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Autore: Moon girl    20/03/2015    0 recensioni
Mi permetto di darvi un consiglio, se siete una di quelle persone che pensa che la vita sia facile e che ci sia sempre qualcosa di positivo in tutto,non aprite questa storia .Ma se, anche voi, avete avuto qualche difficoltà e avete cicatrici nel cuore, andate avanti poiché questo racconto forse vi porterà un po' di tranquillità nella vita di tutti i giorni, sapendo quello che è successo a me. Questa storia parla di come ho iniziato a capire che non ero una di voi e che il mio posto non era sulla Terra.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto inizio una notte, una semplice e bellissima notte del solstizio di inverno. La notte del mio diciassettesimo compleanno e come tutte le ragazze per bene, a mezzanotte, si è a dormire nel letto aspettando il fine settimana per festeggiare. Ma quella notte, non fu una notte normale. Mi dovetti svegliare da un forte bruciore alla spalla sinistra, come se mi avessero infilzata con un pugnale e l'avessero spinto fino a toccare direttamente la scapola, trapassando la mia pelle ricoperta da puntini rossi per la presenza di acne giovanile, le vene e il muscoli squarciandoli in diversi pezzi. Mi misi seduta e tastai la spalla per accertarmi che non fosse successo niente ma appena vidi la mia mano sporca di piccole chiazze scure, scattai in piedi sobbalzando. Ero incredula, non capivo più niente. L'unica cosa, l'unica certezza e che me l'ho avrei tenuto per me. Non potevo svegliare i miei genitori all'una di notte e dirgli che qualcuno mi aveva accoltellata nel sonno, mi avrebbero data della pazza. Così mi tolsi la maglia che usavo per pigiama, entrai in quello che la mia famiglia chiamava bagno: uno stanzino di 10metri quadrati con un pavimento di mattonelle scure, la stanza ignota lo chiamavo io, poiché molte persone lo scambiavano per uno sgabuzzino,una camera armadio, o addirittura un ufficio. Io ridevo sempre nel vedere le loro facce quando qualcuno gli diceva la verità, molti erano increduli, qualcuno rideva pensando a uno scherzo, altri invece, non volevano neanche entrarci. Appoggiai la maglietta sul lavandino, e inizia a cercare ,nel armadio a destra del piccolo specchio situato, delle bende o dei cerotti e del acqua disinfettante. Feci cadere, per sbaglio mica per il mio affinato senso del coordinamento braccio cervello, un phon, due spazzole, tre o quattro rasoi per trovare quello che cercavo. A ogni tonfo il mio cuore perdeva un battito, speravo che la porta chiusa potesse contenere i suoni. Prima di disinfettarmi, guardai la ferita allo specchio e notai che non era un taglio profondo ne un foro da coltello ma era solo un piccolo forellino assomigliante a quello di una puntura d'ago. Mi preoccupai ancora di più, come era possibile che una minuscola uscita del mio sangue poteva farmi così male?. Questa domanda rimase per poco nella mia testa poiché dovete lasciare il posto a una ancora più incomprensibile. Che cosa era quel strano disegno sulla mia schiena? Esso si prolungava dalla ferita formando una striscia di un colore scuro, molto scuro, quasi nero che decorava la mia schiena con alcuni ghirigori. Li accarezzai con le dita seguendo tutti i loro movimenti, sembrava di toccare un dipinto di un famoso pittore. Almeno avevo già trovato una scusa che mi sarebbe costata un mese o più di punizione ma non la diretta andata al manicomio. Un tatuaggio, che involontariamente, avevo sulla mia pelle. Dopo essermi curata da quel dolore immaginario, lavai la maglietta con un po' d'acqua cercando di nascondere quelle due macchiette di sangue ,fu molto lavoro di olio di gomito anche se non avevo molto forza dopo ben 10 minuti di sfregamento e di consumazione abbondantemente di sapone riuscì a levare ogni traccia. Il mio sguardo si contrappose a quello del mio riflesso, vedendo una ragazza di 17 anni, uno sguardo sconvolto e distrutto con in mano una spugna e una maglietta sporca di sangue, poteva essere l'immagine di uno dei telefilm polizieschi che mia madre guardava ogni sera. Depositai la maglia ancora bagnata nel armadio di camera mia e tornai a letto con una nuovo pigiama, incerottata e un po' dolorante, cercando di riprendere l'adorato sogno che stavo facendo. Un sogno ormai perso come il mio sonno. E dire poco, dire che non abbia chiuso occhio, infatti mi accorsi di ogni secondo che passava continuando a ripetermi quelle due domande così incessanti di risposte. La mattina arrivo molto in anticipo per il mio metabolismo da orso bruno, con il solito richiamo alla giornata della mia sveglia azzurra. Mi alzai a sedere cercando di svegliare il mio corpo con qualche stirata di braccia e qualche sbadiglio. Un brivido mi passo per tutta la schiena, fino ad arrivare al collo, sorrisi accorgendomi che l'inverno stava arrivando. Ma se c'era qualcosa di più bello dell'inverno quello era il freddo pavimento gelato di camera mia, appoggiai i piedi uno dopo l'altro cercando di far combaciare ogni mia più piccola cellula alle lastre di marmo. Fu una sensazione di calore e di glaciazione insuperabile, avrei voluto sdraiarmi completamente sul pavimento e l'ho avrei fatto se non fosse entrata mia madre a controllare se ero sveglia. "Ciao mamma" dissi io cercando di alzarmi "Ciao tesoro" . Solo per un soffio, riuscì con un movimento della spalla ancora dolorante ad aumentare la scolatura sul davanti riducendo lo spazio visibile della mia schiena, forse non era la maglietta più appropriata da indossare. Comunque ero già a nove/ dieci batti di cuore persi in solo sette ore e la giornata era appena iniziata. "Dormito bene?" Chiese lei alzando la tapparella di camera mia. Una luce accecante mi invase gli occhi, riducendo la mia vista a un stato di sfocamento quasi perenne per un tempo limitato di dieci-venti minuti. "Benissimo, perché me lo hai chiesto?" Non ho mai saputo da chi avevo preso l'abilità nel mentire e non l'avrei mai chiesto alla mia famiglia, bugiarda ma non stupida, non fino a questo livello. "Niente di che, ho solo sentito dei bussi ieri notte" riprese fiato "saranno stati quelli di fianco" disse uscendo dalla mia vista e dirigendosi in cucina per preparare la colazione. -bugiarda, bugiarda, bugiarda,bugiarda...- continuava a ripetermi il mio cervello mentre afferravo un jeans e una maglietta dal armadio ma ormai ero abituata a quella cantilena che mi ripeteva ogni volta, a ogni piccola bugia anche a una delle più insignificanti. Il fenomeno strano è che a ripetere questa parola era una voce femminile, dolce e calma, molto diversa dalla mia e da quella di mia madre. Una voce quasi regale, ma inumana. Mi metteva sempre in suggestione. Andai nella stanza ignota chiudendo la porta a chiave, cercando di non farmi sentire. A mia madre non gli era mai piaciuto il fatto di chiudere le porte, per paura o per precauzione, ha eliminato tutte le chiavi della casa già da quando ero bambina. Ma sia io che mio padre abbiamo bisogno di un angolo dove rifugiarsi. Chiudersi dentro e lasciare fuori il mondo, i pensieri e le persone. Al compimento dei quattordici anni mi ha regalato una chiava, la chiave della stanza ignota. Mia madre l'ha scoperto dopo poco requisendomela, ma per mia fortuna mio padre aveva fatto molte molte copie e le teneva tutte nel ultimo cassetto del suo comodino in uno scompiglio segreto. Ero ormai arrivata alla quindicesima. Mi tolsi il pigiama e cercai di riconoscere nel riflesso dello specchio la mia schiena sotto quel disegno, mi metteva i brividi. Cercai di riconoscere delle figure, intravidi un becco da rapace, delle ali e una coda a piume collegandoli tutti insieme, forse, si poteva riconoscere un falco, una poiana. Ma poi guardando meglio spuntavano delle braccia sottili, un fiocco e altre figure senza senso. Un dubbio però mi invase quando mi allontanai di un passo dallo specchio, mi sembrava più grande, credevo mi arrivasse solo fino a metà schiena. Una punta tutta stilizzata assomigliante a un ramo di un rampicante , invece, arrivava fino al attaccatura del fondo schiena. Urlai. Un urlo silenzioso che dovetti tappare con le mani. Era disperato e angosciante. Non realizzai più il tempo che era passato, quanti secondi, minuti avevo passato a concentrarmi su quello che avevo visto ieri sera e a convincermi che era sempre stato così. Finché qualcuno non bussò alla porta, sapevo chi era, già dai passi. Una persona come lui non fa fatica a non farsi sentire, un gigante barbuto che cerca di ballare sulle punte. Un gigante che con una carezza riesce a riempirti il cuore di emozioni, ma che con quelle mani potrebbe spaccare un ceppo di legno. Due persone in una. Questa era la mia idea su mio padre. "Arrivo, un attimo" dissi io ad alta voce per accertarmi che l'udito ultra potente del mio gigante, sentisse. Mi lavai e indossai gli abiti presi e infine cercai di migliorare quell'insieme di organi che erano sulla mia faccia con un po' di trucco. Uscì e un buon odore di latte caldo penetrò dentro le mie narici, corsi subito a prendere una tazza di quella bevanda a me afrodisiaca. Spero vi sia piaciuta, e vi ringrazio di cuore per averla letta. Mi piacerebbe molto leggere qualunque vostro commento positivo e negativo faccendo diventare la mia storia la vostra storia. Grazie mille di cuore.
   
 
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