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Autore: Akilendra    20/03/2015    2 recensioni
"Come si può fermare un cuore innamorato? Come gli si può dire che deve smetterla? Smetterla di amare, perché un cuore innamorato è un cuore malato e l'amore è la sua unica malattia, l'amore è la sua unica cura. Come si può fermare un cuore innamorato?
Non si può.
Continuerà ad amare sempre, si farà male, si farà bene. Togligli l'amore e appassirà. Diventerà arido e ghiacciato, duro come il marmo. Togligli l'amore e guarirà, ma sarà morto.
Loro erano vivi. Malati di amore, ma vivi."
Questa è la storia di due parabatai: iniziata a scrivere quando avrei tanto voluto leggerla, interrotta quando ho saputo che c'era e che sarebbe uscita, completata nell'attesa dell'unica ed originale scritta dalle ben più degne mani di Cassandra Clare.
Questa è la storia di Ben e Lena.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Just a couple of words:
Eccomi con il secondo passo di questa piccola avventura. Inizierei col ringraziare principessac che ci ha tenuto fin da subito a farmi sapere cosa ne pensava di questa storia. Spero che continui ad incuriosirti e che ti faccia prudere le dita abbastanza da scrivere un'altra piccola recensione per me!
In questo secondo capitolo si comincia ad entrare nella trama e si introduce la vicenda che farà da sfondo alla storia di Ben e Lena, che sarà un po' il filo conduttore del racconto. Racconto che non è propriamente una storia d'amore, o meglio: non solo.
Non ho molto altro da scrivere, mi piacerebbe però leggere... Una bella recensione ad esempio, o due, tre... Quante ne volete, non mi stanco, ho una vista eccellente e dita veloci per rispondere.
Concludo, come ho iniziato, ringraziando ancora principessac.
Questo capitolo è tutto per te :)


La frase ed il titolo del capitolo sono ripresi da questa bellissima canzone: https://www.youtube.com/watch?v=KWZGAExj-es




 









 
2. Cuore elastico
 
Well I’ve got a thick skin and an elastic heart
(Sia~ Elastic heart)

 
 
Lena lanciò il coltello ancora una volta, quando l'arma si andò a conficcare perfettamente nel centro del bersaglio appeso al muro, si sentì compiaciuta. Fuori dalle finestre della sala di addestramento il sole si stava tuffando oltre l'orizzonte, presto avrebbe fatto buio e Ben e Lena erano ancora là. 
- Non so quale sia il nostro problema - ammise il ragazzo recuperando i coltelli che la sua parabatai aveva lanciato.
- Solo stamattina abbiamo avuto un'amichevole chiacchierata con una dozzina di demoni Shaomao, dovremmo stare a riposarci e invece... - Si interruppe, tirò uno dei coltelli che aveva recuperato e quello si conficcò nel cerchio centrale.
- Devi ammettere che è stata una bella chiacchierata, però - commentò Lena ridacchiando al ricordo dell'adrenalina della battaglia. Ben storse il naso, un'espressione teatrale che avrebbe voluto essere ironica.
- Nah... Preferisco i demoni superiori, sono più loquaci - A quelle parole Lena si irrigidì visibilmente ed il cacciatore non poté non notarlo. Posò i coltelli per avvicinarsi a lei. 
- Scusa - disse in un sussurro spostandole una ciocca di capelli ambrati dietro l'orecchio. Un demone superiore aveva ucciso i genitori di Lena davanti ai suoi occhi e la ragazza ancora oggi dopo anni, rivedeva quasi ogni notte la terribile scena. Dire che fosse sensibile all'argomento era riduttivo.
Ben si maledisse per aver involontariamente toccato quel tasto dolente e le si avvicinò di più, subito dopo si maledisse anche per quello. Perché tutt'un tratto era diventato così difficile starle vicino? 
Lena poggiò la testa sul suo petto e chiuse gli occhi. Ben odorava di mare e di cannella, ma più di tutto odorava di casa.
Non si sottrasse al tocco della ragazza e la cinse con le braccia, come era successo tante altre volte in quegli anni, eppure in quell'abbraccio c'era qualcosa di diverso. Entrambi si sentivano pizzicare la coscienza, eppure nessuno dei due si scostò. Come se fosse la cosa più naturale del mondo le labbra si poggiarono sulla guancia della sua parabatai e vi posarono un lento bacio. Le labbra di Ben erano calde, com'era caldo tutto il suo corpo, Ben era un termosifone umano, quando era vicino a lui Lena non sentiva mai freddo.
Si ritrovò a strusciare il naso nella piega del suo collo, inspirò forte il profumo famigliare. Lena odorava di lavanda e di farina, ma più di tutto odorava di casa. 
Non resistette. Le sue labbra le baciarono il collo, dove la pelle era delicata e aveva un sapore proibito, con una lentezza estenuante si mossero: dietro l'orecchio, la curva della mascella... si fermarono all'angolo della bocca. Proprio dove le si formavano quelle adorabili fossette quando sorrideva.
Lena sentiva il respiro del suo parabatai, caldo ed accelerato nonostante la lentezza dei suoi movimenti, solleticarle la pelle. Aveva gli occhi ancora chiusi, non riusciva ad aprirli, né a rendersi conto di quello che stava accadendo.
Appena un millimetro, Ben si scostò di appena un millimetro. Ora le sue labbra erano pericolosamente vicine; la sua mano ruvida, la mano di un cacciatore, di un guerriero, si era spostata dietro al suo collo in una muta richiesta di non muoversi; anche se lei, le dita poggiate sul suo petto ampio, non ne aveva la minima intenzione.
- Lena... - In un sussurro le labbra del ragazzo accarezzarono il suo nome. Fu come un richiamo alla realtà: gli occhi le si aprirono contro la sua volontà e le mani posate sul suo petto fecero quel minimo di forza che bastava per allontanarli di qualche centimetro.
- Ben - disse e il suo nome nella bocca di lei suonava come un avvertimento, la terribile profezia di quello che sarebbe successo se non si fossero fermati.
Staccarsi da lui fu una boccata d'acqua nei polmoni, Lena credette di affogare, ma non poteva rimanere così a bruciare a un passo dalle sue labbra.
Ben chiuse gli occhi ed inspirò bruscamente, i pugni serrati lungo i fianchi, fece un passo indietro e poi un altro, fin quando non sparì dietro la porta della sala di addestramento senza che le sue labbra aggiungessero un'altra parola, senza che le sue mani la toccassero un'altra volta.
Lena rimase sola, al centro della stanza con gli occhi fissi su una parete spoglia, si strinse nelle spalle, senza lui al suo fianco, le pareva di non aver mai sentito tanto freddo.
 
E continuò a sentire freddo. Passarono giorni in cui i due parabatai cercarono di evitarsi il più possibile, ridussero i contatti al minimo, gli sguardi erano centellinati. Ben si vietava di guardarla negli occhi, non poteva resistere a quel blu cobalto, l'avrebbe inghiottito, avrebbe fatto cadere tutte le sue barriere. Non si vergognava di quanto era accaduto nella sala degli addestramenti ed era proprio questo il problema: si vergognava di non vergognarsene. Lena dal canto suo sentiva che quel pomeriggio qualcosa tra loro era cambiato e non riusciva a perdonarselo. Continuava a ripetersi che infondo non era successo niente, ma allora perché si sentiva così in colpa? 
Non riusciva a scrollarsi di dosso quel ricordo. Con Ben era sempre così, qualsiasi cosa facesse le rimaneva impressa per sempre, incisa sulla pelle, incisa molto più profondamente che sulla pelle. Ben era ghiaccio e fuoco, era freddo glaciale stargli lontana, era calore ardente stargli vicina.
In tutti i casi, vicina o lontana, ghiacciata o bruciata, era sempre lei a rimetterci, sempre lei a tirare i lembi di quel cuore malconcio che aveva nel petto, fino a rischiare quasi di strapparlo. Di strapparsi.
Per fortuna aveva un cuore elastico.
 
- Allora? - chiese Eleanor incrociando le braccia davanti al petto.
- Cosa? - Lena era stupita dall'uscita brusca della donna. Eleanor era una delle poche persone che aveva la sua più completa stima, la ammirava come donna e come Nephilim.
- Con Ben. Cosa è successo? - Nel suo sguardo non c'era la curiosità civettuola di una madre che cerca di immischiarsi nelle faccende del figlio, solo un po' di preoccupazione, contornata quella nota di severità che non la abbandonava mai.
Lena avrebbe voluto sprofondare sotto terra.
- Niente - rispose cercando di mantenere la voce ferma e di rallentare il battito cardiaco che suonava come un tamburo. L'espressione di Eleanor era chiara: non se l'era bevuta.
Ed ora cosa avrebbe fatto? Dirgli quello che era successo nella sala degli allenamenti era fuori discussione, piuttosto si sarebbe tagliata un braccio. Ma poi...cos'era successo? Lena non sapeva rispondersi con precisione, ma qualsiasi cosa fosse stata, sapeva che era sbagliata.
- Quindi mi stai dicendo che vi state evitando per niente? - Il tono scettico della donna la diceva lunga.
- È inutile continuare a negarlo. Qualcosa è successo - continuò imperterrita. Messa alle strette Lena si ritrovò costretta ad ammetterlo, buttò fuori tutta l'aria che aveva nei polmoni ed annuì.
- Ma non vuoi dirmi cosa, è così? - Annuì di nuovo e stavolta fu Eleanor a sospirare.
- Beh, qualunque cosa sia, sappi che non è niente in confronto al male che vi state facendo evitandovi. Siete parabatai, qualunque cosa sia successa non può essere così grave da tenervi lontani - affermò risoluta e subito dopo la strinse in un abbraccio.
Oh Eleanor, è più grave di quanto credi.
- Promettimi che risolverete questa faccenda - chiese con una punta di apprensione nella voce.
- Te lo prometto - rispose Lena. Doveva farlo, lo doveva a se stessa. Come avrebbe potuto sopportare un altro giorno, un'altra ora, un altro minuto, senza Ben? 
 
Ecco perché ora camminava nervosa per il corridoio dell'Istituto, la mente che straripava di pensieri e parole che avrebbe voluto dire. Si era preparata un discorso e lo stava ripetendo mentalmente, sperando che, una volta che lo avesse trovato, la sua memoria non le avrebbe giocato un brutto scherzo. 
Anche Ben la stava cercando, anche Ben era nervoso. Quello che voleva dirle ce lo aveva stampato nella testa e nel cuore, sperava solo che quando l'avesse trovata i suoi occhi blu non lo avrebbero zittito e lo avrebbero lasciato parlare. Immerso nelle sue speranze e considerazioni, non si accorse che lungo il corridoio qualcosa, o meglio qualcuno, stava venendo nella sua direzione finché non ci andò a sbattere contro.
Davanti a lui c'era Lena, i capelli le ricadevano in onde ambrate sulle spalle e Ben si chiese se li avrebbe sentiti così morbidi, come immaginava che fossero, se li avesse toccati in quel momento. Contro ogni previsione, i suoi occhi erano più blu che mai e il ragazzo ci si tuffò dentro, dimenticando all'istante tutti i propositi che si era fatto.
Lena rimase un attimo interdetta quando se lo ritrovò davanti, c'erano così tante parole che avrebbe voluto dire, ma mentre lo guardava negli occhi, il verde e il marrone si mescolavano in un colore unico, non se ne ricordava nessuna.
- Io...- Parlarono all'unisono, disorientati allo stesso modo.
- Prima tu - disse ognuno dei due, nello stesso identico momento. Lena sospirò, Ben prese un grande respiro
- Ero venuto a cercarti - disse guardandola.
- Anch'io - ammise lei con un filo di voce. Per lunghi attimi rimasero così, gli occhi incatenati in quel bacio che le loro bocche non avrebbero mai potuto scambiarsi.
- Cosa ci sta succedendo? - Finalmente quella domanda. L'aveva domandato più a se stesso che a lei, ma Lena rispose lo stesso.
- Non lo so - disse e subito dopo si diede della bugiarda. Certo che sapeva cosa stava succedendo, almeno a lei.
Mi sono innamorata di te, Ben, avrebbe voluto dire, ma non lo fece ovviamente, non l'avrebbe fatto mai. Era sbagliato, lo sapeva.
- Sono una pessima parabatai - Ben scosse la testa.
- Io sono pessimo! Non ho fatto altro che evitarti in questi giorni - la corresse abbassando la testa. Non si vergognava di averla stretta a sé in quel modo molto poco fraterno nella sala degli allenamenti, ma si vergognava di averla tenuta lontana per tutti quei giorni.
- Ed io ho fatto altrettanto - considerò con vigore Lena, come fosse stata una gara per aggiudicarsi la colpa.
- Ama tuo fratello come la tua anima e vigila su di lui come sulla pupilla del tuo occhio*... Non l'ho fatto in questi giorni, sono stata cieca - "Fratello". Una parola che bruciava nella bocca di Lena. Cercò di non farci caso e si maledisse ancora una volta, considerandosi davvero spregevole ad avere certi pensieri in quel momento. 
- L'Angelo faccia a me questo e anche peggio se altra cosa che la morte mi separerà da te... Mi sono separato da te, ero qui, ma era come se non ci fossi - Ben pensò che questa parte del giuramento dei parabatai assomigliava molto alla formula usata durante i matrimoni mondani "Finché morte non vi separi", recitava. Per un breve momento immaginò che lui e Lena fossero due normalissimi e ignari mondani, non avrebbe dovuto costringersi a sentirsi in colpa, avrebbe potuto dirle "Finché morte non ci separi". Fu l'attimo più bello della sua vita e non perse neanche tempo a convincersi che fosse un pensiero sbagliato. Costringersi a non pensarci non sarebbe servito a fargli cambiare idea.
Per un po' entrambi rimasero in silenzio soppesando le proprie mancanze e mentre una non perse l'ennesima occasione di tormentarsi per queste, l'altro ci sguazzò in quei desideri proibiti.
- Siamo pessimi - disse alla fine Ben, si scompigliava i capelli con le dita come faceva sempre quando era un po' nervoso.
- Possiamo essere pessimi insieme - ribatté allora Lena. E nel breve attimo di silenzio che seguì entrambi seppero per certo che c'era un unico modo in cui poteva finire quella conversazione.
- Sempre - Le prese la mano come a chiederle un permesso che gli aveva accordato già molti anni fa.
- Ovunque - Abbracciò le sue dita come a rinnovare la loro promessa.
 
- Demoni Shaomao, eh? - chiese conferma Nicholas Fairway a suo figlio. Ben annuì con il cucchiaio pieno fermo a mezz'aria, storse il naso e ne svuotò di nuovo il contenuto dentro il piatto.
- Ma erano diversi da quelli che abbiamo affrontato altre volte - precisò.
- Che vuol dire, tesoro? Spiegati meglio - Eleanor aveva la fronte corrugata - E mangia - ordinò. 
Quando Ben ignorò bellamente le parole di sua madre lei le rivolse un' occhiata carica di un profondo istinto violento... Ma materno.
- Non abbiamo mai incontrato un demone Shaomao che usasse la lingua come frusta - gli venne in soccorso Lena facendo riaffiorare nella mente il ricordo di quelle creature.
- E nessuno che fosse così agile - aggiunse subito dopo Ben. Eleanor rimase per un attimo a fissarlo, indecisa se dare più peso a quelle stranezze di cui parlavano o al fatto che nessuno stesse mangiando la zuppa che aveva preparato. Alla fine riuscì a sciogliere l'indecisione e senza dire una parola si alzò dal tavolo ed uscì dalla sala da pranzo.
- Cosa diavolo le prende? - chiese Ben allargando le braccia. Nicholas fece spallucce.
- L'apprensione di una madre - sospirò. Il cacciatore suo padre come se avesse appena detto che il cielo era arancione.
- Per i demoni di questa mattina? - chiese incerto. L'uomo scosse la testa.
- No, perché non mangi - Lena dall'altro capo del tavolo soffocò una risata.
Qualche minuto dopo Eleanor spalancò la porta della sala da pranzo, le braccia piene di volumi dall'aria molto antica. Li buttò sul tavolo facendo alzare tutt'intorno nuvole di polvere.
- Ti ringrazio mamma, mi hai appena dato una buona scusa per non mangiare questa schifezza - commentò entusiasta Ben scansando il piatto che aveva davanti ormai pieno di polvere. Eleanor fulminò suo figlio con lo sguardo, prese in mano uno dei libri e cominciò a sfogliarlo velocemente.
- I demoni Shaomao non hanno la lingua - disse fermandosi su una pagina e mostrando il libro agli altri in dimostrazione di ciò che aveva appena detto.
- Quelli che abbiamo ucciso ce l'avevano -.
- Ne sei sicuro? - Le sopracciglia del ragazzo si alzarono in un'espressione sarcastica.
- Una di quelle dannate lingue affilate come rasoi mi stava per tranciare in due, perciò...sì, sono abbastanza sicuro! - Incrociò le braccia al petto con un'espressione vagamente offesa.
- Potete anche non credermi, ma vi dico che quelle cose... - Lena gli sfiorò un braccio in un gesto rassicurante.
- Nessuno sta dicendo che non ti crede. Le ho viste anch'io. Quello che stanno cercando di dirti i tuoi genitori è che... - La voce le si spense velocemente mentre inseguiva la parola giusta e quel poco di calma che era riuscita ad instillare dentro Ben sfumò altrettanto velocemente.
- Che è impossibile, ecco cosa stanno cercando di dirmi. Ma quelli ce l'avevano una maledetta lingua, Alena - quasi urlò Ben.
La cacciatrice alzò gli occhi al cielo, sospirando per la testardaggine del suo parabatai e Ben avrebbe voluto dirle di non alzare gli occhi al cielo, solo perché sapeva quanto lo odiasse. Anche se, a dire la verità, non riusciva ad immaginare di odiare qualcosa che fosse Lena a fare.
- Ormai non importa più, li abbiamo uccisi tutti, Benjamin - capitolò la ragazza interrompendo i suoi pensieri e chiamandolo col suo nome completo solo perché sapeva che gli dava fastidio tanto quanto piaceva a lei. Si alzò dal tavolo e uscì dalla sala da pranzo trascinando il Nephilim con sé.
 
- Perché mi hai portato fuori? - chiese Ben. L'aria fredda della sera gli pizzicò il viso.
- Perché non ce la facevo più a sentirti parlare di lingue - Lena ridacchiò mentre immagini decisamente non caste di Ben e della sua di lingua le danzarono davanti agli occhi. Più cercava di scacciarle con vigore, più ritornavano, prepotenti come lui.
Chissà com'è bravo con quella lingua. Chissà come sa usarla bene. Chissà con quante ha fatto pratica...
Si stupì di se stessa e di come avesse facilmente permesso a certi pensieri di entrarle in testa, non era decisamente da lei. Ci mise il massimo del suo impegno per far sì che si dissolvessero e ritornassero ad essere solo quella fastidiosa nebbia che le offuscava la testa quando era troppo vicina a Ben. Eppure il solo immaginarsi lui con un'altra ebbe l'immediato potere di interrompere bruscamente la sua risata e farle colorare le guance di qualcosa che non era imbarazzo.
- Dove andiamo, quindi? - domandò lui mentre la scrutava cercando di indovinare quali pensieri avessero oscurato il suo buon umore.
- Non lo so. Dovunque tu voglia andare - Sul viso di Ben comparve lo strascico di un'emozione che da sola sarebbe stata in grado di illuminare tutta San Francisco. Certamente fu in grado di illuminare Lena, le cui labbra si piegarono in un piccolo sorriso.
- Andresti davvero dovunque voglia andare io? - Tutt'un tratto mise sù una serietà che stonava un po' con l'immagine che Lena aveva di lui.
- Dove andrai tu andrò anch'io... Ricordi? - rispose lei citando una parte del giuramento dei parabatai. L'espressione seria di Ben svanì in fretta, lasciando posto ad un sorriso furbo che a Lena risultava molto più familiare.
- Allora voglio andare al Golden-jug - disse risoluto il ragazzo. Lena fece spallucce.
- Come vuoi, vecchia spugna - .
 
Il Golden-jug era una taverna frequentata dai più balordi ubriaconi del Mondo Invisibile che popolavano San Francisco e... — talvolta, era capitato, per puro caso, si intende — da Ben. Molto antica, era situata nel cuore di Tenderloin, il quartiere più malfamato della città.
Ben aveva creduto che Lena scherzasse, che una così brava ragazza come lei si sarebbe tirata indietro prima di entrare nella zona periferica. Infondo però avrebbe dovuto sapere che non l'avrebbe fatto, conosceva bene la sua parabatai: era testarda come un mulo. Iniziò a pentirsi di averla sfidata quando un vecchio accasciato in un angolo della strada non si fece il minimo problema a squadrarla da capo a piedi con occhi appiccicosi. Ben si sarebbe volentieri fermato ad ammazzarlo di botte, ma Lena camminava veloce davanti a lui e lasciarla andare troppo avanti da sola non le parve un'idea brillante almeno quanto non lo era stato portarla in quella parte della città. Al vecchio ubriacone, per questa volta, era andata bene.
Arrivati finalmente sotto una sgangherata insegna a neon che Ben non ricordava avesse mai funzionato, si affrettò a sgusciare dentro trascinandosi dietro anche Lena. Non che all'interno fosse chissà quanto più sicuro che per la strada...
- Non posso credere che sei davvero venuta in questo posto - le disse all'orecchio, così che potesse capire nonostante la confusione che c'era nel locale.
- Non posso credere che tu mi ci abbia portata - rispose a tono lei. 
- È ancora peggio di quanto ricordassi - constatò Ben guardandosi attorno. L'aria era satura di alcol e densa di fumo mentre ai tavoli sudici era seduta una miscela eterogenea di tutte le specie del Mondo Invisibile. Ogni due secondi si sentiva il rumore di un boccale spaccato per terra o lanciato addosso ad una parete. Uno schizzo del contenuto di uno di questi imbrattò la camicia di Lena.
- Non è esattamente il posto adatto ad una signora - fece notare la ragazza pulendosi con la manica della giacca.
- Per fortuna che non ci sono signore nei paraggi! - rise il ragazzo prendendosi gioco di lei. Dopo un paio di occhiate in giro pensò bene di scolarsi il contenuto del boccale di qualcun altro impudentemente abbandonato sul bancone. Lena si diede della stupida per avergli servito quella battuta sul piatto d'argento, ma rise suo malgrado.
- Touchè - Un altro paio di boccali si infransero contro il bancone, non molto lontano da dove erano seduti i due parabatai e Ben si guardò intorno con apprensione. In quel momento era del tutto irrilevante il fatto che Lena fosse una cacciatrice, che compisse fra qualche tempo diciott'anni, che non fosse più una bambina e che fosse perfettamente in grado di difendersi da sola. Ben non la voleva lì e basta.
- È stata un'idea stupida. Andiamocene - disse alzandosi, ma subito si sentì afferrare per la manica. Lena lo ritirò giù e lui l'assecondò suo malgrado tornando seduto con un aria leggermente confusa ma divertita. La guardò stralunato, l'ironia — o forse la birra — gli faceva brillare gli occhi.
- Cos'è, hai deciso di darti all'alcol? Non pensavo fossi quel genere di ragazza, ma per me va bene. Insomma, voglio dire, potremmo... - La mano di Lena arrivò decisa a chiudergli la bocca impedendo ad altre stupidaggini di uscir fuori.
- Guarda - bisbigliò, ma avrebbe potuto anche urlare per quanta confusione c'era. Gli indicò con il mento la porta del locale.
In piedi, lì dove aveva puntato gli occhi, c'era una figura completamente nascosta da un mantello nero, era appena entrata e si stava guardando intorno in cerca di un posto per sedersi. Non era strano che un Nascosto frequentasse posti del genere, né che venisse vestito così: spesso gli abitanti del Mondo Invisibile preferivano non mostrarsi troppo, si coprivano con mantelli per girare lungo le strade della città senza far ricorso ad un incantesimo che celasse il loro aspetto.
- Non capisco - ammise quindi Ben. Poi capì.
Mentre si girava per andare a sedersi ad un tavolo vuoto all'angolo del locale, il lungo mantello frusciò rivelando una mano. Non era strano che un Nascosto frequentasse posti del genere, né che venisse vestito così, ma che un Nephilim facesse tutto questo... Beh, questo sì che era strano. I due ragazzi fissarono la runa della resistenza al fuoco ben in vista sul dorso della mano dello sconosciuto. Era un cacciatore, non c'erano dubbi.
- Non ti sembra... - Lena si sporse oltre il suo parabatai per guardare meglio la figura incappucciata.
- Strano? Un po' - Finì la frase per lei. In realtà era più che un po', ma non voleva che Lena si preoccupasse per nulla.
- Se dovessimo impensierisci per ogni cosa strana che vediamo, vivremmo una vita di continua inquietudine. Dai, torniamocene all'Istituto - disse tirandola per una manica. Ma Lena non voleva saperne di mollare l'osso.
- Secondo te, perché è qui? - indagò mentre Ben la trascinava sbuffando verso la porta.
- Non lo so, Lena, ma cosa te ne importa? Ha solo un mantello addosso. Non è abbastanza per considerarlo un tipo sospetto - Cercò di tranquillizzarla, ma i suoi occhi non lasciarono il misterioso cacciatore incappucciato finché non furono fuori dalla locanda.
- Proprio strano... - rifletté a voce alta, il passo distratto mentre attraversava le ombre di luce che gettavano sull'asfalto i lampioni. Ben, accanto a lei, sbuffò una risata.
- Stai decisamente diventando paranoica. Devi smetterla di leggere certi libri, hai un'immaginazione troppo viva. Se continui così, finirai con l'avere parecchi incubi stanotte - la schernì. Lena incassò il colpo malamente, inciampò sui sui stessi passi, e se non ribatté fu solo perché la sua mente era troppo impegnata a trovare una spiegazione logica a quelle stranezze. Tuttavia Ben sentì il bisogno di incrociare il suo sguardo per chiederle scusa con gli occhi, per dirle che era solo un modo di dire e che non era certo quello che intendeva. Sapeva bene che i suoi erano tutt'altri incubi, sapeva che non erano un'immaginazione e che ciò che tormentava Lena era troppo atroce per stare scritto sui libri.
Sbuffò ed accelerò il passo per starle dietro mentre si affibbiava mentalmente i più coloriti insulti. Ultimamente non faceva che dire la cosa sbagliata con Lena.
 
Erano arrivati alla fine della strada quando il rombo di una forte esplosione squarciò l'aria. Si girarono all'unisono, lo stupore non ebbe neanche il tempo di imprimerglisi sul viso.
Davanti ai loro occhi il Golden-jug era inghiottito dalle fiamme.








 
* Questa frase è presa dal Vangelo di Tommaso. Dato che i Nephilim sono degli inguaribili fanatici di lingue morte (ed io facendo il classico odio/amo, in perfetto stile catulliano, questo fatto oltre ogni misura) e sacre scritture, ho pensato ci stesse bene. 
 
  
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