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Autore: Bens_S    19/03/2015    2 recensioni
Fuinur, un mezzo barghest di undici anni, aveva vissuto con l'unico scopo di farsi accettare dai popolani di Bruvac. Tuttavia nulla era andato come sperato, il caldo dell'estate aveva portato con se' gli orrori delle torture e il terrore di non rivedere mai più il sole.
[tredicesima classificata al contest La Caduta dell'Inverno Boreale indetto da Silvar tales] [quarta classificata al contest Trick me, deceive me! (Fantasy&Soprannaturale) indetto da graceavery e vincitrice del premio "Così è se mi pare"]
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I festeggiamenti continuavano, senza fermarsi un attimo, ormai da diverse ore. La musica, le voci e le grida dei popolani riempivano e animavano le strette, contorte e sudice vie del villaggio di Bruvac.
Quella sera stavano festeggiando il “ringraziamento ai venti” nella speranza che questi portassero prosperità al villaggio.
Le persone credevano che pregando e omaggiando con doni gli spiriti della fortuna e del raccolto, che vivono nei venti, quest’ultimi li avrebbero aiutati per tutto l’anno che sarebbe seguito. Per sette giorni tutti i cittadini avevano rinunciato ai pochi lussi che si potevano permettere e si erano recati sull’altopiano di Volvra, lì avevano recitato i versi sacri e donato del grano e della frutta.
Il settimo giorno tutta la popolazione si era radunata al centro del villaggio per festeggiare. A entusiasmare maggiormente gli uomini e le donne era la presenza di un leggero vento caldo che significava fecondità.
Fuinur ammirava i festeggiamenti da un angolo della piazza, seduto sul fieno che l’indomani avrebbero mangiato i cavalli. Sapeva bene che a lui non era concesso il privilegio di festeggiare con gli altri, essendo solo per metà umano non era considerato membro della comunità.
Il bambino osservò la madre, Kathrin, ballare con un gruppo di altre donne. Quando il piccolo aveva compiuto quattro anni lei lo aveva rinnegato e allontanato da casa, a volte si stupiva ripensando a come fosse riuscito a sopravvivere durante quegli anni di solitudine. Non sapeva molto della razza del padre, Fuinur aveva intuito che nominandone la specie i popolani avevano paura di attirarlo nuovamente nella citta`.
Non si ricordava la ragione per cui era stato allontanato dalla propria casa. Qualche mese prima aveva sentito sua madre parlarne alle altre donne del villaggio con infinita vergogna. La madre aveva detto che “quel demone” aveva spaccato il collo a una piccola volpe che si era intrufolata nel pollaio.
Lo aveva trovato vicino alla carcassa dell’animale, intento a studiarla. Prima di quel momento aveva sempre pensato che le somiglianze con il padre fossero solo a livello fisico ma in quell’istante aveva capito che il bambino era un animale, esattamente come lui.
Quella era stata la sua punizione per essersi concessa a un Barghest. Si ricordava bene come era accaduto, una sera stava camminando intorno alle mura esterne della città, alla ricerca di un particolare tipo di fungo, e proprio lì aveva visto la bestia.
Era veramente impressionante, aveva l’aspetto di un enorme cane nero delle dimensioni di un orso, il pelo era ispido, gli occhi rossi e aveva grossi artigli.
Si era trasformato in un uomo davanti a lei ed era la persona più bella che Kathrin avesse mai visto. Sin da subito aveva capito le intenzioni della bestia ma non era fuggita, né si era ribellata in alcun modo, in quel momento lo desiderava e quel bambino era la prova del peccato di cui si era macchiata, poteva anche sembrare un essere umano ma, esattamente come il padre, era una anche lui un animale feroce e per questo andava trattato come tale.
Da quel momento Fuinur aveva vissuto da solo, nessuno nel villaggio voleva un ibrido in casa. Inoltre più passava il tempo, più alcune sue caratteristiche fisiche mutavano: quella che all’inizio era solo una protuberanza all’altezza del coccige si era prolungata fino a diventare una coda, inoltre aveva perso le unghie e al contempo i polpastrelli si erano tagliati verticalmente per poi far fuoriuscire degli artigli, persino le orecchie stavano iniziando a cambiare forma.
A spaventare maggiormente le persone era però l’atteggiamento del bambino, ormai undicenne. Sembrava quasi completamente incapace di parlare, non giocava e non si comportava come i suoi coetanei, gironzolava qua e là come un cane randagio e spesso emetteva degli strani versi. I capelli e gli occhi neri contrastavano con la pelle pallida, sembrava uno spirito senza pace.
Gli uomini e le donne non volevano averlo attorno, avevano timore che la sua presenza avrebbe attirato sfortuna ed entità maligne, tuttavia non si sarebbero mai avvicinati per scacciarlo, avevano troppa paura di lui.
La festa andava avanti senza che nessuno facesse caso a Fuinur, il bambino era felice di non essere notato, per una volta era come se anche lui facesse parte della comunità.
Fino al mattino assistette in disparte ai canti e ai balli, molti uomini si erano ubriacati e ora giacevano addormentati su delle cucce improvvisate. Era giunto il momento di andare a casa.
Il miracolo avvenuto durante la notte era ormai terminato, bisognava tornare alla realtà.
Doveva tornare nei boschi, a caccia.
All’età di quattro anni si era accorto di poter cacciare molte più prede di quante non gliene servissero per sopravvivere, così da allora aveva iniziato a venderle al macellaio. Quando gli aveva portato le prime carcasse di coniglio non erano servite parole perché l’uomo capisse, gli aveva dato venti denari e gli aveva indicato la porta con un cenno della testa, segno che doveva andarsene.
Da allora ogni settimana portava nuova carne al macellaio, gli piaceva fare affari con lui. L’uomo non lo trattava come un animale e lo pagava onestamente, in più con lui non c’era bisogno di parlare, se ogni tanto tentava di pagarlo di meno bastava un basso ringhio del ragazzo per fargli aggiungere qualche moneta.
I cittadini avevano paura di lui anche per la quantità di prede che portava in macelleria, nemmeno gli uomini adulti riuscivano a cacciarne così tante o di così grossa taglia, inoltre trasportava anche grossi cervi senza fare apparentemente fatica, aiutandosi solo con qualche corda.
Fuinur raggiunse in fretta quella che considerava la sua casa, era riuscito a costruire una piccola baracca in legno vicino ad un grosso faggio. Lui la considerava bellissima, era il suo capolavoro. Il tetto era ricoperto interamente da alcune pietre molto sottili per fare in modo che l’acqua non entrasse dal soffitto, inoltre era riuscito a creare una finestra che aveva riempito con diversi pezzi di vetro colorati trovati tra i rifiuti, tenuti insieme grazie a della resina molto appiccicosa di un pino situato vicino alle mura esterne della citta`. Aveva costruito anche un piccolo tavolo ed una sedia, non gli servivano a molto, ma facevano sembrare la casa più ospitale e inoltre aveva creato lui stesso il materasso cucendo assieme pezzi di vecchie stoffe trovate tra i rifiuti e riempiendolo con della paglia, e anche una coperta, composta da una pelle conciata da lui stesso di un grosso cervo.
Teneva la casa sempre pulita e in ordine nella speranza che un giorno sarebbe venuta a trovarlo sua madre, doveva dimostrarle di essere il più umano possibile, per questa ragione odiava i cambiamenti che stavano avvenendo nel suo fisico.
Aveva speso tutti i guadagni di due interi mesi per poter comprare degli strumenti adatti alla costruzione dell’abitacolo. Ci aveva messo molto a selezionare il posto adatto dove costruirla, ma alla fine aveva scelto un piccolo spiazzo erboso in mezzo alla foresta di Drush, sull’altopiano di Dalic. Era un bel posto, dove arrivava sempre molto sole e abbastanza lontano dai territori di caccia degli uomini del villaggio che lasciavano sempre troppe tracce e odori, così da spaventare gli animali.
Il bambino li aveva seguiti ogni tanto, per vedere se poteva imparare qualcosa dalle loro tecniche di caccia, ma a stento si era trattenuto dallo scoppiare a ridere. Era chiaro il perché nel villaggio scarseggiasse sempre la carne, la maggior parte degli uomini addetti al compito di procacciarla si muovevano in modo pesante e rumoroso, in più durante le serate, proprio mentre sarebbero dovute uscire le prede più grosse, loro accendevano il fuoco e iniziavano a bere e a far chiasso.
Una volta il piccolo aveva tentato di avvicinarli per spiegargli qualche tecnica di caccia più efficace, sperava che così facendo avrebbero stretto amicizia. In quel momento il bambino si era accorto di non essere in grado di parlare con quelle persone. Quando era solo parlava spesso tra sé e sé ma in quel momento appena aveva provato a parlare le parole gli erano rimaste sulla punta della lingua e non era riuscito a pronunciarle. Fu preso dal panico. Gli uomini si accorsero dello strano comportamento e pensarono che il bambino li stesse per attaccare, così fuggirono lasciando alle loro spalle tutto ciò che avevano.
Fuinur nel corso dei giorni che seguirono fu preso dal panico più volte, non poteva credere che la sua prima conversazione con degli esseri umani fosse finita cosi`.
Quando portò al macellaio la carne per venderla tentò di salutarlo, a casa aveva ripetuto più volte “buongiorno” ma, come era successo con i cacciatori, non era riuscito a parlare. L’uomo ebbe poca pazienza e dopo poco gli indicò la porta. Da quel momento in poi, ogni volta che la situazione glielo consentiva, aveva tentato di capire quanto fosse grave questa sua limitazione. Si era accorto di non avere problemi con frasi semplici e brevi, mentre se la risposta non era chiara nella sua mente non riusciva nemmeno a emettere un suono. Voleva allenarsi e risolvere questo problema, se avesse incontrato sua madre avrebbe dovuto parlarle di tutto ciò che gli era successo dal momento in cui si erano separati.
Fuinur entrò in casa, dietro alla porta era appesa una sacca in pelle da cui tirò fuori gli strumenti che avrebbe utilizzato per la caccia, li dispose in fila sul tavolo e, aiutandosi con un sasso, iniziò ad affilare le lame.
Aveva un piccolo machete, delle corde, una rete ed una trappola per pesci. Ripose tutto accuratamente in una borsa a tracolla e poi uscì di casa. Aggiunse anche il poco formaggio che gli era rimasto e una borraccia. Prima di lasciare lo spiazzo erboso controllò lo stato delle pelli che aveva appeso ad uno dei rami più bassi del faggio, da poco tempo aveva deciso di imparare come trattare le pelli degli animali, tuttavia non riusciva ancora ad ottenere dei risultati soddisfacenti.
Entrò nella foresta dirigendosi verso nord, da diversi giorni stava seguendo un branco di maiali selvatici ma loro spesso fiutavano il suo odore e fuggivano prima ancora che potesse vederli. Quella volta sarebbe stato diverso, aveva coperto il suo odore con l’aiuto di fango e foglie.
Camminò per qualche ora prima di fiutare una pista buona e a quel punto iniziò la vera caccia. Faceva attenzione a ogni singolo rumore che avrebbe potuto causare, respirava piano e osservava bene tutto ciò che lo circondava, l’odore diventava sempre più forte. A un tratto eccoli, erano tre maiali adulti, intenti a cercare del cibo. Non attese nemmeno un secondo, non voleva commettere errori. Saltò sopra al primo animale e con le unghie affilate gli squarciò la gola per poi lanciarsi all’inseguimento di un secondo maiale. Voleva catturarlo il prima possibile, non voleva doversi allontanare troppo dalla carcassa dell’altro.
Si era accorto dell’utilità di quella brutta coda durante gli appostamenti o gli inseguimenti, bilanciava bene il suo peso e gli permetteva di essere maggiormente agile.
Riuscì a spingere il suino verso un muro di roccia, tentò di cambiare direzione ma era già troppo tardi, Fuinur si era avvicinato molto e con un gesto rapido gli ruppe il collo.
Tornò il più velocemente possibile nel punto dove aveva lasciato l’altra carcassa e legò assieme i due maiali con la corda, per facilitarne il trasporto. La caccia era durata molto meno del previsto, così decise di andare a pesca in un piccolo lago non molto distante, sempre pieno di pesci.
Fuinur tornò a casa a passo spedito, e quando la raggiunse chiuse in casa le due grosse carcasse. Gli dava fastidio doversi allontanare da delle prede così importanti, aveva paura che qualche grosso predatore ne sentisse l’odore e ne fosse attirato.
Fece più volte il giro della casa e del prato che la circondava per lasciare tracce fresche del proprio passaggio, voleva far capire bene a chiunque fosse passato di li che quello era il suo territorio.
Il bambino si diresse verso est, non ci mise molto ad arrivare al lago di Vi’ Tuluk Naara; era stato chiamato cosí perché si credeva che lì vi dimorasse la ninfa Tuluk, di fatti il nome tradotto dalla lingua antica significava “ove Tuluk compie miracoli”.
Fuinur credeva a questa leggenda, si era accorto che in quel posto ogni creatura sembrava comportarsi diversamente dal solito, lì ci si sentiva sempre bene accetti e mai soli. Per questa ragione in quel luogo non cacciava mai più del necessario per il suo stesso sostentamento.
Quando arrivò allo specchio d’acqua si adoperò subito per la cattura di un paio di pesci, si vedeva che non erano abituati ad essere cacciati, così li pescò in pochi minuti, il lago ed il territorio circostante pullulavano di vita.
Dopo aver riposto i pesci al sicuro, arrotolati nella rete vicino allo zaino, il bambino decise di fare un bagno, era ancora sporco dal terriccio utilizzato quella mattina. Visto che il sole era ancora alto nel cielo scelse di lavare anche i vestiti, che si erano macchiati di sangue.
Tentava di tenersi il più pulito possibile, non voleva puzzare come i bambini abbandonati che vedeva ogni tanto per strada. Li odiava con tutto sè stesso, loro erano deboli e inutili, non facevano altro che giocare oppure rannicchiarsi negli angoli delle strade e nonostante ciò le persone spesso davano loro soldi o cibo. Capitava a volte che persino se li prendessero in casa e li crescessero come figli, e tutto questo gli era concesso solo perché erano completamente umani.
Con questi pensieri Fuinur entrò in acqua, un’altra delle ragioni per cui gli piaceva molto quel posto era il fatto che l’acqua fosse più calda rispetto a quella degli altri laghi in cui era stato. I polmoni del bambino erano più forti rispetto a quelli di un comune umano, così poteva restare sott’acqua per diversi minuti. Gli piaceva esplorare il fondale, sperava che un giorno avrebbe avuto l’onore di vedere Tuluk.
Si rivestì in fretta e accese un fuoco, i pesci non erano molto grossi quindi si sarebbero cotti velocemente. Mentre consumava l’umile pasto il bambino iniziò a fantasticare sull’identità di Tuluk. Prima lo immaginò come uno spirito dell’acqua, dalle sembianze umanoidi e la pelle trasparente, ma poi quell’immagine mutò in un piccolo drago marino ricoperto da meravigliose squame che spaziavano dal verde all’azzurro, o magari era un ibrido, figlio di una qualche donna del villaggio e per questa ragione aveva deciso di vivere vicino alla sua famiglia.
Non aveva mai incontrato altri mezzosangue. Raramente capitava che qualche donna restasse incinta di un maschio appartenente a un’altra razza, ma queste venivano ripudiate dalla famiglia e dagli amici, inoltre perdevano il lavoro e si vedevano costrette a lasciare il villaggio.
Il bambino si domandava perché a sua madre non fosse toccato quel destino. Forse lei aveva combattuto più fermamente delle altre, rivendicando il proprio diritto di vivere nel luogo in cui era nata e cresciuta.
Era meglio tornare a casa, bisognava controllare che la carne dei maiali non fosse stata rubata.
  
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