusto per sapere come stava e per assicurarsi che non si fosse cacciato nei pasticci.
Si comportavano come una coppia, su quello non c’erano dubbi. Ed era proprio quello che la ragazza, almeno all’inizio, non voleva.
- Forse… più che dell’amore, ho paura di ciò che potrebbe succede quando si è innamorati. Pensaci: se… se qualcosa non va, non ne ricavi nulla se non un cuore spezzato. -
- Ma, se sei innamorato, come potresti rompere il cuore di una persona? -
Eleanor stava usando una specie di etica socratica, lì. Sapeva già dove quel discorso sarebbe andato a finire e faceva in modo di interrogarla per scoprire tutti i suoi dubbi, per poi darle il grande consiglio finale. Faceva quasi sempre così. Ed era una tecnica che non falliva neanche una volta.
- Non… non lo so. Penso che, semplicemente, si commetta qualche stupido, stupido errore. E da lì, beh… tutto va storto. Quando si è innamorati si tende a fare cose stupide, al limite dell’impossibile, tutto per impressionare l’altra persona. Anzi, no: si farebbe di tutto per la persona amata, davvero tutto quanto. Perché l’amore di fatto supera tutto. In poche parole, non pensi nel modo corretto, o nel modo in cui si riflette di solito perché nulla sembra importare più. -
- E pensi che queste siano cose brutte? -
Non lo sapeva. Erano cose brutte? No, l’amore non era brutto. Era… complicato. E aveva davvero tantissime forme e tantissime sfaccettature. Aveva paura, senza ombra di dubbio.
- No. Penso solo che si commettano errori. E quelle sono le cose brutte. E se uno di questi è troppo grande allora si sgretola tutto. E… ed è per questo che non voglio innamorarmi. Se agire in questo modo equivale a rimanere nella vita di Matt, allora per me va bene così. -
Eleanor scosse energicamente la testa, per poi portare le ginocchia al petto come a proteggersi dal freddo. In effetti, a gennaio non era consigliabile rimanere fuori per lungo tempo dopo le nove di sera. Soprattutto se si era in pigiama.
- Penso sia questo che tu non cogli: a Matt non va bene così. Lui vorrebbe di più. Tipo… non lo so, chiamarti “la mia ragazza” in pubblico – mimò le virgolette con le dita, come a far capire meglio il concetto – non è che non gli va bene questo vostro… qualsiasi cosa sia, ma vuole di più. perché tu per lui sei importante e per te prova un sentimento fortissimo. E non si impegna neanche a nasconderlo, altrimenti non saresti venuta da me. -
Su una cosa erano sicuri tutti, ed era il fatto che Liz fosse un bravo soldato. Questo comportava essere una discreta osservatrice, quindi probabilmente si sarebbe accorta lo stesso dei sentimenti che provava il ragazzo nei suoi confronti. Ma in quel modo si era aperta anche lei e aveva dimostrato che provava la stessa cosa.
- Che faccio, El? Non posso andare lì e dirgli “ehi, penso di essere innamorata di te” – esclamò, mimando le virgolette con le dita e facendo una voce buffa, facendo ridere l’amica.
- E perché no? Fidati, lo apprezzerebbe. -
- Perché… perché non lo fa lui? -
- Perché sa che cosa ne pensi tu dell’argomento. È sicuro dei suoi sentimenti, non è ben sicuro sui tuoi, invece. -
- Te l’ha detto lui? -
L’amica scosse di nuovo la testa. No, non gliel’aveva detto. Ma ovviamente lei poteva intuirlo, come del resto poteva intuire qualsiasi cosa passasse per la mente di quei ragazzi. Era vero allora quando Phoebe, con fare scherzoso, diceva che la sorella conosceva i membri degli Avenged Sevenfold come le sue tasche. Anzi, probabilmente ancora meglio.
- Liz, non puoi continuare a fuggire da qualsiasi cosa. È vero, hai avuto delle brutte esperienze. Non sei mai stata così seria con un ragazzo, diciamo anzi che non hai mai avuto una relazione più lunga di… quanto, due mesi? È tutto diverso, è vero, e fa paura, cavolo se fa paura. Ma se c’è una cosa bella in questo mondo è l’amore, e tu hai la possibilità di averlo. Quindi vai a prenderlo. L’amore non è e non sarà mai perfetto. Il rapporto fra te e Matt sarà fatto di alti e bassi ma va bene, è la normalità… è ovvio che il principe azzurro non arriverà sotto casa tua con una carrozza lussuosa trainata da cavalli bianchi. La verità è che il principe azzurro non esiste. Ma hai Matt, e fidati quando ti dico che ci va molto, molto vicino. -
Liz aveva ascoltato tutto con molta attenzione. Sicuramente, l’amica aveva ragione.
Ma lei ancora non sapeva se ne valesse la pena. Perché tutte le sue esperienze dicevano il contrario.
- E… tu e Brian? – domandò poi, come se nella sua mente si fosse accesa una lampadina.
Per sapere tutte quelle cose, ad Eleanor sicuramente non bastava l’osservazione. Doveva averle vissute. E, le aveva detto una volta Johnny, la giovane non aveva, proprio come lei, avuto delle storie serie. Innanzitutto aveva avuto due o tre ragazzi, non di più, e nessuno di essi era mai stato considerato importante.
A parte Brian, ovviamente. Il bassista non gliel’aveva detto, ma lei l’aveva capito.
- Niente del genere. Tra l’altro, abbiamo deciso di comune accordo di non farlo più. -
Quando erano cominciati quegli incontri, se così si potevano chiamare, nessuno aveva detto nulla. Tutti pensavano che sarebbe finita bene, soprattutto Jimmy che aveva bofonchiato un “era ora, la tensione sessuale era alle stelle” poco prima di prendersi degli schiaffi sulla nuca da parte di tutti.
Evidentemente su quello si sbagliavano. Ma la sua convinzione che i due fossero legati da un sentimento molto più profondo di ciò che volevano far apparire persisteva.
- … Comune accordo? – ripeté la ragazza, perplessa.
- Non posso farlo più, Liz. -
- Forse dovresti solo ammettere che sei innamorata di lui. -
- Non penso di averlo mai nascosto. -
Liz alzò gli occhi al cielo. Avrebbe voluto dirle che la cosa era piuttosto ovvia, certo, che probabilmente tutti l’avrebbero capito, ma che no, non l’aveva mai ammesso apertamente. Forse, se l’avesse fatto, sarebbero cambiate drasticamente le cose, fra loro due.
- Perché pensi che dovrei dirlo a Matt, allora? -
- Perché ti ama anche lui, come ti ho già detto. Molto, anche. -
 - E non pensi che la stessa cosa potrebbe essere applicata a te e a Brian? -
Eleanor scosse energicamente la testa. Per l’ennesima volta.
- No, perché lui non si innamora. Ma tu pensaci. -
Pensaci.
Chissà perché, da quando si era ritrovata catapultata in quello strano gruppo, pensare era l’unica cosa che faceva.


 
--
 


Se c'era una cosa che tutti potevano dire senza alcun problema era che, quando alzavano il gomito, i membri degli Avenged Sevenfold diventavano quasi ingestibili.
Avevano tutti e cinque un modo diverso di reggere l'alcol, cosa che rendeva più difficile sorvegliarli... se qualcuno doveva farlo, s'intende.
Jimmy e Brian attivavano una specie di modalità a spugna: mandavano giù litri e litri di alcol e sembrava che esso non avesse su di loro alcun effetto. Tranne, s'intende, verso la fine della serata, dove il batterista crollava letteralmente a terra mettendosi a dormire come un ghiro (e nessuno poteva scollarlo da lì, non lo si riusciva nemmeno ad alzare di peso – tanto che una volta era rimasto al Johnny's tutta la notte, lo aveva svegliato Jonathan la mattina passandogli lo straccio con cui puliva i pavimenti sul viso, accompagnando il gesto con un sonoro "buongiorno, raggio di sole!"), mentre il chitarrista cominciava a tormentare le persone che erano con lui in continuazione, cercando di convincerli a bere. Eventualmente poi quest'ultimo finiva per appartarsi con la ragazza di turno, ma quelli erano dettagli.
Zacky era, in genere, la persona più moderata, ma quando si trattava di birra non lo si poteva certo fermare. Quando era ubriaco si metteva a ridere quasi convulsamente, per poi combinare sfaceli. Fortunatamente, erano rare le volte in cui il ragazzo era davvero, davvero ubriaco.
Johnny, di fatto, era il peggiore di tutti. Innanzitutto non era capace di reggere i superalcolici, ma essi erano proprio ciò che il bassista amava di più: bastavano pochi bicchieri e il giovane partiva letteralmente per la tangente, finendo quasi sempre per ballare su vari tavoli e rompere qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
Anche per Matt era raro ubriacarsi, anche se non rifiutava certo di alzare il gomito quando gli si presentava l'occasione. In genere però, a lui essere sotto l'effetto di alcol faceva riflettere. Come se mettesse in continuazione delle catene alla sua mente e l'alcol le scindesse improvvisamente.
Quella volta non era poi così ubriaco, considerando il fatto che era uscito dal locale in cui si trovavano lui e i ragazzi ed era riuscito a recarsi fino al quartiere popolare senza barcollare, senza incappare in sue vecchie conoscenze con le quali aveva conti in sospeso eccetera. Ed era persino riuscito a distinguere, quello con un poco di difficoltà, il possente condominio in cemento armato che ormai conosceva bene, dato che ci viveva Liz. Le scale erano state un po' un problema, aveva dovuto fermarsi ogni cinque o sei gradini in quanto gli girava la testa, ma alla fine era riuscito a raggiungere l'appartamento 3B.
Bussò energicamente la porta, senza contare il fatto che fossero le due del mattino e che probabilmente chi era all'interno dell'appartamento stava dormendo. Sentì dei piccoli rumori e delle luci che si accendevano, poi la persona da lui cercava venne ad aprire la porta. Anche indossando un pigiama, Liz era bellissima, a detta sua. E con i capelli arruffati. E senza trucco.
Per lui era bellissima e basta.
- Matt? - domandò la ragazza, quasi incredula, per poi squadrarlo da capo a piedi - che ci fai qui? -
Non lo sapeva nemmeno lui che cosa ci faceva lì. Semplicemente, voleva vederla. Aveva pensato che quel periodo non era stato facile per la ragazza, e non lo era stato nemmeno aprirsi con lui, o comunque offrirgli un piccolo spiraglio nella sua vita. Aveva pensato che più gli dava fiducia più succedeva qualcosa dentro di lui.
Era come... era come se quel buco alla bocca dello stomaco si stesse, piano piano, rimarginando. Presto sarebbe rimasta solo una cicatrice e con l'andar del tempo nemmeno quella, come se quei demoni non fossero mai esistiti.
Ed era stata lei. Ne era più che sicuro.
- Io... dovevo dirti una cosa importante. -
- Davvero? Alle due del mattino? - domandò la giovane, incrociando le braccia al petto e non scostandosi neanche di un millimetro.
Non voleva farlo entrare in casa, era evidente.
- Ero al Johnny's e... stavo pensando a tutto ciò che abbiamo fatto io e te in questo periodo. A ciò che ci siamo detti, a come... - si interruppe, sentendo la testa girare.
Liz alzò gli occhi al cielo: era ubriaco. Probabilmente stava facendo qualcosa con i ragazzi e avevano alzato un po' troppo il gomito. Quando decidevano tutti insieme di andare a bere al Johnny's lei non acconsentiva mai. Quel posto non le piaceva, nonostante il proprietario fosse sempre molto gentile con tutti loro, inoltre era infrangere la legge, e la polizia aveva già un alto livello di diffidenza nei confronti di chi viveva nel quartiere popolare. Come se fossero tutti delinquenti (e che ne sapevano, poi, dato che lì a pattugliare non venivano mai?). Non osava nemmeno immaginare cosa combinassero i ragazzi lì dentro. A volte le raccontavano delle storie, ma...
- E alla fine tutto è giunto ad una conclusione sola. Continuavo a ripetermi che non era possibile ma, a pensarci, tutto ha senso, come... -
Forse aveva capito dove voleva arrivare. Liz non voleva che dicesse quelle parole. Sarebbero state troppo pesanti e lei non sarebbe riuscita a gestirle, perché era troppo, perché non se lo meritava, non un ragazzo come lui almeno.
- Non dirlo. -
- Devo. -
Aveva fatto apposta per tutto quel tempo a non definire la loro relazione. Evidentemente si era stancato.
Anzi, si era stancato per davvero: lei non voleva farlo? Bene, l'avrebbe fatto lui, che lei volesse o meno.
- Per tutto questo tempo ho pensato che tu fossi chissà quale demone che esisteva solo nella mia testa. Ma forse... forse era un messaggio, come se... -
Sicuramente non ci stava molto con la testa. Ma in fondo l'alcol faceva anche quell'effetto. La giovane guardò all'interno dell'appartamento, notando la porta della camera della madre chiusa e la luce spenta all'interno. Aveva un sonno piuttosto pesante e nonostante fosse ridotto piuttosto male il ragazzo non stava facendo baccano.
- Matt... -
- No, adesso mi ascolti, è... è... è come se la mia mente mi avesse detto di svegliarmi, che tu non solo esistevi, ma non eri neanche lontana. Anzi. Eri proprio dietro l'angolo. E io mi sono innamorato. Ti amo, Elizabeth, e lo dico sul serio. -
Forse non si aspettava un discorso del genere, o quello che era. La ragazza si ritrovò a sospirare: era ubriaco, fortunatamente. Avrebbe fatto bene a farlo stendere e preparargli qualcosa, oppure fare in modo che non vomitasse lì. Non in casa sua. La madre avrebbe dato di matto.
- Tu sei ubriaco marcio. Vieni, entra. Ti faccio stendere e ti preparo qualcosa, va bene? -
Il ragazzo scosse energicamente la testa e le prese il volto fra le mani.
- No, no, no. Io ti amo. Sul serio. Ti amo. -
- Tu sei pazzo. -
- Di te, questo è sicuro. -
Liz alzò di nuovo gli occhi al cielo.
Non sapeva come fosse riuscita a trascinarlo dentro e a farlo stendere. Forse perché più si andava avanti più l'effetto dell'alcol si faceva sentire.
- Devi vomitare? - domandò, chiedendosi se in casa loro ci fosse un secchio o perlomeno un catino dove avrebbe potuto limitare i danni. Di certo, non poteva farlo lì sul pavimento. E ne era sicura, avrebbe tirato su tutto se non si sarebbe addormentato di lì a due minuti.
Si sedette sul bordo del divano, accanto a lui, asciugandogli la pelle umida e tastandogli le guance arrossate. Decisamente, aveva bevuto troppo.
Non poté fare a meno di sorridergli, passandogli delicatamente una mano fra i capelli.
- Domani ti pentirai di ciò che hai detto. Ammesso e non concesso che te ne ricorderai. -
- Lo farò. E non me ne pentirò. -
Liz alzò di nuovo gli occhi al cielo. Lo avrebbe fatto. Sotto l'effetto di alcol si dicevano delle cose, che probabilmente erano anche vere (in vino veritas, dicevano i latini), ma alla fine si scordava completamente di esse. Probabilmente l'alcol serviva anche a quello.
No, non se ne sarebbe ricordato. Aveva bisogno che non se ne ricordasse.
Non poté fare a meno di chiedersi che accidenti fosse successo se l'avesse fatto: se ne sarebbe pentito? Probabilmente sì. Con lei la gente si pentiva sempre, in fondo.
Senza che nemmeno se ne accorgesse, il ragazzo si era già addormentato. La ragazza si alzò lentamente dal divano, per poi dirigersi cercando di fare il meno rumore possibile in camera sua. Si distese sul suo letto, cominciando ad osservare il soffitto. Non riusciva a dormire, continuava a pensare a ciò che Matt le aveva detto (e ciò che, di fatto, aveva detto lei qualche giorno prima, non a lui direttamente, ma...). Per un attimo, solo per un attimo, aveva pensato di ricordarglielo la mattina successiva. Scosse la testa. No, non doveva farlo. Non doveva permettere ai suoi sentimenti di essere sopra tutto il resto, un'altra volta.
 
 
La mattina successiva Matt sembrava non ricordarsi davvero nulla. Si era svegliato guardandosi intorno spaesato, chiedendosi dove accidenti si trovasse e, soprattutto, come ci fosse arrivato. Realizzò che si trattava dell'appartamento di Liz quando notò alcune sue fotografie appese al muro, il che risolveva il dilemma di dove si trovasse. Ma...
- Ho dormito qui? - domandò, leggermente incredulo, mentre la ragazza lo stava osservando divertita, con una tazza di caffè fra le mani.
Aveva un mal di testa terribile e dei grandi capogiri.
- Già. -
- Certo che per essere così giovane alza davvero troppo il gomito - commentò la madre di lei, indossando la giacca di pelle e prendendo al volo le chiavi della macchina - vado a fare la spesa. Tornerò fra mezz'ora, massimo tre quarti d'ora. Lo voglio fuori di qui. -
Detto ciò, la signora Dixon sparì, chiudendosi la porta di casa alle sue spalle. Il tonfo della porta rimbombò nella mente del ragazzo, cosa che gli fece portare automaticamente gli indici sulle tempie.
- Sempre gentile, eh? -
La ragazza rise.
- Come ti senti? -
Non lo sapeva come si sentiva. Di certo, non bene.
- Non ho... non ho tirato su tutto, vero? -
- No, ti sei addormentato. In caso contrario penso che avrei lasciato tutto lì per farti pulire appena sveglio. -
Il ragazzo si ritrovò a ridacchiare.
- Ti ricordi nulla, di ieri sera? - domandò Liz, abbassando improvvisamente lo sguardo.
Matt ci pensò su, per poi scuotere energicamente la testa.
Si ricordava del fatto che lui e i ragazzi erano usciti a bere, ma poi...
- No, nulla. -
Liz si ritrovò ad annuire - Lo immaginavo. -
Rimasero in silenzio per alcuni minuti, nei quali la ragazza finì la sua tazza di caffè e la mise nel lavello, per poi accendere il tostapane e cominciare ad affettare delle fette di pane.
- Puoi tirare fuori la marmellata dal frigorifero? Se riesci ad alzarti, ovvio. -
- Ehi, va bene che devo ancora riprendermi, ma ora non esageriamo - esclamò il ragazzo, alzandosi lentamente e prendendo l'oggetto richiesto dalla giovane.
Avrebbe fatto bene a mangiare anche lui, ma, come tutte le volte che alzava il gomito, aveva lo stomaco completamente sottosopra.
Avrebbe fatto bene a vomitare, quello era sicuro.
La guardò con la coda dell'occhio, notando la sua espressione leggermente corrucciata, come se fosse perplessa. Ma, al contempo, il suo sguardo era triste, come se sperasse in qualcosa che, purtroppo, non era accaduto.
Sul volto di Matt comparve un sorriso malizioso.
- Elizabeth? -
La giovane alzò gli occhi al cielo. Non le piaceva che la chiamasse in quel modo, ma era da tempo che non ribatteva più e a lui stava bene. Presto ci avrebbe fatto l'abitudine.
- Che c'è? -
- Una cosa me la ricordo. -
- E illuminami: che cosa ti ricordi? -
Liz pensava davvero di tutto. Delle bevute con gli amici, delle scorribande, di qualcosa successo al Johnny's... ricordi confusi, forse dei flash. Non si aspettava che si ricordasse della loro conversazione, non si aspettava nemmeno che si ricordasse di ciò che aveva detto.
- Che ti amo. E che te l'ho detto. E ti ho detto anche che non l'avrei dimenticato. -
La ragazza sussultò, cosa che lo fece ridere.
- Ma mi vuoi spiegare come ti ubriachi, tu? -
La voce le tremava leggermente, come se fosse in preda all'emozione. Forse lo era davvero.
Il cantante diede una scrollata di spalle.
- Sarà che non ero poi così ubriaco come volevo far credere. -
- Sei un idiota, Matthew. -
- Lo so. Ma tu mi ami. -
La mente della giovane tornò alla conversazione che aveva avuto con Eleanor poco tempo prima. Al fatto che lei fosse spaventata dall'idea di amore, perché esso portava solo sofferenze alle persone. Ne aveva avuti tanti, di esempi. Come suo padre, che quando era morto aveva lasciato sola la madre che era sprofondata in depressione. Ne era un esempio la ragazza che abitava nell'appartamento di fronte al suo, che era stata lasciata dalla persona che amava incinta e ora si stava occupando da sola del bambino. Ne erano esempio tanta gente che vedeva a scuola che dopo la rottura con il proprio ragazzo o la propria ragazza piangevano per settimane e non si parlava d'altro. Ne era un esempio anche Matt.
Ma, soprattutto, ne era un esempio lei, che vedendo tutto quello aveva deciso di non innamorarsi, perché non ne valeva la pena. Se c'era una cosa che si ricordava però del suo padre adottivo era quella: l'amore è l'amore, e prima o poi colpisce tutti, in qualche modo. Non si può sfuggire ad esso, nemmeno se ci si prova con tutti sé stessi, nemmeno se si riesce a nascondersi bene per molto, molto tempo.
E aveva ragione.
Il suo sguardo si puntò su Matt, che era appoggiato al bancone con le braccia incrociate al petto e uno strano sorriso dipinto sul volto, un sorriso quasi sadico, che faceva comparire una fossetta sulla guancia destra. Era come se sapesse già in anticipo di aver vinto, almeno per quella volta.
L'unica persona con cui riusciva ad aprirsi per davvero, al cento per cento, era lui. Che, del resto, era anche l'unica persona della quale sentiva di potersi fidare, completamente.
Scosse la testa: al diavolo. Doveva smetterla di fuggire e di nascondersi. Doveva rischiarsela. E, sicuramente, avrebbe sofferto, perché in amore si soffriva sempre, faceva parte del mestiere. Definendo la loro relazione in quel modo, sarebbe successo di tutto. Ci sarebbero stati litigi e incomprensioni.
E lei era disposta a fare tutto quello.
- Sai cosa? Hai ragione. Io ti amo. -





Note dell'autrice:
Ammetto che, quando ho riletto, revisionato e corretto questo capitolo, ho sgranato gli occhi un paio di volte e, a lettura finita, ho esordito con un: "Vava, ma che diamine ti è saltato in mente?". Ecco, la risposta in realtà non a so. Ma ve l'avevo detto che iniziava la mia "walk of shame" dal capitolo precedente, quindi... here we are. Già. E non è nemmeno finita, quindi insomma, direi che ne vedremo delle belle.
*Va a sbattere la testa contro il muro*
Okay, veniamo al capitolo ora. Non so secondo quale logica, ma Brian ed Eleanor mi piacciono, quindi in qualche modo volevo fare... qualcosa. Ed ecco che cosa ne è uscito. Ammetto di essere particolarmente fiera della differenza fra Brian e Synyster, vi prego concedetemela. Poi... è ormai appurato che Liz sia molto legata a Phoebe ed Eleanor ora, specialmente a quest'ultima, ed è bello da vedere come una persona che fa molta, moltissima fatica a fidarsi delle persone possa riuscire ad aprirsi così con qualcuno. Di fatto è fondamentale avere delle amicizie su cui contare.
Poi c'è il mio scivolone finale. Eh già, l'autrice si pente: se un "ti amo" doveva esserci, non doveva essere qui. Ma la storia è stata scritta qualche mese fa e quindi voglio mantenerla così com'è. Ho corretto come potevo, ma chissà... forse qualche mio lettore è un inguaribile romantico (ammetto di esserlo anche io, il che non è un bene, sono cinica di natura io, questi due tratti vanno a cozzare) e apprezzerà la cosa comunque.
Vedremo.

Mi ritiro nel mio angolino buio, adesso, è meglio.
Ringrazio di cuore tutte le persone che hanno messo la fanfiction fra le seguite, le preferite e le ricordate. Davvero, siete dei tesori.
Se il capitolo vi è piaciuto, ma anche se non l'avete gradito (critiche venite a me), me lo lasciate un commentino, per sapere che cosa ne pensate? *occhi da cucciolo*

Okay, me ne vado davvero ora.
Al prossimo capitolo!
Kisses,
Vava_95
  
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