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Autore: HergePearl    18/03/2015    1 recensioni
Una giovane donna senegalese, giunta tempo fa a New York per cominciare una nuova vita, sta per farla finita, sentendosi rifiutata dalla società che denuncia. Riuscirà qualcosa farle cambiar idea?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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È successo mentre ascoltavo per l'ennesima volta le note finali di quella canzone magica degli U2, Please .
"But Love isn't what you're thinking of: It's whats lovers deal, it's what lovers steal…".

Avevo capito che veramente sono diversa, come la società mi aveva voluto far sapere tante volte. All'inizio credevo che loro fossero diversi, con i loro visi paffuti, guance gonfie e collo eccessivamente largo. Tutti pallidissimi, con la fronte rossa e sudata.
Ero testarda, non ci credevo e basta! Il mondo appartiene a tutti, o no? Io non porto la povertà, non peggioro la situazione economica americana e tantomeno sono violenta, anzi! Nel Senegal combattevo purché i diritti degli omosessuali venissero rispettati.
Alla fine - per quanto potessi credere in me - mi sono lasciata convincere: sono una negra , magari non una schiava, ma nera . Non lavoro, non ho il visto permanente e per molti sono un'illegale. Mi sono lasciata convincere che avessi invaso la loro Patria, tanto che ho abbandonato le mie conoscenze di storia. Credevi che anche gli Americani fossero emigrati - almeno a partire da cinquecento anni fa. All'università, durante una lezione di Antropologia, avevo imparato che l'umanità si fosse evoluta tra migrazioni. E per notti intere ho fatto riflessioni, e dubbi avevano percosso la mia mente.

Mi avevano urlato in faccia di tornare in Senegal, a casa.
"Se soltanto potessi..." rispondetti mentalmente per mesi.
Fino a quando cominciai a considerare seriamente quell'urlo - per loro un invito, e non dei più gentili - e mi sentivo come se illuminata.
Tornai.

Fu una delusione. Per loro ero già Americana, magari anche internazionale visto che il mio accento in francese era diverso dal loro.
Avevo perso le novità della famiglia e della politica del loro Paese. Avevo dimenticato i dialetti e mi confondevo tra tradizioni.
Ero partita per cercare la fortuna, ottenere un lavoro e soldi. Ero tornata che mi vergognavo e mi ero riempita di bugie che rappresentavano una dolce vita all'americana.
Ripartii con i miei ultimi risparmi da Dakar. Perché?
Non avevo un posto, da nessuna parte venivo accolta.

Era stata quella canzone a farmi capire che Love non è un matrimonio, due persone felici insieme tra baci e carezze. Love è amarsi. Accettarsi e farsi accettare. Abbassare la violenza e i pregiudizi. È stata una svolta per me: siamo semplicemente tutti della stessa razza. E siamo tutti uguali. Abbiamo delle caratteristiche diverse fra noi. Ma proprio perché abbiamo tutti dei gusti od hobby caratterizzanti, siamo uguali.
E dirlo, pensarlo, è amare.

Spensi l'MP3, tolsi le cuffiette dalle orecchie misi il tutto nella tasca della felpa. Avevo deciso che quella canzone sarebbe stata l'ultima che avrei ascoltato. L'avevo previsto . Mandai giù la saliva accumulata in bocca e guardai la strada, sotto me. Dall'ultimo piano dell'Empire State Building, New York City - città dei miei sogni, dolci e giovanili.
Non avevo previsto di fare quelle riflessioni. Caspita.
Feci un passo indietro, allontanandomi dalla morte.
Il traffico delle quattro di mattina frecciò velocemente, ancora silenzioso, per le ampie strade a più corsie.
Volevo cambiare le cose.
Subito.

~ Spazio Autrice ~
Vorrei ringraziare tutte le persone che hanno letto fin qui e spero che lasciate un commento, magari per dare la vostra opinione riguardo l'argomento o comunque per dare un suggerimento su come scrivo.
La storia è del tutto un'invenzione, tuttavia spero che non la troviate banale. :)
Pearl.

   
 
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