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Autore: Elly J    19/03/2015    0 recensioni
"Noi, Tributi dei ventiduesimi Hunger Games, siamo all’interno dell’Arena… Luogo che si trasformerà nella nostra tomba. Solo uno di noi riuscirà a sopravvivere e di certo non sarò io."
~ ~ ~
"La punta della lancia che stringo tra le mani è a pochi centimetri dal collo di lui. Però all’improvviso la punta inizia a tremare, e con lei tutta la lancia. Le mie mani, le mie braccia, iniziano a tremare convulsamente. Sento le lacrime iniziare a pungermi gli occhi.
Non riesco… non posso ucciderlo."
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giorno 1, Nella foresta 



Mentre il cannone spara, io continuo a correre attraverso il fogliame senza fermarmi. La lancia che stringo nella mano destra continua ad impigliarsi tra i rami rallentando la mia andatura. Ogni volta che si impiglia in qualche fronda mi scappa un gemito di rabbia dalle labbra. I muscoli delle mie braccia tremano quando strattono forte la lancia per liberarla dai rami che si parano sulla mia strada.
BUM BUM BUM
Il cannone continua a sparare e io ho completamente perso il conto dei colpi. Rivoli di sudore mi colano lungo la fronte fino a raggiungere il naso e gli zigomi. Alcuni capelli sono sfuggiti dalla alta coda di cavallo che porto sulla nuca, appiccicandosi con ostinazione al il mio collo sudato e procurandomi così un forte fastidio.
Vedo all’ultimo quel maledetto ramo sospeso a mezz’aria. Anzi, più che vederlo lo sento, forte, sulla fronte. Cado all’indietro, atterrando con violenza sulla schiena. Il colpo mi mozza il fiato in gola, tanto che mi sembra di morire soffocata. Inizio ad ansimare  e cerco di fare dei respiri profondi per cercare di riprendere fiato, ma ad ogni respiro è come se il mio petto si spezzasse a metà. Mi giro su un fianco cercando di aiutare la respirazione, ma sento che va sempre peggio. Senza rendermene conto, inizio a piangere. Sento le lacrime calde iniziare a scendere lungo le mie guance, procurandomi una sorta di formicolio sulla pelle. Non riesco a respirare, piango e inizio anche a singhiozzare. Mi rendo subito conto che ho un attacco di panico. Un pensiero fugace e velocissimo mi attraversa la mente.
“Morirò qui, soffocata, per colpa di un cazzo di ramo che mi sono beccata in fronte.”
Messa così potrebbe anche far ridere.
Non riesco a riprendere fiato. E’ come se il mio respiro fosse intrappolato nei polmoni e non potesse uscire. No, non posso morire così. Senza combattere, senza reagire… non posso. Sarebbe una morte assurda, senza senso. Oltre il fatto che in quel momento sono una facile preda per qualunque dei Tributi.
Con uno sforzo immane mi giro a pancia in giù e cerco di alzarmi sulle ginocchia, facendo leva con le braccia. Le mie mani affondano nel terriccio morbido della foresta e un odore a me poco familiare mi pervade le narici. Nel mio Distretto c’è pochissima natura, pochissimo verde… quindi per me quell’profumo è del tutto nuovo. Dopo alcuni interminabili minuti riesco finalmente ad issarmi sulle ginocchia. Mi ritrovo a carponi, con la testa a penzoloni e lo sguardo rivolto a terra. Il mio respiro sta tornando normale a poco a poco.
La foresta attorno a me è silenziosa. Non sento alcun rumore, alcun alito di vento, alcun urlo di terrore o di paura. Solamente quando mi alzo in piedi a fatica, reggendomi alla lancia, mi rendo conto che sono appena scampata alla morte. Rivedo davanti ai miei occhi tutti i corpi immobili riversi a terra vicino alla Cornucopia. Rivedo gli occhi vitrei, spalancati delle vittime. Rivedo il sangue e lo percepisco, colare lento e caldo lungo il mio avambraccio. E’ in quel preciso momento che mi rendo conto di essere ferita, o meglio, me ne ricordo. Con la mano mi sfioro il punto dove il pugnale del Tributo del Distretto 12 mi ha ferita, ovvero all’avanbraccio sinistro. La giacca squarciata mi offre uno spettacolo non proprio rassicurante.
- Cazzo… - mormoro in un sussurro allarmato.
Il pugnale mi ha colpita di striscio, ma nonostante questo mi ha lasciato un profondo taglio nella pelle. Il sangue continua a colare lentamente fuori dalla ferita e, ora che me ne rendo conto, mi provoca anche un dolore notevole. Come un fulmine a ciel sereno, mi ricordo che sono anche stata colpita all’orecchio, ma dopo aver tastato il punto dove sono stata colpita mi accorgo che li il sangue si è già fermato, seccandosi attorno alla ferita e nelle parti dove è colato lungo il collo.
Faccio alcuni passi avanti traballando leggermente e poi mi fermo ancora, alzando lo sguardo sul verde della foresta. Se non fossi nell’Arena, questo posto potrebbe anche risultare bello, fiabesco. Ma se non fossi lì in quelle circostanze, ovvio.
“Basta fantasticare.” penso tra me e me. Devo assolutamente muovermi, reagire, fare qualcosa… Innanzitutto devo trovare qualcosa per curarmi e fasciare la ferita sull’avambraccio. Dopodiché devo trovare qualcosa da bere e da mangiare. Faccio ancora un paio di passi avanti guardandomi attorno, dopodiché mi appoggio di peso contro la lancia.
E poi? Poi cosa farò? Domanda interessante dato che conosco fin troppo bene la risposta.
Poi dovrò uccidere.
 
 
***
 
 
La luce del tramonto si riversa quasi con dolcezza tra le fronde degli alberi della foresta. Si è alzata una leggera brezza che inizia a far frusciare il verde che sta tutto intorno a me. Mi sciolgo la coda di cavallo che porto sulla nuca con un movimento leggero e lascio che il vento si insinui tra i miei lunghi capelli biondo cenere.
Sono stanca, dolorante e ferita. Sento le gambe molli, come se dovessero afflosciarsi da un momento all’altro. Mi lascio cadere su un grande masso addossato ad un albero, appoggiando la schiena al tronco e lasciando cadere leggermente la testa all’indietro chiudendo gli occhi. Fra poco farà buio e non ho ancora trovato un riparo, ma soprattutto, cosa ancora più grave, non ho nulla da bere né da mangiare.
Un unico, fugace e rapido pensiero mi attraversa la mente. Apro gli occhi e guardo in alto, tra il fogliame dell’albero a cui sono appoggiata. Potrei semplicemente lasciarmi andare, qui, appoggiata a questo tronco ruvido. Potrei morire disidratata o per la fame… o uccisa da un altro Tributo. In questo momento, se qualcuno mi attaccasse, non riuscirei a reagire. Sono stanca.
Chiudo gli occhi ancora una volta. Tanto non li vincerei comunque questi fottutissimi Hunger Games. Non ho alcuna possibilità di sopravvivere, soprattutto contro i Tributi dei Distretti 1 e 2, ovvero i Tributi Favoriti. L’immagine terribile della ragazza dell’1 che pianta un pugnale nella schiena della ragazza del Distretto 8 mi attraversa la mente, facendomi rabbrividire. Se mi trovassi davanti quella belva io avrei sicuramente la peggio, senza ombra di dubbio.
Giro il volto verso la lancia che tengo stretta nella mano destra. E’ una bella arma, molto efficace… se si sa usare. Me la porto in grembo e la osservo per alcuni secondi. Non ho mai usato una lancia in tutta la mia vita… anzi, non ho mai usato armi di alcun tipo e mai avrei pensato di usarne. Sfioro con le dita la punta della lancia e ritraggo subito la mano con un gemito di sorpresa. Mi guardo il dito e vedo un rivoletto di sangue colare da un piccolo taglietto che si è formato sul polpastrello. E’ più affilata di quel che pensassi.
Ad un certo punto, attraverso il fogliame di fronte a me, sento un rumore. Alzo subito lo sguardo in direzione del fruscio e aguzzo la vista. La luce sta iniziando a scarseggiare visto che sta diventando buio e questo non mi aiuta per niente.
Lo sento ancora. Un fruscio deciso, troppo deciso per essere provocato dal vento. Questa volta lo ho sento più vicino, leggermente spostato alla mia destra. Senza rendermene conto, mi ritrovo in piedi con la lancia spianata di fronte a me. Ho paura, tanta paura. I miei occhi guizzano da una parte all’altra, da un albero all’altro, cercando di cogliere il minimo movimento. Sento ancora il rumore, questa volta dietro di me. Mi giro di scatto, stringendo talmente forte la lancia che mi fanno male le mani. Non vedo nessuno, non c’è un bel niente. Ma sono certa di aver sentito un rumore, più che certa.
E ora lo sento ancora, però questa volta è diverso e, nonostante sia diverso lo riconosco con orrore. Attraverso il silenzio della foresta lo sento ancora più nitido e più spaventoso. Lo percepisco dietro di me e mi basta una frazione di secondo, solo una. Mi giro di scatto e con un movimento fulmineo scaglio la mia lancia. Ed è proprio quando quest’ultima colpisce un tronco con un rumore di corteccia frantumata che il rumore che ho percepito si trasforma in uno ancora più spaventoso. La corda tesa dell’arco è arrivata alla sua massima estensione con quel crepitio fastidioso e ora si scaglia con forza in avanti accompagnata da un fruscio tagliente che attraversa l’aria piatta dell’Arena. La freccia mi si pianta con violenza nella spalla destra e dal colpo cado all’indietro, sbattendo per l’ennesima volta la schiena sul terreno.
Urlo, rimanendo a terra e chiudendo gli occhi. Urlo di dolore, di paura, di disperazione. E’ la mia fine.
- Oh mio dio, Minerva! - quella voce mi fa riaprire di scatto gli occhi.
- Minerva! Oh mio dio, mio dio! Mi dispiace tantissimo!
Un volto terrorizzato e sconcertato di un ragazzo entra nel mio campo visivo. Lo riconosco all’istante.
- Ettore? - mormoro con il respiro mozzato.
Ettore, il Tributo maschio del Distretto 3, ovvero il mio compagno di Distretto, si inginocchia vicino a me.
- Minerva, mi dispiace tantissimo. Io, io non ti ho riconosciuta! Poi avevi quella lancia lunghissima, mi sembravi una dei Tributi Favoriti! Perché non…
- Stai zitto! Zitto! - urlo in preda al dolore e con le lacrime agli occhi.
Ettore si zittisce subito e vedo che sta per piangere. - Mi dispiace, non avrei mai voluto farti del male. - mormora.
Chiudo e apro gli occhi per diverse volte, cercando di scacciare le lacrime. La spalla mi fa un male tremendo e ho paura di perdere conoscenza. Non devo assolutamente svenire, altrimenti morirei di sicuro; devo cercare di rimanere vigile e magari avrò qualche speranza di sopravvivere.
- Ettore! - la mia voce esce rotta e disperata.
Il ragazzo sta piagnucolando, ma nonostante questo mi guarda dritto negli occhi non appena chiamo il suo nome.
- Ettore, ho bisogno del tuo aiuto adesso, è chiaro? - dico, cercando di usare un tono di voce deciso. Non mi riesce troppo bene.
- Cosa devo fare? - mi dice il ragazzo tirando su con il naso.
- Devi estrarre la freccia dalla mia spalla. Non posso tenermela piantata qui, è chiaro? - dico.
Lui strabuzza gli occhi e mi guarda come se fossi pazza. - Non posso farlo! - urla in preda al panico.
- Sì che puoi! Devi, cazzo! Me l’hai piantata tu, pezzo di idiota! - esclamo in un impeto di rabbia - E finiscila di frignare!
Vedo che la mia risposta turba molto Ettore. Mi fissa con gli occhi sbarrati ed ad un certo punto apre e chiude la bocca per un paio di volte, come se volesse dire qualcosa ma non trovasse le parole. In quel preciso momento mi rendo conto che lui potrebbe anche scegliere di lasciarmi lì a morire. Dopotutto, questi sono gli Hunger Games. Se Ettore decidesse di non aiutarmi avrebbe un avversario in meno da affrontare. Perché sì, si devono uccidere anche i propri compagni di Distretto se necessario. All’improvviso ricordo un’edizione passata degli Hunger Games, probabilmente di cinque o sei anni prima. Gli ultimi due Tributi rimasti erano un ragazzo e una ragazza dello stesso Distretto, forse il 6 o il 7. Ricordo come si erano fissati prima di iniziare un’azzuffata spaventosa per cercare di uccidersi l’un l’altro e alla fine il ragazzo aveva avuto la meglio, strangolando la ragazza. Il ragazzo poi si era messo a piangere, fissando il corpo ormai immobile della giovane, sua compagna di Distretto e probabilmente sua amica, sua compagna di scuola.
- Minerva! - la voce terrorizzata di Ettore mi riporta alla realtà. Guardo il ragazzo negli occhi e non appena incontro le sue iridi scure so per certo che non mi abbandonerà lì in quello stato.
- Ok, adesso ascoltami bene. - gli dico, senza staccare il mio sguardo dai suoi occhi - Prima di tutto devi controllare fino a che profondità si è conficcata la freccia.
- Come faccio? - mi chiede in preda al terrore. Vedo che le sue mani tremano in maniera convulsa.
- Stai calmo, chiaro? Fai un bel respiro e calmati! - gli dico con rabbia.
Lui chiude per un attimo gli occhi e si appoggia le mani in grembo. Poi inizia a fare alcuni respiri sconnessi e infine torna con il suo sguardo verso di me.
- Devo vedere se la freccia ti ha trapassato la spalla? - mi chiede balbettando.
- Esatto, devi controllare. Passa una mano dietro la mia spalla, fai piano.
Vedo la mano di Ettore avvicinarsi tremante a me. Io sono ancora stesa a terra a pancia in su, con lo sguardo tra le foglie degli alberi. La luce è ormai agli sgoccioli e tra poco farà buio… dobbiamo muoverci ad ogni costo.
Un dolore acuto mi trapassa la spalla fino al gomito quando la mano di Ettore mi sfiora leggermente sul punto dove gli ho indicato.
- Fai piano! - urlo. E alcune lacrime iniziano a solcarmi le guance.
- Sento la punta, ma non è fuoriuscita del tutto. - mi informa lui con un piagnucolio.
Chiudo gli occhi per diversi secondi, cercando di fare dei respiri profondi. E’ peggio di quel che pensassi.
- Va bene, adesso dobbiamo estrarla. - dico, sempre tenendo gli occhi chiusi.
- Cosa? Ma, m-ma…
- Ettore, finiscila di balbettare, di frignare e di fare stronzate! E’ chiaro? Ne hai già fatte troppe per oggi! - la mia voce rimbomba tra gli alberi e spero con tutto il cuore che nessun Tributo sia nei paraggi. Se qualcuno ci trovasse ora ci trasformeremo all’istante in carne da macello.
- Devo tirarla fuori? - singhiozza Ettore senza avermi minimamente ascoltato.
- No! Non devi tirare! Devi spingerla dentro finché la punta non esce del tutto! - esclamo.
- Cosa?
- Non farmelo ripetere, hai capito benissimo cosa devi fare!
Ettore mi fissa sempre più sconcertato. - Ma facendo così rischi di…
- Zitto! Taci! - urlo - Non possiamo tirare, la punta mi strapperebbe via tutta la carne se tiriamo in fuori! Devi spingerla dentro quel tanto da riuscire a spezzarla, fatto questo tirerai in fuori.
Ettore mi guarda fisso negli occhi. - Sai quello che stai facendo? - mi chiede in un sussurro - Potresti morire dissanguata.
“E’ vero, ma non posso saperlo finché non estraggo quella maledetta freccia dalla mia spalla.” penso.
- Non posso andarmene in giro per l’Arena con una freccia piantata in una spalla, non credi? - gli rispondo furiosa.
- Mi dispiace Minerva, ti giuro che non avrei mai voluto uccidere te.
- Non mi hai ancora uccisa. Ora muoviti. - gli rispondo tagliando corto.
Ettore sposta il suo sguardo verso la freccia piantata nella mia spalla. La scruta con espressione spaventata per alcuni secondi, finché finalmente si decide ad afferrarne l’asta con una mano.
- Devi alzarmi leggermente il busto, altrimenti non vedi se la punta esce dalla altra parte. Alzami piano con l’altra mano. - gli dico, sentendo già una punta di dolore.
Lui obbedisce e con delicatezza mi alza leggermente. Ma, nonostante il suo tocco delicato, un dolore insopportabile inizia a pulsarmi nella spalla.
- Spingi! - gli urlo.
Sento la freccia muoversi all’interno della carne viva e subito un urlo mi esce dalle labbra con prepotenza. La vista mi si offusca all’istante dal dolore e non mi rendo nemmeno conto di iniziare a piangere. Sento che anche Ettore piange, ma nonostante questo continua a spingere la freccia sempre più in profondità nella mia spalla. Cerco di non concentrarmi sull’orribile rumore della carne che si lacera, cosa che mi riesce molto bene dato che il dolore che provo è disumano.
Non so quanto tempo passa. Secondi, minuti, ore. Non distinguo più nulla. In quei interminabili minuti l’unica cosa che riesco a provare è dolore, solo dolore, null’altro. Quando sento finalmente la voce di Ettore, mi sembra di essere tornata dall’inferno. Apro piano gli occhi.
- La punta, la vedo! E’ fuoriuscita del tutto! - esclama. Sembra un bambino piccolo che ha appena svolto qualcosa di importante. Quasi mi fa tenerezza.
- Ora devi spezzarla. Un movimento unico, secco. Chiaro? - dico con voce mozzata dal dolore. Non voglio assolutamente perdere altro tempo. Se devo morire, morirò… ma non senza aver prima provato a rimanere viva.
Ettore mi guarda con sguardo grave e annuisce leggermente. - Scusa.
- Fallo.
Sento la mano del ragazzo sfiorarmi dietro la spalla, finché altro dolore non mi pervade, accompagnato da un rumore deciso di qualcosa che si spezza.
Ora sto piangendo. Piango, singhiozzando, senza cercare di trattenermi. Le lacrime mi bagnano le guance e scorrono veloci fino al collo. Sento che Ettore ha afferrato nuovamente l’asta della freccia. Il ragazzo inizia a tirare verso di lui, senza che io gli dica nulla.
Urlo, fortissimo. E poi urlo ancora, ancora e ancora. Non ho mai provato un dolore simile e mai avrei pensato di provarlo. Arrivo ad un punto che non so nemmeno se quello sia davvero dolore o qualcosa di più terribile.
- C’è quasi! - sento la voce di Ettore tra le mie urla e spero che quello che dice sia vero.
All’improvviso sento un rumore che non riesco minimamente a descrivere. Il dolore è fortissimo, ma sento che un po’ va diminuendo.
- Ettore? - mormoro.
Tutto intorno a me inizia a prendere delle forme strane. Alzando lo sguardo, vedo le foglie degli alberi allungarsi e poi incurvarsi, formando delle strane geometrie. I tronchi degli alberi si trasformano in vortici senza fondo.
- Minerva! Minerva! Resta con me, ti prego!
Il volto di Ettore diventa ad un tratto luminoso e dopo pochi secondo si allunga verso l’alto per poi allargarsi in orizzontale. Poi la luminosità della sua pelle inizia a calare, sempre più veloce. Dopo pochi secondi non vedo più nulla.
  
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