Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: hirondelle_    20/03/2015    1 recensioni
[Erwin+Levi] [AU]
Nessun rumore.
E se anche ci fosse stato, sarebbe rotolato, sprofondato, annegato in qualche canale.
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Irvin, Smith
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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a cigarette
Nessun rumore.
E se anche ci fosse stato, sarebbe rotolato, sprofondato, annegato in qualche canale.
Solo il vento che muoveva piano il fogliame degli alberi ostentava la libertà che loro, chiusi fra le mura recintate del ghetto, non potevano ottenere, e molti di loro mai avrebbero avuto la possibilità di conoscere sulla propria pelle. A Levi bastava pensare al figlio della sua vicina, pochi mesi e occhi grandi, perché il suo cuore si stringesse in una morsa di rabbia e frustrazione. Ma lì, seduto su una panchina, ad ascoltare il proprio respiro che si spegneva lì dove iniziava la sigaretta, aveva altro a cui pensare. Aveva altro per la testa. 
Era troppo presto, nessuno usciva a quell’ora del mattino: vuoi perché gli adulti avevano perso il lavoro, vuoi perché i bambini erano stati  cacciati dalle scuole, vuoi perché Venezia stessa sembrava osservarli  con cupo orrore sotto la morsa del freddo invernale. 
Lui stesso era stato appena licenziato. 
Ed era il motivo per il quale invece di essere salito al suo appartamento era rimasto lì, a sfogare la rabbia con una sigaretta, incurante del gelo e degli occhi vigili degli osservatori attenti: c’era sempre qualche uomo in divisa tra le vie cieche del ghetto, qualche ombra scura che infestava quel luogo anche dopo il coprifuoco. Levi odiava tutto ciò, ma non si poteva dire che la situazione fosse semplice. Lui stesso aveva dovuto fare sacrifici per trattenere quel poco di umanità che ancora gli restava: loro l’avevano già persa.
Quando alzò lo sguardo e notò un soldato appostato silente poco distante, si mise all’erta. Era già chiaro e le prime guardie arrivavano ad occupare la postazione: gatti che giocavano con topi.
Non aveva mai visto quell’uomo: si sorprese a osservarne i lineamenti virili del viso cinereo, per imprimerne l’immagine nella mente. Levi appoggiò i gomiti sulle ginocchia aperte e lo fissò con sfida, memore di tutte le volte che era stato preso a calci da uno come lui per una cosa del genere, eppure non abbastanza da ricacciare il desiderio dell’adrenalina di quei pochi istanti.
L’uomo avanzò piano, stretto nel suo cappotto chiaro che arrivava a nascondergli le gambe. Levi alzò solo il mento, immobile, incrociando il suo sguardo d’argento fuso nell’azzurro oceano. Nemmeno quando si fermò a pochi passi da lui diede cenno di voler cedere, imperterrito e tacito come solo lui poteva essere.
Nel silenzio dell’aria fresca di dicembre, Venezia guardò la mano dello sconosciuto tendersi verso il ragazzo, allungando un sigaro sospeso tra l’indice e il medio. Erano mani abituate al lavoro, grandi e feroci come grinfie di un leone. Levi fissò un attimo quel gesto del tutto estraneo e poi, senza dire una parola, gli tese l’accendino che portava sempre nella tasca posteriore dei pantaloni da operaio.
Nessun rumore.
E se anche ci fosse stato, sarebbe rotolato, sprofondato, annegato in qualche canale.
Solo il vento muoveva piano il fogliame degli alberi e l’unico movimento fu quello secco e posato del tedesco, che si sedette vicino a lui e iniziò a fumare senza domande.

L’ultima volta che vide quello stesso sguardo fu una sera di poche settimane dopo, una valigia aperta sul letto sfatto e un fucile puntato sulla schiena. Poche parole incomprensibili al suo orecchio, estranee come versi di bestie. Solo quell’uomo sostava silente sullo stipite, dritto e austero col fucile abbassato, come se non appartenesse a quel mondo. 
Levi ebbe modo di guardarlo, gli occhi truci e gelidi come stilettate di ghiaccio. Lo vide passarsi una mano tra i capelli biondi in un gesto vagamente naturale. 
Lo fissò chiudendo la valigia, facendo pochi passi cauti verso la porta, passandogli di fianco, chiudendo la porta alle sue spalle. Dietro di lui il vago sentore del disordine e del pulito, come se avesse potuto in futuro mettere piede tra quelle mura per rimediare al disastro che i soldati, con noncuranti gesti frettolosi, avevano provocato nella sua mente. 
Rilassò le spalle e scese le scale senza nessun ordine, come se stesse partendo per un importante viaggio. Aveva indossato la sua unica camicia buona, i documenti nel taschino e la stella di Davide cucita sul petto, come una medaglia al valore.

   
 
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