Sir Guy di Gisborne
Nessuno che non appartenesse alla
banda di Robin Hood o al villaggio di Locksley
aveva
cercato Kaelee dopo l'episodio della pergamena, perciò
sembrava
essere
andato tutto per il meglio, almeno per il momento. Certo tutti tenevano
alta la guardia, ma ognuno aveva continuato a svolgere le proprie
mansioni e attività con i consueti ritmi, ognuno era
pienamente
calato nella conquistata normalità, conseguenza diretta
della morte dello
Sceriffo Vaisey e del ritorno di Re Riccardo in patria e sul trono.
In verità, però, niente andava bene per alcuni
abitanti di Locksley.
Casa di Guy, Locksley.
I vecchi incubi erano tornati e insieme a loro anche il buio nell'animo
di
Gisborne. Per la terza notte di fila, a causa dei brutti pensieri che
lo tormentavano senza sosta e senza pietà, Guy non
riuscì
a prendere sonno. Consapevole che darsi al vino non avrebbe risolto il
problema e conscio che prendersela con gli alberi di Sherwood non lo
avrebbe aiutato a scacciare i suoi drammi e quelli della donna che
amava, Gisborne aveva scelto di lasciarsi travolgere da ciò
che provava e si trascinava,
da un angolo all'altro della sua abitazione, più simile ad
un
fantasma che ad un uomo in carne ed ossa.
Non aveva più rivisto Kaelee da quando le aveva offerto la
propria protezione e questo peggiorava nettamente le cose, rendendolo
folle non per rabbia, ma di
dolore. L'assenza di quella giovane ragazza arrivata da un villaggio
vicino aveva restituito a Guy tutta la sua solitudine, così
come
il rifiuto di lei quando era andato a cercarla lo aveva ferito
più di quanto tutti si aspettassero, perfino più
di
quanto lui stesso si aspettasse.
Aveva finito col chiudersi in casa
non
volendo vedere nessuno, non permettendo a nessuno di andare a fargli
visita; non andava neanche più a curare i cavalli degli
abitanti del
villaggio né il proprio e a stento si concedeva un pasto al
giorno. Non aveva
più voglia di dedicarsi a nulla.
Quella notte si alzò dal letto, si prese la testa tra le
mani, esasperato da se stesso e dai pensieri che non accennavano a
quietarsi, e iniziò ad urlare, solo, nel buio della
sua
casa sbraitando contro un muro di oscurità e desolazione,
contro
un Dio che sembrava non volerlo aiutare, contro un destino che gli era
evidentemente avverso e contro se stesso per aver consentito alla sua
coscienza di credere che l'espiazione delle sue colpe fosse giunta a
conclusione.
"È insopportabile! È insopportabile tutto questo
soffrire",
pensò, ritenendo che mille ferite avrebbero fatto meno male
dell'indifferenza di Kaelee.
Cadde a terra, in ginocchio, sopraffatto dall'intensità
delle
sue stesse emozioni fino a qualche tempo prima credute perse, confinate
in angoli remoti del suo cuore, sovrastate dal solo desiderio di
arricchirsi e acquisire potere a discapito dei più
sfortunati.
Nel villaggio alcune finestre si accesero del lume di una candela, ma
nessuno degli abitanti andò a bussare alla porta di Guy di
Gisborne.
Robin e Archer erano di ritorno da una serata all'insegna del
divertimento quando, passando nelle vicinanze dell'abitazione in cui
risiedeva Guy, sentirono un urlo provenire da lì. Senza
neanche
pensarci su un secondo, si precipitarono all'ingresso e iniziarono a
colpire con forza la porta in legno. Non ottenendo alcuna risposta,
fecero
irruzione nel timore che Guy potesse aver commesso una sciocchezza.
«Hai davvero una così scarsa considerazione di
lui?», chiese Archer a suo fratello Robin mentre lo aiutava a
buttar giù la porta. «Non è il tipo che
va fuori di
testa per una donna, naaah, non è così
stupido»,
affermò subito dopo, sorridendo, pienamente convinto di
ciò che
aveva appena detto.
Robin, invece, sapeva per esperienza personale che Guy era capace di
azioni di
cui si sarebbe pentito per tutta la vita a causa di una donna. Anche
Archer conosceva la storia di Lady Marian, ma non l'aveva vissuta in
prima persona, perciò Robin credeva che non riuscisse a
realizzare che non era
questione di stupidità, quando di istintività
– e
tutti a Locksley e Nottingham sapevano quanto Gisborne agisse
più per istinto che seguendo la ragione, dettaglio, questo,
che
molte volte aveva avvantaggiato la banda di fuorilegge in passato.
Lo cercarono al piano inferiore, poi presero le scale e infine lo
trovarono nella stanza da letto.
Entrambi furono concordi nel constatare che stava bene, almeno
fisicamente parlando, perciò Robin e
Archer tirarono un sospiro di sollievo e
altro non fecero che sederglisi accanto – uno da un lato,
l'altro
dall'altro.
Dopo un po' videro Guy cambiare posizione per imitarli, abbandonando il
capo sulla sponda
del letto.
Dal momento che nessuno sembrava intenzionato a parlare, Robin si
immerse nei propri pensieri.
"Stramba entità, il destino", rifletté l'arciere.
Robin aveva conosciuto Guy quando entrambi erano dei ragazzini e la
cattiveria non aveva ancora fatto breccia nel cuore di un giovane Guy
dai capelli neri e dai grandi occhi chiari come il luccichìo
azzurrognolo del ghiaccio in certi giorni d'inverno. Gisborne era
più
grande
di Robin, in tutti i sensi: era nato prima di lui, era più
alto
di lui, ed aveva maturato più esperienza di lui. Se si
parlava
di tiro con l'arco, però, i due si equivalevano e
più
Robin cresceva, più diventava bravo. Ben presto, a detta di
molti, l'avrebbe
superato ampiamente.
Robin e Guy non erano in alcun modo parenti, semplicemente le loro
abitazioni erano vicine e i due si incontravano spesso.
Dopo tanti anni, seduti a terra in quella che era di nuovo la
casa di Guy di Gisborne a Locksley, tutto era completamente diverso.
"È quasi buffo il modo in cui la vita tende a girare su se
stessa, a
volte", pensò ancora Robin.
I due erano stati compagni di giochi, il che significava anche che
qualche volta si erano provocati a vicenda e se le erano date di santa
ragione creando qualche dissapore. Ma i
bambini dimenticano in fretta i piccoli screzi, perciò i due
non si erano mai odiati davvero. Poi era accaduto
qualcosa che né Guy, né Isabella, né
Robin
avrebbero mai dimenticato anche se l'unico a conoscere gran parte dei
dettagli mentre le vicende accadevano era proprio Gisborne, il quale
per anni si portò dietro il
peso di
una verità che non aveva mai smesso di ferirlo, lentamente e
incessantemente. E non era neanche tutta la verità.
Le loro strade, quando Robin era ancora un bambino, si erano divise in
seguito ad un brutto incidente che aveva strappato ad entrambi la
rispettiva famiglia, ma con il passare del tempo quella separazione era
diventata netta, radicale, definitiva – o almeno
così
entrambi avevano creduto: Robin era dalla parte della giustizia, mentre
Guy del potere e spesso
avevano combattuto l'uno contro l'altro, rischiando più
volte di
perdere la vita
prima del tempo.
Per i grovigli della vita si erano infine e inaspettatamente ritrovati
a camminare nella
medesima direzione, verso un fratello che non avevano mai creduto di
avere e contro uno Sceriffo che voleva entrambi alla gogna; ma
soprattutto grazie a quel fratello di nome Archer che era lì
con
loro, in silenzio, immerso anche lui nei propri pensieri.
Ciò che Archer conosceva delle proprie origini era solo
una
manciata di informazioni che non lo avevano mai condotto da nessuna
parte, che non lo avevano mai soddisfatto e che non lo avevano mai
indotto a indagare più a fondo. Del resto cos'avrebbe potuto
fare dopo aver saputo che sua madre era morta poco tempo dopo averlo
dato alla luce? Recarsi sulla sua tomba?
Archer si era considerato per tutta la vita un giramondo, uno senza
radici, uno che non conosceva il
significato di famiglia e che non credeva di averne una.
Era un ragazzo che aveva appreso di avere due
fratelli quando era già adulto, quando aveva già
affrontato da solo una buona parte di drammi. Archer era un ragazzo in
gamba, intelligente, capace di cavarsela da solo in qualsiasi
situazione.
Somigliava fisicamente più a Robin che a Guy. Di Robin,
Archer
aveva i colori e la passione per arco e frecce: doveva essere una dote
naturale ereditata dal padre il saper tirare con tanta precisione e
facilità. Il
modo in cui sapeva essere strafottente, invece, lo avvicinava
più a Guy, come anche qualcosa
nello sguardo tradiva una parentela con Guy:
quell'intensità che sapeva riversare addosso a chi lo
guardava
negli occhi e che era il suo modo di nascondere grande sofferenza
dietro una
finta cattiveria, un finto desiderio di arrivare al potere e alla
ricchezza.
Archer non aveva dimenticato il grave errore che aveva commesso quando,
per l'idea di arricchirsi, aveva pensato di stare dalla parte dei
potenti invece che con Robin e Guy che gli avevano salvato la vita.
Aveva
quasi ammazzato i suoi fratelli appena ritrovati, ma aveva imparato la
lezione decidendo di schierarsi definitivamente dalla loro parte. Si
scontrava spesso soprattutto con Robin, ma tutto sommato aveva legato
bene sia con lui che con Gisborne.
Era il più giovane dei tre, naturalmente, e da quando lo
Sceriffo era saltato in aria insieme al Castello, Archer non si era
più separato dai suoi fratelli.
«Dovresti parlarle».
Fu Robin a rompere il silenzio.
«Non vuole», rispose secco Gisborne, con una punta
di rassegnazione.
Robin gli rivolse il suo miglior mezzo sorriso e il miglior
sopracciglio sollevato della storia di Locksley: era come se volesse
ricordargli, con quell'occhiata, che Guy di Gisborne non era uno
che si lasciava scoraggiare in quel modo. Nel contempo,
però,
non voleva tirare in ballo Marian in modo diretto, anche se sarebbe
stato l'esempio più corretto da riportare se intendeva dare
davvero una
scrollata a Gisborne rammentandogli quanto sapeva essere ostinato se si
metteva d'impegno.
Né Robin voleva parlare di Isabella e di come il desiderio
di
distruggerla avesse portato Guy addirittura a stare dalla parte del
tanto detestato Robin Hood quando lei era stata nominata Sceriffo di
Nottingham dal Principe Giovanni.
Erano due capitoli molto delicati per entrambi e Robin ritenne che non
fosse il momento adatto per parlarne.
Guy lo guardò con espressione quasi disgustata prima di
tornare a fissare il soffitto.
«No, ma fate pure come se
non ci fossi!»,
scherzò Archer nel tentativo di alleggerire la situazione.
«In effetti non so che
cosa ci facciate qui tutti e due»,
commentò Guy, sarcastico.
«Ma tu guarda!», brontolò Archer.
Robin intanto rifletteva: aveva visto Guy non fermarsi davanti a nulla
pur di conquistare il cuore di Marian e si chiedeva adesso cosa lo
trattenesse con Kaelee.
Casa
di Kate, Locksley.
Kaelee era totalmente assente da giorni.
Passava la pezza nello stesso punto senza accorgersene, infornava e
sfornava vasi meccanicamente, si aggirava per il villaggio come uno
spettro, non rivolgeva la parola a nessuno che non fosse Kate; aveva
uno sguardo spento; non si allenava più e non leggeva
più.
Aveva fatto di tutto per evitare Allan, – così
come aveva
fatto con Gisborne dal momento che entrambi si erano esposti in suo
favore più di tutti gli altri – anche se a quanto
pareva
quest'ultimo non aveva intenzione di lasciarla in pace sebbene lei non
mostrasse alcun segno di voler interagire: le volte in cui si erano
incontrati, infatti, non aveva scambiato una sola parola con lui,
neanche
quando Allan si era messo a parlarle di un nuovo rotolo di pergamene
che sarebbe andato a recuperare a York la settimana successiva.
Non incontrare Guy, invece, era stato molto più semplice da
quando si era rifiutata di parlare con lui una prima volta,
semplicemente perché non l'aveva più
visto in giro. Era come sparito dalla circolazione.
Quella notte Kate stava dormendo poco lontano da lei. Le era stata
molto vicina in
quei giorni, cercando in tutti i modi di risollevarle il morale e di
mettere
perfino una buona parola per Guy nonostante non l'avesse ancora
perdonato per alcune azioni che aveva commesso in passato –
azioni su cui Kate non si era soffermata, dando a Kaelee la sensazione
di voler sminuire qualcosa di molto più grande e
preoccupante.
Ogni tentativo, comunque, sembrava essere inutile perché
Kaelee si
sentiva come se il suo cuore fosse sepolto sotto metri di gelida neve,
come se il suo corpo continuasse a respirare
e vivere senza di lei.
La giovane donna era consapevole delle preoccupazioni che stava dando
alla sua
unica amica, eppure si era convinta di non poterci far nulla sebbene
sperasse che prima o poi il tempo avrebbe messo una pezza laddove si
era creato uno squarcio. A farla sentire in colpa per il suo
comportamento, però, si aggiungevano le occhiate sofferenti
di Much tutte
le volte che passava a trovare lei e Kate: la guardava come se volesse
prendersi i suoi tormenti, come se avesse la soluzione sulla punta
della lingua senza poterla esprimere liberamente per non entrare in
questioni che non lo riguardavano in maniera diretta. Kaelee lo aveva
sentito
discutere con Kate un pomeriggio e sapeva che Much aveva suggerito alla
bionda di mettere Gisborne al corrente del suo stato d'animo, ma Kate
non aveva accettato ritenendo che se lei si era
rifiutata di vederlo quando lui l'aveva cercata voleva dire che non era
ancora pronta ad affrontarlo. Dopo aver ascoltato quella conversazione,
Kaelee si era scoperta ancora più confusa: davvero non
voleva
più vedere Gisborne?
Kaelee non dormiva quella notte, se ne stava rannicchiata su un fianco,
dando le
spalle a Kate, incapace di prendere una decisione.
Guy le mancava, su questo non nutriva alcun dubbio. "Ma chi mi manca
davvero?", si domandò per l'ennesima volta.
"Ascoltami
bene, ragazzo. Fai in modo che il mittente sappia che Kaelee di
Edwinstowe è adesso sotto la protezione di Sir Guy di
Gisborne.
Hai capito?".
Quella frase non la lasciava in pace un istante.
Casa
di Guy, Locksley.
Dopo aver pensato e ripensato a come potessero stare le cose, Robin
decise che doveva fare in modo di scatenare una reazione in
Guy, convinto che se l'uomo avesse continuato a tormentarsi in quel
modo sarebbe stato molto difficile recuperarlo. Così gli
diede
uno spintone, senza alcun preavviso,
facendolo finire addosso ad un impreparato Archer.
«Ma ti sei bevuto il cervello?!»,
protestò
prontamente il minore contro Robin.
«Sei uno stupido», aggiunse Robin in tono serio,
rivolgendosi a Gisborne.
Fortunatamente nessuno di loro lo era davvero e quando Archer
incontrò lo sguardo espressivo di Robin, comprese che non si
era
affatto
dissetato con il proprio intelletto e decise di reggergli il gioco,
qualunque esso fosse e dovunque Robin voleva che li portasse.
«Già! Levati
di dosso, fratello», e lo
spinse a sua volta.
Robin intercettò una scintilla negli occhi di Guy prima che
una risatina amara gli
uscisse dalle labbra.
«Ho detto che sei uno stupido», ripeté.
Robin non temeva di
azzuffarsi con
Guy, non temeva che lui potesse aggredirlo con la volontà di
fargli del male o di ucciderlo.
«Sono d'accordo con lui», convenne Archer annuendo
col capo.
Robin si rese conto che la scena in sé aveva un che di
comico
– e in questo la mimica facciale di suo fratello Archer era
da
primo premio –
anche se le sue intenzioni erano serie e il benessere di Gisborne era
per lui molto importante.
«Fuori. Andatevene»,
disse Guy. Non il più piccolo accenno di rabbia nella voce.
«Neanche per sogno», rispose Robin, «Ti
tormenterò con la mia presenza e tutte le offese del caso
finché non muoverai quelle chiappe molli per andare a dirle
che
l'ami».
Robin vide Archer sgranare gli occhi e nel suo sguardo lesse
il
terrore di chi è convinto che giocare con il fuoco sia un
mestiere troppo pericoloso, ma l'arciere sapeva di non avere
alternative e comunque non sarebbe mai riuscito a prendere Gisborne con
le buone maniere – un po' perché non era da lui e
un po'
perché credeva che suo fratello non avrebbe apprezzato un
simile
comportamento da parte sua, trovandolo inappropriato e ridicolo.
Trascorsero pochi attimi prima che Guy fosse addosso a Robin, sopra di
lui, regalando all'ex fuorilegge l'attesa
reazione.
«Lei non mi vuole!»,
ringhiò l'uomo. C'erano fiamme nei suoi occhi e una forza
immensa
nelle braccia. «Che
diavolo hai da sghignazzare?!»,
ruggì infine notando il sorrisetto che Robin non tentava
neanche
di nascondere pur essendo in una situazione di netto svantaggio.
Robin era certo che Guy fosse abbastanza intelligente da capire che
l'aveva fatto
apposta, che l'aveva volutamente provocato anche se non credeva che ci
sarebbe cascato come un fesso tanto in fretta.
Borbottando qualcosa di incomprensibile, Gisborne si alzò da
terra –
con
sommo sollievo di Archer – e si spostò dinanzi
alla finestra.
Anche Robin si alzò e ridacchiando
disse: «Te l'ho già detto che sei uno
stupido?».
«Sparisci dalla mia
vista, Hood! O ne pagherai le conseguenze»,
minacciò Guy. Sulle labbra un sorrisetto che Robin conosceva
molto bene.
I due si rincorsero fin dentro alla foresta, inseguiti da un Archer
sbalordito e convinto di essere vittima di una stregoneria.
Tutti e tre rientrarono a Locksley che era quasi l'alba, a braccetto,
spettinati e sporchi,
dopo essersi azzuffati nel bel mezzo di Sherwood come dei ragazzini.
Archer non poteva credere di avere davvero dei fratelli così.
Il
giorno seguente.
Locksley.
Il fatto che non avesse chiuso occhio era un dettaglio irrilevante per
Guy: la determinazione da sola bastava a tenerlo in piedi. Tutto
ciò che doveva fare era trovare Kaelee e convincerla a farsi
ascoltare – e avrebbe fatto qualunque cosa, avrebbe atteso
tutto
il tempo che Kaelee avesse chiesto, perché era certo che ne
valesse la pena. Robin c'era arrivato prima di lui a capire quanto
profondo
fosse il sentimento che nutriva per quella ragazza arrivata da fuori
per rimettergli in moto il cuore, per curargli le ferite e farlo
sentire vivo di nuovo. Completamente vivo. Vivo come forse non si era
mai sentito.
Gisborne era quindi di nuovo in giro per le strade di Locksley e la
cosa
più
straordinaria era il sorriso che dimorava sulle sue labbra sottili,
così lontano dal ghigno che per anni aveva tormentato gli
abitanti del villaggio. Salutò gentilmente tutti quelli che
incontrò e chiese loro
di Kaelee – se l'avessero vista, se sapessero dov'era, se
conoscessero i suoi impegni del giorno.
Quel mattino Kaelee fece colazione in silenzio insieme a Kate,
soltanto perché quest'ultima aveva insistito così
tanto
da farle credere che a momenti si sarebbe infuriata come non mai.
Kaelee sapeva che non sarebbe riuscita ad affrontare un litigio, ma
nonostante questo non riuscì ad essere di compagnia. Neanche
l'ombra di un sorriso si disegnò sulle labbra mentre
mangiava
senza voglia frutta secca e un tozzo di pane. Appena le fu possibile si
offrì volontaria per sparecchiare e riordinare, prima di
comunicare a Kate che sarebbe uscita con l'intenzione di rintanarsi in
Chiesa.
Era un po' di tempo che
Tuck ci lavorava su, che cercava di farle buttare fuori ciò
che
la rendeva tanto triste e lentamente in Kaelee stava iniziando a
smuoversi qualcosa. Tuck parlava con delicatezza e forza;
sembrava girare attorno al problema, ma in realtà colpiva
dritto
al cuore della questione, facendolo in un modo, però, che
anziché ferire Kaelee spingendola a chiudersi in se stessa,
faceva sì che la ragazza trovasse una via di salvezza. Non
pretendeva che parlasse con lui, che si confidasse con lui o che lo
ritenesse un amico: voleva soltanto che si rendesse conto di dove
risiedesse la soluzione al suo tormento. In se stessa, naturalmente
– Kaelee c'era arrivata quasi subito anche se ancora non
aveva
trovato il modo per tirarla fuori.
La ragazza pensava così spesso a Guy che non si
stupì di
vederselo
arrivare incontro, sorridente per giunta. Credette che fosse tutto
frutto della sua immaginazione sebbene si trattasse di una visione
piuttosto
realistica, ma del resto quella notte non aveva dormito quasi per nulla
perciò, per quel che ne sapeva, poteva essersi addormentata
in
Chiesa ed essere nel bel mezzo di un sogno. Perciò ci rimase
di
sasso quando la visione si mise ad interagire
con lei.
Guy la vide e il suo cuore prese a martellare forte nel petto: aveva la
sensazione che glielo avrebbe sfondato.
Si trovarono uno di fronte all'altra e ad entrambi il tempo parve
fermarsi.
Gisborne non riusciva a smettere di sorridere tanto era felice di
vederla e in quel momento non gli importava di come sarebbe andata, non
era
preoccupato di come lei l'avrebbe presa; ciò che gli
interessava, sopra ogni cosa, era che lei scegliesse di ascoltarlo, che
gli
desse un'occasione, che non lo rifiutasse di nuovo. Era,
però,
intenzionato anche a non forzarla in alcun modo, perciò si
impose di non sfiorarla per evitare di turbarla e di essere il
più gentile possibile nei modi e nei termini da adoperare.
Per contro, Kaelee era stordita da quanto le stava accadendo
perché pensava di essere
arrabbiata con lui, ma il cuore la stava tradendo ed era come se il
solo
rivedere Guy avesse riacceso qualcosa in lei ricordandole
immediatamente chi era, chi voleva essere. Le tornò in mente
la
sua spada, abbandonata in un angolo vicino al suo letto; le
tornò in mente il giorno in cui aveva battuto Guy in duello;
le
tornò in mente la bella sensazione delle braccia di lui
attorno
a lei.
Ricordò di amarlo.
Poco importava se invece di essere Guy di Gisborne era Sir Guy di
Gisborne, lo amava e ora che l'aveva detto a se stessa, Gisborne
avrebbe
potuto essere qualunque cosa senza che lei potesse smettere di amarlo.
Questo, però, Guy non lo sapeva e lei non aveva idea di come
dirglielo o, almeno, di come farglielo capire.
«Kaelee...»,
sussurrò l'uomo, distogliendola dalla rivelazione appena
avuta.
Nessuno aveva mai pronunciato il suo nome con tanta dolcezza, nemmeno
suo fratello Aric; un brivido la scosse da capo a piedi e fu come
risvegliarsi dopo uno strano sogno, non esattamente un incubo, fu come
se qualcuno le avesse dato una spinta per svegliarla da un
pensiero insistente.
«Devo andare».
Lo disse
velocemente, con poca convinzione e senza spostarsi di un millimetro.
Neanche lei sapeva perché avesse detto una cosa del genere.
«Ti lascerò
andare se devi, ma prima
promettimi che mi ascolterai. Non necessariamente ora, se non vuoi, ma
dimmi che mi ascolterai. Oggi pomeriggio. Stasera»,
mormorò lui cercando il suo sguardo di caramello.
«Ti
supplico», aggiunse aggrottando
leggermente le sopracciglia, un
lieve tremore sulle labbra.
Kaelee si concesse un tuffo nel mare cristallino che erano gli occhi di
lui. Quei capelli un po' lunghi per un uomo, il modo in cui gli
incorniciavano il viso, la facevano impazzire più delle
mille
domande che aveva in testa. Pensò che non l'aveva mai visto
con indosso qualcosa che non fosse nero e diverse volte si era chiesta
come mai prediligesse quel colore a differenza degli altri uomini di
Robin Hood, ma non aveva mai provato a darsi veramente una risposta.
Per qualche meccanismo che probabilmente Kaelee non avrebbe mai
compreso, la sua mente si era difesa da una verità che forse
l'avrebbe spaventata e sicuramente l'avrebbe turbata, eliminando alcuni
dettagli – nei racconti dei suoi fratelli Gisborne non era
mai
comparso tra i membri della banda di fuorilegge; non viveva al Maniero
con Robin e Archer sebbene fosse loro fratello e amico; il suo
abbigliamento era diverso da quello degli altri abitanti di Locksley; i
suoi modi, fin da quando le aveva quasi baciato la mano a casa di Kate,
erano parsi eleganti e gentili più di quelli di ogni altro
ex
fuorilegge. Kaelee arrivò alla consclusione che Guy avesse
qualcosa di diverso da tutti loro, qualcosa che
lo rendeva unico, speciale e inquietante al tempo stesso. Ma anche
terribilmente affascinante.
In quel tuffo Kaelee comprese che non avrebbe mai potuto dirgli di no,
perciò annuì.
«Tra due ore, al Crocevia, nella
foresta», disse e
scappò via.
Foresta di Sherwood.
Guy arrivò in anticipo sul posto concordato per
l'appuntamento, troppo agitato e teso per rispettare l'ora stabilita,
ed ebbe modo di capire
che, per quanto tentasse di prepararsi un discorso lineare, non sarebbe
comunque
riuscito ad essere così lucido da gestirlo nella maniera
più corretta e che quindi non gli restava altro da fare che
lasciarsi guidare dall'istinto nella speranza che Kaelee non lo
interrompesse, non fuggisse, non lo guardasse con odio e disprezzo.
Kaelee si presentò al Crocevia non molto tempo dopo l'arrivo
di Gisborne, anche lei in anticipo.
Prima di lasciare l'abitazione riempendosi lo stomaco soltanto con una
tisana alle erbe, la ragazza aveva voluto accennare a Kate
dell'incontro di quella mattina con Guy e della sua
decisione di ascoltare quanto avesse da dirle. Non gliel'aveva detto
per ottenere un consiglio perché la decisione di ascoltarlo
non era in alcun modo oggetto di
discussione; l'aveva fatto perché lei si era tanto
preoccupata
in quei giorni e non voleva nasconderle nulla, non voleva uscire di
casa come avrebbe fatto una fuggiasca.
Il fatto che Kate non aveva approvato la sua scelta per ragioni che non
aveva però motivato, era un dettaglio di cui Kaelee si
sarebbe preoccupata a tempo
debito onde evitare di aggiungere altri quesiti a quelli già
presenti nella sua testa. Ad una conclusione, però, credette
di esserci arrivata: Gisborne aveva fatto qualcosa di brutto a Kate.
«Eccoci qui»,
disse infine Kaelee abbozzando un sorriso, il primo di quella
settimana.
«Ti
ascolto», aggiunse, andando
dritta al sodo.
Guy annuì. «Ti
sono molto grato per questo, ma non posso
prometterti di essere breve».
Un leggero sorriso gli si dipinse sulle labbra, di quelli che ti
accendono
lo sguardo, di quelli sinceri da poterne morire, di quelli pregni
d'amore che Kaelee tanto adorava.
«Non ho molti impegni ultimamente», rispose lei. Lo
disse
voltandogli le spalle,
incapace di guardarlo in faccia senza provare un brivido, di piacere e
di timore.
Per alleggerire la tensione presero a camminare tra gli alberi di
Sherwood.
Gisborne non parlò subito. Aveva una paura tremenda di
rovinare
ogni
cosa, di sbagliare, di non piacerle. Le azioni che per anni aveva
compiuto quasi senza provare alcun rimorso non erano atti degni di un
Cavaliere, né di un uomo degno di avere al proprio fianco
una donna come Kaelee, pura, gentile e buona con tutti. Gisborne per
primo si vergognava terribilmente di ciò che aveva fatto
sotto il comando di Vaisey di Nottingham ora che aveva compreso, ora
che guardava alla vita da una prospettiva diversa e diametralmente
opposta alla precedente, ma non poteva cancellare di netto il proprio
vissuto. D'altra parte il
Guy
che Kaelee conosceva era il frutto di un passato che, per quanto
lei potesse non gradire, lo aveva portato fin lì,
perciò
l'uomo si fece coraggio e raccontò la storia dall'inizio,
ritenendolo necessario e soprattutto giusto nei confronti di Kaelee e
di se stesso.
Le disse di essere il primogenito di due figli, di provenire
da una famiglia nobile e che sua madre era di origine francese. Le
disse
di conoscere Robin da quando entrambi erano piccoli. Che il nome di sua
sorella era Isabella e che lui l'aveva uccisa. Le raccontò
della
sua infanzia a Locksley, di quando credette morto suo padre per poi
scoprire che egli invece era vivo ma destinato a morire in quanto
affetto da lebbra. Le raccontò di come aveva scoperto della
relazione di sua madre con il padre di Robin, all'epoca già
vedovo, e di come da questa relazione fosse nato un bambino, Archer,
senza che nessuno ne fosse a conoscenza a parte coloro che lo avevano
messo al mondo perché Guy non aveva capito che il malore
accusato da sua madre dopo un diverbio avuto proprio con lui era in
realtà l'inizio del parto. Si perse per un attimo nei
dettagli di quella vicenda e
fece un salto in avanti parlando del padre di Robin, che tutti
pensavano
fosse morto nell'incendio e che invece era sopravvissuto, e di come era
letteralmente piombato nelle loro vite dopo decenni rivelando
l'esistenza di un
fratello comune. Poi tornò indietro all'incendio e le
parlò dei primi anni suoi e di sua sorella nei
panni di orfani, di come sofferenza e preoccupazioni lo avessero mutato
nel
carattere e di come aveva letteralmente venduto Isabella, all'epoca
appena tredicenne, ad un uomo che
non l'amava ma che aveva pagato profumatamente.
Si fermò quando vide Kaelee irrigidirsi, ma, dal momento che
lei non lo interruppe decise di proseguire.
Le raccontò quindi della violenza che lo aveva governato per
anni interi, dell'esperienza in Terra
Santa,
dello Sceriffo di Nottingham, della cattiveria che lo divorava
lentamente da
dentro. Le disse anche di Annie e del figlio che aveva avuto con lei,
Seth.
A quel punto Kaelee sentì il cuore spezzarsi. Non era
così
sciocca da credere che Guy fosse suo coetaneo, o che non si fosse mai
unito con una donna prima di incontrare lei, ma sentirglielo dire
così, con la calma
di
chi sta semplicemente raccontando una storia, le causò un
dolore
insostenibile. Era troppo, era troppa tutta quella cattiveria di cui
Gisborne parlava con pacatezza, come se quegli eventi appartenessero ad
un'epoca lontanissima anziché a qualche anno prima. Eppure
Kaelee non sentì davvero l'impulso di andar via
perché si rese conto che Guy
stava dipingendo se stesso come una persona orribile, senza cuore,
assetato di sangue e potere, il che doveva significare una presa di
coscienza
da parte sua; perché Gisborne si stava
mettendo a nudo con lei che era quasi un'estranea in fin dei conti,
quindi
Kaelee voleva sentire tutta la storia prima di trarre conclusioni,
sentendo di dovergli quella cortesia.
«Io ho ucciso. Ucciso
persone», continuò l'uomo, «Un
numero infinito di volte. Persone che non conoscevo, ma anche qualcuno
con cui avevo parlato qualche volta, persone a me molto care perfino.
Sono un assassino perché ho ucciso senza
pietà, non per difendermi, ma per una soddisfazione
personale che non ho mai raggiunto».
Quella quiete mista a rassegnazione nella voce di lui spaesò
Kaelee e la disgustò quando credette che a Guy non
importasse
un
bel niente del dolore che aveva seminato negli anni.
«Vorrei avere la
possibilità di morire e
tornare in vita soltanto per morire di nuovo, tante volte quante sono
le vittime della mia spada», aggiunse con un filo di voce.
Questo fece subito capire a Kaelee che si era sbagliata, che era stata
frettolosa nel giudicare Gisborne: il tormento di
quell'uomo non era forse la testimonianza di un animo in fondo buono e
sicuramente pentito?
Guy guardava dritto davanti a sé mentre parlava, camminava
lento
per non perdere il controllo di se stesso e cedere alla sofferenza che
rievocare il passato gli provocava. Inoltre sapeva che se avesse
cercato lo
sguardo di Kaelee non sarebbe stato capace di continuare e andare fino
in fondo.
Proseguì il racconto fino ad arrivare all'incontro con
Lady Marian.
Parlarle di lei era ancora incredibilmente difficile, ma soltanto
così
forse sarebbe riuscito a liberarsi dalle catene di quel ricordo, solo
così forse sarebbe riuscito a lasciarla andare per sempre
com'era giusto che fosse.
Parlò di lei con estrema sincerità, non
nascondendo a
Kaelee l'amore immenso che aveva provato per Marian, mettendola a
conoscenza di tutto ciò che aveva fatto per lei e di come
aveva
cercato in tutti i modi di portarla via a Robin Hood. Le
raccontò di quando era quasi riuscito a sposarla e di quanto
si
sentisse sciocco ora per aver creduto anche solo per un attimo che
Marian potesse amare un violento come lui. Non si risparmiò
i
dettagli e neanche le vicende del Guardiano Notturno, neanche che era
stato lui ad ucciderla in Terra Santa dopo che lei gli aveva rivelato
di amare Robin Hood.
Le rare volte in cui Gisborne si concedeva di gettare uno sguardo su
Kaelee, che gli camminava di fianco, gli appariva chiaramente a disagio
nel suo imbarazzato silenzio, tipico di chi non sa se sia il caso di
dire davvero qualcosa. In fin dei conti Gisborne le aveva chiesto di
ascoltarlo ed era esattamente ciò che Kaelee gli stava
concedendo.
«Aveva soltanto ventidue anni quando
l'ho uccisa», aggiunse, «Non
doveva essere molto più grande di te»,
commentò d'istinto, maledicendosi un attimo dopo per
ciò che
aveva
appena detto, per averla messa in mezzo a quel racconto.
Kaelee,
però, parve non scomporsi affatto.
«Ne ho compiuti venti», fu la risposta che fece
stringere i
pugni a Gisborne.
«Forse non ti
piacerà sapere che ne
ho trentasei. Ma del resto stai passeggiando in compagnia di un
assassino, quindi forse il resto non conta»,
ironizzò Guy.
Kaelee non avrebbe mai immaginato
che ci fossero
così tanti anni di differenza tra loro. A pensarci bene
gliene avrebbe dati una trentina in effetti, non di più. La
ragazza realizzò che l'uomo che amava era perfino
più
grande del maggiore dei suoi fratelli, che di anni ne aveva
trentaquattro. Dovette ammettere a se stessa che quella rivelazione
l'aveva definitivamente destabilizzata perché era una
realtà che, a differenza del male che Gisborne aveva fatto,
non sarebbe mai mutata. Ciò che però la spinse a
rispondergli fu
la seconda parte della frase.
«Mi stai dando dell'idiota per caso?
No, perché sarei un'idiota se davvero me ne andassi in giro
con un assassino e io non credo di
esserlo. Ingenua potrei concedertelo, ma idiota no. Raccontami il
resto».
Una piccola parte di lei si disse che avrebbe dovuto avere paura di
quell'uomo dopo ciò che le aveva raccontato, ma dentro di
sé Kaelee non riuscì a rinvenire quel sentimento
tra gli altri.
Guy non osò commentare: la determinazione nella voce della
ragazza lo mise in soggezione. "Per essere una donna così
giovane ha coraggio da vendere", pensò.
«Il resto è solo l'ultimo
capitolo di una lunga storia di violenza»,
continuò Guy mettendola a conoscenza degli eventi
più
recenti, ovvero l'arrivo a Locksley di sua sorella, in fuga dal marito,
l'uccisione di Vaisey non andata a buon fine e il periodo che aveva
trascorso nelle segrete dove aveva conosciuto Meg. Le parlò
anche di lei e le disse che da quel momento in poi la sua vita aveva
iniziato a cambiare volgendo nell'attuale direzione. Le disse di come
lui e Robin avevano trovato e liberato Archer, di come lui li avesse in
prima battuta traditi e poi salvati e di come il Castello di Nottingham
e Nottingham stessa fossero letteralmente saltati in aria.
Raccontò della ferita che lo aveva costretto a starsene a
letto
per un bel po' e di quanto fosse stato e in parte fosse ancora
difficile farsi accettare dagli
abitanti del villaggio, quanto fosse difficile meritare la loro
fiducia. Si soffermò anche su quelli che erano i suoi
tormenti
da quando aveva ucciso Marian e raccontò di come Tuck lo
avesse aiutato nella
convalescenza fisica e morale e di come gli fosse comunque impossibile
perdonarsi per tutto il
male causato. Le svelò anche il motivo per cui non stava
molto
simpatico a Kate: aveva ucciso suo fratello.
Vide Kaelee chiudere gli occhi per un momento e credette che lo avrebbe
aggredito vista l'importanza che Kate aveva per lei, ma ancora una
volta la ragazza non fece né disse nulla.
Non le chiese pietà quando riprese a parlare. «Io
stesso non ne ho per me»,
spiegò, né le chiese comprensione. Non pretese
assolutamente nulla da lei.
Nessuno dei due si rese conto di quanto tempo fosse passato
finché non videro che il Sole cominciava a scendere ed il
cielo
a divenire più scuro. Avevano camminato a lungo, eppure
nessuno
dei due aveva voglia di fermarsi o di rientrare. C'era come qualcosa in
sospeso ancora tra loro.
«Questa è la
storia di Guy di Gisborne»,
concluse, «prima
che incontrasse Kaelee di Edwinstowe, prima che stringesse amicizia con
lei, prima che le insegnasse a maneggiare la spada, prima che le
offrisse protezione...»,
aggiunse senza riuscire a dire ciò che nella sua mente
rimbombava: "Prima che si innamorasse di lei".
"Guy ha un figlio chissà dove, un figlio che aveva
abbandonato senza pensarci su due volte mentendo alla madre e che
sarebbe morto se gli uomini di Robin non l'avessero trovato per puro
caso e salvato. Ha seminato terrore a
Nottingham,
a Locksley e ovunque sia andato. Ha amato e ucciso la donna che amava.
È stato un uomo orribile", pensò Kaelee senza
smettere di
camminargli al fianco. "Ha perso entrambi i genitori in un
incendio, ha sofferto tanto per questo, per la parte di
verità che si è portato dietro tacendola per anni
e per tutto ciò che è accaduto dopo
quell'incidente. Non ha avuto una guida e ha amato nel modo
sbagliato, ma ha amato, a suo modo. È stato ferito, ha
pagato e sta pagando ancora le
conseguenze delle sue azioni. Si è pentito. Ha combattuto
al
fianco di Robin Hood e insieme hanno salvato l'Inghilterra. Guy ha
salvato anche me, in fondo, ed è un uomo diverso adesso.
Resta il fatto che sia sedici anni più grande di me e forse
non
dovrei, ma lo
amo. Ne sono sicura, ora più che mai".
La mano di lei cercò timidamente quella di Guy mentre un
nodo alla gola
le impediva di parlare per dirgli tutto ciò che sentiva.
Le loro dita si sfiorarono e Guy non riuscì a non voltarsi
verso di lei.
I capelli le ricadevano morbidi sulle spalle lasciate scoperte
dall'abito; la sua pelle era chiara e bellissima, priva di qualunque
imperfezione, splendente della luce dei suoi vent'anni. Il modo in cui
la chioma formava quiete onde castane regalava armonia alla sua figura
che agli occhi di Guy appariva fragile, ma al tempo stesso forte. Ai
suoi occhi Kaelee appariva una creatura meravigliosa: si muoveva
leggera
nella foresta di Sherwood lasciando che la stoffa del suo vestito
accarezzasse l'erba e la terra di quel magico angolo di mondo, sembrava
magica anche lei.
Guy si fece coraggio e infine strinse la mano di lei nella propria: era
immensamente piccola, ma sprigionava un calore capace di dargli la
sensazione di essere finalmente libero da ogni male, quasi come se lei,
con la sua sola presenza, Kaelee potesse redimerlo da ogni peccato.
«Un Guy che io non ho conosciuto e che
non ho il diritto di giudicare in alcun modo»,
mormorò infine. La voce le tremò, fuori dal suo
controllo.
"Guy mi sta tenendo per
mano. Cosa significa?", pensò. «Accetto
la tua protezione, Guy
di Gisborne», aggiunse. "Sa cosa provo per lui? Dovrei dirgli
che
lo amo oppure sarebbe più consono aspettare che sia lui ad
esporsi? So così poco... quasi niente della vita e del corso
naturale delle cose! Sbaglio ad amarlo?".
Guy si fermò dopo che lei ebbe finito di parlare, ma non
lasciò la
sua
mano. Cercò il suo sguardo e, quando ricambiò,
Kaelee notò una luce calda e piacevole in quegli occhi
chiari. Una luce che le fece battere forte il cuore, rassicurandola
perché forse non aveva detto nulla di sbagliato, forse tutto
sarebbe andato per il meglio.
«C'è un'altra
cosa», sussurrò
serio, scrutando negli occhi di lei.
Il tramonto era vicino e a breve avrebbero fatto bene ad incamminarsi
per rientrare a Locksley. Fortunatamente avevano seguito una sorta di
percorso circolare e non erano così lontani dal villaggio,
perciò poterono trattenersi ancora un po'.
«Prima voglio dirtene una
io», lo interruppe Kaelee e, avvicinandosi di più
a lui, sollevò la mano
libera vicino al volto di lui.
Dovette bloccarsi, però, a metà del gesto quando
vide Guy stringere gli occhi, quasi che si aspettasse uno schiaffo da
parte sua. Kaelee non
comprese le ragioni di quella reazione, anche se poteva immaginare che
lo Sceriffo Vaisey, di cui Gisborne le aveva parlato, non lo avesse mai
trattato con modi gentili, ma lei voleva fare niente di male, in
fondo, perciò si disse che non era giusto fargli credere il
contrario. Si fece coraggio e posò le dita sul viso
dell'uomo accarezzandogli delicatamente la guancia.
«Guy...», soffiò sperando che aprisse
gli
occhi.
La sorpresa fu evidente sul volto di lui prima e nello sguardo poi,
quando le palpebre si sollevarono restituendo al mondo quei brandelli
di cielo. Qualunque cosa si aspettasse, di certo non era una
carezza.
«Non
voglio mai più
vedere quell'aggressività, quella cattiveria, quell'odio in
te.
Mai più. Non mi piace e... mi fa paura»,
mormorò
infine Kaelee riferendosi al modo in cui si era
rivolto all'amico di suo
fratello Aric.
L'uomo annuì e si scusò con lei per averla
spaventata.
Si tenevano ancora per mano, ma la mano libera di Kaelee si era
spostata
dal volto al petto dell'uomo passando dal collo e dalla spalla; lo
sfiorava all'altezza del cuore, come se ne volesse percepire i battiti
e verificare se anche quello di lui stesse impazzendo come il suo.
Dopo qualche tempo la
ragazza gli chiese cosa stava per dire prima che lo interrompesse.
Guy posò la propria mano su quella di lei, per trattenerla.
«Sarei
onorato di offrirti me stesso insieme alla mia protezione»,
confidò Gisborne.
Kaelee sgranò gli occhi e dischiuse le labbra con somma
sorpresa. "Mi sta dicendo che...", pensò senza riuscire a
dirlo neanche a se stessa. Gli occhi le si appannarono e
sentì un
lieve rossore conquistarle le gote.
«Sì», fu la sola cosa che
riuscì a dire, vibrando da capo a piedi per l'emozione.
«Sì...?», ripeté Guy. Il
sorriso
che gli piegò le labbra fu, per Kaelee, come il Sole dopo
settimane di
pioggia.
«Sì», confermò Kaelee
ricambiando il sorriso e lasciandosi sfuggire una lacrima di gioia.
Guy l'attirò a sé e la strinse forte
nell'abbraccio più bello che entrambi
avessero mai vissuto.
Il capitolo è stato rieditato in
data 03/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Stando a quanto riportato su Wikia,
Guy, Robin ed Allan
sarebbero morti
nel 1194 rispettivamente all'età di 36, 31 e 30 anni.
Avendo io iniziato questa storia con Guy in fase di ripresa da una
ferita riportata nello scontro precedente alla distruzione del Castello
di Nottingham, si presume che l'ambientazione temporale sia ancora la
stessa e quindi il 1194. Ecco perché ho scritto che Guy ha
trentasei anni. Lo stesso vale per Marian che, sempre secondo il sito,
sarebbe morta nel 1193 a 22 anni.
L'età di Kaelee e quella di Dwight, invece, l'ho decisa io.
Spero di non aver preso un granchio durante la narrazione, ma se
così fosse vi invito a farmelo notare.
Grazie a voi che vi siete soffermati a leggere ed eventualmente
recensire.