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Autore: Zury Watson    21/03/2015    5 recensioni
Se il finale di stagione non vi ha soddisfatto, siete nel posto giusto.
Le morti che abbiamo visto nella 3x12 e nella 3x13 non si sono mai verificate, Re Riccardo è rimpatriato e ha rimesso in sesto ogni cosa. Nottingham è stata distrutta ma il suo destino è di essere ricostruita. Robin, Archer e Guy amministrano Locksley non smettendo per questo di aiutare chi ha bisogno e in tale contesto si inserisce Kaelee, una giovane donna arrivata da un villaggio vicino.
Capitoli in revisione (Revisionati 1-16)
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Guy di Gisborne, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tormento


Sir Guy di Gisborne

Nessuno che non appartenesse alla banda di Robin Hood o al villaggio di Locksley aveva cercato Kaelee dopo l'episodio della pergamena, perciò sembrava essere andato tutto per il meglio, almeno per il momento. Certo tutti tenevano alta la guardia, ma ognuno aveva continuato a svolgere le proprie mansioni e attività con i consueti ritmi, ognuno era pienamente calato nella conquistata normalità, conseguenza diretta della morte dello Sceriffo Vaisey e del ritorno di Re Riccardo in patria e sul trono.
In verità, però, niente andava bene per alcuni abitanti di Locksley.


Casa di Guy, Locksley.

I vecchi incubi erano tornati e insieme a loro anche il buio nell'animo di Gisborne. Per la terza notte di fila, a causa dei brutti pensieri che lo tormentavano senza sosta e senza pietà, Guy non riuscì a prendere sonno. Consapevole che darsi al vino non avrebbe risolto il problema e conscio che prendersela con gli alberi di Sherwood non lo avrebbe aiutato a scacciare i suoi drammi e quelli della donna che amava, Gisborne aveva scelto di lasciarsi travolgere da ciò che provava e si trascinava, da un angolo all'altro della sua abitazione, più simile ad un fantasma che ad un uomo in carne ed ossa.
Non aveva più rivisto Kaelee da quando le aveva offerto la propria protezione e questo peggiorava nettamente le cose, rendendolo folle non per rabbia, ma di dolore. L'assenza di quella giovane ragazza arrivata da un villaggio vicino aveva restituito a Guy tutta la sua solitudine, così come il rifiuto di lei quando era andato a cercarla lo aveva ferito più di quanto tutti si aspettassero, perfino più di quanto lui stesso si aspettasse.
Aveva finito col chiudersi in casa non volendo vedere nessuno, non permettendo a nessuno di andare a fargli visita; non andava neanche più a curare i cavalli degli abitanti del villaggio né il proprio e a stento si concedeva un pasto al giorno. Non aveva più voglia di dedicarsi a nulla.
Quella notte si alzò dal letto, si prese la testa tra le mani, esasperato da se stesso e dai pensieri che non accennavano a quietarsi, e iniziò ad urlare, solo, nel buio della sua casa sbraitando contro un muro di oscurità e desolazione, contro un Dio che sembrava non volerlo aiutare, contro un destino che gli era evidentemente avverso e contro se stesso per aver consentito alla sua coscienza di credere che l'espiazione delle sue colpe fosse giunta a conclusione.
"È insopportabile! È insopportabile tutto questo soffrire", pensò, ritenendo che mille ferite avrebbero fatto meno male dell'indifferenza di Kaelee.
Cadde a terra, in ginocchio, sopraffatto dall'intensità delle sue stesse emozioni fino a qualche tempo prima credute perse, confinate in angoli remoti del suo cuore, sovrastate dal solo desiderio di arricchirsi e acquisire potere a discapito dei più sfortunati.
Nel villaggio alcune finestre si accesero del lume di una candela, ma nessuno degli abitanti andò a bussare alla porta di Guy di Gisborne.

Robin e Archer erano di ritorno da una serata all'insegna del divertimento quando, passando nelle vicinanze dell'abitazione in cui risiedeva Guy, sentirono un urlo provenire da lì. Senza neanche pensarci su un secondo, si precipitarono all'ingresso e iniziarono a colpire con forza la porta in legno. Non ottenendo alcuna risposta, fecero irruzione nel timore che Guy potesse aver commesso una sciocchezza.
«Hai davvero una così scarsa considerazione di lui?», chiese Archer a suo fratello Robin mentre lo aiutava a buttar giù la porta. «Non è il tipo che va fuori di testa per una donna, naaah, non è così stupido», affermò subito dopo, sorridendo, pienamente convinto di ciò che aveva appena detto.
Robin, invece, sapeva per esperienza personale che Guy era capace di azioni di cui si sarebbe pentito per tutta la vita a causa di una donna. Anche Archer conosceva la storia di Lady Marian, ma non l'aveva vissuta in prima persona, perciò Robin credeva che non riuscisse a realizzare che non era questione di stupidità, quando di istintività – e tutti a Locksley e Nottingham sapevano quanto Gisborne agisse più per istinto che seguendo la ragione, dettaglio, questo, che molte volte aveva avvantaggiato la banda di fuorilegge in passato.
Lo cercarono al piano inferiore, poi presero le scale e infine lo trovarono nella stanza da letto.
Entrambi furono concordi nel constatare che stava bene, almeno fisicamente parlando, perciò Robin e Archer tirarono un sospiro di sollievo e altro non fecero che sederglisi accanto – uno da un lato, l'altro dall'altro.
Dopo un po' videro Guy cambiare posizione per imitarli, abbandonando il capo sulla sponda del letto.
Dal momento che nessuno sembrava intenzionato a parlare, Robin si immerse nei propri pensieri.
"Stramba entità, il destino", rifletté l'arciere.
Robin aveva conosciuto Guy quando entrambi erano dei ragazzini e la cattiveria non aveva ancora fatto breccia nel cuore di un giovane Guy dai capelli neri e dai grandi occhi chiari come il luccichìo azzurrognolo del ghiaccio in certi giorni d'inverno. Gisborne era più grande di Robin, in tutti i sensi: era nato prima di lui, era più alto di lui, ed aveva maturato più esperienza di lui. Se si parlava di tiro con l'arco, però, i due si equivalevano e più Robin cresceva, più diventava bravo. Ben presto, a detta di molti, l'avrebbe superato ampiamente.
Robin e Guy non erano in alcun modo parenti, semplicemente le loro abitazioni erano vicine e i due si incontravano spesso.
Dopo tanti anni, seduti a terra in quella che era di nuovo la casa di Guy di Gisborne a Locksley, tutto era completamente diverso.
"È quasi buffo il modo in cui la vita tende a girare su se stessa, a volte", pensò ancora Robin.
I due erano stati compagni di giochi, il che significava anche che qualche volta si erano provocati a vicenda e se le erano date di santa ragione creando qualche dissapore. Ma i bambini dimenticano in fretta i piccoli screzi, perciò i due non si erano mai odiati davvero. Poi era accaduto qualcosa che né Guy, né Isabella, né Robin avrebbero mai dimenticato anche se l'unico a conoscere gran parte dei dettagli mentre le vicende accadevano era proprio Gisborne, il quale per anni si portò dietro il peso di una verità che non aveva mai smesso di ferirlo, lentamente e incessantemente. E non era neanche tutta la verità.
Le loro strade, quando Robin era ancora un bambino, si erano divise in seguito ad un brutto incidente che aveva strappato ad entrambi la rispettiva famiglia, ma con il passare del tempo quella separazione era diventata netta, radicale, definitiva – o almeno così entrambi avevano creduto: Robin era dalla parte della giustizia, mentre Guy del potere e spesso avevano combattuto l'uno contro l'altro, rischiando più volte di perdere la vita prima del tempo.
Per i grovigli della vita si erano infine e inaspettatamente ritrovati a camminare nella medesima direzione, verso un fratello che non avevano mai creduto di avere e contro uno Sceriffo che voleva entrambi alla gogna; ma soprattutto grazie a quel fratello di nome Archer che era lì con loro, in silenzio, immerso anche lui nei propri pensieri.

Ciò che Archer conosceva delle proprie origini era solo una manciata di informazioni che non lo avevano mai condotto da nessuna parte, che non lo avevano mai soddisfatto e che non lo avevano mai indotto a indagare più a fondo. Del resto cos'avrebbe potuto fare dopo aver saputo che sua madre era morta poco tempo dopo averlo dato alla luce? Recarsi sulla sua tomba?
Archer si era considerato per tutta la vita un giramondo, uno senza radici, uno che non conosceva il significato di famiglia e che non credeva di averne una.
Era un ragazzo che aveva appreso di avere due fratelli quando era già adulto, quando aveva già affrontato da solo una buona parte di drammi. Archer era un ragazzo in gamba, intelligente, capace di cavarsela da solo in qualsiasi situazione.
Somigliava fisicamente più a Robin che a Guy. Di Robin, Archer aveva i colori e la passione per arco e frecce: doveva essere una dote naturale ereditata dal padre il saper tirare con tanta precisione e facilità. Il modo in cui sapeva essere strafottente, invece, lo avvicinava più a Guy, come anche qualcosa nello sguardo tradiva una parentela con Guy: quell'intensità che sapeva riversare addosso a chi lo guardava negli occhi e che era il suo modo di nascondere grande sofferenza dietro una finta cattiveria, un finto desiderio di arrivare al potere e alla ricchezza.
Archer non aveva dimenticato il grave errore che aveva commesso quando, per l'idea di arricchirsi, aveva pensato di stare dalla parte dei potenti invece che con Robin e Guy che gli avevano salvato la vita. Aveva quasi ammazzato i suoi fratelli appena ritrovati, ma aveva imparato la lezione decidendo di schierarsi definitivamente dalla loro parte. Si scontrava spesso soprattutto con Robin, ma tutto sommato aveva legato bene sia con lui che con Gisborne.
Era il più giovane dei tre, naturalmente, e da quando lo Sceriffo era saltato in aria insieme al Castello, Archer non si era più separato dai suoi fratelli.

«Dovresti parlarle».
Fu Robin a rompere il silenzio.
«Non vuole», rispose secco Gisborne, con una punta di rassegnazione.
Robin gli rivolse il suo miglior mezzo sorriso e il miglior sopracciglio sollevato della storia di Locksley: era come se volesse ricordargli, con quell'occhiata, che Guy di Gisborne non era uno che si lasciava scoraggiare in quel modo. Nel contempo, però, non voleva tirare in ballo Marian in modo diretto, anche se sarebbe stato l'esempio più corretto da riportare se intendeva dare davvero una scrollata a Gisborne rammentandogli quanto sapeva essere ostinato se si metteva d'impegno. Né Robin voleva parlare di Isabella e di come il desiderio di distruggerla avesse portato Guy addirittura a stare dalla parte del tanto detestato Robin Hood quando lei era stata nominata Sceriffo di Nottingham dal Principe Giovanni.
Erano due capitoli molto delicati per entrambi e Robin ritenne che non fosse il momento adatto per parlarne.
Guy lo guardò con espressione quasi disgustata prima di tornare a fissare il soffitto.
«No, ma fate pure come se non ci fossi!», scherzò Archer nel tentativo di alleggerire la situazione.
«In effetti non so che cosa ci facciate qui tutti e due», commentò Guy, sarcastico.
«Ma tu guarda!», brontolò Archer.
Robin intanto rifletteva: aveva visto Guy non fermarsi davanti a nulla pur di conquistare il cuore di Marian e si chiedeva adesso cosa lo trattenesse con Kaelee.

Casa di Kate, Locksley.
Kaelee era totalmente assente da giorni.
Passava la pezza nello stesso punto senza accorgersene, infornava e sfornava vasi meccanicamente, si aggirava per il villaggio come uno spettro, non rivolgeva la parola a nessuno che non fosse Kate; aveva uno sguardo spento; non si allenava più e non leggeva più.
Aveva fatto di tutto per evitare Allan, – così come aveva fatto con Gisborne dal momento che entrambi si erano esposti in suo favore più di tutti gli altri – anche se a quanto pareva quest'ultimo non aveva intenzione di lasciarla in pace sebbene lei non mostrasse alcun segno di voler interagire: le volte in cui si erano incontrati, infatti, non aveva scambiato una sola parola con lui, neanche quando Allan si era messo a parlarle di un nuovo rotolo di pergamene che sarebbe andato a recuperare a York la settimana successiva.
Non incontrare Guy, invece, era stato molto più semplice da quando si era rifiutata di parlare con lui una prima volta, semplicemente perché non l'aveva più visto in giro. Era come sparito dalla circolazione.
Quella notte Kate stava dormendo poco lontano da lei. Le era stata molto vicina in quei giorni, cercando in tutti i modi di risollevarle il morale e di mettere perfino una buona parola per Guy nonostante non l'avesse ancora perdonato per alcune azioni che aveva commesso in passato – azioni su cui Kate non si era soffermata, dando a Kaelee la sensazione di voler sminuire qualcosa di molto più grande e preoccupante. Ogni tentativo, comunque, sembrava essere inutile perché Kaelee si sentiva come se il suo cuore fosse sepolto sotto metri di gelida neve, come se il suo corpo continuasse a respirare e vivere senza di lei.
La giovane donna era consapevole delle preoccupazioni che stava dando alla sua unica amica, eppure si era convinta di non poterci far nulla sebbene sperasse che prima o poi il tempo avrebbe messo una pezza laddove si era creato uno squarcio. A farla sentire in colpa per il suo comportamento, però, si aggiungevano le occhiate sofferenti di Much tutte le volte che passava a trovare lei e Kate: la guardava come se volesse prendersi i suoi tormenti, come se avesse la soluzione sulla punta della lingua senza poterla esprimere liberamente per non entrare in questioni che non lo riguardavano in maniera diretta. Kaelee lo aveva sentito discutere con Kate un pomeriggio e sapeva che Much aveva suggerito alla bionda di mettere Gisborne al corrente del suo stato d'animo, ma Kate non aveva accettato ritenendo che se lei si era rifiutata di vederlo quando lui l'aveva cercata voleva dire che non era ancora pronta ad affrontarlo. Dopo aver ascoltato quella conversazione, Kaelee si era scoperta ancora più confusa: davvero non voleva più vedere Gisborne?
Kaelee non dormiva quella notte, se ne stava rannicchiata su un fianco, dando le spalle a Kate, incapace di prendere una decisione.
Guy le mancava, su questo non nutriva alcun dubbio. "Ma chi mi manca davvero?", si domandò per l'ennesima volta.
"Ascoltami bene, ragazzo. Fai in modo che il mittente sappia che Kaelee di Edwinstowe è adesso sotto la protezione di Sir Guy di Gisborne. Hai capito?".
Quella frase non la lasciava in pace un istante.

Casa di Guy, Locksley.
Dopo aver pensato e ripensato a come potessero stare le cose, Robin decise che doveva fare in modo di scatenare una reazione in Guy, convinto che se l'uomo avesse continuato a tormentarsi in quel modo sarebbe stato molto difficile recuperarlo. Così gli diede uno spintone, senza alcun preavviso, facendolo finire addosso ad un impreparato Archer.
«Ma ti sei bevuto il cervello?!», protestò prontamente il minore contro Robin.
«Sei uno stupido», aggiunse Robin in tono serio, rivolgendosi a Gisborne.
Fortunatamente nessuno di loro lo era davvero e quando Archer incontrò lo sguardo espressivo di Robin, comprese che non si era affatto dissetato con il proprio intelletto e decise di reggergli il gioco, qualunque esso fosse e dovunque Robin voleva che li portasse.
«Già! Levati di dosso, fratello», e lo spinse a sua volta.
Robin intercettò una scintilla negli occhi di Guy prima che una risatina amara gli uscisse dalle labbra.
«Ho detto che sei uno stupido», ripeté. Robin non temeva di azzuffarsi con Guy, non temeva che lui potesse aggredirlo con la volontà di fargli del male o di ucciderlo.
«Sono d'accordo con lui», convenne Archer annuendo col capo.
Robin si rese conto che la scena in sé aveva un che di comico – e in questo la mimica facciale di suo fratello Archer era da primo premio – anche se le sue intenzioni erano serie e il benessere di Gisborne era per lui molto importante.
«Fuori. Andatevene», disse Guy. Non il più piccolo accenno di rabbia nella voce.
«Neanche per sogno», rispose Robin, «Ti tormenterò con la mia presenza e tutte le offese del caso finché non muoverai quelle chiappe molli per andare a dirle che l'ami».
Robin vide Archer sgranare gli occhi e nel suo sguardo lesse il terrore di chi è convinto che giocare con il fuoco sia un mestiere troppo pericoloso, ma l'arciere sapeva di non avere alternative e comunque non sarebbe mai riuscito a prendere Gisborne con le buone maniere – un po' perché non era da lui e un po' perché credeva che suo fratello non avrebbe apprezzato un simile comportamento da parte sua, trovandolo inappropriato e ridicolo.
Trascorsero pochi attimi prima che Guy fosse addosso a Robin, sopra di lui, regalando all'ex fuorilegge l'attesa reazione.
«Lei non mi vuole!», ringhiò l'uomo. C'erano fiamme nei suoi occhi e una forza immensa nelle braccia. «Che diavolo hai da sghignazzare?!», ruggì infine notando il sorrisetto che Robin non tentava neanche di nascondere pur essendo in una situazione di netto svantaggio.
Robin era certo che Guy fosse abbastanza intelligente da capire che l'aveva fatto apposta, che l'aveva volutamente provocato anche se non credeva che ci sarebbe cascato come un fesso tanto in fretta.
Borbottando qualcosa di incomprensibile, Gisborne si alzò da terra – con sommo sollievo di Archer – e si spostò dinanzi alla finestra.
Anche Robin si alzò e ridacchiando disse: «Te l'ho già detto che sei uno stupido?».
«Sparisci dalla mia vista, Hood! O ne pagherai le conseguenze», minacciò Guy. Sulle labbra un sorrisetto che Robin conosceva molto bene.

I due si rincorsero fin dentro alla foresta, inseguiti da un Archer sbalordito e convinto di essere vittima di una stregoneria.
Tutti e tre rientrarono a Locksley che era quasi l'alba, a braccetto, spettinati e sporchi, dopo essersi azzuffati nel bel mezzo di Sherwood come dei ragazzini.
Archer non poteva credere di avere davvero dei fratelli così.

Il giorno seguente.
Locksley.

Il fatto che non avesse chiuso occhio era un dettaglio irrilevante per Guy: la determinazione da sola bastava a tenerlo in piedi. Tutto ciò che doveva fare era trovare Kaelee e convincerla a farsi ascoltare – e avrebbe fatto qualunque cosa, avrebbe atteso tutto il tempo che Kaelee avesse chiesto, perché era certo che ne valesse la pena. Robin c'era arrivato prima di lui a capire quanto profondo fosse il sentimento che nutriva per quella ragazza arrivata da fuori per rimettergli in moto il cuore, per curargli le ferite e farlo sentire vivo di nuovo. Completamente vivo. Vivo come forse non si era mai sentito.
Gisborne era quindi di nuovo in giro per le strade di Locksley e la cosa più straordinaria era il sorriso che dimorava sulle sue labbra sottili, così lontano dal ghigno che per anni aveva tormentato gli abitanti del villaggio. Salutò gentilmente tutti quelli che incontrò e chiese loro di Kaelee – se l'avessero vista, se sapessero dov'era, se conoscessero i suoi impegni del giorno.

Quel mattino Kaelee fece colazione in silenzio insieme a Kate, soltanto perché quest'ultima aveva insistito così tanto da farle credere che a momenti si sarebbe infuriata come non mai. Kaelee sapeva che non sarebbe riuscita ad affrontare un litigio, ma nonostante questo non riuscì ad essere di compagnia. Neanche l'ombra di un sorriso si disegnò sulle labbra mentre mangiava senza voglia frutta secca e un tozzo di pane. Appena le fu possibile si offrì volontaria per sparecchiare e riordinare, prima di comunicare a Kate che sarebbe uscita con l'intenzione di rintanarsi in Chiesa.
Era un po' di tempo che Tuck ci lavorava su, che cercava di farle buttare fuori ciò che la rendeva tanto triste e lentamente in Kaelee stava iniziando a smuoversi qualcosa. Tuck parlava con delicatezza e forza; sembrava girare attorno al problema, ma in realtà colpiva dritto al cuore della questione, facendolo in un modo, però, che anziché ferire Kaelee spingendola a chiudersi in se stessa, faceva sì che la ragazza trovasse una via di salvezza. Non pretendeva che parlasse con lui, che si confidasse con lui o che lo ritenesse un amico: voleva soltanto che si rendesse conto di dove risiedesse la soluzione al suo tormento. In se stessa, naturalmente – Kaelee c'era arrivata quasi subito anche se ancora non aveva trovato il modo per tirarla fuori.
La ragazza pensava così spesso a Guy che non si stupì di vederselo arrivare incontro, sorridente per giunta. Credette che fosse tutto frutto della sua immaginazione sebbene si trattasse di una visione piuttosto realistica, ma del resto quella notte non aveva dormito quasi per nulla perciò, per quel che ne sapeva, poteva essersi addormentata in Chiesa ed essere nel bel mezzo di un sogno. Perciò ci rimase di sasso quando la visione si mise ad interagire con lei.

Guy la vide e il suo cuore prese a martellare forte nel petto: aveva la sensazione che glielo avrebbe sfondato.
Si trovarono uno di fronte all'altra e ad entrambi il tempo parve fermarsi.
Gisborne non riusciva a smettere di sorridere tanto era felice di vederla e in quel momento non gli importava di come sarebbe andata, non era preoccupato di come lei l'avrebbe presa; ciò che gli interessava, sopra ogni cosa, era che lei scegliesse di ascoltarlo, che gli desse un'occasione, che non lo rifiutasse di nuovo. Era, però, intenzionato anche a non forzarla in alcun modo, perciò si impose di non sfiorarla per evitare di turbarla e di essere il più gentile possibile nei modi e nei termini da adoperare.

Per contro, Kaelee era stordita da quanto le stava accadendo perché pensava di essere arrabbiata con lui, ma il cuore la stava tradendo ed era come se il solo rivedere Guy avesse riacceso qualcosa in lei ricordandole immediatamente chi era, chi voleva essere. Le tornò in mente la sua spada, abbandonata in un angolo vicino al suo letto; le tornò in mente il giorno in cui aveva battuto Guy in duello; le tornò in mente la bella sensazione delle braccia di lui attorno a lei.
Ricordò di amarlo.
Poco importava se invece di essere Guy di Gisborne era Sir Guy di Gisborne, lo amava e ora che l'aveva detto a se stessa, Gisborne avrebbe potuto essere qualunque cosa senza che lei potesse smettere di amarlo.
Questo, però, Guy non lo sapeva e lei non aveva idea di come dirglielo o, almeno, di come farglielo capire.
«Kaelee...», sussurrò l'uomo, distogliendola dalla rivelazione appena avuta.
Nessuno aveva mai pronunciato il suo nome con tanta dolcezza, nemmeno suo fratello Aric; un brivido la scosse da capo a piedi e fu come risvegliarsi dopo uno strano sogno, non esattamente un incubo, fu come se qualcuno le avesse dato una spinta per svegliarla da un pensiero insistente.
«Devo andare». Lo disse velocemente, con poca convinzione e senza spostarsi di un millimetro. Neanche lei sapeva perché avesse detto una cosa del genere.
«Ti lascerò andare se devi, ma prima promettimi che mi ascolterai. Non necessariamente ora, se non vuoi, ma dimmi che mi ascolterai. Oggi pomeriggio. Stasera», mormorò lui cercando il suo sguardo di caramello. «Ti supplico», aggiunse aggrottando leggermente le sopracciglia, un lieve tremore sulle labbra.
Kaelee si concesse un tuffo nel mare cristallino che erano gli occhi di lui. Quei capelli un po' lunghi per un uomo, il modo in cui gli incorniciavano il viso, la facevano impazzire più delle mille domande che aveva in testa. Pensò che non l'aveva mai visto con indosso qualcosa che non fosse nero e diverse volte si era chiesta come mai prediligesse quel colore a differenza degli altri uomini di Robin Hood, ma non aveva mai provato a darsi veramente una risposta. Per qualche meccanismo che probabilmente Kaelee non avrebbe mai compreso, la sua mente si era difesa da una verità che forse l'avrebbe spaventata e sicuramente l'avrebbe turbata, eliminando alcuni dettagli – nei racconti dei suoi fratelli Gisborne non era mai comparso tra i membri della banda di fuorilegge; non viveva al Maniero con Robin e Archer sebbene fosse loro fratello e amico; il suo abbigliamento era diverso da quello degli altri abitanti di Locksley; i suoi modi, fin da quando le aveva quasi baciato la mano a casa di Kate, erano parsi eleganti e gentili più di quelli di ogni altro ex fuorilegge. Kaelee arrivò alla consclusione che Guy avesse qualcosa di diverso da tutti loro, qualcosa che lo rendeva unico, speciale e inquietante al tempo stesso. Ma anche terribilmente affascinante.
In quel tuffo Kaelee comprese che non avrebbe mai potuto dirgli di no, perciò annuì.
«Tra due ore, al Crocevia, nella foresta», disse e scappò via.

Foresta di Sherwood.
Guy arrivò in anticipo sul posto concordato per l'appuntamento, troppo agitato e teso per rispettare l'ora stabilita, ed ebbe modo di capire che, per quanto tentasse di prepararsi un discorso lineare, non sarebbe comunque riuscito ad essere così lucido da gestirlo nella maniera più corretta e che quindi non gli restava altro da fare che lasciarsi guidare dall'istinto nella speranza che Kaelee non lo interrompesse, non fuggisse, non lo guardasse con odio e disprezzo.

Kaelee si presentò al Crocevia non molto tempo dopo l'arrivo di Gisborne, anche lei in anticipo.
Prima di lasciare l'abitazione riempendosi lo stomaco soltanto con una tisana alle erbe, la ragazza aveva voluto accennare a Kate dell'incontro di quella mattina con Guy e della sua decisione di ascoltare quanto avesse da dirle. Non gliel'aveva detto per ottenere un consiglio perché la decisione di ascoltarlo non era in alcun modo oggetto di discussione; l'aveva fatto perché lei si era tanto preoccupata in quei giorni e non voleva nasconderle nulla, non voleva uscire di casa come avrebbe fatto una fuggiasca.
Il fatto che Kate non aveva approvato la sua scelta per ragioni che non aveva però motivato, era un dettaglio di cui Kaelee si sarebbe preoccupata a tempo debito onde evitare di aggiungere altri quesiti a quelli già presenti nella sua testa. Ad una conclusione, però, credette di esserci arrivata: Gisborne aveva fatto qualcosa di brutto a Kate.
«Eccoci qui», disse infine Kaelee abbozzando un sorriso, il primo di quella settimana. «Ti ascolto», aggiunse, andando dritta al sodo.
Guy annuì. «Ti sono molto grato per questo, ma non posso prometterti di essere breve». Un leggero sorriso gli si dipinse sulle labbra, di quelli che ti accendono lo sguardo, di quelli sinceri da poterne morire, di quelli pregni d'amore che Kaelee tanto adorava.
«Non ho molti impegni ultimamente», rispose lei. Lo disse voltandogli le spalle, incapace di guardarlo in faccia senza provare un brivido, di piacere e di timore.
Per alleggerire la tensione presero a camminare tra gli alberi di Sherwood.

Gisborne non parlò subito. Aveva una paura tremenda di rovinare ogni cosa, di sbagliare, di non piacerle. Le azioni che per anni aveva compiuto quasi senza provare alcun rimorso non erano atti degni di un Cavaliere, né di un uomo degno di avere al proprio fianco una donna come Kaelee, pura, gentile e buona con tutti. Gisborne per primo si vergognava terribilmente di ciò che aveva fatto sotto il comando di Vaisey di Nottingham ora che aveva compreso, ora che guardava alla vita da una prospettiva diversa e diametralmente opposta alla precedente, ma non poteva cancellare di netto il proprio vissuto. D'altra parte il Guy che Kaelee conosceva era il frutto di un passato che, per quanto lei potesse non gradire, lo aveva portato fin lì, perciò l'uomo si fece coraggio e raccontò la storia dall'inizio, ritenendolo necessario e soprattutto giusto nei confronti di Kaelee e di se stesso.
Le disse di essere il primogenito di due figli, di provenire da una famiglia nobile e che sua madre era di origine francese. Le disse di conoscere Robin da quando entrambi erano piccoli. Che il nome di sua sorella era Isabella e che lui l'aveva uccisa. Le raccontò della sua infanzia a Locksley, di quando credette morto suo padre per poi scoprire che egli invece era vivo ma destinato a morire in quanto affetto da lebbra. Le raccontò di come aveva scoperto della relazione di sua madre con il padre di Robin, all'epoca già vedovo, e di come da questa relazione fosse nato un bambino, Archer, senza che nessuno ne fosse a conoscenza a parte coloro che lo avevano messo al mondo perché Guy non aveva capito che il malore accusato da sua madre dopo un diverbio avuto proprio con lui era in realtà l'inizio del parto. Si perse per un attimo nei dettagli di quella vicenda e fece un salto in avanti parlando del padre di Robin, che tutti pensavano fosse morto nell'incendio e che invece era sopravvissuto, e di come era letteralmente piombato nelle loro vite dopo decenni rivelando l'esistenza di un fratello comune. Poi tornò indietro all'incendio e le parlò dei primi anni suoi e di sua sorella nei panni di orfani, di come sofferenza e preoccupazioni lo avessero mutato nel carattere e di come aveva letteralmente venduto Isabella, all'epoca appena tredicenne, ad un uomo che non l'amava ma che aveva pagato profumatamente.
Si fermò quando vide Kaelee irrigidirsi, ma, dal momento che lei non lo interruppe decise di proseguire.
Le raccontò quindi della violenza che lo aveva governato per anni interi, dell'esperienza in Terra Santa, dello Sceriffo di Nottingham, della cattiveria che lo divorava lentamente da dentro. Le disse anche di Annie e del figlio che aveva avuto con lei, Seth.

A quel punto Kaelee sentì il cuore spezzarsi. Non era così sciocca da credere che Guy fosse suo coetaneo, o che non si fosse mai unito con una donna prima di incontrare lei, ma sentirglielo dire così, con la calma di chi sta semplicemente raccontando una storia, le causò un dolore insostenibile. Era troppo, era troppa tutta quella cattiveria di cui Gisborne parlava con pacatezza, come se quegli eventi appartenessero ad un'epoca lontanissima anziché a qualche anno prima. Eppure Kaelee non sentì davvero l'impulso di andar via perché si rese conto che Guy stava dipingendo se stesso come una persona orribile, senza cuore, assetato di sangue e potere, il che doveva significare una presa di coscienza da parte sua; perché Gisborne si stava mettendo a nudo con lei che era quasi un'estranea in fin dei conti, quindi Kaelee voleva sentire tutta la storia prima di trarre conclusioni, sentendo di dovergli quella cortesia.
«Io ho ucciso. Ucciso persone», continuò l'uomo, «Un numero infinito di volte. Persone che non conoscevo, ma anche qualcuno con cui avevo parlato qualche volta, persone a me molto care perfino. Sono un assassino perché ho ucciso senza pietà, non per difendermi, ma per una soddisfazione personale che non ho mai raggiunto».
Quella quiete mista a rassegnazione nella voce di lui spaesò Kaelee e la disgustò quando credette che a Guy non importasse un bel niente del dolore che aveva seminato negli anni.
«Vorrei avere la possibilità di morire e tornare in vita soltanto per morire di nuovo, tante volte quante sono le vittime della mia spada», aggiunse con un filo di voce.
Questo fece subito capire a Kaelee che si era sbagliata, che era stata frettolosa nel giudicare Gisborne: il tormento di quell'uomo non era forse la testimonianza di un animo in fondo buono e sicuramente pentito?

Guy guardava dritto davanti a sé mentre parlava, camminava lento per non perdere il controllo di se stesso e cedere alla sofferenza che rievocare il passato gli provocava. Inoltre sapeva che se avesse cercato lo sguardo di Kaelee non sarebbe stato capace di continuare e andare fino in fondo.
Proseguì il racconto fino ad arrivare all'incontro con Lady Marian. Parlarle di lei era ancora incredibilmente difficile, ma soltanto così forse sarebbe riuscito a liberarsi dalle catene di quel ricordo, solo così forse sarebbe riuscito a lasciarla andare per sempre com'era giusto che fosse. Parlò di lei con estrema sincerità, non nascondendo a Kaelee l'amore immenso che aveva provato per Marian, mettendola a conoscenza di tutto ciò che aveva fatto per lei e di come aveva cercato in tutti i modi di portarla via a Robin Hood. Le raccontò di quando era quasi riuscito a sposarla e di quanto si sentisse sciocco ora per aver creduto anche solo per un attimo che Marian potesse amare un violento come lui. Non si risparmiò i dettagli e neanche le vicende del Guardiano Notturno, neanche che era stato lui ad ucciderla in Terra Santa dopo che lei gli aveva rivelato di amare Robin Hood.
Le rare volte in cui Gisborne si concedeva di gettare uno sguardo su Kaelee, che gli camminava di fianco, gli appariva chiaramente a disagio nel suo imbarazzato silenzio, tipico di chi non sa se sia il caso di dire davvero qualcosa. In fin dei conti Gisborne le aveva chiesto di ascoltarlo ed era esattamente ciò che Kaelee gli stava concedendo.
«Aveva soltanto ventidue anni quando l'ho uccisa», aggiunse, «Non doveva essere molto più grande di te», commentò d'istinto, maledicendosi un attimo dopo per ciò che aveva appena detto, per averla messa in mezzo a quel racconto.
Kaelee, però, parve non scomporsi affatto.
«Ne ho compiuti venti», fu la risposta che fece stringere i pugni a Gisborne.
«Forse non ti piacerà sapere che ne ho trentasei. Ma del resto stai passeggiando in compagnia di un assassino, quindi forse il resto non conta», ironizzò Guy.

Kaelee non avrebbe mai immaginato che ci fossero così tanti anni di differenza tra loro. A pensarci bene gliene avrebbe dati una trentina in effetti, non di più. La ragazza realizzò che l'uomo che amava era perfino più grande del maggiore dei suoi fratelli, che di anni ne aveva trentaquattro. Dovette ammettere a se stessa che quella rivelazione l'aveva definitivamente destabilizzata perché era una realtà che, a differenza del male che Gisborne aveva fatto, non sarebbe mai mutata. Ciò che però la spinse a rispondergli fu la seconda parte della frase.
«Mi stai dando dell'idiota per caso? No, perché sarei un'idiota se davvero me ne andassi in giro con un assassino e io non credo di esserlo. Ingenua potrei concedertelo, ma idiota no. Raccontami il resto».
Una piccola parte di lei si disse che avrebbe dovuto avere paura di quell'uomo dopo ciò che le aveva raccontato, ma dentro di sé Kaelee non riuscì a rinvenire quel sentimento tra gli altri.

Guy non osò commentare: la determinazione nella voce della ragazza lo mise in soggezione. "Per essere una donna così giovane ha coraggio da vendere", pensò.
«Il resto è solo l'ultimo capitolo di una lunga storia di violenza», continuò Guy mettendola a conoscenza degli eventi più recenti, ovvero l'arrivo a Locksley di sua sorella, in fuga dal marito, l'uccisione di Vaisey non andata a buon fine e il periodo che aveva trascorso nelle segrete dove aveva conosciuto Meg. Le parlò anche di lei e le disse che da quel momento in poi la sua vita aveva iniziato a cambiare volgendo nell'attuale direzione. Le disse di come lui e Robin avevano trovato e liberato Archer, di come lui li avesse in prima battuta traditi e poi salvati e di come il Castello di Nottingham e Nottingham stessa fossero letteralmente saltati in aria. Raccontò della ferita che lo aveva costretto a starsene a letto per un bel po' e di quanto fosse stato e in parte fosse ancora difficile farsi accettare dagli abitanti del villaggio, quanto fosse difficile meritare la loro fiducia. Si soffermò anche su quelli che erano i suoi tormenti da quando aveva ucciso Marian e raccontò di come Tuck lo avesse aiutato nella convalescenza fisica e morale e di come gli fosse comunque impossibile perdonarsi per tutto il male causato. Le svelò anche il motivo per cui non stava molto simpatico a Kate: aveva ucciso suo fratello.
Vide Kaelee chiudere gli occhi per un momento e credette che lo avrebbe aggredito vista l'importanza che Kate aveva per lei, ma ancora una volta la ragazza non fece né disse nulla.
Non le chiese pietà quando riprese a parlare. «Io stesso non ne ho per me», spiegò, né le chiese comprensione. Non pretese assolutamente nulla da lei.
Nessuno dei due si rese conto di quanto tempo fosse passato finché non videro che il Sole cominciava a scendere ed il cielo a divenire più scuro. Avevano camminato a lungo, eppure nessuno dei due aveva voglia di fermarsi o di rientrare. C'era come qualcosa in sospeso ancora tra loro.
«Questa è la storia di Guy di Gisborne», concluse, «prima che incontrasse Kaelee di Edwinstowe, prima che stringesse amicizia con lei, prima che le insegnasse a maneggiare la spada, prima che le offrisse protezione...», aggiunse senza riuscire a dire ciò che nella sua mente rimbombava: "Prima che si innamorasse di lei".

"Guy ha un figlio chissà dove, un figlio che aveva abbandonato senza pensarci su due volte mentendo alla madre e che sarebbe morto se gli uomini di Robin non l'avessero trovato per puro caso e salvato. Ha seminato terrore a Nottingham, a Locksley e ovunque sia andato. Ha amato e ucciso la donna che amava. È stato un uomo orribile", pensò Kaelee senza smettere di camminargli al fianco. "Ha perso entrambi i genitori in un incendio, ha sofferto tanto per questo, per la parte di verità che si è portato dietro tacendola per anni e per tutto ciò che è accaduto dopo quell'incidente. Non ha avuto una guida e ha amato nel modo sbagliato, ma ha amato, a suo modo. È stato ferito, ha pagato e sta pagando ancora le conseguenze delle sue azioni. Si è pentito. Ha combattuto al fianco di Robin Hood e insieme hanno salvato l'Inghilterra. Guy ha salvato anche me, in fondo, ed è un uomo diverso adesso. Resta il fatto che sia sedici anni più grande di me e forse non dovrei, ma lo amo. Ne sono sicura, ora più che mai".
La mano di lei cercò timidamente quella di Guy mentre un nodo alla gola le impediva di parlare per dirgli tutto ciò che sentiva.
Le loro dita si sfiorarono e Guy non riuscì a non voltarsi verso di lei.

I capelli le ricadevano morbidi sulle spalle lasciate scoperte dall'abito; la sua pelle era chiara e bellissima, priva di qualunque imperfezione, splendente della luce dei suoi vent'anni. Il modo in cui la chioma formava quiete onde castane regalava armonia alla sua figura che agli occhi di Guy appariva fragile, ma al tempo stesso forte. Ai suoi occhi Kaelee appariva una creatura meravigliosa: si muoveva leggera nella foresta di Sherwood lasciando che la stoffa del suo vestito accarezzasse l'erba e la terra di quel magico angolo di mondo, sembrava magica anche lei.
Guy si fece coraggio e infine strinse la mano di lei nella propria: era immensamente piccola, ma sprigionava un calore capace di dargli la sensazione di essere finalmente libero da ogni male, quasi come se lei, con la sua sola presenza, Kaelee potesse redimerlo da ogni peccato.

«Un Guy che io non ho conosciuto e che non ho il diritto di giudicare in alcun modo», mormorò infine. La voce le tremò, fuori dal suo controllo.
"Guy mi sta tenendo per mano. Cosa significa?", pensò. «Accetto la tua protezione, Guy di Gisborne», aggiunse. "Sa cosa provo per lui? Dovrei dirgli che lo amo oppure sarebbe più consono aspettare che sia lui ad esporsi? So così poco... quasi niente della vita e del corso naturale delle cose! Sbaglio ad amarlo?".
Guy si fermò dopo che lei ebbe finito di parlare, ma non lasciò la sua mano. Cercò il suo sguardo e, quando ricambiò, Kaelee notò una luce calda e piacevole in quegli occhi chiari. Una luce che le fece battere forte il cuore, rassicurandola perché forse non aveva detto nulla di sbagliato, forse tutto sarebbe andato per il meglio.
«C'è un'altra cosa», sussurrò serio, scrutando negli occhi di lei.
Il tramonto era vicino e a breve avrebbero fatto bene ad incamminarsi per rientrare a Locksley. Fortunatamente avevano seguito una sorta di percorso circolare e non erano così lontani dal villaggio, perciò poterono trattenersi ancora un po'.
«Prima voglio dirtene una io», lo interruppe Kaelee e, avvicinandosi di più a lui, sollevò la mano libera vicino al volto di lui.
Dovette bloccarsi, però, a metà del gesto quando vide Guy stringere gli occhi, quasi che si aspettasse uno schiaffo da parte sua. Kaelee non comprese le ragioni di quella reazione, anche se poteva immaginare che lo Sceriffo Vaisey, di cui Gisborne le aveva parlato, non lo avesse mai trattato con modi gentili, ma lei voleva fare niente di male, in fondo, perciò si disse che non era giusto fargli credere il contrario. Si fece coraggio e posò le dita sul viso dell'uomo accarezzandogli delicatamente la guancia.
«Guy...», soffiò sperando che aprisse gli occhi.
La sorpresa fu evidente sul volto di lui prima e nello sguardo poi, quando le palpebre si sollevarono restituendo al mondo quei brandelli di cielo. Qualunque cosa si aspettasse, di certo non era una carezza. 
«Non voglio mai più vedere quell'aggressività, quella cattiveria, quell'odio in te. Mai più. Non mi piace e... mi fa paura», mormorò infine Kaelee riferendosi al modo in cui si era rivolto all'amico di suo fratello Aric.
L'uomo annuì e si scusò con lei per averla spaventata.
Si tenevano ancora per mano, ma la mano libera di Kaelee si era spostata dal volto al petto dell'uomo passando dal collo e dalla spalla; lo sfiorava all'altezza del cuore, come se ne volesse percepire i battiti e verificare se anche quello di lui stesse impazzendo come il suo.
Dopo qualche tempo la ragazza gli chiese cosa stava per dire prima che lo interrompesse.
Guy posò la propria mano su quella di lei, per trattenerla.
«Sarei onorato di offrirti me stesso insieme alla mia protezione», confidò Gisborne.
Kaelee sgranò gli occhi e dischiuse le labbra con somma sorpresa. "Mi sta dicendo che...", pensò senza riuscire a dirlo neanche a se stessa. Gli occhi le si appannarono e sentì un lieve rossore conquistarle le gote.
«Sì», fu la sola cosa che riuscì a dire, vibrando da capo a piedi per l'emozione.
«Sì...?», ripeté Guy. Il sorriso che gli piegò le labbra fu, per Kaelee, come il Sole dopo settimane di pioggia.
«Sì», confermò Kaelee ricambiando il sorriso e lasciandosi sfuggire una lacrima di gioia.
Guy l'attirò a sé e la strinse forte nell'abbraccio più bello che entrambi avessero mai vissuto.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 03/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.
Stando a quanto riportato su Wikia, Guy, Robin ed Allan sarebbero morti nel 1194 rispettivamente all'età di 36, 31 e 30 anni.
Avendo io iniziato questa storia con Guy in fase di ripresa da una ferita riportata nello scontro precedente alla distruzione del Castello di Nottingham, si presume che l'ambientazione temporale sia ancora la stessa e quindi il 1194. Ecco perché ho scritto che Guy ha trentasei anni. Lo stesso vale per Marian che, sempre secondo il sito, sarebbe morta nel 1193 a 22 anni.
L'età di Kaelee e quella di Dwight, invece, l'ho decisa io.
Spero di non aver preso un granchio durante la narrazione, ma se così fosse vi invito a farmelo notare.
Grazie a voi che vi siete soffermati a leggere ed eventualmente recensire.

   
 
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