Blaze
Una giornata stupenda per regnare. Quella
mattina feci una consistente colazione, per poi riunirmi in Consiglio
per
discutere degli imponenti interventi di ristrutturazione che avevamo in
programma per Flaritas, nonché in tutte le altre
città. Infondo, perché non
sfruttare il vantaggio di avere un monarca illuminato, in
grado di comprendere cose e
tecnologie a noi fino ad allora sconosciute o poco approfondite?
E
ovviamente, il nostro principino non si
era nemmeno fatto sentire dall’inizio della mattinata,
probabilmente impegnato
a divertirsi da qualche parte, ad allenarsi, o a studiare politica e
giurisdizione imperiale. Senza nemmeno aver salutato sua madre e
regina! Adorabile,
il mio Alexis.
La mia anima però era inquieta. Sentivo un
fremito in essa, come se qualcosa fosse fuori posto. E non sapevo che
cosa
fosse.
Tuttavia, inspirai profondamente, scacciando
quei pensieri, rilassata da una mattinata soleggiata e tranquilla come
quella.
Camminavo rapidamente, osservando il paesaggio fuori dalle varie
finestre e
lasciando che il sole mi scaldasse la pelle negli occasionali fasci di
luce che
filtravano nei corridoi. Quando passai per l’ennesima volta
sotto i raggi del
sole, la mia attenzione fu catturata dall’insistente
luccichio dell’anello che
portavo all’anulare della mano sinistra, e mi concessi di
lasciar vagare in
tranquillità la mia mente tra i ricordi. ‘’Non
posso credere che siano cambiate così tante cose nel corso
di pochi anni…’’
Mi accorsi di essermi imbambolata in mezzo
al corridoio mentre osservavo la mia fede al dito. Mi ridestai
immediatamente,
ricordandomi il motivo per cui stavo vagando per il castello. Mi
diressi verso
la Sala del trono, e quando arrivai davanti ai suoi enormi portoni, le
guardie
che ne impedivano l’accesso con delle lance si ritirarono,
indietreggiando di
un passo e chinando con rispetto il capo.
Prima che potessero dare l’ordine di aprire
le porte attraversai l’entrata più piccola incisa
tra esse. Arrivata nella
stanza notai immediatamente una decina di ingegneri attorniati a
Shadow, che stringeva
tra le mani numerosi appunti e progetti e discuteva con le persone
vicine a
lui. Quando sentì richiudersi la porta, alzò lo
sguardo e incontrò i miei
occhi. Mi sorrise di soppiatto prima di rivolgersi nuovamente alla
piccola
folla ai suoi lati.
-Vi ringrazio per le vostre impeccabili
spiegazioni, signori. Ma ora avrei bisogno di stare da solo e di
riflettere
attentamente per poter prendere la decisione adeguata- disse Shadow,
congedandoli tutti con particolare eleganza. Loro fecero un breve
inchino,
uscendo rapidamente dalla sala.
Lui si voltò verso di me, un sorriso aperto
sul volto. Ricambiai il gesto, salendo i pochi gradini che portavano ai
nostri
troni e avvicinandomi a lui.
-Beh? Come procedono le cose?- gli chiesi.
Lui scrollò le spalle, stirandosi con stanchezza la
schiena.
-Bene. Ho passato una mattinata intensa-.
-Non dirlo a me, ti prego-. Lui alzò un
sopracciglio con fare interrogatorio, mentre un’aria
tremendamente divertita
gli aleggiava sul volto.
-Hai avuto una brutta giornata?- chiese.
-No, non esattamente. Solo stancante-
mormorai, appoggiandomi a uno dei braccioli del trono. Mi presi un
secondo per osservare mio marito. I vestiti imperiali che era
tradizione indossare dai sovrani, nel suo caso una veste nera con i
bordi e i bottoni color oro che gli arrivava fino ai polpacci e con dei
pantaloni anche loro neri, mettevano in risalto la sua aria potente. I
primi due bottoni della veste erano slacciati, permettendo ad alcuni
dei suoi ciuffi bianchi sul petto di essere visti.
-Il Consiglio è stato aggressivo? Ti ha dato
dei problemi?- mi chiese, riportando la mia attenzione sul discorso.
Mi strinsi nelle spalle. -Stranamente sono stati abbastanza docili
oggi. Non hanno criticato le nostre proposte riguardo alle
ristrutturazioni e
le hanno accettate praticamente senza replicare.
Com’è stata la tua mattinata
‘’avvincente’’, invece?-
chiesi, mimando le virgolette con le dita. Era bello
potersi concedere un minuto di relax e intrattenere un discorso
tranquillo con
lui durante la giornata senza avere la preoccupazione di una riunione
imminente
o un’improvvisa ribellione dei membri facenti parte del
Consiglio di corte.
- Sono andato a parlare con Marine e con gli
altri meccanici degli aereo-velivoli
in
fase sperimentale-.
-Suppongo che lei fosse entusiasta di
poter rispolverare i vecchi progetti di Tails- dissi. Lui
annuì con risolutezza.
-Sì, decisamente. Le brillavano gli occhi
mentre mi spiegava cosa aveva intenzione di costruire. E come per
incanto, la
sua personalità logorroica si è risvegliata. Era
da anni che non sbagliava a pronunciare
le parole che diceva in un discorso... sembra che ora abbia
ricominciato-
mormorò. Io ridacchiai, immaginandomi un genio della
meccanica come lei
sbagliare alcune semplici definizioni. Gli errori erano per giunta
accentuati
dalla sua rapida parlantina con quell’accento particolare. ''Oh, Marine...''
sospirai divertita tra me e me
-Cambiando discorso, hai visto Alexis da
qualche parte?-domandai. Shadow scosse la testa desolato.
-No. Ma novanta probabilità su cento si è
alzato qualche ora prima di noi per evitare che lo fermassimo-. Alzai
un
sopracciglio e lo guardai corrucciata.
-Che lo fermassimo dal fare cosa?-
Lui ghignò con un lieve accenno di
divertimento sulle labbra. -Dal fare quel che diavolo gli viene in
mente in
quel momento-.
Alzai gli occhi al cielo, massaggiandomi le
tempie. -Quel ragazzino mi farà impazzire prima o poi. Ma
devo essere sincera:
mi piace la sua intraprendenza-.
Shadow rise ironico. -Certo, nel fare solo
ed esclusivamente quello che gli piace è intraprendente,
giusto- ridacchiò.
Parlare di Alexis mi fece venire in mente un altro argomento che in
questo
periodo mi tormentava. ‘’Althea’’.
-Come starà la nostra principessa?- dissi,
aspettandomi una risposta vaga, del tipo: Sono certo che stia bene.
-Althea? Sappiamo di poterci fidare di lei,
e siamo entrambi consapevoli che Sonic è un tipo molto
aperto. Lo sarà anche
davanti alla superbia di nostra figlia. Sono convinto che lei si stia
sentendo
a suo agio-.
Tendevamo a comportarci fieramente, a mostrarci
indifferenti… ma Althea
mancava a tutti e due, ogni giorno, e lo stesso valeva anche da parte
del fratello.
La nostra conversazione fu interrotta da un
improvviso strillo di una guardia. -Aprite il portone!-
-Non è necessario, passo per l’altro
l’ingresso-
sentii dire da qualcun altro, e vidi la porticina di mezzo aprirsi.
Apparve un
ragazzo di circa trent’anni che si inchinò
rapidamente.
-Vostra maestà, è appena arrivata una
guardia che dice di arrivare da lontano e di dovervi riferire
personalmente una
notizia importante- ci spiegò.
-Va
bene, fatela passare. Accompagnatelo verso la sala del trono. Lo
riceveremo
subito- disse Shadow.
Lo guardai con una lieve preoccupazione
dipinta sul volto. -Cosa può essere successo di
così importante?- domandai, più
a me stessa che a lui.
-Non sappiamo nemmeno da dove provenga la guardia,
se è una dei nostri o di uno stabilimento esterno.
È ovvio che lo scopriremo solo
quando sarà qui- mormorò in risposta.
Udimmo delle persone che discutevano
concitate tra loro. -Aprite il portone!- dissero nuovamente.
-Levatevi di mezzo!- urlò una voce maschile.
La stessa porta di prima si aprì di scatto, tanto da
sbattere contro la
superfice retrostante, producendo un tonfo secco.
-Vostra maestà!- strillò una giovane guardia,
probabilmente appena oltre i vent’anni, che corse verso di
noi in modo
concitato e goffo, quando all’improvviso si fermò,
inciampando su sé stesso.
-Vostra maestà- ansimò nuovamente, cercando di
riprendere fiato.
Aveva gli occhi sbarrati per l’agitazione e il pelo arruffato
e piuttosto
sporco. Doveva aver affrontato mille insidie per poter raggiungerci fin
lì. Parlai
io per prima. –Da dove vieni, recluta?-
Alzò con timore gli occhi. -Tempio del
blocco delle isole Nord-est, mia regina-.
-È un viaggio lontano. Cosa ti porta qui?-
-A...ancora non posso credere di essere
arrivato vivo, sono tre giorni che viaggio… il tempio ha
subito un attacco. Non
ci sono state vittime o danni ma… hanno rubato la reliquia-.
Sentii il sangue
defluire dal volto e il cuore perdere un battito.
Shadow si raggelò. -Hanno rubato lo
smeraldo?- sussurrò. Era visibilmente spaventato, e potevo
capirlo benissimo. I
suoi occhi riflettevano quelli di un uomo che, per la prima volta, si
trova ad
affrontare un nuovo tipo di sfida. Shadow era un Re che fino a quel
momento
aveva dominato solo in tempo di pace. Qualunque cosa stesse succedendo,
dovevamo capire di più. E agire immediatamente. Shadow si
sforzò di sbloccarsi
dallo shock iniziale, e pose una domanda al messaggero.
-Ci sono degli indizi su chi potrebbe essere
stato? Qualsiasi cosa, anche la più elementare-.
-Dardi. C’erano dei dardi soporiferi. Come
ho già detto non ci sono state vittime, signore-. Shadow
sembrò leggermente
sollevato dall’assenza di spargimenti di sangue, ma sapevamo
entrambi che tutto
quello che era successo era grave, e avrebbe potuto peggiorare di
minuto in
minuto se non avessimo fatto qualcosa.
Shadow inspirò profondamente, cercando di
mantenere il controllo. -Guardie! Portate questo ragazzo in infermeria
e
dategli qualcosa da mangiare. Sei congedato-ordinò.
-Grazie, sua maestà-.
Vidi
Shadow avvicinarsi al suo trono, e sedercisi sopra lasciandosi cadere
pesantemente. Si mise una mano in fronte per poi stropicciarsi gli
occhi.
-Shadow…- sussurrai con un fil di voce.
-Convochiamo il Consiglio. Immediatamente-.
***
???
-Basta!
Vi prego, basta!- singhiozzai, coprendomi il volto con le mani per
cercare di
difendermi dai calci e dai pugni che stavo ricevendo. I bambini intorno
a me
ridevano, godendosi pienamente la scena patetica davanti ai loro occhi.
-Per
favore, lasciatemi stare!- urlai, sperando che qualcuno mi sentisse. Uno
dei
cinque ragazzi, un gatto dalla pelliccia marrone scuro e rada mi
spintonò,
facendomi cadere su un mucchio di sacchi della spazzatura ammucchiati a terra.
-Perché?
Ci stiamo divertendo così tanto noi due…-
mormorò. Mi tirò le penne sulla
testa, costringendomi a guardarlo. -Non è vero?-
Singhiozzai
forte, cercando di non pensare a tutto quello che stava succedendo...
di nuovo.
Mi rannicchiai a terra, coprendomi la testa e serrando gli occhi. -Ma
che fai?-
ridacchiò il gatto, soddisfatto della mia sottomissione.
-Ehilà?
C’è qualcuno?- sentii dire. Ma non era uno dei
bulli che mi stavano picchiando
in quel momento. Nel vicolo in cui stava accadendo il tutto,
risuonarono dei
passi che si avvicinavano, lenti ma sicuri. Si fermarono
all’improvviso.
-Cosa
state facendo?- ringhiò lo sconosciuto.
-Vattene
moccioso- sputò il ragazzo che torreggiava su di me.
-Moccioso?!
Come osi!-urlò il nuovo arrivato in preda ad una furia
cieca, e potei percepire dai suoi
passi che iniziò a correre verso di loro. Aprii per un
secondo le palpebre e
notai che il bambino attaccò subito il più
massiccio tra i ragazzi presenti. Mi
ricoprii subito gli occhi. Ero terrorizzato all’idea che si
stessero solo
contendendo la preda tra loro, quindi cercai di non pensare affatto.
Era buio
tanto davanti ai miei occhi quanto nella mia testa. E in quel buio
riecheggiavano
i colpi che si stavano dando in quel momento i ragazzini davanti a me.
A un
certo punto riaprii nuovamente gli occhi, e vidi il nuovo arrivato
messo al
muro dal mio aggressore. Nonostante questo, il bambino non sembrava
spaventato.
Guardò il suo avversario con aria spavalda e gli disse
qualcosa.
-Di’
la verità, i tuoi genitori ti picchiano quando arrivi a
casa, non è vero? Quasi
quasi li capisco-. Gli sputò in faccia e lo
colpiì immediatamente con una testata, e io serrai
immediatamente
le palpebre, per poi sentire quei ragazzini che mi avevano attaccato
poco prima
mentre esprimevano il loro terrore.
-Che gli
succede?! Ha preso fuoco!- urlò uno di loro. Sentii la
temperatura aumentare, e
avvertivo uno strano sfarfallio davanti agli occhi.
-Andate
via!- gridò. E la situazione sembrò calmarsi.
Avvertii dei passi avvicinarmisi molto
lentamente.
-Ehi,
se ne sono andati-. Non capii subito cosa stesse succedendo.
Ma… mi sembra di ricordare
che lui cominciò a darmi dei calcetti leggeri sulle braccia.
-Ehi,
specie di... feto. Puoi rialzarti, forza-. Aprii lentamente gli occhi,
e vidi degli
stivaletti neri adornati da fiamme gialle. Alzai gli occhi e mi prese
un colpo.
Quello che mi si parava davanti era uno strano bambino dagli occhi di
due
colori diversi, completamente ricoperto di fiamme. Cominciai a gridare
senza
controllo e strisciai all’indietro, preso dal panico.
-Ehiehiehi,
stai calmo! Che diavolo ti prende?- mi domandò, sorpreso.
Raggiunsi la fine del
vicolo, ma ero talmente preso dal panico che continuai a strisciare
ancora per
qualche momento.
-Diamine,
stai calmo, non puoi strisciare oltre il muro. Ho appena impedito che
ti
cambiassero i connotati. Gratis per giunta. Si può sapere
che ti prende?- Gesticolando,
alzò la mano, ancora in fiamme e girò lo sguardo
verso di essa.
-Oh,
ora ho capito. Scusa, a volte tendo a dimenticarmene-. Fece
un breve sospiro e le fiamme intorno a lui si diradarono molto
velocemente, fatta
eccezione per qualche fiammella sulla sua testa che spense prontamente
scompigliandosi le spine.
Lui
sorrise. -Visto? Non sono uno spirito infernale. Ora posso aiutarti ad
alzarti-. Ero più tranquillo, ma sempre piuttosto incredulo.
Lui
sospirò snervato. -Non sei un tipo che parla molto, vero?-
Deglutii
a fatica, cercando di fissarlo negli occhi. -…Che cosa sei?-
chiesi.
-Una
persona molto speciale. E c’è qualcuno a casa che
mi chiama scherzo della
natura. Però il mio nome è Alexis. E tu come ti
chiami?- Mi porse la mano, ma
avevo paura a stringergliela per il timore che scottasse o che
riprendesse di
nuovo fuoco. Si sporse leggermente verso di me, sussurrandomi qualcosa
con un
sorriso stampato in faccia.
-Di
solito a questo punto mi dovresti dire il tuo nome-.
Presi
coraggio e gli afferrai la mano con forza. -Galis-.
***
Alexis
Una giornata stupenda per ciondolare. Non lo
facevo spesso, quindi valeva la pena approfittarne quando potevo.
-Non fare rumore…- sussurrai a Galis, mentre
ci nascondevamo in un cespuglietto nel bosco ad osservare un branco di
Dromidi.
-Lo sai che finirà male, non è vero?-
mormorò insicuro.
Io ghignai. -È quella la parte migliore…- Il
giovane pappagallo dalle piume candide e bianche mi osservò
con i suoi occhi di
un azzurro ghiaccio, scuotendo rassegnato la testa.
-Non c’è nulla di più pericoloso di un
branco di quegli uccellacci arrabbiati- borbottò.
-In teoria anche tu sei un uccello, quindi
ti sei appena reso colpevole di aver alzato un offesa alla tua etnia. E
comunque
sì, è pericoloso e divertente- risposi. Galis
fece una smorfia di insicurezza
mista a puro terrore. Guardai molto attentamente il mucchio di foglie
secche
che avevamo accumulato e compattato poco prima.
Preparai il pollice e il medio. Avevo gli
occhi fissi al centro di quel branco, e schioccai le dita. Il mucchio
di foglie
esplose, con scintille che si sparsero ovunque, spaventando quel branco
di
animali. Alcuni di loro scivolarono sul posto e cominciarono a correre
da tutte
le parti. Purtroppo ci sono rischi nel fare queste cose, e uno di loro
travolse il
cespuglio in cui eravamo nascosti, sbalzandoci qualche metro lontano da
esso e
scivolando proprio in mezzo a noi, raschiando sul terreno.
Dopo esserci ripresi un attimo dalla botta
cominciammo a ridere entrambi sonoramente, mentre quel grosso rapace si
rialzava, allontanandosi il più possibile con la sua goffa
andatura.
Mi
misi una mano sulla pancia cercando di placare le risate. -Smettila di
ridere…
è finita male- ansimai, cercando di riprendere fiato.
-Sì sua maestà. Ok, il momento alto della
giornata è passato. Che si fa ora?- mi chiese Galis in tono
ironico.
-Il tuo
momento alto è finito, il mio deve ancora iniziare. Devo
dare un’occhiata alle
scartoffie oggi- ghignai.
Lui scosse con noncuranza le spalle. -Non
sei l’unico. Marine ha chiesto il mio aiuto per questo
pomeriggio-.
-Nel tuo giorno libero?-
-Nei miei
giorni liberi. Mi ha chiamato anche per domani, e non posso ritardare,
quindi
torniamo a casa-.
Io
annuii, alzandomi dal suolo e porgendogli la mano per aiutarlo ad
alzarsi.
Galis era un tipo che sapeva intrattenere.
Gradevole con chiunque, caparbio, educato, molto intelligente. Non
c’era una persona che
stando vicino a lui, non importava quanto, non si sarebbe divertito.
Era il
primo ed unico erede di una famiglia medio-borghese che si occupava
della
produzione di stoffe. La stessa famiglia reale, da varie generazioni,
acquistava
i loro prodotti in massa. Attualmente la Società di famiglia
nuotava in cattive
acque, soprattutto a seguito del fatto che la Famiglia reale aveva
tagliato gli
acquisti da un po’, sia per concentrarsi su affari di stato,
sia per il recente
aumento della tassazione imposta ai sudditi. Non si voglia mai che il
popolo
sia infastidito nel vedere i loro signori fare grandi acquisti mentre
loro
devono tirare la cinghia. Risultato: le vendite e la qualità
della stoffa
crollarono.
E Galis ebbe l’esigenza di trovarsi un
lavoro per aiutare la famiglia ad arrivare alla fine del mese.
Così, all’età di
circa dodici anni, implorò Marine di permettergli di
lavorare con lei,
sostenendo di poterle essere di aiuto in laboratorio. E Marine
accettò. Così Galis
diventò suo apprendista, e contemporaneamente studiando da
autodidatta, appassionandosi
particolarmente alla storia e alle lingue antiche e imparando inoltre
meccanica e ingegneria. Aveva solo un unico difetto: non aveva mai
imparato a
combattere da solo le proprie battaglie.
E non era bravo a trattare con le ragazze,
tra i dettagli.
-Oggi passerò la giornata in officina.
Domani credo che riuscirò a fare un salto in biblioteca-
spiegò Galis. Alzai lo
sguardo, e notai che oramai eravamo arrivati davanti a casa sua.
Strano. Non me
n’ero neanche accorto.
-Ok. A domani allora-. Gli feci un cenno con
la testa, salutandolo, e mi avviai per la strada verso il castello.
Non ci volle molto per attraversare la ormai
crepuscolare città e tornare a casa. Non avevo ancora visto
i miei genitori
quel giorno, e mi chiedevo come stessero. Ordinai di aprire le porte, e
le
guardie, come sempre con riverenza, mi fecero entrare. Una volta
dentro,
tenendo alto il portamento e camminando con fare deciso, mi mossi in
direzione
opposta alle persone che attraversavano il vasto corridoio centrale.
Ero diretto alle mie stanze, pronto per
qualche ora di studio intenso. Mentre marciavo con passo spedito,
incrociai lo
sguardo di due avvenenti fanciulle. Loro ricambiarono la mia occhiata,
lanciandomi dei sorrisi maliziosi. Erano probabilmente le figlie di
qualche
nobile di corte, visto il loro
modo di
comportarsi. Heh, la mia tipica routine. Mi succedeva spesso di
ricevere tali
ammiccamenti dal gentil sesso. Strano… non ero una
così brava persona, dopo
tutto. Ma forse le nobildonne non guardano queste cose. Entrai nella
mia
stanza, e subito notai l’enorme cumolo di libri ammucchiati
sul letto e sulla
scrivania. Mi sedetti davanti a quest’ultima, afferrando il
manoscritto che
avevo iniziato a sfogliare qualche giorno prima e cominciando a
leggerlo.
‘’Leggere?
Per imparare cosa? I compiti di un re? Quello
che non potrai diventare? Te lo ricordi… vero?’’
Era quello il nocciolo della questione: cosa
volevo diventare e quello che non potevo essere. Potevo avere
tutto… ma per
quanto lo avessi voluto, non sarei mai asceso al trono. E la cosa mi
faceva
infuriare.
Mia sorella aveva il privilegio di poter
diventare sovrana dell’intero regno… eppure non
era felice. Anzi, odiava il
fatto di dover diventare una regina. Lo capivo dal modo in cui si
irrigidiva
quando si parlava si successione, di governare… e dalla
paura che le si leggeva
nello sguardo quando si nominava la sua Incoronazione imminente.
Ma nonostante fossi a conoscenza del suo
odio per quel ruolo, ero invidioso. E arrabbiato. A lei non gliene
importava
nulla di diventare regina, mentre io avrei dato qualsiasi cosa pur di
essere al
suo posto. Ma la mia rabbia celata non era rivolta solo verso di lei.
Anche i
miei genitori erano compresi nel pacchetto. Cosa avevano fatto finora
oltre che
rispettare per filo e per segno le tradizioni?
E per
sfogare la tensione usavo qualsiasi
cosa a mia disposizione: lo studio, le ragazze, combattere…
oh, sì. Combattere.
Il migliore antistress che esista. Cosa c’è di
meglio di cogliere di sorpresa
qualche gruppetto di ladri e banditi, o ancora meglio, di pirati, e
massacrarli
uno ad uno? Lanciare i propri uomini all’attacco e
confondersi nella mischia.
Gli zampilli delle mie fiamme che volteggiano ovunque e le urla dei
miei
avversari mentre ne vengono avvolti, il suono delle spade che si
colpiscono, il
sangue che si sparge nel campo di battaglia, non importa se nemico o
amico, il
calore che si espande ovunque… lì sono davvero un
re. Ma un re non può solo
uccidere per essere considerato tale. Quelli sono gli assassini.
E per quello che mi riguarda, questo è tutto
ciò a cui posso aspirare.
Se la mia ira è destinata a permanere, i
miei avversari bruceranno con essa.
Sempre.
***
Amethist
Atterrai con grazia sul pavimento del
negozio, non emettendo alcun suono.
Lasciai socchiusa la finestra del negozio in cui mi ero
appena
intrufolata, avviandomi nella stanza principale della gioielleria.
‘’Perfetto’’.
Appena varcai la soglia della porta, mi
apparvero davanti decine di vetrine contenenti gioielli di tutti i
tipi.
Sorrisi lascivamente, mentre mi incamminavo cautamente verso una di
queste. La
luce lunare rimbalzava contro le miriadi di pietre preziose del negozio
riflettendosi sulle pareti circostanti.
Mi avvicinai rapidamente, ma cautamente, ad
una delle vetrine contenente il diamante più grosso e bello
tra i presenti,
chinandomi e preparandomi ad alzare il doppio vetro. Un improvviso
trillo acuto
mi colpì i timpani, facendomi balzare il cuore. Tutte le vie
d’uscita furono
serrate improvvisamente da delle sbarre di sicurezza.
‘’No!’’
urlai nella mia mente. Tirai un calcio alle sbarre, sapendo
perfettamente che
non avrebbe sortito alcun effetto. Corsi velocemente verso la finestra
da cui
ero entrata, ma ritrovai anche questa bloccata.
-Stiamo
scherzando?!- E poi l’improvviso suono delle sirene della
Polizia si fece
strada nelle mie orecchie…
Poco dopo, mentre mi trovavo nella cella del
penitenziario, ciondolavo e tentavo di combattere la noia mentre
aspettavo.
-Vedo che hai fatto progressi, Amethist- mi disse il commissario,
appena
tornato da un’indagine importante svolta nel Nord-Est di
Mobius. -Non eri
ancora arrivata al punto di
rimuovere il vetro senza far scattare qualcosa.- ridacchiò
con tono di superiorità
e saccenza.
-Lei è un vero gentiluomo, Osman. Com’è
andato il lavoro per cui è stato via per giorni?-
-Heh, ti ricordo che sei una ladra, non
dovresti avere tutta questa confidenza con noi- rispose freddamente.
-Al contrario: nessuno, più di me, dovrebbe
conoscere un uomo di legge da vicino-. Mi guardò male dopo
che ebbi finito la
frase.
-Ohh, la prego…- mormorai, facendo gli occhi
da triglia. Lui si gratto la testa, scocciato.
-Beh… diciamo che è successo qualcosa di
preoccupante, e che qualcuno di molto importante, di conseguenza si
è preoccupato-.
-Così preoccupato da richiamare il commissario
dalla sperduta Sea’s Jewel Town per investigare?-
-ORA stai scavando troppo a fondo. Comunque,
non ero l’unico laggiù. Era pieno di investigatori
provenienti da ogni parte di
Mobius-. La conversazione si concluse quando sentimmo il campanello
suonare,
poiché sapevo esattamente chi era arrivato.
***
Guardai il paesaggio scorrere davanti ai
miei occhi, mentre l’auto di mia madre avanzava velocemente
sulle strade.
-È la terza volta questo mese. Devi
smetterla. Spendiamo di più per pagarti la cauzione che per
mantenerti- ringhiò
inviperita mamma. -Se credi che continueremo così per
sempre, ti sbagli. In
più non hai ancora la più pallida idea si cosa
vorrai fare in futuro. Hai quasi
diciott’anni, mi sembra ora di darsi una mossa-
continuò. Sospirai frustrata,
non degnando di uno sguardo le figure dei miei genitori nei sedili
davanti.
Mamma mi guardava occasionalmente dagli specchietti retrovisori, per
poi
riportare lo sguardo sulla strada e continuando a guidare.
-Gradirei una risposta- sputò lei. La
guardai con rabbia.
-Vuoi una risposta? Va bene. Chi sei tu per
poter giudicare quello che faccio? Mia madre è stata la
ladra più abile degli
ultimi cinquant’anni, e hai il coraggio di criticare me?-
dissi, la voce cupa per
la rabbia.
Rouge ridacchiò sarcastica. -Abile,
hai detto bene-.
Papà fece una smorfia con il viso. -Questa
era crudele- mormorò. Serrai i pugni, cercando di ignorare i
loro commenti.
-Non ho intenzione di continuare questa
conversazione- sibilai, incrociando le braccia e riportando lo sguardo
sul
paesaggio.
***
Osservai l’immensità del cielo notturno,
puntellato
di stelle. Appoggiai il volto tra le mani, seduta a gambe incrociate al
limite
di una delle scogliere di Angel Island.
I miei genitori non riuscivano a capirmi.
Nessuno lo faceva pienamente. Ero sempre stata indecisa su quello che
avrei
voluto fare nel futuro. Mio padre mi spingeva nella direzione per
diventare la
nuova guardiana del Master Emerald, mentre io… apprezzavo
anche il lavoro di
ladra, ecco. Ero divisa tra due fuochi, completamente terrorizzata da
quello
che mi avrebbe riservato il futuro se non avessi fatto una scelta.
Era come se mi sentissi sola, abbandonata,
lasciata a vivere autonomamente la mia vita anche se non avevo la
minima idea di come
fare. Volevo avere
una guida, qualcuno
che scegliesse al posto mio la direzione giusta da seguire. Da anni
desideravo
l’esistenza di un potere superiore che guidasse le nostre
volontà e decisioni,
così nessuno sarebbe stato responsabile di ciò
che avrebbe commesso, e io avrei trovato la pace. Ma
se così non fosse stato? Se davvero noi fossimo i soli
artefici della nostra sorte?
Avevo paura delle conseguenze delle mie scelte. Diventare una guardiana
per
proteggere l’equilibrio a costo della mia libertà.
Diventare una ladra, per
scegliere la direzione da intraprendere ogni secondo della mia vita,
lasciando
incustodito un potere in grado di mettere in pericolo ciò
che amo. Che senso ha
essere liberi se poi il futuro ti riserva solo rimorso?
Le mie riflessioni furono interrotte da una
strana luce rossiccia sul mare. Corrucciai le sopracciglia, sporgendomi
dalla
scogliera e cercando di capire cosa fosse. Potevo intravedere una
strana,
enorme sagoma che ondeggiava sulle onde. ‘’Ok.
Questo è strano.’’ Provai una
profonda curiosità per quello che avevo
appena visto. Mi guardai intorno, cercando di capire se i miei genitori
fossero
nei paraggi. Probabilmente erano andati a dormire.
Sentii sorgere un sorriso sbarazzino sulle
labbra mentre mettevo una gamba nel vuoto, pronta a saltare. ‘’È tempo di
divertirsi.’’
***
Ero in volo ormai da una ventina di minuti,
mentre solcavo i cieli notturni nei paraggi di Angel Island, belli ma
inquietanti nella loro vastità.
Man mano che mi avvicinavo, notavo che la
sempre più chiara sagoma era quella di una grossa nave, la
cui verniciatura rossa
scura le permetteva stranamente di mimetizzarsi con il mare ed i cieli
notturni… peccato per la presenza di una luce lampeggiante
che mi aveva
permesso di notarla.
Una volta sopra ad essa, abbassai sempre di
più la quota di volo, fino ad atterrare sull’ampio
ponte di camminamento. Mi
guardai incuriosita intorno, cercando la presenza di qualcuno nei
paraggi. Non
c’era l’ombra di nessuno in vista, ma optai per
mantenere comunque un basso
profilo e di trovare in fretta un nascondiglio.
Una volta scesa e arrivata in un corridoio discretamente largo, notai che i muri, tappezzati di uno strano giallo senape e anch’essi illuminati da luci artificiali, erano in perfetto stato al contrario di quelli della scalinata. segno che la nave poteva non essere disabitata, a dispetto di ciò che pensavo. Non sentivo vibrazioni o dondolii di alcun genere, quindi dedussi che la nave era ferma, per qualche motivo a me sconosciuto. La curiosità di scoprire qualcosa in più di quel posto era mitigata dal mio terrore di essere scoperta, anche perché stavolta non credo che sarebbe semplicemente arrivata la polizia ad arrestarmi. Mi muovevo con cautela, attenta a non destare sospetti o provocare rumori.
Mi
accertai, come avevo fatto poco prima,
che non ci fosse nessuno dall’altra parte della soglia,
controllando dalla
serratura. Ruotai il pomello della prima porta, notando con stupore che
era
aperta, evitandomi il lavoro di scassinarla con il mio grimaldello. La
stanza
in cui entrai era vasta, ma piena di scatole di legno e sacchi,
rendendo quel
posto quasi un labirinto. Le scatole erano chiuse ermeticamente,
rendendomi impossibile controllarle senza doverle distruggere.
Adocchiai i sacchi, ci
infilai una mano dentro e ne tirai fuori una manciata di quelli che
sembravano fagioli.
Ero evidentemente
penetrata nella stanza delle provviste. Quei legumi erano freschi,
presi da
poco, quindi era praticamente certo che quella nave non fosse
abbandonata. ‘’Oppure
è successo qualcosa di strano.’’
Pessima notizia.
Uscii rapidamente dalla stanza, dirigendomi
verso una delle altre porte. Questa volta, il luogo in cui entrai era
una larga
sala, anche questa con numerosi sacchi sparsi per tutto il pavimento.
Appoggiati su delle mensole, si trovavano numerosi cofanetti di vari
colori. Ne
aprii lentamente uno, e sussultai. Era pieno di pietre preziose di ogni
tipo.
Ne aprii un altro, trovandoci dentro delle perle.
‘’Oh
mio Dio… trattieniti Amethist. Non cedere alla
tentazione.’’ In che diavolo
di posto ero finita? Cercai di distogliere la mia attenzione da quelle
dannatamente allettanti scatoline, aprendo uno dei sacchi.
-Non… è… possibile…-
sussurrai incredula. –È stracolmo di
ring…-
Mi sentii tremare le gambe per l’emozione, ma decisi che
sarebbe stato molto meglio se me ne fossi andata via da quella camera.
Immediatamente.
Uscii e mi richiusi delicatamente la porta dietro le spalle. Una volta
fuori da
quella che poteva benissimo essere una sala del tesoro, e mentre mi
accingevo ad
entrare in un’altra stanza ignorando l’emozione che
stava cominciando a prevalere
sulla mia curiosità, notai sul muro alla fine del disimpegno
quella che
sembrava una tavola da surf. Aumentai il passo, decidendo che quella
sarebbe
stata la mia ultima scoperta della serata prima di darmela a gambe. Ero
stata
già abbastanza fortunata.
Da vicino, il mio sospetto fu confermato: erano proprio
tavole
da surf, disposte in riga, tutte di colori diversi, che andavano dal
giallo al
rosso, e dal bianco al nero. Però erano strane. Quando ne
presi una viola in
mano, la girai dal verso opposto, e notai che sembrava avere
incorporata una
specie di marchingegno simile ad un propulsore proprio sotto di essa.
Poi
qualcosa mi spaventò: il rumore di passi che si avvicinavano
dalla direzione
opposta rispetto a quella in cui ero arrivata. Se fossi restata
lì mi avrebbero
notato subito. Feci per rimettere subito la tavola al suo posto,
quando, per la
fretta, questa mi cadde per terra, facendo un gran rumore. I passi, da
lenti,
si fecero molto rapidi, segno evidente che mi avevano sentita. La
raccolsi, ma
notai con spavento che era cambiata. Il congegno sotto la tavola si era
illuminato di una strana luce azzurrina, emettendo inoltre un forte
suono,
simile a quello di un motore che si accende. ‘’Oh,
andiamo!’’
Pestai la tavola con violenza, cercando di
far cessare quel rumore assordante.
-Chi è là?!- urlò una voce molto scura
e
roca. Mi sentii prendere dal panico mentre contemporaneamente
continuavo a
colpire con i piedi quella sottospecie di skateboard.
-Andiamo!- ringhiai, dando un ultimo e
potente colpo. La tavola schizzò in avanti
all’improvviso, con il mio piede
ancora sopra di lei. Iniziò a trascinarmi con lei ad una
velocità inaudita. Mi fece
sbilanciare, e istintivamente mi venne di afferrarla con le mani. Ero
aggrappata
ad un oggetto del quale non conoscevo il funzionamento, che correva con
una
rapidità spaventosa. Cercai con fatica di arrampicarmi su di
essa, provando in
ogni modo a non lasciare la presa. Una volta in piedi sopra
quell’aggeggio, riuscii a
stento a mantenere l’equilibrio. Ma se cadevo sarei stata in
balia del
mio inseguitore, quindi dovevo resistere. La mia intenzione era
ostacolata
dalla forma del corridoio, lunga e molto irregolare, che mi costringeva
a
cambiare spesso direzione. Sembrava quasi che la tavola fluttuasse
circa ad un metro di altezza rispetto al pavimento.
Inaspettatamente, me la cavavo piuttosto bene, tanto che quando ripresi
la
calma, mi girai velocemente per controllare la situazione dietro di me.
Non
vidi nessuno. Purtroppo non notai che il corridoio davanti a me era
terminato,
parandomi davanti uno spesso muro. Non feci in tempo a cambiare
direzione, e
sbattei violentemente contro la parete, cadendo dal mio mezzo di
salvezza e
crollando pesantemente sul pavimento.
Mi
massaggiai la testa dolorante, sedendomi
a fatica con la schiena contro il muro. ‘’Dove
sono finita?’’
-Cosa sta succedendo?!- sentii strillare.
Alla fine del corridoio apparve una figura alta e snella.
-Cosa…- mormorò, avvicinandosi a passo
svelto verso di me. Soltanto quando mi fu più vicina notai
che era una rondine
di un viola scuro. Indossava una canottiera bianca e dei pantaloni
attillati
dello stesso colore. In testa portava degli occhiali da sole arancioni.
Volse
una veloce occhiata alla tavola di fianco a me, prima di guardarmi
minacciosa e
di afferrarmi per le spine della testa, costringendomi ad alzarmi.
-Tu, vieni con me- ringhiò infuriata.
-Lasciami! Chi ti credi di essere?!- urlai.
Mi trascinò con rudezza per alcuni minuti, e se osavo
rallentare il passo lei
mi strattonava i capelli. Ci fermammo improvvisamente davanti a una
porta,
stranamente isolata dalle altre.
-Jet!- urlò la rondine irrompendo nella
stanza. Per colpa della sua mano che mi teneva per i capelli tenetti
per la
maggior parte del tempo la testa abbassata, ma nei pochi attimi in cui
riuscii
a controllare la situazione vidi un grosso volatile grigio accanto ad
una
scrivania, dietro alla quale era seduto qualcuno che non
riuscì a riconoscere,
visto che la sedia era girata verso la grossa vetrata che dava
all’esterno. La
stanza era ben addobbata, e sopra la scrivania, attaccato alla parete,
c’era un
affresco ritraente uno strano individuo, forse un falco.
–Uff… che succede
Wave?-
-Abbiamo un problema-.
-Wave… lo sai che questa è l’ora di
siesta
del capitano. Ho guardato scartoffie tutto il giorno...- le rispose una
voce
scura ed annoiata
-Nascondendoci dentro quale fumetto?-
ringhiò la donna.
-Dio… Storm, diglielo tu che non voglio
problemi-.
-Il capo non vuole problemi- disse quello
che sembrava il suo aiutante. –Grazie, Storm.- Rispose
nuovamente quello che
probabilmente era
il leader.
Sentii una stretta molto più decisa sui miei
capelli da parte della rondine. -Storm, di' al capo che
abbiamo un intruso-.
-Capo, abbiamo un in… come?-
La sedia si girò velocemente quando il tizio
non troppo sveglio si interruppe. Dei passi si avvicinarono lentamente
a me.
Alzai lo sguardo, titubante. Un falco alto e dalle piume verdi mi
fissava
stoico. Uno dei suoi occhi era completamente bianco, attraversato da
un’evidente
cicatrice.
-E chi sarebbe questo
‘’intruso’’?- chiese
lui ironico, avvicinando di colpo il volto a me e scrutandomi divertito.
-Non ne ho idea. Ma stava rubando i nuovi
Gear- rispose lei.
Sbarrai gli occhi. -Cosa?! Io non volevo
rubare niente! E poi non ho la più pallida idea di quello di
cui state
parlando!-
-E ne ha distrutta una- continuò Miss ”mi
piace tirarti per i capelli”.
Il falco sospiro pesantemente, scuotendo
esasperato la testa. -Quale?-
-Quella con il nuovo
prototipo del propulsore a cuscino
d’aria-.
Quello strano uomo si prese la testa fra le
mani. –No, quella no! Avevo appena comprato degli adesivi per
decorarla!-
mormorò disperato.
Osservai per qualche momento quel trio prima
di prendere parola. –Non sono venuta qui per rubare,- dissi
con un filo di
voce. –Ero soltanto incuriosita dalla luce che avevo visto in
lontananza.
Voglio solamente tornare a casa-.
Il falco sembrò calmarsi, e mi guardò
divertito. ‘’Oh, non ti
preoccupare.’’
-Ci tornerai,- affermò. –ma solo quando i
tuoi genitori avranno pagato un riscatto tale da ripagare
l’equivalente di
cinque o sei modelli di quella tavola che hai distrutto-.
Ghignò. –Spero che tu
sia di buona famiglia-.
Sentii un brivido attraversarmi la spina
dorsale. ‘’Perfetto. Sono
fregata.’’
Il volatile verde tornò a sedersi alla sua
scrivania, posandoci le gambe sopra, aprendo un cassetto e prendendo un
sigaro,
che si mise subito in bocca. –Wave…-
mormorò, per poi sporgere la testa verso
il suo assistente, che subito prese un accendino e glielo accese.
Sputò fuori
una nuvola di fumo.
-…Accompagnala nella stanza degli ospiti.
Credo che rimarrà con noi per un po’ di tempo-.