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Autore: Rain of Truth    18/03/2015    3 recensioni
Dash the Hedgehog, figlio di Sonic the Hedgehog, è un riccio spensierato ed irresponsabile. Un giorno, durante il ritrovo di tutti gli amici del padre, Dash incontrerà una ragazza, Althea, futura regina della dimensione del Sol e figlia di Shadow the Hedgehog. Sotto richiesta dei genitori, Althea rimarrà nella dimensione di Sonic per ottenere le doti necessarie e la forza per diventare una sovrana ideale. Con il tempo, Althea imparerà ad apprezzare i suoi nuovi amici, in particolare Dash, che inizierà a provare qualcosa in più nei confronti della ragazza. Dopo l'arrivo di nuovi e pericolosi nemici, il gruppo di ragazzi sarà costretto ad affrontare la minaccia, che potrebbe mettere in pericolo entrambi i mondi.
Salve! Allora, questa storia avevo in mente già da un po' di tempo di pubblicarla. Se piacerà abbastanza, allora la continuerò. Spero che vi piaccia, e buona lettura!
Genere: Avventura, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Amethist

Blaze
Una giornata stupenda per regnare. Quella mattina feci una consistente colazione, per poi riunirmi in Consiglio per discutere degli imponenti interventi di ristrutturazione che avevamo in programma per Flaritas, nonché in tutte le altre città. Infondo, perché non sfruttare il vantaggio di avere un monarca illuminato, in grado di comprendere cose e tecnologie a noi fino ad allora sconosciute o poco approfondite?

E ovviamente, il nostro principino non si era nemmeno fatto sentire dall’inizio della mattinata, probabilmente impegnato a divertirsi da qualche parte, ad allenarsi, o a studiare politica e giurisdizione imperiale. Senza nemmeno aver salutato sua madre e regina! Adorabile, il mio Alexis.
La mia anima però era inquieta. Sentivo un fremito in essa, come se qualcosa fosse fuori posto. E non sapevo che cosa fosse.
Tuttavia, inspirai profondamente, scacciando quei pensieri, rilassata da una mattinata soleggiata e tranquilla come quella. 
Camminavo rapidamente, osservando il paesaggio fuori dalle varie finestre e lasciando che il sole mi scaldasse la pelle negli occasionali fasci di luce che filtravano nei corridoi. Quando passai per l’ennesima volta sotto i raggi del sole, la mia attenzione fu catturata dall’insistente luccichio dell’anello che portavo all’anulare della mano sinistra, e mi concessi di lasciar vagare in tranquillità la mia mente tra i ricordi. ‘’Non posso credere che siano cambiate così tante cose nel corso di pochi anni…’’
Mi accorsi di essermi imbambolata in mezzo al corridoio mentre osservavo la mia fede al dito. Mi ridestai immediatamente, ricordandomi il motivo per cui stavo vagando per il castello. Mi diressi verso la Sala del trono, e quando arrivai davanti ai suoi enormi portoni, le guardie che ne impedivano l’accesso con delle lance si ritirarono, indietreggiando di un passo e chinando con rispetto il capo.
Prima che potessero dare l’ordine di aprire le porte attraversai l’entrata più piccola incisa tra esse. Arrivata nella stanza notai immediatamente una decina di ingegneri attorniati a Shadow, che stringeva tra le mani numerosi appunti e progetti e discuteva con le persone vicine a lui. Quando sentì richiudersi la porta, alzò lo sguardo e incontrò i miei occhi. Mi sorrise di soppiatto prima di rivolgersi nuovamente alla piccola folla ai suoi lati.
-Vi ringrazio per le vostre impeccabili spiegazioni, signori. Ma ora avrei bisogno di stare da solo e di riflettere attentamente per poter prendere la decisione adeguata- disse Shadow, congedandoli tutti con particolare eleganza. Loro fecero un breve inchino, uscendo rapidamente dalla sala.
Lui si voltò verso di me, un sorriso aperto sul volto. Ricambiai il gesto, salendo i pochi gradini che portavano ai nostri troni e avvicinandomi a lui.
-Beh? Come procedono le cose?- gli chiesi. Lui scrollò le spalle, stirandosi con stanchezza la schiena. 
-Bene. Ho passato una mattinata intensa-.
-Non dirlo a me, ti prego-. Lui alzò un sopracciglio con fare interrogatorio, mentre un’aria tremendamente divertita gli aleggiava sul volto.
-Hai avuto una brutta giornata?- chiese.
-No, non esattamente. Solo stancante- mormorai, appoggiandomi a uno dei braccioli del trono. Mi presi un secondo per osservare mio marito. I vestiti imperiali che era tradizione indossare dai sovrani, nel suo caso una veste nera con i bordi e i bottoni color oro che gli arrivava fino ai polpacci e con dei pantaloni anche loro neri, mettevano in risalto la sua aria potente. I primi due bottoni della veste erano slacciati, permettendo ad alcuni dei suoi ciuffi bianchi sul petto di  essere visti.
-Il Consiglio è stato aggressivo? Ti ha dato dei problemi?- mi chiese, riportando la mia attenzione sul discorso.
Mi strinsi nelle spalle. -Stranamente sono stati abbastanza docili oggi. Non hanno criticato le nostre proposte riguardo alle ristrutturazioni e le hanno accettate praticamente senza replicare. Com’è stata la tua mattinata ‘’avvincente’’, invece?- chiesi, mimando le virgolette con le dita. Era bello potersi concedere un minuto di relax e intrattenere un discorso tranquillo con lui durante la giornata senza avere la preoccupazione di una riunione imminente o un’improvvisa ribellione dei membri facenti parte del Consiglio di corte.
- Sono andato a parlare con Marine e con gli altri meccanici degli  aereo-velivoli in fase sperimentale-.
-Suppongo che lei fosse entusiasta di poter rispolverare i vecchi progetti di Tails- dissi. Lui annuì con risolutezza.
-Sì, decisamente. Le brillavano gli occhi mentre mi spiegava cosa aveva intenzione di costruire. E come per incanto, la sua personalità logorroica si è risvegliata. Era da anni che non sbagliava a pronunciare le parole che diceva in un discorso... sembra che ora abbia ricominciato- mormorò. Io ridacchiai, immaginandomi un genio della meccanica come lei sbagliare alcune semplici definizioni. Gli errori erano per giunta accentuati dalla sua rapida parlantina con quell’accento particolare. ''Oh, Marine...'' sospirai divertita tra me e me
-Cambiando discorso, hai visto Alexis da qualche parte?-domandai. Shadow scosse la testa desolato.
-No. Ma novanta probabilità su cento si è alzato qualche ora prima di noi per evitare che lo fermassimo-. Alzai un sopracciglio e lo guardai corrucciata.
-Che lo fermassimo dal fare cosa?-
Lui ghignò con un lieve accenno di divertimento sulle labbra. -Dal fare quel che diavolo gli viene in mente in quel momento-.
Alzai gli occhi al cielo, massaggiandomi le tempie. -Quel ragazzino mi farà impazzire prima o poi. Ma devo essere sincera: mi piace la sua intraprendenza-.
Shadow rise ironico. -Certo, nel fare solo ed esclusivamente quello che gli piace è intraprendente, giusto- ridacchiò. Parlare di Alexis mi fece venire in mente un altro argomento che in questo periodo mi tormentava. ‘’Althea’’.
-Come starà la nostra principessa?- dissi, aspettandomi una risposta vaga, del tipo: Sono certo che stia bene.
-Althea? Sappiamo di poterci fidare di lei, e siamo entrambi consapevoli che Sonic è un tipo molto aperto. Lo sarà anche davanti alla superbia di nostra figlia. Sono convinto che lei si stia sentendo a suo agio-. 
Tendevamo a comportarci fieramente, a mostrarci indifferenti… ma Althea mancava a tutti e due, ogni giorno, e lo stesso valeva anche da parte del fratello.
La nostra conversazione fu interrotta da un improvviso strillo di una guardia. -Aprite il portone!-
-Non è necessario, passo per l’altro l’ingresso- sentii dire da qualcun altro, e vidi la porticina di mezzo aprirsi. Apparve un ragazzo di circa trent’anni che si inchinò rapidamente.
-Vostra maestà, è appena arrivata una guardia che dice di arrivare da lontano e di dovervi riferire personalmente una notizia importante- ci spiegò.
-Va bene, fatela passare. Accompagnatelo verso la sala del trono. Lo riceveremo subito- disse Shadow.
Lo guardai con una lieve preoccupazione dipinta sul volto. -Cosa può essere successo di così importante?- domandai, più a me stessa che a lui.
-Non sappiamo nemmeno da dove provenga la guardia, se è una dei nostri o di uno stabilimento esterno. È ovvio che lo scopriremo solo quando sarà qui- mormorò in risposta.
Udimmo delle persone che discutevano concitate tra loro. -Aprite il portone!- dissero nuovamente.
-Levatevi di mezzo!- urlò una voce maschile. La stessa porta di prima si aprì di scatto, tanto da sbattere contro la superfice retrostante, producendo un tonfo secco.
-Vostra maestà!- strillò una giovane guardia, probabilmente appena oltre i vent’anni, che corse verso di noi in modo concitato e goffo, quando all’improvviso si fermò, inciampando su sé stesso.
-Vostra maestà- ansimò nuovamente, cercando di riprendere fiato. Aveva gli occhi sbarrati per l’agitazione e il pelo arruffato e piuttosto sporco. Doveva aver affrontato mille insidie per poter raggiungerci fin lì. Parlai io per prima. –Da dove vieni, recluta?-
Alzò con timore gli occhi. -Tempio del blocco delle isole Nord-est, mia regina-.
-È un viaggio lontano. Cosa ti porta qui?-
-A...ancora non posso credere di essere arrivato vivo, sono tre giorni che viaggio… il tempio ha subito un attacco. Non ci sono state vittime o danni ma… hanno rubato la reliquia-. Sentii il sangue defluire dal volto e il cuore perdere un battito.
Shadow si raggelò. -Hanno rubato lo smeraldo?- sussurrò. Era visibilmente spaventato, e potevo capirlo benissimo. I suoi occhi riflettevano quelli di un uomo che, per la prima volta, si trova ad affrontare un nuovo tipo di sfida. Shadow era un Re che fino a quel momento aveva dominato solo in tempo di pace. Qualunque cosa stesse succedendo, dovevamo capire di più. E agire immediatamente. Shadow si sforzò di sbloccarsi dallo shock iniziale, e pose una domanda al messaggero.
-Ci sono degli indizi su chi potrebbe essere stato? Qualsiasi cosa, anche la più elementare-.
-Dardi. C’erano dei dardi soporiferi. Come ho già detto non ci sono state vittime, signore-. Shadow sembrò leggermente sollevato dall’assenza di spargimenti di sangue, ma sapevamo entrambi che tutto quello che era successo era grave, e avrebbe potuto peggiorare di minuto in minuto se non avessimo fatto qualcosa.
Shadow inspirò profondamente, cercando di mantenere il controllo. -Guardie! Portate questo ragazzo in infermeria e dategli qualcosa da mangiare. Sei congedato-ordinò.
-Grazie, sua maestà-.
Vidi Shadow avvicinarsi al suo trono, e sedercisi sopra lasciandosi cadere pesantemente. Si mise una mano in fronte per poi stropicciarsi gli occhi.
-Shadow…- sussurrai con un fil di voce.
-Convochiamo il Consiglio. Immediatamente-. 

***
???
-Basta! Vi prego, basta!- singhiozzai, coprendomi il volto con le mani per cercare di difendermi dai calci e dai pugni che stavo ricevendo. I bambini intorno a me ridevano, godendosi pienamente la scena patetica davanti ai loro occhi.
-Per favore, lasciatemi stare!- urlai, sperando che qualcuno mi sentisse. Uno dei cinque ragazzi, un gatto dalla pelliccia marrone scuro e rada mi spintonò, facendomi cadere su un mucchio di sacchi della spazzatura ammucchiati a  terra.
-Perché? Ci stiamo divertendo così tanto noi due…- mormorò. Mi tirò le penne sulla testa, costringendomi a guardarlo. -Non è vero?-
Singhiozzai forte, cercando di non pensare a tutto quello che stava succedendo... di nuovo. Mi rannicchiai a terra, coprendomi la testa e serrando gli occhi. -Ma che fai?- ridacchiò il gatto, soddisfatto della mia sottomissione.
-Ehilà? C’è qualcuno?- sentii dire. Ma non era uno dei bulli che mi stavano picchiando in quel momento. Nel vicolo in cui stava accadendo il tutto, risuonarono dei passi che si avvicinavano, lenti ma sicuri. Si fermarono all’improvviso.
-Cosa state facendo?- ringhiò lo sconosciuto.
-Vattene moccioso- sputò il ragazzo che torreggiava su di me.
-Moccioso?! Come osi!-urlò il nuovo arrivato in preda ad una furia cieca, e potei percepire dai suoi passi che iniziò a correre verso di loro. Aprii per un secondo le palpebre e notai che il bambino attaccò subito il più massiccio tra i ragazzi presenti. Mi ricoprii subito gli occhi. Ero terrorizzato all’idea che si stessero solo contendendo la preda tra loro, quindi cercai di non pensare affatto. Era buio tanto davanti ai miei occhi quanto nella mia testa. E in quel buio riecheggiavano i colpi che si stavano dando in quel momento i ragazzini davanti a me. A un certo punto riaprii nuovamente gli occhi, e vidi il nuovo arrivato messo al muro dal mio aggressore. Nonostante questo, il bambino non sembrava spaventato. Guardò il suo avversario con aria spavalda e gli disse qualcosa.
-Di’ la verità, i tuoi genitori ti picchiano quando arrivi a casa, non è vero? Quasi quasi li capisco-. Gli sputò in faccia e lo colpiì immediatamente con una testata, e io serrai immediatamente le palpebre, per poi sentire quei ragazzini che mi avevano attaccato poco prima mentre esprimevano il loro terrore.
-Che gli succede?! Ha preso fuoco!- urlò uno di loro. Sentii la temperatura aumentare, e avvertivo uno strano sfarfallio davanti agli occhi.
-Andate via!- gridò. E la situazione sembrò calmarsi. Avvertii dei passi avvicinarmisi molto lentamente.
-Ehi, se ne sono andati-. Non capii subito cosa stesse succedendo. Ma… mi sembra di ricordare che lui cominciò a darmi dei calcetti leggeri sulle braccia.
-Ehi, specie di... feto. Puoi rialzarti, forza-. Aprii lentamente gli occhi, e vidi degli stivaletti neri adornati da fiamme gialle. Alzai gli occhi e mi prese un colpo. Quello che mi si parava davanti era uno strano bambino dagli occhi di due colori diversi, completamente ricoperto di fiamme. Cominciai a gridare senza controllo e strisciai all’indietro, preso dal panico.
-Ehiehiehi, stai calmo! Che diavolo ti prende?- mi domandò, sorpreso. Raggiunsi la fine del vicolo, ma ero talmente preso dal panico che continuai a strisciare ancora per qualche momento.
-Diamine, stai calmo, non puoi strisciare oltre il muro. Ho appena impedito che ti cambiassero i connotati. Gratis per giunta. Si può sapere che ti prende?- Gesticolando, alzò la mano, ancora in fiamme e girò lo sguardo verso di essa.
-Oh, ora ho capito. Scusa, a volte tendo a dimenticarmene-. Fece un breve sospiro e le fiamme intorno a lui si diradarono molto velocemente, fatta eccezione per qualche fiammella sulla sua testa che spense prontamente scompigliandosi le spine.
Lui sorrise. -Visto? Non sono uno spirito infernale. Ora posso aiutarti ad alzarti-. Ero più tranquillo, ma sempre piuttosto incredulo.
Lui sospirò snervato. -Non sei un tipo che parla molto, vero?-
Deglutii a fatica, cercando di fissarlo negli occhi. -…Che cosa sei?- chiesi.
-Una persona molto speciale. E c’è qualcuno a casa che mi chiama scherzo della natura. Però il mio nome è Alexis. E tu come ti chiami?- Mi porse la mano, ma avevo paura a stringergliela per il timore che scottasse o che riprendesse di nuovo fuoco. Si sporse leggermente verso di me, sussurrandomi qualcosa con un sorriso stampato in faccia.
-Di solito a questo punto mi dovresti dire il tuo nome-.
Presi coraggio e gli afferrai la mano con forza. -Galis-.
 

***
Alexis
Una giornata stupenda per ciondolare. Non lo facevo spesso, quindi valeva la pena approfittarne quando potevo.
-Non fare rumore…- sussurrai a Galis, mentre ci nascondevamo in un cespuglietto nel bosco ad osservare un branco di Dromidi.
-Lo sai che finirà male, non è vero?- mormorò insicuro.
Io ghignai. -È quella la parte migliore…- Il giovane pappagallo dalle piume candide e bianche mi osservò con i suoi occhi di un azzurro ghiaccio, scuotendo rassegnato la testa.
-Non c’è nulla di più pericoloso di un branco di quegli uccellacci arrabbiati- borbottò.
-In teoria anche tu sei un uccello, quindi ti sei appena reso colpevole di aver alzato un offesa alla tua etnia. E comunque sì, è pericoloso e divertente- risposi. Galis fece una smorfia di insicurezza mista a puro terrore. Guardai molto attentamente il mucchio di foglie secche che avevamo accumulato e compattato poco prima.
Preparai il pollice e il medio. Avevo gli occhi fissi al centro di quel branco, e schioccai le dita. Il mucchio di foglie esplose, con scintille che si sparsero ovunque, spaventando quel branco di animali. Alcuni di loro scivolarono sul posto e cominciarono a correre da tutte le parti. Purtroppo ci sono rischi nel fare queste cose, e uno di loro travolse il cespuglio in cui eravamo nascosti, sbalzandoci qualche metro lontano da esso e scivolando proprio in mezzo a noi, raschiando sul terreno.
Dopo esserci ripresi un attimo dalla botta cominciammo a ridere entrambi sonoramente, mentre quel grosso rapace si rialzava, allontanandosi il più possibile con la sua goffa andatura.
Mi misi una mano sulla pancia cercando di placare le risate. -Smettila di ridere… è finita male- ansimai, cercando di riprendere fiato.
-Sì sua maestà. Ok, il momento alto della giornata è passato. Che si fa ora?- mi chiese Galis in tono ironico.
-Il tuo momento alto è finito, il mio deve ancora iniziare. Devo dare un’occhiata alle scartoffie oggi- ghignai.
Lui scosse con noncuranza le spalle. -Non sei l’unico. Marine ha chiesto il mio aiuto per questo pomeriggio-.
-Nel tuo giorno libero?-
-Nei miei giorni liberi. Mi ha chiamato anche per domani, e non posso ritardare, quindi torniamo a casa-.
 Io annuii, alzandomi dal suolo e porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi. Ci incamminammo quindi per la strada di ritorno verso Flaritas.
Galis era un tipo che sapeva intrattenere. Gradevole con chiunque, caparbio, educato, molto intelligente. Non c’era una persona che stando vicino a lui, non importava quanto, non si sarebbe divertito. Era il primo ed unico erede di una famiglia medio-borghese che si occupava della produzione di stoffe. La stessa famiglia reale, da varie generazioni, acquistava i loro prodotti in massa. Attualmente la Società di famiglia nuotava in cattive acque, soprattutto a seguito del fatto che la Famiglia reale aveva tagliato gli acquisti da un po’, sia per concentrarsi su affari di stato, sia per il recente aumento della tassazione imposta ai sudditi. Non si voglia mai che il popolo sia infastidito nel vedere i loro signori fare grandi acquisti mentre loro devono tirare la cinghia. Risultato: le vendite e la qualità della stoffa crollarono.
E Galis ebbe l’esigenza di trovarsi un lavoro per aiutare la famiglia ad arrivare alla fine del mese. Così, all’età di circa dodici anni, implorò Marine di permettergli di lavorare con lei, sostenendo di poterle essere di aiuto in laboratorio. E Marine accettò. Così Galis diventò suo apprendista, e contemporaneamente studiando da autodidatta, appassionandosi particolarmente alla storia e alle lingue antiche e imparando inoltre meccanica e ingegneria. Aveva solo un unico difetto: non aveva mai imparato a combattere da solo le proprie battaglie.
E non era bravo a trattare con le ragazze, tra i dettagli.
-Oggi passerò la giornata in officina. Domani credo che riuscirò a fare un salto in biblioteca- spiegò Galis. Alzai lo sguardo, e notai che oramai eravamo arrivati davanti a casa sua. Strano. Non me n’ero neanche accorto.
-Ok. A domani allora-. Gli feci un cenno con la testa, salutandolo, e mi avviai per la strada verso il castello.
Non ci volle molto per attraversare la ormai crepuscolare città e tornare a casa. Non avevo ancora visto i miei genitori quel giorno, e mi chiedevo come stessero. Ordinai di aprire le porte, e le guardie, come sempre con riverenza, mi fecero entrare. Una volta dentro, tenendo alto il portamento e camminando con fare deciso, mi mossi in direzione opposta alle persone che attraversavano il vasto corridoio centrale.
Ero diretto alle mie stanze, pronto per qualche ora di studio intenso. Mentre marciavo con passo spedito, incrociai lo sguardo di due avvenenti fanciulle. Loro ricambiarono la mia occhiata, lanciandomi dei sorrisi maliziosi. Erano probabilmente le figlie di qualche nobile di corte, visto il  loro modo di comportarsi. Heh, la mia tipica routine. Mi succedeva spesso di ricevere tali ammiccamenti dal gentil sesso. Strano… non ero una così brava persona, dopo tutto. Ma forse le nobildonne non guardano queste cose. Entrai nella mia stanza, e subito notai l’enorme cumolo di libri ammucchiati sul letto e sulla scrivania. Mi sedetti davanti a quest’ultima, afferrando il manoscritto che avevo iniziato a sfogliare qualche giorno prima e cominciando a leggerlo.
’Leggere? Per imparare cosa? I compiti di un re? Quello che non potrai diventare? Te lo ricordi… vero?’’
Era quello il nocciolo della questione: cosa volevo diventare e quello che non potevo essere. Potevo avere tutto… ma per quanto lo avessi voluto, non sarei mai asceso al trono. E la cosa mi faceva infuriare.
Mia sorella aveva il privilegio di poter diventare sovrana dell’intero regno… eppure non era felice. Anzi, odiava il fatto di dover diventare una regina. Lo capivo dal modo in cui si irrigidiva quando si parlava si successione, di governare… e dalla paura che le si leggeva nello sguardo quando si nominava la sua Incoronazione imminente.    
Ma nonostante fossi a conoscenza del suo odio per quel ruolo, ero invidioso. E arrabbiato. A lei non gliene importava nulla di diventare regina, mentre io avrei dato qualsiasi cosa pur di essere al suo posto. Ma la mia rabbia celata non era rivolta solo verso di lei. Anche i miei genitori erano compresi nel pacchetto. Cosa avevano fatto finora oltre che rispettare per filo e per segno le tradizioni?

E per sfogare la tensione usavo qualsiasi cosa a mia disposizione: lo studio, le ragazze, combattere… oh, sì. Combattere. Il migliore antistress che esista. Cosa c’è di meglio di cogliere di sorpresa qualche gruppetto di ladri e banditi, o ancora meglio, di pirati, e massacrarli uno ad uno? Lanciare i propri uomini all’attacco e confondersi nella mischia. Gli zampilli delle mie fiamme che volteggiano ovunque e le urla dei miei avversari mentre ne vengono avvolti, il suono delle spade che si colpiscono, il sangue che si sparge nel campo di battaglia, non importa se nemico o amico, il calore che si espande ovunque… lì sono davvero un re. Ma un re non può solo uccidere per essere considerato tale. Quelli sono gli assassini.
E per quello che mi riguarda, questo è tutto ciò a cui posso aspirare.
Se la mia ira è destinata a permanere, i miei avversari bruceranno con essa.
Sempre. 

***  
Amethist
Atterrai con grazia sul pavimento del negozio, non emettendo alcun suono.  Lasciai socchiusa la finestra del negozio in cui mi ero appena intrufolata, avviandomi nella stanza principale della gioielleria. ‘’Perfetto’’.
Appena varcai la soglia della porta, mi apparvero davanti decine di vetrine contenenti gioielli di tutti i tipi. Sorrisi lascivamente, mentre mi incamminavo cautamente verso una di queste. La luce lunare rimbalzava contro le miriadi di pietre preziose del negozio riflettendosi sulle pareti circostanti.
Mi avvicinai rapidamente, ma cautamente, ad una delle vetrine contenente il diamante più grosso e bello tra i presenti, chinandomi e preparandomi ad alzare il doppio vetro. Un improvviso trillo acuto mi colpì i timpani, facendomi balzare il cuore. Tutte le vie d’uscita furono serrate improvvisamente da delle sbarre di sicurezza.
’No!’’ urlai nella mia mente. Tirai un calcio alle sbarre, sapendo perfettamente che non avrebbe sortito alcun effetto. Corsi velocemente verso la finestra da cui ero entrata, ma ritrovai anche questa bloccata.
-Stiamo scherzando?!- E poi l’improvviso suono delle sirene della Polizia si fece strada nelle mie orecchie…
Poco dopo, mentre mi trovavo nella cella del penitenziario, ciondolavo e tentavo di combattere la noia mentre aspettavo. 
-Vedo che hai fatto progressi, Amethist- mi disse il commissario, appena tornato da un’indagine importante svolta nel Nord-Est di Mobius. -Non eri ancora arrivata al punto di rimuovere il vetro senza far scattare qualcosa.- ridacchiò con tono di superiorità e saccenza.
-Lei è un vero gentiluomo, Osman. Com’è andato il lavoro per cui è stato via per giorni?-
-Heh, ti ricordo che sei una ladra, non dovresti avere tutta questa confidenza con noi- rispose freddamente.
-Al contrario: nessuno, più di me, dovrebbe conoscere un uomo di legge da vicino-. Mi guardò male dopo che ebbi finito la frase.
-Ohh, la prego…- mormorai, facendo gli occhi da triglia. Lui si gratto la testa, scocciato.  
-Beh… diciamo che è successo qualcosa di preoccupante, e che qualcuno di molto importante, di conseguenza si è preoccupato-.
-Così preoccupato da richiamare il commissario dalla sperduta Sea’s Jewel Town per investigare?-
-ORA stai scavando troppo a fondo. Comunque, non ero l’unico laggiù. Era pieno di investigatori provenienti da ogni parte di Mobius-. La conversazione si concluse quando sentimmo il campanello suonare, poiché sapevo esattamente chi era arrivato.

***
Guardai il paesaggio scorrere davanti ai miei occhi, mentre l’auto di mia madre avanzava velocemente sulle strade.
-È la terza volta questo mese. Devi smetterla. Spendiamo di più per pagarti la cauzione che per mantenerti- ringhiò inviperita mamma. -Se credi che continueremo così per sempre, ti sbagli. In più non hai ancora la più pallida idea si cosa vorrai fare in futuro. Hai quasi diciott’anni, mi sembra ora di darsi una mossa- continuò. Sospirai frustrata, non degnando di uno sguardo le figure dei miei genitori nei sedili davanti. Mamma mi guardava occasionalmente dagli specchietti retrovisori, per poi riportare lo sguardo sulla strada e continuando a guidare.
-Gradirei una risposta- sputò lei. La guardai con rabbia.
-Vuoi una risposta? Va bene. Chi sei tu per poter giudicare quello che faccio? Mia madre è stata la ladra più abile degli ultimi cinquant’anni, e hai il coraggio di criticare me?- dissi, la voce cupa per la rabbia.
Rouge ridacchiò sarcastica. -Abile, hai detto bene-.
Papà fece una smorfia con il viso. -Questa era crudele- mormorò. Serrai i pugni, cercando di ignorare i loro commenti.
-Non ho intenzione di continuare questa conversazione- sibilai, incrociando le braccia e riportando lo sguardo sul paesaggio. 

***
Osservai l’immensità del cielo notturno, puntellato di stelle. Appoggiai il volto tra le mani, seduta a gambe incrociate al limite di una delle scogliere di Angel Island.
I miei genitori non riuscivano a capirmi. Nessuno lo faceva pienamente. Ero sempre stata indecisa su quello che avrei voluto fare nel futuro. Mio padre mi spingeva nella direzione per diventare la nuova guardiana del Master Emerald, mentre io… apprezzavo anche il lavoro di ladra, ecco. Ero divisa tra due fuochi, completamente terrorizzata da quello che mi avrebbe riservato il futuro se non avessi fatto una scelta.
Era come se mi sentissi sola, abbandonata, lasciata a vivere autonomamente la mia vita anche se non avevo la minima idea di come fare.  Volevo avere una guida, qualcuno che scegliesse al posto mio la direzione giusta da seguire. Da anni desideravo l’esistenza di un potere superiore che guidasse le nostre volontà e decisioni, così nessuno sarebbe stato responsabile di ciò che avrebbe commesso, e io avrei trovato la pace. Ma se così non fosse stato? Se davvero noi fossimo i soli artefici della nostra sorte? Avevo paura delle conseguenze delle mie scelte. Diventare una guardiana per proteggere l’equilibrio a costo della mia libertà. Diventare una ladra, per scegliere la direzione da intraprendere ogni secondo della mia vita, lasciando incustodito un potere in grado di mettere in pericolo ciò che amo. Che senso ha essere liberi se poi il futuro ti riserva solo rimorso?
Le mie riflessioni furono interrotte da una strana luce rossiccia sul mare. Corrucciai le sopracciglia, sporgendomi dalla scogliera e cercando di capire cosa fosse. Potevo intravedere una strana, enorme sagoma che ondeggiava sulle onde. ‘’Ok. Questo è strano.’’ Provai una profonda curiosità per quello che avevo appena visto. Mi guardai intorno, cercando di capire se i miei genitori fossero nei paraggi. Probabilmente erano andati a dormire.
Sentii sorgere un sorriso sbarazzino sulle labbra mentre mettevo una gamba nel vuoto, pronta a saltare. ‘’È tempo di divertirsi.’’ 

*** 
Ero in volo ormai da una ventina di minuti, mentre solcavo i cieli notturni nei paraggi di Angel Island, belli ma inquietanti nella loro vastità.
Man mano che mi avvicinavo, notavo che la sempre più chiara sagoma era quella di una grossa nave, la cui verniciatura rossa scura le permetteva stranamente di mimetizzarsi con il mare ed i cieli notturni… peccato per la presenza di una luce lampeggiante che mi aveva permesso di notarla.
Una volta sopra ad essa, abbassai sempre di più la quota di volo, fino ad atterrare sull’ampio ponte di camminamento. Mi guardai incuriosita intorno, cercando la presenza di qualcuno nei paraggi. Non c’era l’ombra di nessuno in vista, ma optai per mantenere comunque un basso profilo e di trovare in fretta un nascondiglio.

La nave sembrava come inattiva, in balia delle onde, quasi come se fosse stata abbandonata. La visione mi inquietava: ero sul ponte di una nave potenzialmente abitata da sconosciuti, circondata dal buio della notte e dal mare, in cui il riflesso nero del cielo si estendeva all’infinito. Notai, una decina di metri davanti a me, una cabina con una porta di legno massiccio, e decisi che quella mi avrebbe fatto da ingresso. Di solito non era nel mio stile entrare dalla porta principale, ma la situazione era particolare, e richiedeva misure particolari. Davanti  all'entrata, mi abbassai per controllare dalla serratura se ci fosse qualcuno, ma le mie paure si rivelarono infondate. Girai il pomello dorato, che contro ogni mia previsione, mi rivelò che non era stata chiusa a chiave. Entrai molto cautamente. Davanti a me vi era solo una rampa di scale schiacciata da due strette pareti, i cui muri cominciavano a perdere la vernice bianca, rivelandone l’intonaco. Il tutto era illuminato  da una serie di applique situate ai lati del muro.
Una volta scesa e arrivata in un corridoio discretamente largo, notai che i muri, tappezzati di uno strano giallo senape e anch’essi illuminati da luci artificiali, erano in perfetto stato al contrario di quelli della scalinata. segno che la nave poteva non essere disabitata, a dispetto di ciò che pensavo. Non sentivo vibrazioni o dondolii di alcun genere, quindi dedussi che la nave era ferma, per qualche motivo a  me sconosciuto. La curiosità di scoprire qualcosa in più di quel posto era mitigata dal mio terrore di essere scoperta, anche perché stavolta non credo che sarebbe semplicemente arrivata la polizia ad arrestarmi. Mi muovevo con cautela, attenta a non destare sospetti o provocare rumori. Nel corso della sua lunghezza, ai lati del corridoio erano presenti varie porte che destarono il mio interesse.

Mi accertai, come avevo fatto poco prima, che non ci fosse nessuno dall’altra parte della soglia, controllando dalla serratura. Ruotai il pomello della prima porta, notando con stupore che era aperta, evitandomi il lavoro di scassinarla con il mio grimaldello. La stanza in cui entrai era vasta, ma piena di scatole di legno e sacchi, rendendo quel posto quasi un labirinto. Le scatole erano chiuse ermeticamente, rendendomi impossibile controllarle senza doverle distruggere. Adocchiai i sacchi, ci infilai una mano dentro e ne tirai fuori una manciata di quelli che sembravano  fagioli. Ero evidentemente penetrata nella stanza delle provviste. Quei legumi erano freschi, presi da poco, quindi era praticamente certo che quella nave non fosse abbandonata. ‘’Oppure è successo qualcosa di strano.’’ Pessima notizia.
Uscii rapidamente dalla stanza, dirigendomi verso una delle altre porte. Questa volta, il luogo in cui entrai era una larga sala, anche questa con numerosi sacchi sparsi per tutto il pavimento. Appoggiati su delle mensole, si trovavano numerosi cofanetti di vari colori. Ne aprii lentamente uno, e sussultai. Era pieno di pietre preziose di ogni tipo. Ne aprii un altro, trovandoci dentro delle perle.
‘’Oh mio Dio… trattieniti Amethist. Non cedere alla tentazione.’’ In che diavolo di posto ero finita? Cercai di distogliere la mia attenzione da quelle dannatamente allettanti scatoline, aprendo uno dei sacchi.
-Non… è… possibile…- sussurrai incredula. –È stracolmo di ring…-
Mi sentii tremare le gambe per l’emozione, ma decisi che sarebbe stato molto meglio se me ne fossi andata via da quella camera. Immediatamente. Uscii e mi richiusi delicatamente la porta dietro le spalle. Una volta fuori da quella che poteva benissimo essere una sala del tesoro, e mentre mi accingevo ad entrare in un’altra stanza ignorando l’emozione che stava cominciando a prevalere sulla mia curiosità, notai sul muro alla fine del disimpegno quella che sembrava una tavola da surf. Aumentai il passo, decidendo che quella sarebbe stata la mia ultima scoperta della serata prima di darmela a gambe. Ero stata già abbastanza fortunata.
Da vicino, il mio sospetto  fu confermato: erano proprio tavole da surf, disposte in riga, tutte di colori diversi, che andavano dal giallo al rosso, e dal bianco al nero. Però erano strane. Quando ne presi una viola in mano, la girai dal verso opposto, e notai che sembrava avere incorporata una specie di marchingegno simile ad un propulsore proprio sotto di essa. Poi qualcosa mi spaventò: il rumore di passi che si avvicinavano dalla direzione opposta rispetto a quella in cui ero arrivata. Se fossi restata lì mi avrebbero notato subito. Feci per rimettere subito la tavola al suo posto, quando, per la fretta, questa mi cadde per terra, facendo un gran rumore. I passi, da lenti, si fecero molto rapidi, segno evidente che mi avevano sentita. La raccolsi, ma notai con spavento che era cambiata. Il congegno sotto la tavola si era illuminato di una strana luce azzurrina, emettendo inoltre un forte suono, simile a quello di un motore che si accende. ‘’Oh, andiamo!’’
Pestai la tavola con violenza, cercando di far cessare quel rumore assordante.
-Chi è là?!- urlò una voce molto scura e roca. Mi sentii prendere dal panico mentre contemporaneamente continuavo a colpire con i piedi quella sottospecie di skateboard.
-Andiamo!- ringhiai, dando un ultimo e potente colpo. La tavola schizzò in avanti all’improvviso, con il mio piede ancora sopra di lei. Iniziò a trascinarmi con lei ad una velocità inaudita. Mi fece sbilanciare, e istintivamente mi venne di afferrarla con le mani. Ero aggrappata ad un oggetto del quale non conoscevo il funzionamento, che correva con una rapidità spaventosa. Cercai con fatica di arrampicarmi su di essa, provando in ogni modo a non lasciare la presa. Una volta in piedi sopra quell’aggeggio, riuscii a stento a mantenere l’equilibrio. Ma se cadevo sarei stata in balia del mio inseguitore, quindi dovevo resistere. La mia intenzione era ostacolata dalla forma del corridoio, lunga e molto irregolare, che mi costringeva a cambiare spesso direzione. Sembrava quasi che la tavola fluttuasse circa ad un metro di altezza rispetto al pavimento. Inaspettatamente, me la cavavo piuttosto bene, tanto che quando ripresi la calma, mi girai velocemente per controllare la situazione dietro di me. Non vidi nessuno. Purtroppo non notai che il corridoio davanti a me era terminato, parandomi davanti uno spesso muro. Non feci in tempo a cambiare direzione, e sbattei violentemente contro la parete, cadendo dal mio mezzo di salvezza e crollando pesantemente sul pavimento.

Mi massaggiai la testa dolorante, sedendomi a fatica con la schiena contro il muro. ‘’Dove sono finita?’’
-Cosa sta succedendo?!- sentii strillare. Alla fine del corridoio apparve una figura alta e snella.
-Cosa…- mormorò, avvicinandosi a passo svelto verso di me. Soltanto quando mi fu più vicina notai che era una rondine di un viola scuro. Indossava una canottiera bianca e dei pantaloni attillati dello stesso colore. In testa portava degli occhiali da sole arancioni. Volse una veloce occhiata alla tavola di fianco a me, prima di guardarmi minacciosa e di afferrarmi per le spine della testa, costringendomi ad alzarmi.
-Tu, vieni con me- ringhiò infuriata.
-Lasciami! Chi ti credi di essere?!- urlai. Mi trascinò con rudezza per alcuni minuti, e se osavo rallentare il passo lei mi strattonava i capelli. Ci fermammo improvvisamente davanti a una porta, stranamente isolata dalle altre.
-Jet!- urlò la rondine irrompendo nella stanza. Per colpa della sua mano che mi teneva per i capelli tenetti per la maggior parte del tempo la testa abbassata, ma nei pochi attimi in cui riuscii a controllare la situazione vidi un grosso volatile grigio accanto ad una scrivania, dietro alla quale era seduto qualcuno che non riuscì a riconoscere, visto che la sedia era girata verso la grossa vetrata che dava all’esterno. La stanza era ben addobbata, e sopra la scrivania, attaccato alla parete, c’era un affresco ritraente uno strano individuo, forse un falco. –Uff… che succede Wave?-
-Abbiamo un problema-.
-Wave… lo sai che questa è l’ora di siesta del capitano. Ho guardato scartoffie tutto il giorno...- le rispose una voce scura ed annoiata
-Nascondendoci dentro quale fumetto?- ringhiò la donna.  
-Dio… Storm, diglielo tu che non voglio problemi-.
-Il capo non vuole problemi- disse quello che sembrava il suo aiutante. –Grazie, Storm.- Rispose nuovamente quello che probabilmente  era il leader.
Sentii una stretta molto più decisa sui miei capelli da parte della rondine. -Storm, di' al capo che abbiamo un intruso-.
-Capo, abbiamo un in… come?-
La sedia si girò velocemente quando il tizio non troppo sveglio si interruppe. Dei passi si avvicinarono lentamente a me. Alzai lo sguardo, titubante. Un falco alto e dalle piume verdi mi fissava stoico. Uno dei suoi occhi era completamente bianco, attraversato da un’evidente cicatrice.
-E chi sarebbe questo ‘’intruso’’?- chiese lui ironico, avvicinando di colpo il volto a me e scrutandomi divertito.
-Non ne ho idea. Ma stava rubando i nuovi Gear- rispose lei.
Sbarrai gli occhi. -Cosa?! Io non volevo rubare niente! E poi non ho la più pallida idea di quello di cui state parlando!-
-E ne ha distrutta una- continuò Miss ”mi piace tirarti per i capelli”.
Il falco sospiro pesantemente, scuotendo esasperato la testa. -Quale?-
-Quella con il  nuovo prototipo del propulsore a cuscino d’aria-.
Quello strano uomo si prese la testa fra le mani. –No, quella no! Avevo appena comprato degli adesivi per decorarla!- mormorò disperato.
Osservai per qualche momento quel trio prima di prendere parola. –Non sono venuta qui per rubare,- dissi con un filo di voce. –Ero soltanto incuriosita dalla luce che avevo visto in lontananza. Voglio solamente tornare a casa-.
Il falco sembrò calmarsi, e mi guardò divertito. ‘’Oh, non ti preoccupare.’’
-Ci tornerai,- affermò. –ma solo quando i tuoi genitori avranno pagato un riscatto tale da ripagare l’equivalente di cinque o sei modelli di quella tavola che hai distrutto-. Ghignò. –Spero che tu sia di buona famiglia-.
Sentii un brivido attraversarmi la spina dorsale. ‘’Perfetto. Sono fregata.’’
Il volatile verde tornò a sedersi alla sua scrivania, posandoci le gambe sopra, aprendo un cassetto e prendendo un sigaro, che si mise subito in bocca. –Wave…- mormorò, per poi sporgere la testa verso il suo assistente, che subito prese un accendino e glielo accese. Sputò fuori una nuvola di fumo.
-…Accompagnala nella stanza degli ospiti. Credo che rimarrà con noi per un po’ di tempo-.

  
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