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Autore: SagaFrirry    22/03/2015    1 recensioni
La Dea Atena risveglia i suoi cavalieri, condannati nella roccia dopo aver abbattuto il muro del pianto. Tutti gli Dei greci richiamano i loro sottoposti e creano alleanze. Perché? Non me ne vogliano i puritani della mitologia..in questa storia gli Dei greci lottano contro le divinità romane. L'Olimpo è troppo piccolo!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Olympus Chapter'
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XV

 

LEALTÁ

 

Ares osservava il grande tempio dall’alto, sfruttando la posizione della tredicesima. Pareva annoiato. Era tutto così calmo! Sentiva solo le urla dei suoi figli, mentre si allenavano.

“Vedo che ora non hai problemi a stare in piedi” si sentì dire.

“Già” rispose il Dio.

A parlare era stato Arles, con i capelli neri scombinati in una pettinatura assurda. Il genitore sorrise, divertito.

“Bene. Potrai tornare a combattere” continuò il sacerdote.

“Sì, anche se è solo merito del marchingegno di Efesto. A volte provo a muovere le gambe senza di esso, e non ci riesco”.

“Apollo dice che è solo questione di tempo..”.

“Imparerai che Apollo dice un sacco di stronzate, ragazzo mio”.

“Come tutti gli Dei, giusto?”.

“Più o meno. Ma senti..posso farti una domanda?”.

“Dipende dalla domanda ma..ok”.

“Ti fidi dei tuoi cavalieri?”.

“I miei cavalieri? Intendi coloro che abitano il santuario e servono Atena?”.

“Chi altro?”.

“Che ne so! Voi Dei avete un cervello talmente contorto..”.

“Fidati: il più è piuttosto lineare”.

“Ah, ok. Ad ogni modo, sì. Ho assoluta fiducia in loro e nella loro lealtà”.

“Di tutti loro?”.

“Sì, perché me lo chiedi?”.

“I romani sapevano che non ero morto e che vivevo qui con Atena. Qualcuno deve averli informati. Chi? Di chi di loro avresti sospetti?”.

“Di nessuno”.

“Nemmeno di quell’Atenocentrico di Aiolos?”.

“La sua visione teocentrica della vita non la capisco, ma non è dannoso. Non metterebbe mai in pericolo il santuario”.

“Sei un sacerdote e non capisci chi mette la religione al centro della vita? Sei strano..”.

“E che vuoi farci..tu, piuttosto..ti fidi di tutti i tuoi figli e sottoposti? Non è che qualcuno di loro è sfuggito dal tuo controllo durante la convalescenza?”.

“No, impossibile. Vogliono tutti che i romani crepino in laghi di sangue, non mi tradirebbero mai”.

Padre e figlio rimasero qualche istante in silenzio, lasciando che il vento dal mare ne agitasse i capelli.

“Comunque..” riprese Arles “Ha ragione Atena! Sei stato un incosciente. Potevi non mostrarti..”.

“E tu non dovevi centrare di imbrogliare la Dea più intelligente dei romani con un’illusione, essendo sfinito e mezzo addormentato!”.

“Faccio solo il mio lavoro: difendere il santuario”.

“Ed io faccio il mio. Altra domanda: chi sa chi hai scelto come successore?”.

“Domanda non pertinente e decontestualizzata ma, ad ogni modo, lo sappiamo solo io e colui che ho scelto”.

“E basta? Nemmeno Atena?”.

“Esatto. Nemmeno lei”.

“E perché?”.

“Perché l’invidia è una forza che corrode anche gli animi più puri”.

“Ma come?! Temi che qualcuno dei tuoi irreprensibili cavalieri possa avere qualcosa da ridire?!”.

“Siamo esseri umani. E gli esseri umani sono deboli ed inclini ad azioni scellerate”.

“Anche gli Dei”.

“Già. Ma i mortali hanno una breve vita soltanto e, per le loro azioni, un solo attimo li condanna per l’eternità”.

“Come sei saggio. Atena ti ha insegnato bene”.

“Non prendermi per il culo! E poi, credi che se tu dicessi a Phobos o Deimos che, in caso di dipartita, spetta ad uno di loro prendere il tuo posto...come credi reagisca l’altro?”.

“Non potrei mai scegliere fra uno dei miei figli”.

“Esattamente come ha fatto Zeus. Ed ora non avete una guida..”.

Arles si allontanò di qualche passo. La bambina romana, di cui ancora ignorava il nome, giocava con Aphrodite fra le rovine. Il sacerdote, distratto, non si accorse dell’incredibilità velocità con cui Phobos e Deimos lo avevano raggiunto. Scattò di lato, preparandosi a subire i loro soliti colpi. Inaspettatamente, questo non avvenne. Entrambi gli stavano sorridendo.

“Che avete? Una paresi?” commentò Arles.

“Una testa divina..” cominciò Phobos, a braccia incrociate “..questo sì che è fare sul serio!”.

“Questo sì che vuol dire essere figli di Ares!” continuò Deimos.

“Che..” borbottò, perplesso, il sacerdote.

“Siamo fieri di te, fratellino! D’ora in poi ti tormenteremo un po’ di meno..” sorrise Phobos.

“Oh, bello” ghignò Arles.

“Scherzo! Ti tormenteremo allo stesso modo. Ma oggi no. Oggi piccola tregua-premio!”.

“Sì” aggiunse Deimos “Passa pure del tempo con la tua piccola oggi. La famiglia è importante”.

“Non è la mia piccola!” protestò Arles “Quella mocciosa è una bambina feticista dei capelli che mi segue dappertutto e non so perché”.

“Ha bisogno di un padre”.

“Che non sarò mai io. Ora, scusatemi, ma vorrei andare a vedere com’è la situazione nel resto del santuario. Con permesso..”.

 

“Lascia che ti aiuti” si offrì Sarah, avvicinandosi a Kanon.

“È solo un graffio” rispose lui, ma la fanciulla era testarda ed insistette.

“Gli altri stanno tutti bene?” domandò, allora, il cavaliere.

“Solo graffi e qualche contusione. Niente di grave. Solo Mur ha qualche ferita in più, ma nulla che un Lemuriano non possa affrontare” sorrise lei.

“Ma tu..chi sei?” volle sapere Kanon “Non ti ho mai vista”.

“Sto sempre alla tredicesima” rispose Sarah.

“Ah, sei la donna di mio fratello!”.

“No! Ma che dite?!”.

“No? Scusa, non volevo offenderti”.

“Nessuna offesa solo che..non sono una puttana!”.

“Non volevo dire questo”.

“Lui sta bene, ora. Quindi è più utile per me prendermi cura di altri al santuario, non trovate?”.

“Assolutamente d’accordo” sorrise Kanon.

 

Kiki rientrò alla prima casa solamente al calar della sera.

“Dove sei stato?” domandò Mur, già di nuovo al lavoro sulle armature.

“A fare un giro. Scusa se ho fatto tardi”.

“Siamo in guerra, non dovresti allontanarti dal santuario”.

“Non mi ci sono allontanato, tranquillizzati!”.

“Non voglio che ti capiti qualcosa di male, cerca di capirmi. Sei molto importante per il santuario, Kiki. Spetterà a te riparare e costruire armature quando io non ci sarò più. Sei l’unico che ha appreso le tecniche necessarie”.

“Lo so. Datti una calmata!”.

Il giovane sbadigliò. Era un po’ stanco ed i discorsi di Mur lo stancavano ancora di più.

“Dammi una mano, Kiki” continuò Mur, indicando le armature.

“Sono stanco, fratello!” protestò il ragazzo.

“E perché? Che hai fatto oggi di così stancante?”.

“Lascia stare! Mi cambio e ti aiuto” sbuffò l’apprendista.

 

All’anfiteatro, Atena ed Ares osservavano gli allenamenti. Il tempo era mite, non troppo caldo. I due si osservavano a vicenda, cercando di capire chi fra i sottoposti dell’altro potesse essere il traditore.

“Perché le tue sacerdotesse indossano delle maschere?” domandò Ares “Come puoi sapere cosa nascondano? Ingannare qualcuno è più semplice se non ti guarda in faccia!”.

“Sono le regole del santuario” rispose lei.

“Che regole stupide! E perché quella con i capelli rossi non la indossa?”.

“Lei è Marin. È sposata e quindi non ha più l’obbligo della maschera”.

“Non capisco certe cose..”.

“Non mi interessa”.

Il Dio della guerra osservava sua figlia, Mirina, che in mezzo all’arena si stava allenando ed azzuffando con Milo. Accanto a loro, Deathmask e Shaina facevano lo stesso. Ares trovava la cosa quasi divertente.

“Dov’è tuo figlio?” domandò Atena.

“Quale dei tanti?” borbottò il Dio, allungando le gambe e rilassandosi.

“Quello che dovrebbe lavorare per me”.

“E non lo fa?”.

“Non lo so. Non lo vedo molto presente”.

“Mia cara, tu pretendi troppo!”.

Atena sbuffò.

“Dobbiamo cercare di recuperare più informazioni possibili sui nemici. Come facciamo?” riprese lui.

“Non lo so. Tu che cosa proponi?”.

“Bella, sei tu quella che fa le strategie!”.

“E tu poi le mandi all’aria, comparendo in battaglia del tutto a casaccio!”.

“Dannata femmina, per te tutto quello che faccio è sbagliato?!”.

“Sì, è così!”.

Ares ringhiò. Atena fece lo stesso. Entrambi scattarono in piedi ed iniziarono ad insultarsi e menare le mani, con spintoni e calci.

“Signora!” si allarmò Aiolos.

“Saory saaaaaaaaan” gridò Seiya.

“E chiudete la bocca!” li interruppe Arles, comparendo all’arena “Non fanno sul serio. Non vedete che si prendono solo in giro? Sono divinità della guerra, se combattessero per davvero ve ne accorgereste. Stanno giocando”.

Atena si accigliò, sentendosi offesa. Fece per aprir bocca e ribattere, ma Deathmask interruppe il litigio, facendo un passo avanti.

“Io ho un’idea” parlò il Cancro “Per spiare i nostri nemici romani”.

“Parla” annuì Ares, continuando a punzecchiare Atena con un dito.

“I romani sono circondati da italiani, loro servi. Io sono italiano, potrei infiltrarmi”.

“Non ti hanno visto alla battaglia?”.

“No. Io e la mia donna eravamo impegnati..in altre attività” ghignò Deathmask “Ma comunque mi offro volontario. Quando poi avrò abbastanza informazioni, tornerò qui”.

“Anche la tua donna è italiana?” volle sapere il Dio.

“Shaina? Sì, esatto”.

“Allora potreste andare insieme. È una missione rischiosa e vorrei che almeno uno dei due tornasse qui a riferire”.

“Un momento!” interruppe Arles “Questa missione è suicida! Non manderai i miei cavalieri a morire così a caso!”.

“I tuoi cavalieri?” si indispettì Atena.

“Perdonatemi, ma..”.

“Non prenderti troppe libertà. Dei Saint dispongo a mio piacimento, chiaro?”.

“Mandandoli a morire?!”.

“Quante volte lo hai fatto tu?!”.

Arles si zittì. Girò la testa leggermente. La Dea aveva ragione. Però..

“Non ti preoccupare, vecchio!” rise Deathmask “Starò attento! E poi..Shaina veglierà su di me!”.

“Io..”.

“E poi..dubiti delle mie capacità, per caso?! Per chi mi hai preso?!”.

“Non dubito di te. Ma saperti circondato da Dei nemici, che so quanto possano essere forti e..”.

“Smettila, sacerdote! Fidati di me”.

Il Cancro sorrideva. Sbruffone come sempre, Deathmask non voleva sentirsi secondo a nessuno.

“Allora è deciso” esclamò Atena “Tu e Shaina partirete quanto prima, e non fermatevi per strada a fare sconcezze, chiaro?”.

“Chiarissimo, signora!” sorrise ancora, divertito, il cavaliere della quarta casa.

“Ti fidi davvero di questo qui?” domandò Ares, rivolto alla Dea.

“Ma sì, che male vuoi che faccia? Al massimo appende qualche testa nuova in casa. Basta che non me le porti alla tredicesima come fa questo delinquente!” sibilò lei, indicando Arles.

“Povero piccolino” ridacchiò Ares “Voleva solo fare un regalo. Come fanno i mici quando ti portano gli animaletti morti davanti alla porta”.

Arles rimase qualche istante in silenzio. Si accigliò.

“Un micio?”sibilò.

“Ma sì, non prenderla come un’offesa!” sorrise Ares.

“Non mi offendo, per carità. Solo che..pensavo si dovesse essere gentili con i vecchi”.

“I vecchi?!”.

“Sì. I poveri vecchi che hanno problemi motori vanno aiutati, no? Poveretto..vecchio, storpio ed accoppiato a forza con una Dea vergine con la passera cucita. Dev’essere dura..”.

“Esageri, mortale!”.

“..così ho pensato: "portiamo un regalo al nonnetto millenario, così che abbia qualcosa con cui giocare e farsi fare un bocchino" e ti ho dato quella testa”.

Ares, accecato dalla rabbia, scattò di lato, nel tentativo di afferrare il figlio, qualche scalino più in su nell’anfiteatro. Purtroppo per lui, il marchingegno progettato da Efesto non era fatto per simili movimenti e non lo resse. Cadde in avanti, in malo modo.

“Patetico Dio” lo derise Arles, serio “Non è ostentando la tua superiorità che puoi far sì che io creda in te. Io non ho alcun motivo per venerarti, rispettarti o riverirti. Non ho motivo alcuno di venerare, rispettare o riverire gli Dèi”.

“Bada a come parli!” lo ammonì Atena.

“Altrimenti? Mi uccidi? Già visto, già fatto. Ci mandate a morire come fossimo mostriciattoli inutili e poi pretendete amore e fede. Non avrete nessuna delle due cose da me. Forse un tempo..forse..

Ma ora non più! E adesso, se non vi dispiace, ho un santuario da amministrare. Voialtri restate pure lì a giocare”.

Il sacerdote si allontanò, nonostante le proteste di Atena. La Dea, sentendosi un pochino inutile, si avvicinò al fratello ,preoccupata.

“Stai bene?” gli domandò.

Ares, dopo l’incontro ravvicinato fra la sua faccia e lo scalino dell’anfiteatro, mugugnò. Atena gli andò accanto e cercò di capire se fosse tutto apposto. Il Dio sedette, massaggiandosi la botta.

“Ti faccio portare del ghiaccio?” insistette la Dea.

“Ma no, che vuoi che sia!” la zittì lui “Piuttosto..devo rimettere in riga quel mortale. Anche se è mio figlio, non posso permettere che mi si parli così!”.

“Siamo tutti un po’ stressati. Credo che per ora dovresti lasciar correre”.

“Lasciar correre? Non se ne parla! Lascia che mi alzi da qui e..”.

“E non farai niente!” si intromise Phobos, con Deimos al suo fianco.

“Che..?!” si stupì Ares.

“Non farai niente. Lo hai messo alla prova fin dal primo istante. Sai che è un mortale e che è più delicato di noialtri Dei, eppure lo hai sottoposto a trattamenti non consoni alla sua natura. Ciò nonostante lui si è rivelato sempre all’altezza. Ha sconfitto il drago, ha conquistato l’armatura, ha volato, ha imbrogliato un esercito con le sue illusioni e ti ha portato la testa di una Dea. Che altro pretendi? Ha fatto tutto questo e tu lo hai deriso definendolo un micio che fa i regali. So che è un aspetto del carattere di famiglia fare così, ma stavolta non puoi dare la colpa a quello perché noi, Phobos e Deimos, riconosciamo il gesto di Arles e comprendiamo la sua rabbia ed il suo sfogo. Fossi stato in lui, io ti avrei smontato la faccia a pugni. Perciò non alzerai un dito contro Arles per punirlo, perché altrimenti te la vedrai con noi. E sai bene che, così come sei messo, non hai grandi speranze”.

“Phobos..Deimos..voi..”.

“Noi siamo pronti”.

“Dov’è la vostra lealtà? Mi affrontereste per difendere un mortale?!”.

“No. Ti affronteremmo per difendere nostro fratello”.

   
 
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