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Autore: ninety nine    19/03/2015    3 recensioni
La ribellione è conclusa da anni ormai. Katniss si è fatta una famiglia, con Peeta. Ma i suoi pensieri tornano spesso a Gale, anche se cerca di scacciarli. E un giorno, eccolo che torna. Nei boschi del distretto, si ritrovano. Gale torna nel 12...e complica, o migliora le cose. Questo dipende dai punti di vista... a voi la scelta.
Questa è la storia di Katniss Everdeen e del suo incontro con una delle persone che più hanno contato per lei, Gale Hawthorne, amico e compagno di caccia. O qualcosa di più?
Genere: Avventura, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bimba Mellark, Bimbo Mellark, Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Smetto quasi subito di sentire il respiro regolare di Gale sotto la spalla contro cui sono appoggiata, che si solleva impercettibilmente a intervalli regolari, e sprofondo in un sonno stranamente senza incubi. Quando il giovane mi scuote dolcemente per farmi svegliare, mi rimane addosso una sensazione di intorpidimento, tipico del sonno giornaliero e dell'aver sognato qualcosa di cui però non si riesce a tirare le file. Ricordo vagamente una ghiandaia impressa in una galletta e un sorriso amico nei boschi del Dodici, ma fatico a dare un senso alle poche immagini che mi sono rimaste fino a che, del tutto sveglia, capisco che siamo arrivati al Distretto Otto.
Ma certo.
Di chi può essere quel sorriso se non di Bonnie, o forse di lei e Twill unite, insieme con la galletta che per prima mi ha fatto intuire che, forse, ciò che Gale diceva non era del tutto frutto di ragionamenti isolati derivati dalla fatica e dalla condizione miserabile della miniera. Che c'era qualcuno che credeva veramente al mio atto di sfida verso Capitolo City, per quanto fosse stato da me compiuto in modo del tutto irrazionale.
Gale fa un cenno verso la porta del treno e solleva con facilità i nostri due zaini mezzi vuoti, sistemandosi il suo sulla schiena.
Mi avvio lungo il corridoi e scendo per prima dal treno.
Una ventata dell'aria caldo afosa del distretto mi avvolge appena poggio un piede a terra.
Forse è dovuta alle fabbriche che si vedono all'orizzonte e che rilasciano vapore, anche se il fumo che ne fuoriesce é decisamente migliorato rispetto a quello che vidi ai tempi del mio primo tour della Vittoria e insieme ad esso anche le condizioni dei lavoratori, che ormai sono liberi a tutti gli effetti.
Ciò che non mi stupisce é invece la mancanza di una stazione coperta, cosa che c'è in ogni distretto, persino in quello che è stato il più remoto di Panem: capisco come nell'Otto la pioggia sia talmente rara da non rendere necessario un arrivo coperto, che non è mai stato ricostruito dopo che la vecchia stazione é stata distrutta dai ribelli.
Ora rimane in piedi un muro soltanto, che vedo, leggermente più avanti rispetto a noi, solitario e solenne, che era esattamente ciò per cui ho voluto venire fino a qui.
Sembra quasi orgoglioso quel vecchio pezzo di muro, testimone della storia, solido e resistente.
Vederlo mi fa sorridere e un paragone mi nasce spontaneo nella mente: assomiglia in modo incredibile ad una vecchia quercia dei boschi di casa, vicina al punto d'incontro mio e del ragazzo che mi sta a fianco in silenzio, molto probabilmente catturato dall'atmosfera che il luogo sembra trasmettere. La vecchia quercia era scampata, almeno secondo i racconti di mio padre, a un incendio, anni e anni prima di Snow, ed era rimasta li, sola ma circondata da un'aura di potenza e da piantine appena nate.
Da bambina, amavo arrampicarmi tra i suoi rami sotto l'occhio vigile di papà, nei momenti di svago che i giorni ricchi di prede ci lasciavano. Momenti che porto nel cuore come se fossero oro.
Ma la quercia non mi ha solo fatto divertire, mi ha anche salvato la vita, una volta. L'ha salvata sia a me che al mio compagno di caccia, a dire la verità: era un pomeriggio particolarmente caldo e noi eravamo appena stati al lago. La giornata ci aveva fruttato un bel bottino, sia in fatto di pesci che erbe. Stavamo tornando verso casa, meno guardinghi del solito, quando sentimmo in lontananza delle voci che si avvicinavano e il rumore di piedi cadenzato e militare nonostante il terreno accidentato. Inizialmente non capimmo, poi Gale notò che un passo simile poteva essere soltanto di un Pacificatore, probabilmente appartenente a una squadra che si stava allenando per essere trasferita in qualche distretto più vicino alla capitale. L'unica soluzione che ci venne in mente fu di arrampicarci sull'albero più vicino e più imponente, che era proprio quella vecchia quercia. Ci spingemmo in alto come non avevamo mai osato prima. Fu una mossa avventata, ma non avevamo mai avuto modo di pensare a un ipotetico incontro con dei Pacificatori; nessuno si spingeva mai nei boschi, nessuno tranne noi. Fortunatamente, la quercia resse il nostro peso e ci nascose alla vista dei capitolini, che passarono sotto di noi del tutto ignari. La paura che provai quel giorno non la provai mai più, almeno al Dodici. Nell'Arena è stata un'altra storia.
C'è da dire però che il mio compagno cacciatore era, se possibile, ancora più legato alla pianta di me. Si somigliavano: entrambi erano reduci, forti, coraggiosi e con una voglia quasi sfrontata di sopravvivere nonostante il passato avverso.
É strano paragonare una persona a un albero, eppure mi é sempre sembrato così. Dopotutto il mio nome non é forse quello di una pianta?
Mi torna a mente una vecchia proprietà matematica che mi hanno insegnato a scuola in un tempo che mi sembra incredibilmente lontano, e arrivo alla conclusione che Gale, in quanto simile alla quercia, dovrebbe assomigliare al muro come questo somiglia alla pianta stessa.
Pensandoci, ha senso.
Questo é il muro dei ribelli e Gale é il ribelle per eccellenza, il primo probabilmente del nostro distretto, anche se questo suo esserlo ha lasciato profonde cicatrici sulla sua pelle e sulla sua anima. Ma anche io ne ho, ne ha Peeta. Peccato che io e il ragazzo del pane due potessimo contare l'uno sull'altra per sanare le nostre ferite.
Gale no, perché l'ho lasciato solo a fare i conti con il suo dolore.
Prima che i sensi di colpa mi vengano a trovare nuovamente, poggio una mano sul braccio del giovane e gli sfilo la mia borsa dalle mani, sistemandomela al meglio sulle spalle e indicandogli il muro.
Chissà cosa sembriamo, da fuori. Due turisti, magari, come quelli che vengono al dodici a vedere il Distretto della Ghiandaia.
Sono sollevata nel constatare che qui non c'è nessuno in giro e che forse possiamo limitare i contatti con le persone. Il mio lato solitario non si è per nulla assottigliato, anche se nell'ultimo periodo sono diventata un po' più tollerante, ma ho sempre avuto bisogno di tanto, troppo tempo per fidarmi di una persona. E' stato così anche per Gale e la sua famiglia: un rapporto di convenienza prima, di amicizia poi, costruito mattone dopo mattone e destinato a durare, anche se era bastato un lampo di fuoco e una paperella che non c'era più a sgretolare tutto, come si era sgretolata la stazione dell'Otto sotto i colpi di fucile. Ma, come in essa, anche nella nostra amicizia qualcosa è rimasto. Come da qual muro era partito lo sviluppo di un nuovo mondo, la nostalgia celata da troppo rancore per il giovane dagli occhi grigi ci stava portando a riconciliarci. Non mi era mai resa conto di quanto mi fosse mancato avere qualcuno disposto ad essere sempre al suo fianco, anche quando tutti i miei lati negativi venivano alla luce ed esigevano di essere ascoltati.
Man mano che mi avvicino al muro, inizio a distinguere i nomi incisi sulle mattonelle.
File e file di nomi.
Ribelli e giovani. Donne e ragazzini.
Gente che ha avuto il coraggio di prendere in mano la propria vita e di iniziare a combattere per qualcosa in cui credeva.
Come Gale, come Finnick. Non come me.
Faccio scorrere lo sguardo su tutti quei nomi, cercando quello delle due ragazze che ho incontrato nei boschi e di cui ho raccontato la storia al distretto Tredici.
Eccoli lì, tra i primi. Bonnie e Twill.
Accanto al nome di Twill c'è una vecchia fotografia sbiadita. Gli occhi scuri della donna mi guardano fisso e sembrano ringraziarmi per aver portato avanti ciò per cui lei e la più giovane sono morte, di averle creduto e di aver raccontato dell'eventuale esistenza del Tredici a chi aveva bisogno solo di una piccola spinta per esporre le sue idee.
Quella persona ora mi sta al fianco e sta scorrendo indice e medio sulle mattonelle che compongono il muro, ripassando con il dito i nomi che più lo colpiscono.
Noto che si sofferma a lungo su uno in particolare.
Mi avvicino a lui e leggo "Ian".
Gale si volta verso di me con gli occhi illuciditi e velati da quel filo di rabbia che ancora arde ben nascosta nel profondo del suo cuore.

-Si chiamava come mio padre. - sussurra. -Poteva essere lui. Magari aveva le sue stesse idee, la pensava come lui. Magari aveva un figlio o magari ne aveva quattro. Magari ha trasmesso al maggiore di loro proprio queste idee in cui lui aveva creduto e per le quali si era tante volte messe nei guai e magari questo figlio ci ha creduto davvero.
Magari aveva una moglie che lo amava e che lo aspettava con un sorriso aperto sulla soglia di casa portando in grembo un'altra vita.
Ma c'è una differenza tra lui e mio padre, Catnip, e sai qual'è?
E' che lui é morto per qualcosa in cui credeva e non spaccandosi la schiena in miniera per portare a casa un pezzo di pane raffermo a questi figli e a questa moglie che morivano di fame, rischiando la vita e lasciandovela, in quel maledetto buco! Eccola qui, la differenza...-
Alla fine della frase, mi accorgo che sta urlando e che la voce quasi gli trema. Intuisco che pensare a suo padre e a quel periodo della sua vita gli fa ancora male, sia per il dolore che ha provato sia per la nostalgia.
Lo so perché mi succede la stessa cosa. Soffrivamo, faticavamo a tirare avanti, ma almeno sapevamo qual'era il nostro posto nella società. Ora non sappiamo più nemmeno quello, io e lui. Non facciamo parte di questo nuovo mondo, le nostre idee, il nostro modo di ragionare appartengono al passato ormai.-

Gale respira profondamente e stacca le dita dal muro, quasi a voler bloccare il flusso di ricordi che quel tocco gli ha provocato.
Rimane a guardarmi qualche istante e poi distoglie gli occhi, fissandoli sulla polvere che ha sollevato muovendo i piedi.

-Per fortuna che il mondo é cambiato, Katniss- mi dice, quasi fosse una confessione.
Non so cosa rispondergli: improvvisamente ho visto il peso di tutti gli anni passati a far il padre meglio che poteva nonostante fosse solo un adolescente gravargli sulle spalle e invecchiare i suoi tratti da trentenne ancora giovanili. Ho visto il peso dell'aver vissuto lontano dal Dodici per undici anni, il peso dei ricordi e del rimorso su di lui, ma ho visto anche una disperata voglia di normalità e la consapevolezza di voler continuare a combattere per averla.
Gli poggio una mano sulla spalla e resto li, facendogli soltanto sentire che ci sono, anche se sarebbero innumerevoli le cose che potrei dirgli.
Ad esempio, che il mondo é cambiato anche grazie a lui.
Ma tutto mi sembra inutile davanti a questo momento di debolezza ben celata del giovane, a cui non sono abituata.
É sempre stato l'esempio stesso della forza e della combattività, ma la vista di questo muro e del nome di tre lettere sembra aver riaperto una vecchia ferita ancora aperta e che non si chiuderà mai.
Egoisticamente vorrei restare all'Otto ancora un po', ma decido che per una volta posso mettere da parte il mio orgoglio e il mio pensare solo a me stessa e far qualcosa per chi ha sempre voluto solo e soltanto il mio bene. Tornare subito al Dodici, sia per Gale che per chi al Dodici mi aspetta.


-Gale.- inizio, attirando la sua attenzione.
Quando sento i suoi occhi sfiorarmi continuo la frase.


-Torniamo, forza. Prendiamo il primo e torniamo a casa. Non abbiamo più nulla da fare, qui.-

 

 

 

Buongiorno, principesse!

Innanzitutto, sappiate che questo capitolo non mi convince proprio per niente. O meglio, alcuni particolari che ho inserito mi piacciono, ma il come l'ho fatto non mi convince. Spero sia comunque risultato qualcosa di buono per voi :)

Passando alla storia in sé, non ho grandi note da fare, se non che Ian è il nome che ho dato al padre di Gale nelle mie storie Grigio contro grigio e Uccel di bosco e che ci tenevo ad inserire la memoria di quest'uomo in uno dei miei capitoli. Ho scelto questo perché ho trovato comodo sfruttare l'espediente muro di nomi, che vuole rifarsi vagamente al Giardino dei Giusti o a tutti i sacrari sparsi in Italia a commemorare le vittime di tragedie di ogni tipo. Dovete sapere che quando trovo luoghi simili mi emoziono sempre in una maniera incredibile, soprattutto se le persone commemorate sono vittime, vittime di qualsiasi cosa, ed è questo che ho provato a trasmettere quando parlavo di ''atmosfera'', e provo ad immaginare cosa poteva esserci dietro quei nomi, cosa che un po' fa Gale.

Sappiate che questo capitolo, già più lungo del solito (1946 parole, in meno di tre settimane, miracolo!), stava risultando ancora più lungo e ho dovuto interromperlo, ecco perché il finale non è 'a effetto' come al solito.

Spero vi piaccia comunque, al solito mi farebbe un piacere enorme ricevere un'opinione!

Grazie mille a chi continua a seguirmi, a chi è nuovo, a chi recensisce e anche a chi legge in silenzio!

A presto k_j

 

PS: Parlando di padre di Gale...AUGURI PAPA'!

  
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