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Autore: My Pride    15/12/2008    17 recensioni
Alto, flessuoso, ricordava vagamente un angelo. Un angelo di morte, di terrore.
Incarnava ogni terrena paura, tutto ciò di cui gli esseri umani avevano timore; incrociare il suo sguardo equivaleva a dire addio alla vita. Quegli occhi d'ambra, magnetici e intensi, riuscivano a farti dimenticare chi eri e dove ti trovavi, persino quello che stava per accaderti, ma non per quello abbandonavi quello sguardo. Ne venivi indipendentemente attratto. Era come essere vincolato da un qualcosa di feroce e potente che non aspettava altro che condurti alla morte.
Un mesto sorriso incurvò le labbra della creatura, scoprendogli i canini immacolati. «La stavo aspettando, Padre».
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Maes Hughes, Roy Mustang, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vampire's Story ~ Il Bacio del Vampiro'
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Il bacio del vampiro_Act 10
ATTO DECIMO. UTOPIA D'ONICE


    Un immane silenzio si estendeva nella radura, l'aria era gelida e pesante, mentre il respiro del prete si condensava in piccole nuvolette di vapore. Il suo corpo si imbiancava sempre più a causa della neve che cadeva, ma lui sembrava non accorgersene, poiché il suo sguardo era fisso sulla creatura che aveva dinnanzi e che, ricevuto uno sguardo interrogativo dal suo compagno, si decise a fare ancora una volta un passo avanti, con la testa nuovamente chinata a fissare senza vederlo davvero il terreno candido.
    «È ora che vi spieghi tutto, Padre», sussurrò in tono pacato e triste. «In modo che lei stesso possa ricordare».
    Il prete rimase in silenzio, osservandolo. Cercava di riprendersi per il capogiro che l'aveva colto per l'ennesima volta, mostrandogli e facendogli udire ancora quelle voci che non capiva. Gli arti non rispondevano ai suoi comandi, non gli permettevano di provare a fuggire, ma per una qualche strana ragione, si sentiva tranquillo. Fin troppo tranquillo. E tutto sotto lo sguardo di Alphonse, il quale digrignava i denti e faceva guizzare i suoi occhi sulla sua figura o su quella del fratello, pochi passi più in là, che ancora fissava il terreno.
    «Sa, è colpa di mio padre, se sono così», riprese distratto il maggiore, consapevole nel contempo che il suo interlocutore non si sarebbe mosso. «Ai nostri tempi, creature come me non erano così rare», chiuse gli occhi dorati, schiudendo le labbra dalle quali fecero capolino le zanne acuminate. «Quella notte, Padre, io morii».




    Il cielo era buio e annuvolato, l'aria così satura di pioggia e umidità che si prevedeva un acquazzone, di quelli che si sarebbero protratti un bel paio di giorni.
    Spenta ogni luce nelle stanze del maniero, il ragazzo si apprestava ad andarsene a letto, chiedendosi distrattamente dove potessero essere finiti i domestici che lasciavano invece a lui quel lavoro. Scosse il capo senza darvi così tanta importanza, poiché in quel momento la sua unica priorità era il sonno che l'aveva ormai invaso.
    Passato accanto allo studio di suo padre, vi trovò una lanterna ancora accesa, ed entrandovi vide suo fratello seduto sul grande tappeto che prendeva gran parte delle assi di legno del pavimento, intento a sfogliare interessato un paio di libri. Si ritrovò a sorridere, scuotendo la testa. «Non credi sia un po' tardi per leggere, Alphonse?» gli chiese in tono spassoso, facendolo sussultare.
    Lui chiuse il libro di scatto, voltandosi verso il maggiore mentre si grattava la testa, facendogli poi una piccola linguaccia. Si alzò con il tomo sottobraccio, posandolo subito sulla lucida scrivania di mogano. «Volevo aspettare papà», fu la sua semplice scusa, accompagnata da un'alzata di spalle.
    Il volto dell'altro assunse un cipiglio scettico, ma ridacchiò, portandosi una mano alla bocca per soffocare l'ilarità. «Ha detto che non sarebbe tornato presto, vuoi attenderlo tutta la notte?»
    «Se si ritiene necessario, sì», ribatté divertito.
    Il maggiore alzò gli occhi al soffitto, emettendo un flebile sospiro. Suo fratello era davvero impossibile. Quando si trattava del padre, soprattutto dopo la morte della loro madre, era capace di restare alzato fino a tardi per salutarlo, quando usciva per le sue cene di lavoro. Riappuntò ben presto la sua attenzione sul minore, con un'espressione pensosa in volto. «Cambiando discorso, Alphonse... sai che fine hanno fatto i domestici?» domandò, attraversando la stanza per sedersi sulla piccola poltrona lì presente, con il gomito poggiato sul bracciolo. Osservò per un po' il volto stupito del fratello, che sbatteva perplesso le palpebre, come a non capire il perché di quella domanda; poi lo vide fare spallucce e scuotere la testa, prima che si avvicinasse a lui e si sedesse sulla poltrona accanto, sprofondando nel morbido tessuto.
    «Non ci faccio caso a certe cose, lo sai», replicò con uno sbadiglio. Si stropicciò gli occhi con il dorso della mano, poggiando la testa contro lo schienale. Per un po' tra i due regnò il silenzio, interrotto solo qualche attimo dopo da una risata spassosa da parte del minore, che gettò un'occhiata divertita verso il fratello, quasi sul punto di addormentarsi. Ricevette uno sguardo corrucciato, ma non per questo abbandonò il sorriso. «Era da un po' che volevo chiedertelo, caro il mio fratellone», cominciò sghignazzando, nella voce un momentaneo tremito di malizia. «Segui il nostro altrettanto caro paparino per un motivo ben preciso, vero?» Non aggiunse altro, ma il sussulto del maggiore gliene diede la conferma. Ricominciò a ridere, divertito dall'espressione imbarazzata che gli si era dipinta in volto.
    «Non ho nessun motivo!» ribatté lui, con le guance in fiamme. Riusciva benissimo ad immaginare dove volesse andare a parare suo fratello minore. La prima volta che si era stato costretto a seguire il padre, ne era rimasto profondamente contrariato, per questo gli aveva posto quella domanda. Anche se non sapeva realmente chi andava ad incontrare. Sarebbe stato un guaio se l'avesse scoperto.
    «Guarda che non me la dai a bere!» sghignazzò ancora una volta il minore, senza dar peso al borbottio sommesso a cui stava dando vita il maggiore. «Ammettilo, ti sei trovato una donna!»
    L'altro guardò ostinatamente il pavimento, oltremodo imbarazzato. Dovevano fare più attenzione entrambi quando si incontravano. Suo fratello era fin troppo perspicace, anche se pensava che vedesse una donna. Così, cercando di riacquistare il suo solito contegno, fece per aprire bocca e rispondergli a tono, ma fu interrotto da un tonfo sordo proveniente dall'ingresso e, subito dopo, il cielo fu squarciato da un lampo che illuminò sinistramente la stanza, rivelando sulla soglia la figura del padre. Li guardava con sguardo vacuo e spento, come se non capisse dove si trovasse, ma ciò che più spaventò i due ragazzi, subito accorsi ad aiutarlo, fu il sangue che copiosamente perdeva dal fianco che si teneva convulsamente stretto.
    «Padre! Cos'è successo, padre!» esclamò Alphonse, allontanato dal fratello in modo che lui potesse sorreggere l'uomo e farlo sedere sulla poltrona, cercando di fargli togliere la mano dal fianco per controllare la ferita. Era profonda e temeva davvero il peggio; sentì la voce morirgli in gola quando incrociò gli occhi del padre, nei quali non riuscì a scorgere nemmeno un alito di vita nonostante lui sorridesse appena.
    «Papà, riesci a sentirmi?» chiese con voce tremante, in preda al panico. Ricevette un'occhiata, ma non era sicuro che avesse capito ciò che gli aveva chiesto. Gli occhi erano solo due profondi oblii. Spaventato, si voltò verso il fratello, ancora immobilizzato pochi passi più in là. «Va a prendere qualcosa! Muoviti!» gli urlò contro e, con uno scatto, lui ritornò cosciente della situazione, sparendo rapido per i corridoi bui per recuperare garze e quant'altro.
    L'altro intanto riportò la sua attenzione sul volto del padre. Lo sfiorò, lo trovò freddo. Aveva sempre detto che era un bastardo, che non lo sopportava ma, in quel momento, aveva paura che lui e suo fratello avrebbero perso anche il padre, restando soli. E non voleva questo. Per quanto non sopportasse quell'uomo, non voleva che morisse. Provò a vedere se gli occhi avevano una qualche reazione alla luce, afferrando svelto la lanterna sulla scrivania e avvicinandola a lui, ma sembravano erano completamente vuoti, con le pupille nere e dilatate che guardavano fisse dinanzi a sé.
    Il ragazzo gettò un altro sguardo alla ferita, sempre più impaurito. Doveva cercare di arrestare l'emorragia, ma come? Cercò di premere le mani sulla ferita in modo che il sangue non fuoriuscisse, però il padro lo allontanò, poggiando stabilmente i palmi sul suo braccio.
    «Va tutto bene, Edward, non preoccuparti», gli disse, e la sua voce era fin troppo calma e senza nessun tremito, come se non si fosse accorto di essere ferito. E la cosa spaventò maggiormente il ragazzo, il quale gli posò una mano sulla fronte, trovando anch'essa gelida. Fissò il padre con le sopracciglia bionde corrugate dalla preoccupazione.
    «Non va per niente bene!» esclamò agitato, gettando un'occhiata disperata verso la soglia, dove aveva appena fatto ritorno Alphonse con delle bende; gli fece cenno di avvicinarsi svelto e, tolti con un po' di fatica il cappotto nero e la camicia che il padre indossava, si apprestarono a dar lui delle cure, per quanto fosse loro possibile. Quando videro che il petto si alzava e si abbassava a ritmi regolari la paura si attenuò un po', ma non passò del tutto, poiché i suoi occhi erano ancora spenti. E quegli occhi si posarono sul volto del maggiore, che deglutì nel vedere il genitore sorridere.
    «Portami qualcosa da bere, figliolo», gli disse tranquillo, poggiando una mano su quella del figlio minore, che teneva stretto il bracciolo della poltrona.
    Senza obbiettare, Edward annuì, con il respiro velocizzato dal terrore; sparì di gran carriera verso il soggiorno dove il padre teneva le sue bottiglie, maledicendo i domestici per essere spariti in un momento così critico come quello. Con un fremito che si era completamente impossessato dei suoi arti, allungò una mano verso il mobile bar per recuperare una bottiglia di liquore e un bicchiere, ma entrambi gli caddero a terra quando sentì l'urlo straziante del fratello aleggiare per le stanze vuote.
    Correndo a perdifiato, tornò nello studio e la scena che gli si parò davanti gli gelò il sangue nelle vene. Alphonse era riverso a terra in una pozza di sangue e, chinato su di lui, c'era il padre, le cui labbra schiuse erano poggiate sul suo collo; guardava dritto dinanzi a sé, con quegli occhi neri come pezzi di carbone, verso la soglia dove c'era lui. Allontanò il viso dal corpo inerme del figlio minore, rivelando delle zanne acuminate macchiate di sangue e, senza staccare gli occhi da Edward, che si era portato una mano alla bocca con gli occhi sbarrati dal terrore, si leccò le punte dei canini, passandosi due dita sulle labbra come per ripulirle.
    Il ragazzo indietreggiò, gettando un'occhiata impaurita al fratello, la cui mano sinistra era rivolta verso di lui come il suo sguardo; la bocca si muoveva come a dar vita a parole che lui non riusciva ad udire, mentre i suoi occhi, di solito di quello strano colore verde ambrato, erano completamente vuoti, senza vita.
    «Stai calmo, Edward», gli disse il padre, le zanne ben in mostra. «Sarà questione di un attimo».
    Per nulla rallegrato da ciò che gli aveva detto, il biondo respirò affannoso e indietreggiò, con il volto atteggiato ad una maschera di più completa paura, e ad ogni passo che suo padre faceva il suo cuore pompava sempre di più sangue nel suo intero corpo, investendolo d'adrenalina.
    «Dopo ti spiegherò tutto», fece ancora l'uomo, sistemandosi tranquillo il colletto della camicia.
    Deglutendo sonoramente, Edward si guardò frenetico intorno, cercando qualcosa che potesse essergli di qualsiasi utilità contro quello che, una volta, era stato suo padre, mentre adesso, ancora non capacitandosi come, dinanzi a lui aveva... un vampiro. I suoi occhi registrarono in poco il fucile da caccia e con uno scatto fulmineo vi si buttò incontro, afferrandolo per puntarlo verso di lui. «N-Non ti avvicinare!» squittì, poggiando un dito tremante sul grilletto. Non ebbe il tempo di realizzare la situazione che l'arma che reggeva gli fu strappata dalle mani senza che ne capisse come, finendo gettata all'angolo opposto della stanza. Incontrò quegli occhi così assenti tremando come non mai, con il cuore in gola.
    «Lo faccio per il tuo bene, Edward», disse pacato quello che ormai non riteneva più un padre. «Dopo sarà tutto più chiaro, vedrai». Gli afferrò un polso e lo attirò verso di sé e, nonostante il ragazzo cercasse di liberarsi, di divincolarsi con tutte le sue forze, quella presa salda non lo abbandonava, anzi, si faceva sempre più stretta, quasi volesse spezzargli le ossa. «Non possiamo più aspettare», riprese l'uomo, scostandogli delicato i capelli dal collo, accarezzandoglielo appena con la punta delle dita. «Ho già rischiato troppo, facendoti affezionare a quel ragazzo».
    A quelle parole, il biondino dilatò gli occhi e lottò contro quella forza che lo teneva stretto, scuotendo agitato la testa come nel tentativo di allontanare quelle fredde dita che gli solleticavano il collo, ma qualcosa di invisibile gliela bloccò e il respiro gli si fece ancor più velocizzato.
    «Mi spiace per suo padre, ma quel ragazzo dev'essere eliminato». Sentì il fiato gelido del padre sulla pelle, le punte delle sue zanne gli sfiorarono il collo. «Per te è solo un ostacolo».
    Prima ancora che potesse gridare per chiamare aiuto, prima ancora che potesse tentare di fuggire o opporsi, quei canini affondarono nella carne al di sopra dell'arteria, e sentì il suo corpo percorso da brividi e spasmi violenti ad ogni risucchio; strinse in un moto convulso la spalla del padre, nel vano tentativo di allontanarlo da sé, di far cessare quell'intenso bruciore che gli incendiava il corpo, ma tutto ciò che vide, dopo, furono solo tenebre, mentre un nome, solo e unicamente un nome, gli vorticava nella testa. «Roy».




    «Basta! Hai detto abbastanza!» La voce tonante di Alphonse ammonì il fratello maggiore, interrompendo il suo racconto. Gli si avvicinò, ma Edward lo scostò con un movimento serpentino la mano, sferzando l'aria con un braccio e creando un vuoto tutt'intorno a loro prima di mostrargli le zanne che palpitavano e si allungavano.
    «Devi stare zitto!» gli sibilò di rimando, gli occhi d'un dorato scuro esprimevano rabbia, e il fratello fu costretto ad indietreggiare, travolto dalla sua furia cieca. L'aria vibrava come una corda tesa, persino la neve aveva preso a vorticare furente, sotto lo sguardo sconcertato e impaurito del prete. Non sapeva chi fosse il più pericoloso, tra quelle due creature, ma il velo di mistero, di rabbia e di dolore che scaturiva dal maggiore gli incuteva sentimenti contrastanti che nemmeno lui riusciva a spiegarsi o a capire. Era come se fosse un qualcosa di terribilmente spaventoso che lo attraeva profondamente.
    Le due creature si squadrarono a zanne scoperte, quasi si fossero dimenticati di lui. «Vuoi scatenare la sua Ira, non è così?» sussurrò il giovane dai capelli corti, ringhiando. «Vuoi vedere sin dove può spingersi un vampiro moribondo, non è vero?»
    Il vento che si era alzato cessò, i fiocchi di neve ripresero la loro normale caduta, e Edward lo osservò ironico. «Se fossi un vampiro più esperto non avrei esitato a squarciargli la gola con le mie zanne o a strappargli il cuore con le mie mani, dovresti ben saperlo», la frase, pronunciata dalla sua voce morbida, suonava come una minaccia. «Anche ridotto in quel modo disdicevole sarebbe capace di farmi a pezzi in un attimo».
    Un sospiro riempì il silenzio che era calato per pochi attimi. «Allora perché non la smetti, mo bhràthair?» un mormorio basso. «Metti da parte il tuo Orgoglio. Sei ancora in tempo per cambiare idea... ammazziamo quel prete e andiamo a cercare lui».
    Sentendosi chiamare in causa, il prete indietreggiò ancora, deglutendo. Non poteva sperare di fuggire, dato il dolore che gli aveva attanagliato le viscere, ma non aveva intenzione di restare lì senza reagire in qualche modo. Strinse con furia gli occhi nel sentire la testa dolergli, con il respiro velocizzato e il sudore che, nonostante il freddo che lo circondava, gli scivolava in piccole perle cristalline sulla fronte. Una risata, un sorriso...

«Questo lo manderebbe letteralmente in bestia».

    Respirò a fatica, deglutendo in continuazione. Perché si sentiva così male? Ebbe come la sensazione di sentire gli occhi dorati del vampiro posati su di lui, ma non riuscì ad alzare le palpebre, che tremarono brevemente in un moto convulso. Con gli occhi della mente, in balia delle allucinazioni, vide il volto sfocato di qualcuno che lo chiamava, che lo guardava imbronciato...

«Ti sto... chiamando da mezz'ora... stupido!»
«Scusate, Milord, non vi ho sentito».

    La nausea gli aveva attanagliato lo stomaco, un groppo in gola non gli permetteva di raccogliere l'ossigeno di cui i polmoni avevano assolutamente bisogno, il volto era contratto in una smorfia di dolore inimmaginabile. Una nota preoccupata vibrò nella voce che gli riempì le orecchie...

«Qualcosa non va?»
«Lo sai che detesto quando mi chiami Milord o Laird. Te lo sto ripetendo da sei mesi che devi chiamarmi...»

    «...Edward!» urlò il prete senza nemmeno rendersene conto, sconvolto e disperato, prima di stringersi un braccio sull'addome nel sentire il dolore attanagliargli i muscoli dello stomaco in una morsa letale.
    Con un lampeggiar di zanne, il vampiro più grande sorrise dolcemente nel sentir pronunciare dal prete il proprio nome, e non gli sfuggì lo sguardo incuriosito del fratello che, sbattendo confuso le palpebre, cercava di capire qualcosa che gli sfuggiva; così d'improvviso com'era arrivato, il dolore abbandonò del tutto Padre Roy e riaprì debolmente gli occhi, boccheggiando e provando a guardare le due figure che lo osservavano a pochi passi di distanza. Sentì il flebile sospiro del vampiro biondo, il quale lanciò una breve occhiata al fratello.
    «Sono già arrivato alla fine, Alphonse», bisbigliò. Fece qualche passo deciso verso il prete, con un sorriso amaro dipinto in volto, e in breve gli fu accanto, vedendolo appiattirsi contro il tronco su cui era poggiato, reggendosi sulle gambe tremanti e malferme. «Non scorderò mai il dopo, Padre», mormorò con dolcezza, riprendendo il discorso che a causa del fratello aveva dovuto interrompere. «Sentivo il fuoco scorrermi nelle vene, mi sentivo arso vivo, volevo solo che tutto cessasse in fretta e che smettessi di soffrire». Trasse un lungo sospiro. «Mi risvegliai mezzo tramortito nella mia camera non so quanto tempo dopo... ed ero diventato così». Gli afferrò il viso tra le mani, accarezzandolo con una dolcezza lasciva. «Non potevo minimamente credere che, in realtà, mio padre fosse sempre stato un vampiro», ricominciò a parlare con voce setosa, mielosa e fluttuante, un sussurro leggiadro che si diffuse nella notte. «Ma quello che mi fece più male fu ciò che lui fece in seguito. Venne a cercare... te».
    La mano fredda del vampiro si posò nuovamente sul suo volto e, prima ancora che il prete potesse rendersene conto, le labbra dure e di velluto quasi bruciante della creatura si incollarono alle sue, facendogli sgranare gli occhi. Era scioccato, immobilizzato. Si riscosse solo quando sentì la lingua del vampiro esplorargli il palato, intrecciandosi con la sua che si era frattanto scontrata con le zanne dure e lisce; lo scostò da sé immediatamente, portandosi il dorso della mano a coprirsi le labbra con gli occhi scuri che trapelavano disgusto.
    Sul volto di Edward comparve una nota di tristezza. «Ma 'se ur toil e, mo chridhe [1]», mormorò di nuovo in quella strana lingua. «Ricorda... perché non ci riesci, perché».
    Alphonse gli si avvicinò piano, poggiandogli una mano sulla spalla. Non capiva cosa gli era preso all'improvviso. Quella tristezza sul suo viso non l'aveva mai vista. «Edward?» sembrava quasi dolce, adesso, mentre parlava in tono basso. «Cosa dovrebbe ricordare, questo prete?»
    L'altro gli pose una tregua, scuotendo appena la testa. «Lascia stare, Alphonse, risale a troppo tempo fa».
    «A quando... eravamo umani?» chiese con malinconia Nessuno dei due si stava curando del prete che intanto, stava tentando nuovamente di indietreggiare, anch'egli confuso. Cosa c'era sotto tutta quella storia? Vide il vampiro dai capelli lunghi annuire, con lo sguardo basso. Quella sofferenza che intravide gli parve... quasi umana. E la cosa lo sconvolse. Ancor più di quel bacio, che, strano a dirsi, gli era sembrato tremendamente familiare, come se non avesse fatto altro per tutta la vita. Come se quelle labbra gli fossero sempre mancate.
    «Capisco perché volevi lui», sussurrò Alphonse, scoccando una rapida occhiata alla figura del prete. «Ora che ci faccio caso gli somiglia», ritornò a guardare il fratello. «Anche se di questa cosa non me ne hai mai parlato».
    Il vampiro dagli occhi d'ambra lo guardò languido, tentando di riavvicinarsi, ma il prete strappò la catenina a cui teneva legata la croce e gli sfiorò la carne, che sfrigolò ma non lo scompose affatto. «Non devi avere paura di me», sussurrò. «Andrà tutto bene, staremo ancora insieme».
    «Vade retro! [2]» esclamò il prete, puntandogli di nuovo la croce contro, e il vampiro alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. Adesso, ciò che si poteva vedere espresso nei suoi lineamenti era appena una nota di stizza. Come se fosse... ferito, tradito.
    «Lo vuole capire che con me è inutile?» disse, nuovamente formale come lo era all'inizio, per poi notare la sua espressione. «Che cos'ha, Padre?» parve rifletterci un po' su, per poi sospirare amaro. «Ah, già... il Voto. Ma non deve preoccuparsi, d'ora in poi non dovrà più badare a certe piccolezze... non l'ha mai fatto, in fondo». Edward gli poggiò una mano sul petto e lo gettò in avanti, facendogli sbattere la schiena contro le radici contorte e nodose di un albero che sporgevano dal terreno; si inginocchiò davanti a lui, godendo della paura che vedeva impressa nei lineamenti di quel volto e pregustando già il momento di poterlo ammirare per sempre.
    Aveva aspettato fin troppo per riaverlo con sé, non voleva che gli fosse negata anche quell'occasione.
Suo padre, che aveva sempre odiato per ciò che l'aveva fatto diventare, strappandolo all'unica cosa che gli era rimasta cara dopo la morte della madre, non poteva non accontentarlo. Con il tempo sarebbe persino riuscito a fargli ricordare tutto, ne era sicuro. Seppur in un corpo diverso e in un secolo diverso, era pur sempre suo. All'inizio sarebbe stato complicato, doloroso, sarebbe stato più che altro una marionetta nelle sue mani, ma... in seguito, i ricordi rinvenuti a galla avrebbero sostituito il servo.
    Le zanne presero a palpitare e ad allungarsi. «Sarà tutto come prima».
    Padre Roy deglutì e strinse gli occhi, mordendosi il labbro inferiore. La paura gli attanagliava le viscere. «Per Deum te oro [3]». Dalle labbra del vampiro sfuggì una risata piacevolmente divertita, a quelle parole. Poi sorrise, osservandolo.  I suoi occhi d'ambra erano luminosi come non lo erano mai stati. L'uomo di Chiesa cominciò a recitare per se stesso la preghiera che aveva ripetuto in continuazione in quegli ultimi giorni, quasi sentiva che avrebbe pianto, per il destino che gli era capitato.
Sapeva che sarebbe morto. «Dominus et Deus Noster, hanc animam...»
    Il vampiro rise ancora. Non sarebbe mai giunto fra le braccia del suo Dio. Non con lui. «Stia calmo, Padre». Il colletto dell'abito monacale cadde sul fogliame con un fruscio e il vampiro sorrise, accarezzandogli con movimenti lascivi la pelle appena scoperta.
    Il prete si ritrasse al tocco, tentando di rimettersi in piedi, non tollerando più quella situazione. Voleva provare a scappare un'ultima volta, ma il piede gli si era incastrato in una radice e gli era impossibile muoversi. Si arrese all'evidenza. Non aveva scampo. Abbandonò le braccia lungo i fianchi, smettendo di lottare. «Se devo morire, fallo subito», sussurrò, sentendosi un groppo in gola. «Porterò le mie scuse a tutti coloro a cui avete ingiustamente tolto la vita».
    Edward rise di nuovo, una risata limpida e cristallina come quella di un bambino, e alla sua risata stavolta si unì anche quella del compagno, che si avvicinò di più a loro. Perché ridevano? Cosa ci trovavano, di divertente? Ormai non gli importava più nulla. Sapeva che arrendersi non l'avrebbe portato da nessuna parte, che non avrebbe risolto un bel niente e che gli omicidi sarebbero continuati. Ma... gli restava un'ultima carta da giocare. Doveva solo sperare per il meglio. «Ammazzami», supplicò quasi. «Ammazzami... ma, ti prego, lasciate stare la gente del villaggio».
    «Ha deciso di immolarsi?» si sentì chiedere.
    Padre Roy mosse meccanicamente la testa accennando ad un sì, guardando intensamente gli occhi topazio del vampiro. Mossa sbagliata, in realtà. Ma non poteva saperlo. «Ti prego...» ripeté, completamente incatenato a quello sguardo. Lo vide sospirare mesto prima di lanciare uno sguardo al fratello, facendo spallucce, per tornare divertito a guardare lui.
    «Ha la mia parola», sussurrò, e parve quasi che i suoi occhi luccicassero.
    «Lascia che vada in Paradiso, allora».
    «Oh, sarò magnanimo, non la ucciderò, ma...» Il volto era ad una spanna dal suo. Sentiva il gelo pervadergli il corpo. «Il suo Paradiso è qui all'Inferno». Le labbra marmoree si avvicinarono pericolosamente al collo; la lingua lo accarezzò delicata, con erotismo, facendo scivolare lentamente una mano lungo il fianco per massaggiargli affettuosamente la coscia al di sopra dell'abito. «Qui con me».
    Il prete realizzò d'un lampo la situazione, e sgranò gli occhi, ricordando la sua immagine riflessa nell'acqua della fontana. Aveva avuto una visione di se stesso... nella sua vita da vampiro, probabilmente. «No, no... non farlo», supplicò quasi in lacrime, con la voce che tremava. «Ti scongiuro... no». Ricevette dal vampiro uno sguardo di assoluta benevolenza, quasi una commiserazione estrema, come se anche a lui dispiacesse ciò che stava per fare.
    Una sua mano gli accarezzò il volto, forse nel tentativo di rassicurarlo, scendendo poi lentamente per posarsi sul petto, tenendolo immobile.
Con il volto contratto dal terrore, il prete lo vide avvicinare il volto al polso prima che snudasse completamente le zanne per affondarle nelle sue vene; urlò e si dimenò, provando a strattonare il braccio e liberarlo dalla presa d'acciaio del vampiro, ma ogni suo tentativo fu vano.
    Quella creatura, dal volto macchiato del suo sangue, risalì piano con le labbra fino all'incavo del suo gomito, mordendolo senza alcun ritegno anche in quel punto, strappandogli un altro grido disumano che si disperse nella foresta circostante risuonando sinistramente nell'oscurità, e
il prete ebbe solo la fuggevole immagine dei suoi occhi dorati, prima che, con il volto atteggiato ad un'espressione sofferente e quasi risentita, sentisse quei canini affondare nel suo collo, nella carne sopra l'arteria. Freddi, pungenti.
    Lo sentiva risucchiare e deglutire, con il suo stesso sangue che gli scorreva caldo lungo il collo, e un intenso bruciore cominciò a pervadergli il corpo.
Non si arrestava, continuava. Poi la creatura si allontanò e riuscì a guardarlo negli occhi, spaventato. Sentì tutto il suo essere cambiare, mentre la sua immagine si rifletteva nelle iridi dorate del vampiro dinnanzi a sé, che sorrideva, soddisfatto. I lineamenti del viso, gli occhi più a mandorla... tutto diventava come l'aveva visto nell'acqua.
    «Abbiamo un ultimo lavoro da fare», sussurrò la voce calma di Edward al suo orecchio. «Ma ti aspetteremo, Roy».
    La testa divenne pesante. Il dolore lo colpì con una violenza inaudita e si tenne convulsamente un braccio sullo stomaco, sentendo l'intestino attanagliarsi in spire; strinse i denti e serrò la mascella, la fronte imperlata di piccole goccioline di sudore. Gridò nel sentire il corpo contorcersi, le ossa scricchiolarono sinistramente contro il tessuto mentre i suoi muscoli si contrassero in uno spasmo violento che lo lasciò paonazzo e senza fiato. Il cambiamento stava avendo luogo in lui troppo rapidamente, troppo in fretta.
    «Ti daremo tutto il tempo necessario».
    Anche la voce del vampiro stava diventando piatta, inudibile. Ne afferrava solo poche parole, ma non capiva a cosa si riferisse; inarcò la schiena in tal modo che quasi sentì gli si potesse spezzare e, ansimando sempre più a fatica, gli parve che i polmoni, ormai senz'aria, volessero collassare. Una mano gli scivolò sul terreno umido, lo artigliò in preda ad uno spasimo disperato e ne percepì la consistenza sotto al palmo senza davvero sentirla, la vista gli si offuscò riducendosi solo ad infinito buio per poi tornare sfocata, scomparire ancora.
    «Ho aspettato tre secoli, posso aspettarne altri... ora che ci sei anche tu».
    Padre Roy gridò ancora e si sentì abbracciare, la sua fronte fu poggiata contro una compatta durezza di cui non riusciva a capirne la reale provenienza, mentre qualcosa di freddo prese lento ad accarezzargli i capelli e un forte odore di sangue gli impregnava le narici, fin troppo vicino. Quell'odore gli andò letteralmente alla testa.
    «Ricorderai pian piano», gli sussurrò ancora concitato il vampiro.
    La sua testa fu sollevata, le labbra avvicinate a quello che sembrava essere un polso per quanto era esile ma scoprì presto essere un collo, e subito furono macchiate dal sangue del vampiro, ne percepiva il sentore ferruginoso. Annusò l'aria senza riuscire a vedere nulla. Era ancora tutto offuscato da una strana foschia, mentre bruciava lentamente.
    «Sarò io a darti forza».
    Le gengive cominciarono a fargli male come se si stessero squarciando, e, con le zanne che gli erano appena spuntate, si avventò vorace su quel collo, risucchiando quel liquido vermiglio che non vedeva ma riusciva a fiutare, sentendone il sapore nel palato, sulla lingua, mentre un un altro strano appetito mai provato che doveva placare si faceva pian piano largo dentro di lui. Alle orecchie, confusi con i fruscii e il vociare della foresta che adesso riusciva a distinguere bene, gli giunsero anche i gemiti quasi dolorosi del vampiro, ma si aggrappò con eccitazione solo e unicamente a quell'elisir che gli stava placando il dolore, senza fermare il risucchio umido della sua bocca, non lasciandosene sfuggire nemmeno una goccia.
    Pian piano, tutto cessò. Fu allontanato delicatamente e si abbandonò contro il petto della creatura ad occhi chiusi, mentre il respiro cominciava a far lentamente ritorno. Sospirò di sollievo quando percepì sul volto la fresca consistenza della neve che cadeva soffice dal cielo, restando immutata sulle sue guance come fosse una statua di freddo marmo. Provò a muovere le labbra, cercando di far uscire la voce, ma l'altro vampiro lo strinse a sé, poggiandogli un dito sulle labbra ormai livide.
    «Non sforzarti», gli mormorò con dolcezza, e lui si limitò ad annuire piano, con il petto che aveva cominciato ad abbassarsi e alzarsi a ritmi quasi regolari.
   
Il sapore del sanguegli inondava il palato e deglutì per provare a scacciarlo, e si lasciò sfuggire un altro piacevole sospiro quando sentì Edward afferrare saldamente la sua mano, come se non volesse lasciarlo andare. Istintivamente, quella libera andò a posarsi sul suo petto, stringendogli la bianca camicia. Immagini su immagini avevano cominciato a fondersi nella sua testa, unendo il passato al suo presente, ma ancora non riusciva a dar loro una spiegazione.
    Provò più e più volte a restare cosciente di se stesso senza alcun successo. Qualcosa, dentro di lui, sembrava essersi incrinato per sempre. Ma, nonostante questo, le labbra, come se non fossero sue, si incurvarono in un sorriso. Un sorriso diabolico. E le deboli e dolci risate che avevano cominciato a riempirgli le orecchie erano per lui il suono più bello che avesse mai sentito, un suono che avrebbe voluto sentire per sempre e che aveva la netta impressione di aver già udito.
    La sete di sangue si stava già impossessando di lui. Uccidere. L'unico pensiero che cominciava a farsi largo nella mente era solo e unicamente quello. La parte umana che preservava in lui inorridì, mentre il fuoco divampava per l'ultima volta. E fu come essere gettato tra le fiamme.




IL BACIO DEL VAMPIRO. FINE








_Note inconcludenti dell'autrice
Un finale simile non ve lo aspettavate, eh? Come? Ci avevate pensato? Oh, mannaggia!
Scherzi a parte, fa davvero piacere che questa mia prima AU sia piaciuta così tanto dall'inizio e che le atmosfere descritte siano risultate tetre e ansiose.
E' stato parecchio difficile descrivere la fine di questo capitolo, soprattutto perché non sapevo esattamente cosa scrivere dato che Roy doveva diventare un vampiro... l'ho riscritta e riveduta tre volte, ma alla fine ne è venuta fuori una cosa totalmente diversa da come l'avevo abbozzata all'inizio e il risultato ottenuto è questo che avete appena finito di leggere e che spero sia abbastanza descrittiva e intuibile.
Come credo ormai si sia notato, le idee utilizzate provengono un po' dappertutto, e il ruolo fondamentale dei protagonisti si è capito realmente solo in quest'ultimo capitolo. Con ogni probabilità vi ho lasciato parecchio l'amaro in bocca, ma... l'idea mi piaceva così tanto, che non ho potuto fare a meno di seguirla. Ma non temete, stavo già progettando il seguito, intitolato
Il figlio delle Tenebre.
Come solitamente faccio in questi casi, ho seminato nella storia degli indizi, e precisamente fra un paio di giorni (Mio folle Computer permettendo...) vedrò di sistemarla un altro po' e postarla. In questo seguito spiegherò un bel paio di cose che in questa storia sono solo state accennate e non descritte, e quindi ci potranno essere anche molti flashback sul passato dei protagonisti, poiché in questa non sono riuscita a farlo come avrei voluto per mancanza di... spazio, diciamo. Non vi dico altro, spero solo che tutti voi seguiate anche quella come avete seguito questa.
Grazie a tutti, a chi si è aggiunto dopo, a chi commentava sempre e a chi si è perso per strada. Alla prossima!



[1] Per favore, cuore mio [ Gaelico scozzese ]
[2] Stai indietro! [ Latino ]
[3] Ti prego in nome del Cielo [ Latino ]




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