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Autore: Monijoy1990    21/03/2015    1 recensioni
Questo racconto rappresenta il proseguimento di "Love story". Quindi invito chiunque non lo abbia letto a farlo prima di iniziare.
Roberto è un ragazzo arguto e intelligente con un futuro già scritto a lettere cubitali nel suo destino e un sogno in minuscole chiuso in un cassetto. Avvocato, dottore o ingegnere questo ciò che vorrebbero i suoi genitori per lui. Ma cosa vuole davvero Roberto? Diventare un cantante. Così il Giappone diventerà la sua strada e la Kings Record la sua meta. Durante il suo viaggio verso il successo il destino gli tenderà tante sorprese improvvise. Riuscirà grazie alla sua arguzia e al suo buon cuore a superare le sue insicurezze? Tra triangoli amorosi e amicizie inaspettate, sarà in grado di realizzare il suo sogno? Troverà la sua strada?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO 20
LA FUGA
 

 
 
Tokyo
 
Lo studio di registrazione era ancora illuminato a tarda notte. Al suo interno Kei e Roberto sedevano chini sui loro bloc-notes al lavoro sul testo della terza canzone. Questa volta però, la complicità conquistata nell’ultimo mese sembrava essere divenuta un vago ricordo del passato. Era evidente che lo scontro verbale avvenuto a causa di Nami quel pomeriggio aveva compromesso inevitabilmente il loro rapporto già labile. Il risultato? Un pezzo incoerente fatto di desideri e sentimenti contrastanti. Roberto e Kei non facevano altro che scontrarsi per la scelta delle parole. Entrambi avevano un’idea completamente diversa del tema di quella canzone. Per Roberto il brano doveva incoraggiare chi lo ascoltava a credere nell'amore fino in fondo, così da ottenere quello che si vuole, ricordando a chi lo avrebbe ascoltato che l’orgoglio non è nulla paragonato al dolore di perdere qualcuno di importante. Per Kei invece, quel brano doveva mettere in luce una visione più disillusa e diretta dell’amore. “Se lei non ti vuole non ti merita” sembrava gridare nel suo brano, ma tra le righe di quella canzone si leggeva chiaramente che non ne era pienamente convinto.   Se il più speranzoso dei due chiedeva alla ragazza di aspettarlo, l’altro orgoglioso l’allontanava come se non avesse bisogno di lei. Forse in una mossa difensiva, entrambi cercavano di proteggere se stessi dalla paura dell’abbandono. Se l’uno nutriva il bisognoso di ancorarsi disperato ad esso per non sentirsi abbandonato, l’altro l’allontanava orgogliasamente certo di poterne fare a meno, convinto che il tempo avrebbe lenito qualsiasi dolore.   Così, se da un lato Kei allontanava l’oggetto del suo amore, Roberto si ancorava ad esso disperatamente. Se il primo affermava che presto avrebbe dimenticato i suoi sentimenti, il secondo sosteneva che nulla li avrebbe mai cancellati dal suo cuore. Se l’uno era pronto a dimenticare, l’altro manteneva una posizione irremovibile. Quel brano rischiava di diventare un tira e molla inesauribile tra l’amare e il fingere di non amare, tra il soccombere ad esso disperatamente e il respingerlo per orgoglio. Un pensiero a dir poco contorto e controverso.
Era ovvio che prima o poi le loro personalità si sarebbero scontrate anche in campo musicale ma, a pochi giorni dalla data di consegna, quelle incomprensioni proprio non ci volevano.
Entrambi combattevano con tenacia per affermare la propria versione della canzone sull'altra.  Come se così facendo potessero conquistarsi la ragione assoluta. Un’assurdità bella e buona paragonata alla realtà dei fatti. Ma nessuno dei due sembrava rendersene conto.
Era pur vero che entrambi vivevano una situazione complicata, fatta di rinunce difficili d’accettare, in cui era facile commettere errori.  Roberto per colpa del suo amore per Marika, e Kei per i sentimenti che aveva scoperto di nutrire per Nami. La verità era che i due stavano affrontando lo stesso problema in modo diverso perché diversa era la loro visione del problema. Entrambi avevano dei vincoli, per Roberto il dover tenere fede a una promessa fatta al suo bisnonno e per Kei la promessa fatta ad Akiko che avrebbe sempre protetto Shin. Ognuno dei due aveva un buon motivo per perseguire con decisione la propria strada. Così, se Roberto era intenzionato a non rinunciare e a non arrendersi perchè in modo egoistico non poteva accettare che la storia d'amore con Marika fosse finita proprio per colpa sua, Kei aveva deciso di rinunciare a Nami perché consapevole di non poterle offrirle in quel momento l'amore che meritava, e avrebbe finito sicuramente con il farla soffrire, un dettaglio a cui Roberto, nella sua storia con Marika, non aveva dato molta importanza.
Nonostante i buoni propositi, entrambi avevano ceduto alla tentazione di vivere quell’amore proibito almeno per una notte, un errore che adesso pesava sulla coscienza di entrambi. Seppure reagissero in modo diverso, a torturarli erano però gli stessi problemi.
Se Roberto disperato inseguiva quella speranza con tenacia Kei sembrava essersi ormai arreso ad essa.
 
Dopo tre ore, non erano ancora giunti a un compromesso soddisfacente. Questo finché qualcuno non entrò nella stanza.
«Allora siete voi! Mi chiedevo chi altro malato di testa fosse rimasto a provare qui fino a tardi!» esordì il figlio del direttore.
«Toshi che ci fai qui a quest’ora? Sono le dieci passate!» constatò sorpreso Roberto. Il ragazzo in tuta entrò nello studio prendendo una sedia e occupando lo spazio vuoto tra i suoi due amici sorridendo.
«A che punto siete?» chiese con eccitazione spostando lo sguardo da Kei a Roberto, senza in realtà dare troppo peso all’osservazione dell’amico italiano.
«A un vicolo ceco…» affermò esasperato il più scorbutico dei tre lanciando in modo brusco il bloc-notes sul piano della console, poi sbuffando e spallandosi sulla sedia girevole su cui era seduto, stiracchiò le articolazioni delle braccia brontolando come al suo solito.
Toshi recuperò il quadernetto di Kei e lo confrontò con quello tra le mani di Roberto.
«Perché lavorate alla stessa canzone su due taccuini diversi?» affermò perplesso sollevando un sopracciglio.
«Cosa ti fa pensare che sia la stessa canzone?» gli chiese Kei avvicinandosi all’amico incuriosito. Nessuno dei due aveva ancora trovato un titolo soddisfacente che avrebbe potuto far sorgere certi pensieri in Toshi.
«I sentimenti mi sembrano gli stessi, ci vedo molta paura e disperazione, ma anche la speranza nascosta che quel qualcosa non finisca davvero. Avete pensato di unirli con strofe alterne? Mi piace l’idea di un animo tormentato. In amore non sempre si ha quello che si vuole, ne si fa quello che si vorrebbe fare o si dice quello che si vorrebbe dire e mi sembra che questa canzone esprima al meglio questo concetto… singolarmente non renderebbero, ma uniti funzionano alla grande…»
I due ragazzi ai lati di Toshi si scambiarono delle occhiatacce incerte. Nessuno dei due sembrava pronto a cedere a quel compromesso, però era pur vero che il tempo stringeva e che non potevano fermarsi proprio adesso. Occorreva mettere da parte l’orgoglio e convivere pacificamente per il bene del gruppo.
«Beh, effettivamente…» affermò Roberto in una nota amara distogliendo il suo sguardo orgogliosamente.
L'altro a sua volta sospirò rumorosamente,«sono così stanco che qualsiasi soluzione ormai mi va più che bene, l’importante è che questa tortura finisca il prima possibile…» lo seguì Kei tornando a spallarsi sulla sedia incrociando le braccia sullo stomaco.
«Perfetto! Allora se vi va, potrei ascoltare la traccia strumentale? Già che sono qui, mi piacerebbe aiutarvi con l’arrangiamento!» affermò il loro alto amico, eccitato all’idea di collaborare con loro.
«Come vuoi, ma sappi che qui ce né di lavoro da fare…» sottolineò Roberto recuperando un file audio e facendolo partire.
«Il duro lavoro non mi ha mai spaventato è lo stare fermo in attesa a stancarmi di più» lo spronò Toshi. Roberto sorrise all’amico mentre Kei roteava gli occhi esasperato verso il soffitto.
I tre finirono il lavoro che era già spuntato il sole tiepido del mattino.
La domenica era arrivata anche per i nostri tre instancabili lavoratori e con essa il tanto meritato riposo. Il loro periodo di formazione stava per terminare. Ancora cinque giorni e si sarebbero preparati al loro debutto. Sembrava solo ieri che avevano dato inizio a quella spericolata avventura esibendosi per strada al cospetto di quel pubblico che ancora adesso li seguiva con affetto.  
I tre uscirono dal palazzo respirando l’aria fresca e rigenerante del mattino. Gli alberi sul lungo viale avevano ormai perso tutte le loro foglie. Roberto sollevò la sua testa salutando il cielo sopra le loro teste, lo stesso che aveva accompagnato paziente la loro crescita e che adesso avrebbe finalmente visto gli Hope pronti a far conoscere il loro talento al mondo. Chissà se il mondo era pronto ad accoglierli paziente come quel cielo che aveva vegliato su di loro per tutto quel tempo! I tre sollevarono il loro volti bagnati dalla luce pallida del mattino verso l'alto.
“Nonno preparati presto brillerò così tanto che anche dal cielo riuscirai a vedermi. Aspettami, questa è una promessa!”
“Papà presto sarai orgoglioso di me. Non importa quanto tempo dovrà passare, ma io riconquisterò la tua fiducia facendo quello che amo!”
“Non temere Akiko presto riavremo la nostra casa. A qualsiasi costo riporterò Shin lì da te. Ti ho fatto una promessa e ho intenzione di mantenerla!”
 
Cinque giorni dopo…
 
Le giornate passarono rapide e finalmente il giorno della vigilia della consegna dei brani era arrivato. Erano le otto di sera e i ragazzi si trovavano nel loro appartamento nel dormitorio della Kings Record. Ognuno di loro sembrava completamente immerso nelle proprie attività. C’era chi leggeva un manga, chi ascoltava musica, chi giocava a mahjong  e poi c’era Jona terribilmente annoiato da quella monotona routine da tamburellare irrequieto con un piede sul pavimento.
«Ragazzi, che ne dite di fare qualcosa di spericolato?» propose con occhi supplichevoli.
«Cosa intendi per spericolato?» gli chiese Kei convinto che qualsiasi cosa avesse in mente l’amico avrebbe assicurato loro una punizione esemplare da parte di Andrea e Daisuke. Jona si sfregò le mani eccitato.
«Che ne dite di sgattaiolare fuori di qui? Sono mesi che viviamo da reclusi. Ormai gli unici posti che frequentiamo sono il dormitorio e la Kings Record. Che ne dite di scappare solo per una sera? Dopotutto è la nostra ultima notte di libertà. Da domani le nostre storie si riscrivono. Dopo che Kei e Roberto avranno consegnato le canzoni a Rio inizieremo la preparazione al debutto. Quindi perché non festeggiare?»
«Forse sarebbe meglio aspettare. Non è detto che debutteremo subito… » affermò Roberto attanagliato dal dubbio che il giorno a venire Rio decidesse di rimandare il debutto per colpa delle loro canzoni.
«Perché non dovremmo? I due mesi sono passati no?» gli chiese perplesso Take squadrando Roberto con occhi sottili. Era sicuro che i due stessero nascondendo qualcosa a lui e al resto del gruppo.
«Se non per il debutto potremmo festeggiare la fine dei due mesi di tortura…» si aggiunse Toshi.
«Adesso ti ci metti anche tu a dare manforte a questo ossigenato senza cervello?» replicò Kei sollevandosi dalla poltrona per raggiungere il frigorifero.
«Dai Kei, anche io voglio uscire di qui» provò a convincerlo Shin con due occhioni da cucciolo.
«Ok, ho deciso, si fa per alzata di mano. Chi è a favore di questa fuga alzi la mano» affermò il biondo alzando il braccio verso l’alto. Solo Shin, Toshi e Jona sollevarono le loro braccia al cielo, gli altri tre rimasero impassibili.
«Cavolo, e adesso che si fa? 3 contro 3 è un pareggio…» osservò Shin abbassando deluso la sua mano.
«Semplice, si rimane qui senza ficcarsi in casini inutili» gli rispose suo fratello dopo aver chiuso il frigo aprendo la sua lattina di birra e ritornando a sedersi sul divano.
In quel momento qualcuno bussò alla loro porta, Jona spostandosi un ciuffo dei suoi capelli biondi dal viso andò ad aprire. Un’enorme sorriso emerse sul suo volto liscio e candido. Davanti a sé si era appena materializzata una via di salvezza.
Erano Clara e Nami.
«Disturbiamo?» chiese incerta la più grande delle due.
«Ma quale disturbo… ci mancavano proprio due braccia in più…»
«Due cosa?» chiese Nami entrando nell’appartamento seguita da Clara.
«Stiamo organizzando una fuga…» gli spiegò suo fratello quando furono in cucina.
«Ah si?» chiese eccitata lei.
«Si, ma non tutti sono d’accordo… » affermò Toshi lanciando un’occhiataccia a Kei.
L’altro lo ignorò continuando a sorseggiare indifferente la sua bevanda alcolica.
«Abbiamo deciso di decidere per alzata di mano, ma la storia si è conclusa con un pareggio inconcludente» le spiegò Jona.
«Ma adesso che vi siete aggiunte voi c’è ancora speranza. Anche tu Nami sei una Tirocinante e puoi votare, sempre se l’idea ti interessa….»
Nami soppesò quella eventualità con crescente interesse. Dopotutto quella fuga era un modo come un altro per svagarsi. Con tutti gli impegni che aveva, tra le prove e i servizi fotografici, le ci voleva un momento per staccare la spina e ritornare a vivere come faceva un tempo.
«Io voto a favore» affermò sollevando la sua mano verso il soffitto.
Jona esplose di gioia.
«Yahoo!! Finalmente si esce!!!» esultò saltellando euforico per la stanza.
«Ok , ma come pensate di uscire di qui senza farvi notare?» si intromise Clara.
Toshi sorrise beffardo sollevandosi e allontanando le tessere del mahjong al centro del tavolo.
«Semplice, come ho sempre fatto, con la cartamoneta. Li ho corrotti una volta posso farlo anche adesso» affermò facendole un occhiolino d’intesa. Clara avvertì le gote avvampare per la rabbia e la vergogna. Come poteva dimenticarsi della storia che Toshi si era inventato per farla entrare quasi due mesi prima. Quegli sguardi lascivi se li sentiva ancora sulla pelle.
«Perfetto ragazzi! Allora è deciso, si esce!» sentenziò Jona.
Kei, Roberto e Take dovettero soccombere all’insistenza dei loro amici.
 
 
Per la felicità dei sei ragazzi e delle due infiltrate di quella sera, in giro a quell’ora tarda non c’era nessuno. Nessuna traccia del solito gruppetto di ragazzine euforiche, affamate di foto e autografi che ogni giorno si appostava all’ingresso in attesa del loro arrivo. 
«Perfetto! Li ho corrotti perché ci lascino liberi un paio d’ore. Ho detto loro che andiamo alla Kings Record per recuperare del materiale. Quegli idioti se la sono bevuta davvero»esordì Toshi raggiungendo il gruppo e sorridendo fiero. A quel punto sua sorella gemella tirò fuori dalla borsa sei paia di occhiali da sole porgendone uno ad ognuno dei membri degli Hope. Ovviamente lei e Clara non correvano il rischio di attirare troppo l’attenzione della gente, quindi per loro quel camuffamento non era necessario.
«Che idea! Di certo con questi non attireremo l’attenzione di nessuno. Chi vuoi che faccia caso a sei ragazzi incappucciati che di notte si aggirano con degli occhiali da sole sul naso…» constatò sarcastico Kei, mentre con una smorfia si infilava il cappuccio sulla testa.
Nami soffocò la propria rabbia in un respiro profondo.
«Se vuoi puoi anche non metterli, non è affar mio se qualcuno ti riconosce… Anzi, ora che ci penso, sarebbe davvero divertente vederti inseguito da un gruppo di ragazzine isteriche! Già me le vedo mentre cercano di strapparti via la felpa di dosso, o ancora mentre ti tirano per capelli strattonandoti come un pupazzo! Si, sarebbe una scena davvero esilarante!» gli rispose Nami incrociando divertita le braccia al petto. Kei stava per rispondere alle sue istigazioni quando la ragazza con il caschetto e gli occhi verdi venne a interromperlo.
«Ragazzi non è il momento questo di fare polemiche, direi invece, che sarebbe più opportuno allontanarsi di qui prima che qualcuno scopra il nostro imbroglio…» affermò guardandosi circospetta.
«Ha ragione Clara, forse è meglio stabilire una meta» le diede manforte suo fratello con i capelli neri e lucidi.
«Conosco un locale davvero molto carino in centro a Tokyo! È una discoteca, potremmo infiltrarci lì senza correre il rischio di essere riconosciuti. Le luci basse e la confusione ci aiuteranno a mischiarci tra la gente e poi mi mancano le mie baby, lì ci sono un paio di ragazze che mi aspettano. E magari anche voi troverete qualcuna con cui divertirvi stasera. Il 70% delle ragazze lì dentro non distinguerebbero un pastore tedesco da un pinguino…» disse l’ultima frase bisbigliando alle orecchie dei suoi amici. Ma Clara colse subito il doppio senso di quell’osservazione.
«Jona, sai di essere davvero viscido alle volte?» lo riprese disgustata.
Jona fece spallucce sorridendo sornione, «mi dispiace, sono fatto così. Non riesco a vivere senza ragazze!» le sorrise ammiccandole con nonchalance.
Nami incrociò le braccia allo stomaco indispettita, «scusami tanto ma noi cosa saremmo? dei vegetali? Non siamo ragazze anche noi?»
Il biondo si spostò il suo ciuffo dal viso con aria di superiorità, «perdonatemi non era quello che intendevo, è solo che ai miei occhi voi due siete come due suore. Le sorelle dei miei amici sono dei tabù. È una regola che mi sono imposto dopo che in America un mio amico mi ha quasi spaccato il naso perché mi stavo facendo sua sorella nel letto dei suoi».
Shin sorrise coprendosi la bocca con entrambe le mani. Kei gli diede uno scappellotto dietro la nuca squadrandolo con rimprovero.
«Beh, ragazze esclusi i dettagli disdicevoli, mi sembra il luogo migliore in cui andare per non essere riconosciuti», affermò Roberto cercando di calmare le acque. Nessuno oppose resistenza, così si mossero finalmente compatti verso la loro nuova meta di quella sera. Il treno arrestò la sua corsa, dopo quindici minuti erano finalmente giunti alla loro fermata. Jona, i due gemelli, Clara, Roberto, Shin, Kei e Take erano scesi in fila indiana da quel mezzo di ultima generazione.
«Venite. Vi faccio strada io» li esortò il biondo facendo segno agli altri di seguirlo.
Dopo aver camminato per altri quindici minuti giunsero dinanzi un enorme capannone. Roberto ne analizzò l’architettura industriale, sicuramente in passato veniva utilizzato come deposito. Adesso quell’ambiente un tempo inadatto ad ospitare delle persone, era stato ristrutturato in modo da poter accogliere una mole enorme di ragazzini esuberanti inclini a divertirsi senza freni fino all’alba.
Incappucciati e con i loro occhiali scuri sul naso, i sei avanzarono scortati dal Jona verso la struttura. Davanti a loro, sulla sinistra si trovava una lunga fila di gente accalcata in attesa di entrare, mentre sull'altro lato una corsia preferenziale completamente vuota. Jona senza esitazione la percorse sotto le occhiatacce indispettite degli altri giovani in attesa alla loro sinistra. Gli altri HOPE e le due ragazse a capo chino lo seguirono incerti. Come avevano immaginato, all’ingresso nessuno li fermò, erano bastate poche parole del biondo per lasciare loro spianata la strada.
“Jona ha davvero molte conoscenze a Tokyo”, si sorprese a pensare Roberto.
Finalmente nel mezzo di quel mare indefinito di corpi sudati che si dimenavano a suono di musica elettronica, sotto delle luci psichedeliche tra un di drink alcolico e l’altro, Jona riconobbe le sue “amiche”e senza esitare, bramoso di consumare i suoi istinti repressi, si allontanò dal gruppo.
Roberto non fece in tempo a trattenerlo per la maglietta.
“Maledizione, non dobbiamo dividerci!” pesò inquieto notando l’amico biondo disperdersi nella folla agitata accecato dal desiderio di saziare i propri appetiti sessuali.
«Secondo me le tinte gli hanno fatto male…» affermò Kei sospirando con gli stessi occhi preoccupati di Roberto. Che avesse avuto il suo stesso pensiero?
«Fratellone andiamo a prendere da bere?» gli chiese supplichevole Shin, Kei sogghignò avvolgendo con un braccio il collo del più piccolo, come per gioco.
«Siiii, ceeeerto, come no! Ti do un consiglio fratellino: dovresti prima aspettare che io sia completamente ubriaco per chiedermi di lasciarti bere con il mio consenso»
Shin rivolse gli occhi al pavimento deluso per l’ennesima volta dai divieti soffocanti di suo fratello maggiore.
Clara osservò la scena con stupore e approvazione. Dopotutto Roberto aveva ragione, anche se era freddo e incostante, Kei ci teneva davvero a suo fratello.
Tutti si lanciarono un po’ impacciati tra la folla. Roberto prese sua sorella per un polso spingendola al centro della pista, ballarono per  un tempo indefinito, poi a loro si aggiunsero anche Nami,Toshi e Take seguiti da Shin e Kei. Di Jona ancora nessuna traccia. Roberto, Kei e Toshi erano davvero preoccupati. Spesso i loro sguardi si incrociavano attanagliati dalla medesima preoccupazione.
Dopo una mezz’oretta i sette tornarono al bancone. Ognuno ordinò da bere e ovviamente Shin fu l’unico a optare per una bibita analcolica.
Toshi prendendo in disparte Kei e Roberto si allontanò dagli altri quattro ancora seduti vicino al bancone.
«dove diavolo si è cacciato Jona? » si interrogò il più alto dei tre.
«Possibile che non sia ancora con quelle due ragazze?» soppesò a sua volta Roberto preoccupato.
«Io direi di andarlo a cercare…» concluse Kei.
«Non penso sia una buona idea dividerci…» affermò Roberto.
Kei, indurì il suo sguardo gelido, «mancano solo venti minuti e poi dovremo andarcene di qui. Non abbiamo molto tempo per trovarlo. Dividerci è l’unica soluzione. Andremo solo noi tre. Gli altri ci aspetteranno qui. Se ci sparpagliassimo tutti sarebbe un problema»
Toshi acconsentì, e suo malgrado anche Roberto gli diede ragione. Così, senza esitare oltre, si allontanarono dal gruppo.
Prima di andare via però Roberto si avvicinò a Clara per spiegarle la situazione e raccomandarle di tenere d’occhio Shin e Nami durante la loro assenza. Take invece fu avvicinato da Toshi, il quale gli spiegò che era meglio lasciare qualcuno con le ragazze finché loro erano via. Ovviamente Take sapeva come muoversi nei locali ed era più sicuro che rimanesse lui con Shin e le ragazze se ci fosse stato bisogno di allontanarsi da lì velocemente. Una volta completate le raccomandazioni i tre ragazzi si divisero.
Roberto andò verso i bagni, Toshi andò a vedere nel privè poco distante da loro e Kei iniziò cercando tra la folla in pista e negli angoli sui divanetti.
Quando Roberto raggiunse il bagno trovò una folla accalcata di ragazzine con i telefonini tra le mani.
In attesa che qualcuno uscisse di lì. Subito in Roberto si fece largo un presentimento disarmante.
“Che qualcuno abbia riconosciuto Jona?”
In quello stesso momento il cellulare nella sua tasca vibrò era il suo amico scomparso. Allontanandosi indietreggiando con attenzione, in modo che nessuna delle ragazze lo notasse, rispose al cellulare.
«Dove diavolo ti sei cacciato?» gli urlò dall’altro capo del telefono.
«Rob sono nei casini. Quelle due sceme mi stavano aspettando con una bella sorpresa. Maledizione, cosa diavolo potevo saperne io che erano così avide di denaro.»
«Spiegati meglio» lo incitò Roberto ritornando calmo.
«Si sono fatte pagare per portare delle ragazze da me e farmi firmare autografi foto e Dio solo sa cos’altro hanno in mente quelle lì fuori. Adesso sono bloccato in bagno. Non posso uscire. Ti prego fa qualcosa! Non ti dico che odoraccio c’è qui dentro…»
«Aspetta lì, mi inventerò qualcosa». Detto questo riagganciò. Bisognava pensare in fretta prima che quella folla dietro il bagno aumentasse in modo esponenziale.
“Roberto, pensa… devi trovare una soluzione…” in quel momento qualcuno lo raggiunse alle spalle.
«Lo hai trovato?» era Nami.
«Tu cosa ci fai qui? Avevo detto a Clara di tenerti sott’occhio!»
«Clara non è mica la mia balia, io sono libera di andare dove mi pare e piace!» gli gridò contro indispettita. Una delle ragazze alla fine della lunga folla stava per voltarsi nella loro direzione attirata dal frastuono della giovane, quando Roberto senza esitare, chiuse la bocca di Nami con la sua mano trascinandola dietro una parete.
«Sei impazzita? Se urli in questo modo scopriranno anche noi!» affermò bloccandola con le spalle al muro. I loro corpi erano vicini.
L’aria calda che fuoriusciva dalle narici di Nami solleticò il palmo di Roberto che rabbrividì. Il ragazzo italiano era ancora fermo con la sua mano sulle calde labbra di lei. A disagio, si ritrasse, liberandola da quel placcaggio improvviso.
Nami era rimasta immobile a osservare gli occhi di Roberto indugiare sui suoi lineamenti come se qualche desiderio impuro avesse per un attimo attraversato i suoi pensieri. Vederlo in imbarazzo a causa di un contatto come quello le diede la flebile speranza che lui potesse nutrire dell’interessamento, se non altro fisico nei suoi confronti.
«Che succede qui?» subentrò Kei intromettendosi in quel momento intimo tra i due.
Roberto troncò immediatamente il contatto visivo con Nami, tornando a confrontarsi con la realtà critica del momento. Dovevano trovare una soluzione.
Kei squadrò carico di una riscoperta gelosia prima Roberto poi Nami.
«Jona è bloccato in bagno. Lo hanno riconosciuto. Dobbiamo trovare un diversivo per allontanare le ragazze e liberarlo. È a un vicolo ceco, dobbiamo creargli una via di fuga».
Kei puntò i suoi occhi furibondi su Nami.
«Lei cosa ci fai qui? Non doveva rimanere con Shin, Clara e Take?». La ragazza rimase in silenzio abbassando gli occhi al suolo, sapeva di aver sbagliato ad allontanarsi in quel modo, ma aveva così tanta voglia di raggiungere Roberto e stare da sola con lui che non si era resa conto delle conseguenze.
«Questo non ha importanza. Adesso dobbiamo trovare una soluzione…» affermò sicuro Roberto cercando di calmare i cocenti rimproveri dell’amico. Kei, spostano il suo sguardo spazientito da Nami all’amico italiano, proseguì «va bene… cosa proponi?»
«Non so ci vorrebbe un diversivo che distolga la loro attenzione…» i tre rimasero in silenzio.
Poi a Roberto si illuminò il viso.
«Ho trovato! Kei prendi Nami, e al momento giusto raggiungete Jona, aprite la porta fatelo uscire. Avete capito?»
«Cosa hai in mente?» gli chiese scettico l’altro.
«voglio distrarle e l’unico modo è uscire allo scoperto. Avvisate gli altri di andare via di qui, presto si scatenerà il putiferio!».
Nami si avvicinò a Roberto.
«Non vorrai mica…»
«Non preoccuparti per me, io me la caverò benissimo. Piuttosto tu vai via con Kei. Ci vediamo al dormitorio e non staccarti da lui per nessun motivo, se ti succedesse qualcosa non potrei perdonarmelo, mi hai capito?» la pregò accarezzandole il viso con occhi premurosi. Nami acconsentì sorridendogli. Kei strinse i pugni ingoiando l’ennesimo boccone amaro.
“Perché con lui è così mansueta mentre con me si comporta come un cane rabbioso?”
«Kei, allora io vado…»
il ragazzo con il ciuffo sull’occhio sinistro lo bloccò per un braccio.
«Come faremo a capire quando intervenire?»
«Non temere lo capirete…» detto questo Roberto si allontanò dai suoi amici, recuperando il cellulare e allontanandosi tra la folla.
Toshi era tornato dagli altri vicini al bancone.
«Dov’è mia sorella?» chiese squadrando i tre con aria preoccupata.
«Mi dispiace, l’abbiamo persa di vista» tentò di giustificarsi Clara.
«Maledizione! Questa non ci voleva!» affermò in ansia perlustrando sulle punte la pista in cerca di sua sorella. Poi il suo telefono insieme a quello degli altri vibrò. Tutti lo estrassero dalle loro tasche.
Roberto aveva mandato un messaggio a tutti.
 
Da Roberto:
 
Ragazzi Jona è in bagno, lo hanno riconosciuto e adesso è bloccato da una moltitudine di ragazzine fameliche. Non temete, ho una soluzione.
Per il momento vi chiedo di allontanarvi di qui il più in fretta possibile e raggiungere il dormitorio.  Dovete andare via di qui a qualsiasi costo. Non preoccupatevi, al resto ci penserò io.
Ps.
Toshi non stare in ansia per Nami, è con Kei, presto vi raggiungeranno con Jona al dormitorio. Ci vediamo lì. Adesso andate!
 
Tutti si scambiarono delle occhiate preoccupate e senza sollevare obbiezioni si fecero strada tra la gente che entrava nel locale. Take che conosceva le vie di uscita alternative a quella principale conduceva il gruppo, mentre Shin si teneva aggrappato alla felpa nera dell’amico, dietro di loro Clara e Toshi chiudevano la fila.
Proprio mentre Stavano per uscire Clara urtò inavvertitamente qualcuno, il contraccolpo fu così forte che cadde al suolo. Era un ragazzo tutto muscoli e niente cervello con al suo fianco una ragazza procace con un vestitino succinto e un trucco da pin-up.
«Ehi, guarda dove metti i piedi brutta scema che non sei altro!» la canzonò il ragazzo troneggiando su di lei. Toshi che aveva assistito alla scena intervenne aiutandola a rimettersi in piedi.
«Non dovresti scusarti invece di dire sciocchezze? o il testosterone ti ha distrutto anche quei pochi neuroni che ti ritrovavi?». Clara non poteva credere alle sue orecchie. Toshi l’aveva appena difesa da quel bullo?
«Ehi, cosa cazzo ti metti in mezzo tu!» affermò prendendo Toshi per il collo della felpa sollevandolo dal pavimento sbattendolo violentemente vicino al muro, in quel momento gli occhiali scuri di Nami gli scivolarono via dal naso, smascherandolo. La ragazza super truccata accanto al palestrato, strillò come indemoniata.
«Oddio è Toshi! È proprio lui!» .
Il giovane muscoloso squadrò perplesso prima la sua ragazza e poi Toshi ancora tra le sue mani. Cogliendo al volo quel momento di smarrimento il più alto degli Hope gli smollò un calcio nelle parti basse liberandosi. Presa per mano Clara la portò via da lì facendosi spazio a spintoni tra la gente che li additava.
Shin e Take erano già fuori. Di Toshi e Clara nessuna traccia, senza esitare oltre, il più grande dei due chiamò un taxi.
«Andiamo!» esortò il più piccolo.
«Non aspettiamo gli altri?» lo supplicò preoccupato Shin.
«Hai sentito cosa ha detto Roberto, dobbiamo andarcene di qui prima che si scateni il finimondo!»
A malincuore il più piccolo entrò nell’auto che immediatamente partì.
Proprio in quel momento Clara e Toshi sbucarono fuori dalla discoteca ansimando e correndo ancora mano nella mano.
«Dove diavolo sono Shin e Take?» si domandò sovrappensiero il più alto spostando il suo sguardo sullo spiazzale davanti la discoteca.
«Avranno preso un taxi» affermò Clara.
«Ottimo! Dobbiamo trovare anche noi un modo per andare via di qui…» proprio in quel momento una decina di ragazze sbucarono alle loro spalle.
Senza esitare Toshi tirò Clara a sè nascondendosi dietro un bidone della spazzatura. Erano rannicchiati al suolo, mentre lui la teneva stretta a sé. Clara non oppose resistenza. Il profumo di quel ragazzino che la teneva saldamente tra le sue braccia era così buono che per un attimo di dimenticò di tutto. In quel momento Toshi le sembrò un uomo maturo e sicuro di sé diverso dal bambino che aveva conosciuto un mese prima. Le sue gote arrossirono a quel pensiero. Dall’altra parte lui rimase vigile e attento pronto a scappare al primo accenno di pericolo.
Per loro fortuna le fans scatenate superarono il bidone senza accorgersi di loro. Toshi le vide deluse fare marcia indietro e tornare in discoteca.
L’avevano scampata per pochissimo.
Sospirando il ragazzo alto e imponente si sollevò recuperando le distanze da Clara.  La giovane si aggiustò un ciuffo dei capelli dietro l’orecchio.
«Cosa facciamo adesso?» improvvisò recuperando la propria posizione da ragazza matura.
«Chiamiamo un taxi» detto questo il ragazzo perlustrò nella tasca dei suoi pantaloni.
«Maledizione ho perso il portafoglio» esordì.
«Mi dispiace io non ho abbastanza soldi per pagare un taxi. Ma potremmo prendere la metropolitana» propose Clara. Toshi acconsentì.
Senza esitazione si spostarono a piedi verso la stazione.
Kei e Nami erano rimasti dietro il muretto in attesa che quel gruppo di ragazzine esaltate si allontanasse.
“Maledizione se Roberto non si sbriga, andarsene da qui sarà veramente impossibile!” pensava Kei in ansia.
Poi come per dare risposta ai suoi pensieri una voce attirò la sua attenzione e quella di Nami al suo fianco. Era Roberto.
«Salve ragazzi. Immagino che molti di voi mi conoscano.» le ragazze in fila dietro il bagno si voltarono colte di sorpresa verso la console del dj da dove Roberto aveva iniziato il suo discorso, senza esitare raggiunsero la pista liberando l’accesso ai bagni.
Approfittando di quella generosa occasione Kei e Nami corsero da Jona e dopo essersi fatti riconoscere, si fecero aprire la porta.  Una volta fuori, Jona spronò i suoi amici a seguirlo. Conosceva un’altra via d’uscita.
Con fermezza Kei prese la mano di Nami trascinandola via di lì. La stessa aveva ancora lo sguardo rivolto verso il palco su cui Roberto stava mettendo in scena il suo spettacolo, quando Kei la costrinse a seguirlo.
“Ti prego Roberto fa attenzione!”
   
 
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