Crossover
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Autore: Registe    18/03/2015    4 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 22 - Operazione Omega





Il Puzzle Millenario




L’inizio del declino del regno del terrore instaurato dal Grande Satana avvenne con l’Operazione Omega, una delle più brillanti dimostrazioni del genio tattico dell’Imperatore Palpatine e della perizia del suo sistema di informazione: dopo mesi di estenuanti ricerche, gli agenti dei servizi segreti individuarono una delle maggiori roccaforti della famiglia demoniaca, dove gli avversari stavano radunando centinaia di dispositivi magici da riversare contro l’Impero in un secondo attacco a Coruscant che fortunatamente non è mai avvenuto. La tragedia ancora una volta venne sventata dall’aviazione imperiale, che nonostante le numerose perdite riuscì a soffocare la minaccia decimando la maggior parte dei soldati del Grande Satana.
“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.





“Complimenti, ragazzino”.
Non era prassi del governatore Tarkin complimentarsi con qualcuno. Questa la diceva lunga sulla portata dell’operazione.
Sotto l’astronave brillava lo specchio d’acqua del lago Taisun, enorme come l’occhio azzurro di un gigante. Zexion aveva visitato le sue rive tantissimi anni prima, in uno degli ennesimi brevi viaggi in compagnia di Vexen alla ricerca di qualche fungo raro che cresceva soltanto in quella regione; non era più un bambino, e le conchiglie rosa e gialle che riposavano dove l’acqua lambiva il terreno non destavano più la sua attenzione. Aveva seguito l’uomo più anziano sotto quello stesso sottobosco che adesso si chinava sotto i residui chimici del propellente della nave, riempiendosi la testa di nomi, proprietà e nozioni di tutto quello che lo circondava senza perdere nemmeno la più piccola delle foglie. Ascoltare ed imparare. Chissà perché all’epoca la cosa gli sembrava così meravigliosa. Eppure i ricordi erano perfettamente dove li aveva lasciati, i funghi che emanavano una flebile luminescenza sul far del tramonto che sarebbe diventata forte e vivida al comparire della luna. O forse non lo sarebbe diventata affatto, quella notte.
“Devo ammettere che senza il tuo fiuto avremmo impiegato il triplo del tempo a scovarli …” mormorò il governatore, facendo scivolare la mano sul pad. L’immagine del lago comparve nell’aria, perfetta dal pelo dell’acqua al fondo; i comandanti delle altre quattro navi annuirono dalle loro postazioni olografiche ed uno di loro abbaiò qualche ordine ai suoi sottoposti. L’olografia si espanse, rivelando l’obiettivo. “Ingegnoso da parte del Grande Satana … nessuno si aspetterebbe di cercare un demone sott’acqua”.
Nemmeno Zexion se l’era aspettato, a dire il vero. Anzi, quando era giunto nella regione di Parmilia per un attimo aveva persino disperato di riuscire a trovare una qualsiasi traccia di colonia demoniaca che non fosse quella situata a bordo del Baan Palace. L’aveva attirato l’odore della magia, come sempre, e quando aveva compreso di cosa si trattasse aveva fatto rapporto ai propri superiori. Non aveva mai nutrito alcuna simpatia per i demoni, dopotutto.
Il potere degli incantesimi intrecciati vibrava nelle sue narici come un cuore pulsante; la combinazione di magie d’acqua ed aria emanava un aroma pungente ma deciso, come un cesto di more lasciato all’aria aperta per una manciata di giorni. La magia ricopriva il pelo dell’acqua come una coperta, trasformando il gigantesco lago in una città dove, ne era sicuro, l’acqua non aveva alcun segreto per i polmoni dei suoi abitanti che vi respiravano perfettamente grazie all’abilità dei loro incantatori. Una coperta che nulla lasciava trasparire, nemmeno dall’alto. Il fondale basso e roccioso che si delineava sotto i loro occhi non era altro che una mera illusione.
Il lago traboccava di qualche centinaio di vite. Un numero esiguo per un villaggio umano, ma impressionante per una colonia demoniaca dove le nascite avvenivano nell’ordine di secoli. Il Grande Satana aveva nascosto la sua gente lontano da occhi indiscreti, sul fondo di un lago dove gli umani più superstiziosi nemmeno si avvicinavano. Gli imperiali avevano cercato per settimane le colonie demoniache al di sopra delle nuvole, mentre i loro avversari riposavano al di sotto delle onde. Zexion aveva sentito nei racconti di bambino che per millenni i demoni si erano nascosti nel sottosuolo, ma nessuno aveva mai parlato di intere città subacquee. Fino a quel momento.
Dal finestrino la sagoma del White Wizard emerse dal riverbero. L’incrociatore stellare aveva sorvolato la regione di Partevia per tutta la giornata, sorvolando il lago soltanto un paio di volte per non destare sospetti di eventuali sentinelle. Era evidente che l’insediamento puntava tutto sulla segretezza e l’elusione, dunque i demoni non si sarebbero allarmati troppo nel vedere la sagoma triangolare dello Star Destroyer solcare pigramente il cielo. L’ammiraglio del White Wizard, un uomo alto con una cicatrice che gli attraversava la guancia sinistra, comparve alla riunione olografica. “Scansione terminata, governatore Tarkin. Non si rilevano attività energetiche ad alta frequenza, e gli Stregoni Incappucciati hanno confermato di non percepire canali di teletrasporto attivi al momento. Il Champions League e il Pride of Serenno non segnalano la presenza di draghi a nord e ad ovest da qui fino alla costa, né di attività militari da parte della famiglia demoniaca”.
Il governatore fece un cenno affermativo con la testa, e anche attraverso l’immagine olografica Zexion vide l’eccitazione dipinta nelle mani convulse dell’uomo con la cicatrice. “Posso dare ai miei uomini l’ordine di preparare la nave?”
“Assolutamente”. Lo sguardo del governatore Tarkin passò in rassegna tutti i suoi subordinati. “Date inizio all’operazione Omega”.
I motori della nave, pensati più per battaglie interstellari che non a manovre nell’atmosfera, ruggirono prima ancora che le immagini olografiche degli ammiragli sparissero dalla sala di comando; il Manticore si inclinò di quasi venti gradi, manovrando lentamente per permettere alle altre astronavi di allinearsi in quello stretto spazio su cui stava scendendo la notte. A bordo l’aria era frenetica: dopo la sconfitta subita ad opera dei draghi del generale Baran, il morale degli assaltatori imperiali era sceso in maniera palpabile, e le urla del governatore Tarkin non avevano allentato affatto quell’atmosfera di dubbio, paura e delusione che Zexion respirava. La prospettiva di infliggere un duro colpo alla famiglia demoniaca aveva risvegliato quegli uomini, ma con degli istinti così furiosi che gli martellavano dentro la testa.
Aveva bisogno di riposare. Aveva creduto che gli anni trascorsi a Coruscant gli avessero insegnato ad isolare gli odori della massa anche durante il sonno, ma si era sbagliato: là, in quella fila di astronavi pronte a far fuoco, la furia degli uomini gli premeva contro la testa fino a stringere la mente come una morsa. Odiavano. E uccidevano. Il gelo e la fermezza degli uomini addestrati alla pura obbedienza si era trasformato in qualcosa di vivo e compulsivo, un essere spinto dalla paura e dal desiderio di vendetta che ruggiva nell’impazienza di essere liberato.
Gli antidolorifici erano riusciti a fermarlo solo i primi giorni. Non aveva mai assunto farmaci per controllare i suoi poteri, ma dopo la sconfitta dell’aviazione imperiale non era riuscito a farne a meno. La cosa lo innervosiva.
“Immagino che i demoni non siano tutti lì sotto” borbottò Tarkin. Non occorrevano i suoi poteri per capire a chi si stesse rivolgendo.
“Dei demoni guerrieri pattuglieranno le zone intorno al lago, suppongo” rispose. “Probabilmente a quest’ora si saranno accorti che siamo un po’ troppi per essere una semplice missione di ricognizione”.
“Lasciali preoccupare. Percepisci qualcosa di utile e di cui dovrei venire a conoscenza prima di dare il via all’operazione?”
Zexion respirò a fondo, concentrandosi su tutto ciò che avveniva sotto di lui. La distanza non aiutava, purtroppo. “Non che io riesca a percepire. I maghi le hanno già riportato tutto ciò che può esserci utile sulla loro difesa, oltre a sentire la loro agitazione non credo che ci siano altre cose di rilievo, anche se …”
Si accorse troppo tardi di aver palesato i suoi dubbi ad alta voce, e all’uomo anziano davanti a lui non occorreva un olfatto prodigioso per leggere la sfumatura nelle ultime due parole. “Anche se … cosa?”
“Con tutto il rispetto, governatore … i demoni in questo villaggio potremmo considerarli alla stregua dei civili. La quantità di soldati è nettamente esigua rispetto al numero principale, ci sono persino dei bambini, cosa rara tra i demoni. Molto rara. Non costituiscono una minaccia per l’esito della guerra, pensavo che un simile spiegamento di incrociatori sarebbe stato rivolto contro qualche unità dei corpi d’armata” mormorò, già immaginando quale sarebbe stata la reazione. Per quanto detestasse i demoni un massacro in così ampia scala di civili …
Ma l’odore del governatore non ammetteva repliche, e si abbatté su di lui come una sferza. Se l’aspettava, dopotutto. “Sei molto, molto fortunato che l’Imperatore valuti così tanto i tuoi poteri, agente 006. Gli ultimi ufficiali che hanno fatto il tuo stesso, sciocco ragionamento in mia presenza non avevano la protezione del nostro beneamato sovrano. Quindi, prima che tu riprenda questo insensato discorso ricordati di una cosa. Noi non facciamo etica …” disse, alzando volutamente la voce.
Tutti i membri sulla plancia si voltarono, in perfetto silenzio, anche i motori ammutoliti per un istante.
“… noi facciamo cadaveri. Vedete di non dimenticarlo. Tutti quanti!”
L’ondata di eccitazione, forza, violenza e altre sensazioni emerse dalla nave come un’ondata; Zexion la sentì premere di nuovo, un’unica mano diretta contro la lunga sequenza di comandi che rapidamente si accesero in simultanea nel cuore di tutti gli incrociatori. Il ruggito dei cannoni attraversò il ponte da poppa a prua, liberato da quella grande mano che aprì le dita tutte in un istante, riempiendo il cielo di una luce accecante, che sottrasse il lago, la valle, i funghi e le conchiglie alla sua vista. Quando l’odore dei demoni giunse nella sua mente non ci fu più spazio per la luce e si accasciò sul pavimento, privo di sensi.



“Non c’è niente di meglio che un buon boccale di birra nanica dopo una lunga riunione.”
La taverna del Martello di Durin era semideserta a quell’ora della notte, ma la vecchia Hildur non voleva saperne di chiudere i battenti fino a quando anche l’ultimo dei suoi ospiti non fosse stato saziato e dissetato come si deve. Soprattutto se tra gli ospiti in questione c’era il re in persona.
La nana portò loro tre boccali traboccanti della bevanda dorata e Aragorn sollevò il suo, invitando Gandalf e Lupo Solitario a brindare con lui alla buona riuscita delle prossime missioni.
La riunione dell’Alleanza Ribelle di quel pomeriggio era stata tra le più grandi ed epocali di cui il re avesse memoria. La sala del trono nel palazzo di Minas Tirith, il luogo solitamente prescelto per i concili e le adunanze, non bastava ad accogliere tutti gli amici e gli alleati accorsi da altri mondi alla loro richiesta di aiuto, senza contare il nutrito gruppo della principessa Leona; erano dovuti ricorrere a un vecchio anfiteatro dell’epoca dei Sovrintendenti situato nella quinta cerchia di mura, l’unico edificio all’interno della città in grado di ospitarli agevolmente tutti. Assiepate sulle imponenti gradinate di marmo bianco, Aragorn aveva contato con grande soddisfazione quasi un migliaio di teste.
“Finalmente si ritorna alle vecchie glorie” commentò Gandalf, accendendo l’inseparabile pipa dopo una buona sorsata di birra. “Non facevamo più un bel commando come si deve da non so più quanto tempo ormai.”
Gli attacchi di sorpresa e in massa, alla Morte Nera o ad altre importanti roccaforti imperiali, erano stati un caposaldo dell’Alleanza Ribelle nei primi anni della sua attività, ma nel corso del tempo e delle battaglie l’Impero si era fatto più sveglio, aveva adottato nuove contromisure e investito grandi quantità di risorse nella difesa degli obiettivi più sensibili, e i Ribelli erano stati costretti progressivamente a ridurre la frequenza dei commandi o a ripiegare su bersagli minori e più alla loro portata. Semplicemente, non disponevano delle finanze né delle tecnologie sofisticate per competere con i sistemi di sicurezza della Morte Nera e delle stazioni imperiali più importanti.
Stavolta però era diverso.
“Stavolta sono vulnerabili. E noi abbiamo l’effetto sorpresa dalla nostra” affermò Aragorn. “Proprio come ai vecchi tempi.”
“Un effetto sorpresa bello grosso, direi!” Lupo Solitario rise e poggiò il boccale sul tavolo, asciugandosi le labbra con il dorso della mano.
L’Impero e il Grande Satana erano troppo impegnati a farsi la guerra l’uno con l’altro per potersi dedicare in modo davvero efficace alla difesa contro altre minacce. E nessuno dei due avrebbe mai neanche lontanamente immaginato che i Ribelli e la Resistenza della principessa Leona si fossero alleati contro entrambi.
Non avrebbero avuto un momento migliore per colpire.
Mancavano da definire gli ultimi dettagli, e c’erano diversi preparativi da completare, ma il grosso del piano era stato messo a punto durante quel lungo, lunghissimo pomeriggio di proposte e discussioni.
L’idea era semplice, come tutte le migliori idee. Durante una battaglia tra Impero e demoni, quando buona parte delle forze di ciascuno schieramento sarebbe stata occupata sul campo, due commandi separati sarebbero entrati in azione. Gli uomini della principessa Leona avrebbero preso di mira la Morte Nera, mentre l’Alleanza avrebbe condotto un’incursione nel Baan Palace.
“I due tiranni si ritroveranno sotto l’attacco di una minaccia sconosciuta, con cui non si sono mai misurati prima” aveva riassunto Leia a fine riunione. “I demoni non conoscono l’Alleanza Ribelle e non sanno come affrontarla, mentre l’Impero non si è mai ritrovato faccia a faccia con la Resistenza. Noi invece conosciamo i punti di forza e di debolezza di entrambi, perché condividiamo conoscenze e informazioni raccolte in anni di battaglie. Saremo in netto vantaggio.”
“E tireremo Valygar e Lavok fuori da lì!” il grido di alcuni maghi si era levato da una delle gradinate più in alto, subito seguito da un coro di ovazioni.
Liberare i due compagni rapiti era un altro degli obiettivi fondamentali della missione. Ancora una volta, non ce l’avrebbero fatta senza il contributo della Resistenza. La notizia era arrivata solo pochi giorni prima: zio e nipote erano feriti e prigionieri, ma vivi, rinchiusi in una cella nei sotterranei del Baan Palace.
“Ancora non riesco a credere che la Resistenza sia riuscita a piazzare una spia dritta dritta nella roccaforte nemica” constatò Gandalf con ammirazione, tra una boccata di pipa e l’altra. Soffiò un anello di fumo dalle labbra, e Aragorn si divertì a giocherellarci stuzzicandolo con un dito.
“Già. Noi è una vita che proviamo a farlo con la Morte Nera!”
La comunicazione sul destino dei Corthala era arrivata tramite Occhio di Zaboera ai sacerdoti della Resistenza. Pareva che fossero riusciti a rubarne uno al nemico durante la loro ultima incursione sulla fortezza volante, e lo usavano per tenersi in contatto con il loro confratello infiltrato.
“Quei sacerdoti sono fenomenali” anche gli occhi di Lupo brillavano per l’ammirazione. “A prima vista sembrano miti e docili, ma hanno una grande forza d’animo e un coraggio da leoni. Sono dei grandi combattenti.”
“Di certo ci vuole un grande coraggio per rimanere indietro come ha fatto quel… Camus, giusto?”
“La tua memoria perde colpi, Gandalf!” Aragorn rifilò una gomitata scherzosa all’amico, facendogli rovesciare una generosa dose di birra sulla barba. “Ne abbiamo parlato per tutto il pomeriggio!”
“Disse quello che oggi ha salutato la principessa Leona chiamandola Leia.”
“Eh vabbé, con tutti questi nomi nuovi da imparare mi confondo! Sono pure simili!”
“Un vero sovrano non dovrebbe fare certe figuracce diplomatiche” Lupo Solitario aggrottò le sopracciglia e scosse la testa dietro il suo boccale di birra, poi non resistette e scoppiò in una risata.
“Vi siete coalizzati contro di me, vedo” sorridendo, Aragorn offrì un po’ della sua birra allo stregone per ricambiarlo di quella che gli aveva rovesciato. “Comunque sì” disse di nuovo serio “Il sacerdote-spia si chiama Camus. E libereremo anche lui dal Baan Palace.”
Per qualche istante restarono tutti e tre in silenzio, immersi nei propri boccali e nei propri pensieri. La vecchia Hildur intanto aveva iniziato a rassettare il bancone e a passare lo strofinaccio sul pavimento, raccogliendo man mano le sedie sui rispettivi tavoli. Erano rimasti gli unici clienti nella locanda, e un orologio a cucù sopra il camino indicava che erano già trascorse tre ore dalla mezzanotte. Aragorn fece per alzarsi e pagare, ma la nana gli fece cenno di restare dov’era con un cipiglio perentorio che gli incollò le gambe al proprio posto. Sospirò. Dovevano restare se non volevano infrangere almeno una decina di leggi dell’ospitalità nanica, la prima delle quali sosteneva che un vero nano non congeda nessuno dalla propria casa senza avergli offerto almeno quattro pinte di birra. Loro erano a malapena alla prima. Il fatto di trovarsi in una locanda non cambiava le cose, dato che la vecchia Hildur offriva sempre due boccali (a testa, ovviamente) al re e al suo primo ministro, come omaggio della casa. Rifiutare una tale generosità sarebbe stato oltremodo scortese.
“Sarà anche la prima missione per i miei allievi” disse infine Lupo Solitario, percorrendo l’orlo del proprio boccale con la punta del dito, lo sguardo adombrato.
“Sei preoccupato per loro, Lupo? A me sono sembrati dei ragazzi in gamba.”
“Lo sono, Gandalf. Niente mi rende più orgoglioso dei loro progressi. È solo che questa è la loro prima vera missione sul campo, e… “ scrollò le spalle “Niente. Suppongo che sia solo la normale preoccupazione di un maestro apprensivo, tutto qui.”
“Tranquillo, Lupo. Ci saremo anche noi a vegliare su di loro nel Baan Palace. E anche tutti gli altri Ribelli. Non permetteremo che accada nulla di male.”
“Grazie, ragazzi.”
Gandalf soffiò un altro paio di anelli di fumo: “Secondo me se la caveranno alla grande. Soprattutto quel Chiave del Destino. Durante l’allenamento è stato impressionante.”
“Beh, lui è un caso un po’ a parte… “ sorrise Lupo.
“Mi hanno colpito quelle strane armi che è in grado di evocare” aggiunse Aragorn. “Non ho mai visto nessuno fare una cosa del genere, e dire che ne ho viste tante! Cos’è, un incantesimo speciale?”
“No, niente di tutto questo” Lupo scosse la testa, portandosi di nuovo il boccale alle labbra. “È Chiave del Destino a essere speciale” disse dopo una sorsata. “Si può dire che quelle armi facciano parte di lui. È sempre stato in grado di richiamarle a sé con la sola volontà, da quando lo abbiamo trovato.”
“Trovato?” Gandalf non riusciva a celare la curiosità, e anche Aragorn doveva ammettere di volerne sapere di più. Non era una vanteria infondata quando diceva di averne viste tante: sia sulla Terra II ai tempi delle guerre contro Sauron, sia da Ribelle nelle innumerevoli battaglie contro l’Impero, e durante i viaggi negli angoli più remoti e disparati della Galassia, si era imbattuto in ogni sorta di creatura, incantesimo e artefatto magico che la mente umana potesse concepire. Eppure un ragazzo che combatteva in quel modo prodigioso, brandendo due armi così assurde come se fossero il prolungamento naturale delle proprie braccia, armi che solo lui poteva evocare e controllare… questo non l’aveva ancora visto.
“Quattro anni fa, all’incirca” Lupo Solitario si appoggiò allo schienale di legno, che scricchiolò leggermente: “Lo abbiamo trovato in una città, in chiaro stato di shock. Aveva quattordici anni.”
“Cosa gli era successo?”
“Ci ha messo un po’ per fidarsi di noi e decidersi a raccontare. Anche così, la sua storia era molto strana. Ci ha detto di venire da un altro mondo.”
“Un altro… ?” Aragorn era incredulo. “Vuol dire che conosce un altro mezzo di teletrasporto oltre quelli che usiamo noi? Sarebbe una conquista… “
“Lui no, purtroppo” Lupo sospirò. “Figuratevi, ve lo avrei detto immediatamente! Ma la gente con cui viveva evidentemente sì. Ci ha raccontato che abitava in castello, ed era il membro più giovane di una specie di ordine di studiosi, custodi del sapere del loro mondo. Un giorno però tra di loro è scoppiata una ribellione, c’è stata una congiura contro i capi supremi, e molti membri sono rimasti uccisi. Chiave del Destino si è salvato perché un suo amico lo ha fatto fuggire all’ultimo momento, teletrasportandolo nel nostro mondo. Per mesi Chiave del Destino è stato convinto che il suo amico sarebbe tornato a prenderlo, ma… “
“Mi dispiace” mormorò Gandalf.
“Abbiamo mandato molte pattuglie nel luogo dove è stato trovato Chiave del Destino, ma mai nessuno è apparso dopo di lui. Ormai è passato tanto tempo, e lui non è in grado di tornare indietro… “
“Però ora mi sembra felice con voi, Lupo. Vedendolo non avrei mai detto che non facesse parte dei Ramas fin dall’inizio” gli sorrise Aragorn.
“Grazie agli dèi, è così” anche Lupo sorrise. L’affetto che trapelava da lui mentre parlava dei suoi allievi era evidente nello scintillio degli occhi, nel viso illuminato di orgoglio e commozione. “Fa parte della nostra famiglia, adesso.”
“Alla grande famiglia dei Ramas, allora!” Gandalf sollevò il boccale, proponendo un nuovo brindisi.
I tre calici si incontrarono a mezz’aria, tintinnando fragorosamente.
“Ai Ramas!”


Zexion chiuse gli occhi, gustando la sensazione dell’acqua fredda che lambiva la punta dei suoi stivali. La riva era proprio come la ricordava, con la sabbia bianca dove i piedi erano costretti ad affondare sotto il suo peso; avrebbe potuto camminare per ore, anche tutta la giornata, eppure non sarebbe riuscito a girare per tutto il perimetro dell’enorme lago le cui rive opposte svanivano all’orizzonte. Era tutto azzurro, nonostante fosse notte fonda. Le conchiglie scricchiolarono al suo passaggio.
Adesso poteva vedere i funghi.
Alcuni gli arrivavano persino alla spalla. I loro cappelli biancastri, quasi lattiginosi alla luce solare, adesso si erano risvegliati in un arcobaleno di tinte. Guidavano le rive del lago come una cintura fatta di gioielli, brillavano di rosa, verde e viola e si imbrunivano leggermente al suo passaggio per tornare più splendenti che mai una volta che la sua ombra li aveva abbandonati. Avevano un profumo dolcissimo, troppo forte per i suoi gusti. In un libro di favole aveva letto che le fate dimoravano nei cappelli dei funghi più grandi, ed una sera si era teletrasportato in quel luogo solo per vederle volare; aveva fatto un buco nell’acqua, ovviamente, ma quella notte aveva visto le acque del lago tingersi di quella piccola costellazione nata sulla terra, chiedendosi come fosse possibile abbinare quei colori tutti insieme senza che anche solo uno stonasse alla vista. Non aveva mai creduto al caso, né ad alcun dio disposto a creare quell’arcobaleno solo per rendere felici coloro che erano tanto temerari da camminare in quel posto temuto dagli uomini.
Né vi credeva in quel momento.
Respirò di nuovo, più a fondo, spezzando la magia.
Non c’erano più funghi dall’aroma dolciastro, non c’erano fate. Soltanto il profumo della morte.
Vapori di fumo nero salivano dalla terra, disperdendosi nel vento che si era appena alzato; il freddo delle acque del lago non era altro che la roccia calda sotto gli stivali, dove cristalli neri affioravano nei punti dove le batterie di turbolaser avevano riversato i loro colpi e la temperatura infuocata aveva fatto il resto. Forse quella polvere sottile erano le conchiglie, forse le ossa di qualche demone. A quel pensiero Zexion si morse il labbro fino a farlo sanguinare.
Della costellazione di funghi non rimanevano altro che le ultime lingue di fiamme, nemmeno una piccola luce, un bagliore, un indizio di vita. L’odore del pianeta bruciato copriva ogni cosa, ogni angolo dove potesse poggiare lo sguardo. Le uniche forme di vita nel raggio di chilometri erano gli assaltatori della sua scorta, vaghe ombre bianche che lo seguivano in silenzio, tenendosi a distanza.
Si accorse di non avere il coraggio di guardare il lago. O ciò che ne restava.
Gli bastava respirarne il vapore.
Il governatore Tarkin gli aveva ordinato di scendere a terra per cercare eventuali demoni sopravvissuti all’attacco, ma Zexion sapeva che era soltanto una mossa preventiva: l’uomo anziano aveva calcolato quell’azione da molto tempo, e nessuno meglio di lui poteva orchestrare una simile macchina di morte. Zexion sapeva, aveva sempre saputo cosa volesse dire l’operazione Omega ma … era diverso. Semplicemente diverso. E sbagliato.
Sin da bambino aveva sempre odiato la famiglia demoniaca. Un odio derivato dalla paura di quelle creature pallide, dalla magia infinita che avrebbero potuto sconfiggere facilmente tutti gli abitanti del Castello dell’Oblio. Vexen mescolava i loro nomi con punte di disprezzo, talvolta anche imbevute di una sottile invidia, e lui aveva bevuto quelle sensazioni senza riflettere, felice di vivere in un castello dove quei mostri non sarebbero mai riusciti ad entrare. Nei racconti del numero IV c’era sempre qualche demone che odiava la scienza e l’alchimia, e la paura del numero VII e la sua strana razza non avevano fatto altro che cementare quella sensazione di diffidenza amara per quei mostri con cui era meglio non avere nulla a che fare. Fino a quel momento.
C’erano pensieri nell’aria. Deboli, intrisi nel vento e nella polvere, ma ancora il suo fiuto poteva raccogliere le ultime tracce di vita dei demoni come il lontano eco di un grido assordante. Non riusciva a separarli, ma erano una massa di terrore, odio, dubbio e disperazione, una cascata che lentamente stava svanendo per raggiungere i suoi padroni e le loro ceneri. Chiedeva aiuto, protezione, gridava. Chiudersi il naso era inutile, perché le voci erano già arrivate e gli premevano contro le stomaco con sempre maggior violenza, spingendolo fino alla base della gola dove era già arrivato il terrore della morte; una paura pura, un grido di aiuto che non aveva nulla della fierezza e della superiorità della famiglia demoniaca.
Quegli odori non avevano nulla di diverso da quelli degli umani.
Gridavano tutti.
Urlavano tutti.
Morivano tutti. E in quel momento, in quell’istante quando il fumo era ancora in cielo ed i turbolaser finivano di raffreddarsi, in quell’istante soltanto lui poteva sentirli. Quando riaprì gli occhi non c’erano la sabbia ed i funghi, le conchiglie, il lago ed i demoni.
C’erano soltanto le sue lacrime.
“Si dice che i coccodrilli piangano dopo aver ucciso le loro vittime” mormorò una voce. Zexion trasalì, rendendosi conto in quell’istante di essersi perso nei propri pensieri. L’odore dell’uomo sarebbe stato percepibile da diversi minuti, ma solo in quell’istante il numero VI dell’Organizzazione si accorse di aver permesso ad un estraneo di arrivargli alle spalle. “Ma conosco bene i coccodrilli, e sono creature troppo nobili per compiere un gesto così meschino. Certe scene ripugnanti possono farle soltanto gli umani”.
Il giovane che lo fissava, in piedi su un cumulo di cenere, non aveva molti più anni di lui. Un’ondata di odio si abbatté su Zexion, un odio che raramente aveva sentito rivolto verso di lui; strinse i denti cercando di isolare, cercando di ignorare il dolore che gli serrava la gola per quell’odore forte in mezzo al turbine della morte. Quando respirò una seconda volta l’odore era più intenso, più acre, più oscuro e quando iniziò premergli nel petto al ritmo del cuore capì che non si trattava del ragazzo che lo fissava. L’enorme gioiello dorato che pendeva da una catena al suo collo lo osservava con l’occhio nero intarsiato, il Puzzle del Millennio completo fino all’ultimo pezzo.
Gli assaltatori della scorta sembravano sorpresi quanto lui per la comparsa improvvisa del generale Hyunkel. Il comandante gridò un paio di ordini da sotto il casco e subito il nemico fu circondato dall’intera squadra, ogni blaster puntato contro di lui. Hyunkel non li degnò di uno sguardo; i suoi occhi colore del ghiaccio restarono fissi su di lui, implacabili, spietati.
“Alza le mani e mettile dietro la testa, demone.”
Zexion avrebbe voluto dire ai cinque soldati che era inutile, che le loro ridicole armi non avrebbero fatto neanche il solletico a un generale dell’armata demoniaca. Avrebbe voluto gridare loro di scappare il più lontano possibile.
Tutto ciò che riuscì a fare fu rimanere con le gambe paralizzate e i piedi incollati al suolo coperto di cenere mentre la spada Amudo saettava fuori dal suo fodero e investiva i soldati imperiali con una raffica micidiale di fendenti, sotto i suoi occhi sgranati e increduli. Gli assaltatori non fecero in tempo a sparare neanche un colpo. Caddero uno dopo l’altro, i loro odori si fecero più intensi per un ultimo istante, sopraffacendo persino quello di fuoco e di morte. Poi si spensero.
Il generale Hyunkel tornò a spostare la propria attenzione su di lui, come se avesse interrotto la conversazione solo per la manciata di istanti necessaria a scacciare una mosca molesta.
“Sei venuto a gioire di questo massacro?”
“No”.
“Bugiardo”. Il vento sollevò il mantello del generale Hyunkel, rendendolo ancora più minaccioso. Amudo brillava sinistra tra le sue mani, apparentemente illesa dopo la battaglia di Coruscant, ed il lento ma inesorabile illuminarsi della gemma scarlatta sull’elsa prometteva che quell’incontro non si sarebbe risolto in qualche veloce scambio di battute. Zexion sollevò istintivamente la mano per avvicinarla al comlink auricolare e chiamare rinforzi, ma la abbassò non appena la lama intarsiata calò bruscamente contro il suo petto fermandosi all’altezza della gola. “Credevo che la permanenza al Baan Palace avesse insegnato ai tuoi amici dell’Organizzazione a non mettere più il naso nelle faccende della famiglia demoniaca, ma sembra che causare problemi sia la vostra specialità!”.
Avrebbe voluto rispondergli che non aveva nulla a che fare con gli altri Membri dell’Organizzazione da oltre due anni, ma la battuta gli scivolò dalle labbra quando la punta della spada gli sfiorò la pelle. Il giovane dagli occhi chiari traboccava odio, ma il suo odore irritante, quasi freddo, lasciò sfuggire le sue intenzioni.
Non voleva ucciderlo.
Il che gli dava un certo vantaggio.
Sfidare a duello il generale Hyunkel era una follia, ma farlo quando aveva indosso il potere devastante del Puzzle Millenario … insultare direttamente l’Imperatore Palpatine avrebbe avuto risultati più piacevoli. Tentò di fare un passo indietro ma l’altro lo seguì, incalzandolo persino a quel minuscolo movimento, gli occhi fissi sulle sue mani.
Ma Zexion non aveva bisogno delle dita per richiamare il proprio elemento.
Il vento soffiò improvvisamente dai loro piedi, sollevando la cenere contro il giovane generale. Per riflesso quello abbassò la spada, e Zexion si buttò a terra trascinando con sé ciò che restava di un albero annerito. Sentì la cenere entrargli nelle narici e tra le labbra, ma si rialzò ed iniziò a correre più lontano possibile. Inciampò nel terreno fragile, rotolò di nuovo tra le imprecazioni del generale Hyunkel, poi si riprese e si lanciò lontano, il più lontano che poteva, portandosi dalla parte opposta del cratere che aveva sostituito il lago. Con le dita cercò l’auricolare e lo accese, tremando all’idea che si fosse rovinato nella caduta; ma l’oggetto era di produzione imperiale, ed il debole fischio d’attivazione fu il suono più confortante che Zexion avesse mai sentito negli ultimi giorni.
Adesso doveva soltanto cercare di rimanere in vita.
In pochi istanti l’altro fu al suo fianco, la spada dell’armatura perfettamente trasformata. Sulla lama corse una luce scarlatta che aspirò la folata di vento, e mandò un tonfo sordo quando calò su di lui e colpì la polvere. Zexion scivolò di nuovo lontano, con il cuore in gola ed il cervello teso ad elaborare un qualunque piano che riuscisse a fermare il suo avversario. Evocò una seconda ondata di vento, ma l’armatura argentea copriva il corpo del generale Hyunkel lasciando a malapena scoperti gli occhi; il suo incantesimo sembrava soltanto una brezza davanti a quell’uomo corazzato. L’unica consolazione era che non aveva richiamato lo Spirito del Puzzle. Una consolazione piuttosto magra, visto che ad ogni passo del nemico le sue probabilità di sopravvivere diminuivano.
Si allontanò di nuovo, ma stavolta la sua corsa venne fermata. L’altro lo afferrò per un polso con un gesto troppo fluido per un uomo armato, e prima che Zexion potesse tentare di sfuggirgli si ritrovò a terra in un’esplosione di rami carbonizzati che si trasformavano in cenere e scintille all’impatto con il suo viso. Lanciò un calcio, poi un altro, ma se il primo si perse nell’aria il secondo si abbatté sull’armatura liberando una fitta di dolore che corse per tutta la gamba. Gli si parò davanti agli occhi tutto il corso di autodifesa che era stato costretto a seguire, ma nessuna delle posizioni gli sembrava indicata per liberarsi di un energumeno coperto di metallo in qualunque punto. Cercò di avvicinare una mano alla sottile fessura dell’elmo, mirando agli occhi, ma l’altro doveva aver previsto una mossa del genere: gli strattonò di nuovo il polso e lo costrinse su un fianco, poi gli assestò un violento calcio nello stomaco. Zexion si piegò su se stesso per il dolore e per istante davanti agli occhi gli balenarono lampi rossi. Con la mano libera cercò il blaster.
Il pugno dell’altro lo colpì in piena faccia. Per un attimo la testa sembrò esplodergli, ed il sangue scivolò oltre le sue labbra mentre un dolore enorme gli attraversò l’occhio sinistro. Combatté l’istinto di portare la mano al viso, ma quando strinse le dita sul calcio del blaster si accorse di aver afferrato soltanto aria. Rotolò leggermente per evitare un secondo pugno. Un’imprecazione gli scappò tra i denti quando vide l’arma lontana da loro, caduta a diversi metri di distanza probabilmente all’inizio dello scontro. Scivolò di nuovo nonostante il dolore, ma la presa dell’avversario non la smetteva di costringerlo costantemente a terra, qualunque movimento tentasse di fare. Scalciò ancora, inghiottendo il dolore, ogni corda della sua mente tesa nell’arrivo di qualunque rinforzo. Il polso sinistro lanciava segnali di gelo che aumentarono quando il suo assalitore lo sollevò di nuovo da terra come fosse un giocattolo, per poi scagliare su di lui un pugno che lo colpì in piena fronte.
A quel punto la mano destra saettò in avanti, cercando di allontanarlo, ma il mondo stava iniziando a vorticare sopra, sotto e dentro di lui. Finché non trovò qualcosa di solido.
Una scossa lo attraversò dal guanto fino al cervello, trasformando persino il calcio appena ricevuto in un fastidio irrisorio; un’ondata di potere puro e privo di forma i abbatté su di lui, cercando di allontanarlo. Zexion aprì la mano di riflesso, colpito agli occhi dalla luce accecante del Puzzle del Millennio. Senza rendersene conto aveva stretto la catena che lo collegava al padrone e la risposta era stata violenta, quasi quanto inserire una mano bagnata in un condensatore ad energia elettrica: la tempesta di odori lo colpì di nuovo, stavolta unendo l’odio del giovane generale con lo spirito antico del Puzzle intervenuto a difesa del suo possessore. Una serie di immagini gli si affacciarono davanti agli occhi, ma erano prive di forma o senso, tinte soltanto di un odio nero ma rosso come il sangue. C’era una battaglia da qualche parte, ma tutte le scene lo attraversarono ringhiando, convergendo nell’unica, enorme luce del Puzzle. Zexion riuscì solo a vedere l’occhio scuro che decorava il monile illuminarsi, quasi come gli occhi dello spirito a cui era legato. Scivolò nel bianco, ignorando qualunque altra forma di dolore.
L’ultima cosa che riuscì a sentire erano le parole del generale Hyunkel, ma anche quelle si trasformarono in un unico manto di silenzio.
  
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