XV
LEALTÁ
Ares
osservava il grande tempio dall’alto, sfruttando la posizione
della
tredicesima. Pareva annoiato. Era tutto così calmo! Sentiva
solo le urla dei
suoi figli, mentre si allenavano.
“Vedo
che ora non hai problemi a stare in piedi” si
sentì dire.
“Già”
rispose il Dio.
A
parlare era stato Arles, con i capelli neri scombinati in una
pettinatura
assurda. Il genitore sorrise, divertito.
“Bene.
Potrai tornare a combattere” continuò il sacerdote.
“Sì,
anche se è solo merito del marchingegno di Efesto. A volte
provo a muovere le
gambe senza di esso, e non ci riesco”.
“Apollo
dice che è solo questione di tempo..”.
“Imparerai
che Apollo dice un sacco di stronzate, ragazzo mio”.
“Come
tutti gli Dei, giusto?”.
“Più
o
meno. Ma senti..posso farti una domanda?”.
“Dipende
dalla domanda ma..ok”.
“Ti
fidi
dei tuoi cavalieri?”.
“I
miei
cavalieri? Intendi coloro che abitano il santuario e servono
Atena?”.
“Chi
altro?”.
“Che
ne
so! Voi Dei avete un cervello talmente contorto..”.
“Fidati:
il più è piuttosto lineare”.
“Ah,
ok.
Ad ogni modo, sì. Ho assoluta fiducia in loro e nella loro
lealtà”.
“Di
tutti loro?”.
“Sì,
perché me lo chiedi?”.
“I
romani sapevano che non ero morto e che vivevo qui con Atena. Qualcuno
deve
averli informati. Chi? Di chi di loro avresti sospetti?”.
“Di
nessuno”.
“Nemmeno
di quell’Atenocentrico di Aiolos?”.
“La
sua
visione teocentrica della vita non la capisco, ma non è
dannoso. Non metterebbe
mai in pericolo il santuario”.
“Sei
un
sacerdote e non capisci chi mette la religione al centro della vita?
Sei
strano..”.
“E che
vuoi farci..tu, piuttosto..ti fidi di tutti i tuoi figli e sottoposti?
Non è
che qualcuno di loro è sfuggito dal tuo controllo durante la
convalescenza?”.
“No,
impossibile. Vogliono tutti che i romani crepino in laghi di sangue,
non mi
tradirebbero mai”.
Padre e
figlio rimasero qualche istante in silenzio, lasciando che il vento dal
mare ne
agitasse i capelli.
“Comunque..”
riprese Arles “Ha ragione Atena! Sei stato un incosciente.
Potevi non
mostrarti..”.
“E tu
non dovevi centrare di imbrogliare la Dea più intelligente
dei romani con
un’illusione, essendo sfinito e mezzo
addormentato!”.
“Faccio
solo il mio lavoro: difendere il santuario”.
“Ed io
faccio il mio. Altra domanda: chi sa chi hai scelto come
successore?”.
“Domanda
non pertinente e decontestualizzata ma, ad ogni modo, lo sappiamo solo
io e
colui che ho scelto”.
“E
basta? Nemmeno Atena?”.
“Esatto.
Nemmeno lei”.
“E
perché?”.
“Perché
l’invidia è una forza che corrode anche gli animi
più puri”.
“Ma
come?! Temi che qualcuno dei tuoi irreprensibili cavalieri possa avere
qualcosa
da ridire?!”.
“Siamo
esseri umani. E gli esseri umani sono deboli ed inclini ad azioni
scellerate”.
“Anche
gli Dei”.
“Già.
Ma
i mortali hanno una breve vita soltanto e, per le loro azioni, un solo
attimo
li condanna per l’eternità”.
“Come
sei saggio. Atena ti ha insegnato bene”.
“Non
prendermi per il culo! E poi, credi che se tu dicessi a Phobos o Deimos
che, in
caso di dipartita, spetta ad uno di loro prendere il tuo posto...come
credi
reagisca l’altro?”.
“Non
potrei mai scegliere fra uno dei miei figli”.
“Esattamente
come ha fatto Zeus. Ed ora non avete una guida..”.
Arles si
allontanò di qualche passo. La bambina romana, di cui ancora
ignorava il nome,
giocava con Aphrodite fra le rovine. Il sacerdote, distratto, non si
accorse
dell’incredibilità velocità con cui
Phobos e Deimos lo avevano raggiunto.
Scattò di lato, preparandosi a subire i loro soliti colpi.
Inaspettatamente,
questo non avvenne. Entrambi gli stavano sorridendo.
“Che
avete? Una paresi?” commentò Arles.
“Una
testa divina..” cominciò Phobos, a braccia
incrociate “..questo sì che è fare
sul serio!”.
“Questo
sì che vuol dire essere figli di Ares!”
continuò Deimos.
“Che..”
borbottò, perplesso, il sacerdote.
“Siamo
fieri di te, fratellino! D’ora in poi ti tormenteremo un
po’ di meno..” sorrise
Phobos.
“Oh,
bello” ghignò Arles.
“Scherzo!
Ti tormenteremo allo stesso modo. Ma oggi no. Oggi piccola
tregua-premio!”.
“Sì”
aggiunse Deimos “Passa pure del tempo con la tua piccola
oggi. La famiglia è
importante”.
“Non
è
la mia piccola!” protestò Arles “Quella
mocciosa è una bambina feticista dei
capelli che mi segue dappertutto e non so perché”.
“Ha
bisogno di un padre”.
“Che
non
sarò mai io. Ora, scusatemi, ma vorrei andare a vedere
com’è la situazione nel
resto del santuario. Con permesso..”.
“Lascia
che ti aiuti” si offrì Sarah, avvicinandosi a
Kanon.
“È
solo
un graffio” rispose lui, ma la fanciulla era testarda ed
insistette.
“Gli
altri stanno tutti bene?” domandò, allora, il
cavaliere.
“Solo
graffi e qualche contusione. Niente di grave. Solo Mur ha qualche
ferita in
più, ma nulla che un Lemuriano non possa
affrontare” sorrise lei.
“Ma
tu..chi sei?” volle sapere Kanon “Non ti ho mai
vista”.
“Sto
sempre alla tredicesima” rispose Sarah.
“Ah,
sei
la donna di mio fratello!”.
“No!
Ma
che dite?!”.
“No?
Scusa, non volevo offenderti”.
“Nessuna
offesa solo che..non sono una puttana!”.
“Non
volevo dire questo”.
“Lui
sta
bene, ora. Quindi è più utile per me prendermi
cura di altri al santuario, non
trovate?”.
“Assolutamente
d’accordo” sorrise Kanon.
Kiki
rientrò alla prima casa solamente al calar della sera.
“Dove
sei stato?” domandò Mur, già di nuovo
al lavoro sulle armature.
“A
fare
un giro. Scusa se ho fatto tardi”.
“Siamo
in guerra, non dovresti allontanarti dal santuario”.
“Non
mi
ci sono allontanato, tranquillizzati!”.
“Non
voglio che ti capiti qualcosa di male, cerca di capirmi. Sei molto
importante
per il santuario, Kiki. Spetterà a te riparare e costruire
armature quando io
non ci sarò più. Sei l’unico che ha
appreso le tecniche necessarie”.
“Lo
so. Datti
una calmata!”.
Il
giovane sbadigliò. Era un po’ stanco ed i discorsi
di Mur lo stancavano ancora
di più.
“Dammi
una mano, Kiki” continuò Mur, indicando le
armature.
“Sono
stanco, fratello!” protestò il ragazzo.
“E
perché? Che hai fatto oggi di così
stancante?”.
“Lascia
stare! Mi cambio e ti aiuto” sbuffò
l’apprendista.
All’anfiteatro,
Atena ed Ares osservavano gli allenamenti. Il tempo era mite, non
troppo caldo.
I due si osservavano a vicenda, cercando di capire chi fra i sottoposti
dell’altro potesse essere il traditore.
“Perché
le tue sacerdotesse indossano delle maschere?”
domandò Ares “Come puoi sapere
cosa nascondano? Ingannare qualcuno è più
semplice se non ti guarda in
faccia!”.
“Sono
le
regole del santuario” rispose lei.
“Che
regole stupide! E perché quella con i capelli rossi non la
indossa?”.
“Lei
è
Marin. È sposata e quindi non ha più
l’obbligo della maschera”.
“Non
capisco certe cose..”.
“Non
mi
interessa”.
Il Dio
della guerra osservava sua figlia, Mirina, che in mezzo
all’arena si stava
allenando ed azzuffando con Milo. Accanto a loro, Deathmask e Shaina
facevano
lo stesso. Ares trovava la cosa quasi divertente.
“Dov’è
tuo figlio?” domandò Atena.
“Quale
dei tanti?” borbottò il Dio, allungando le gambe e
rilassandosi.
“Quello
che dovrebbe lavorare per me”.
“E non
lo fa?”.
“Non
lo
so. Non lo vedo molto presente”.
“Mia
cara, tu pretendi troppo!”.
Atena
sbuffò.
“Dobbiamo
cercare di recuperare più informazioni possibili sui nemici.
Come facciamo?”
riprese lui.
“Non
lo
so. Tu che cosa proponi?”.
“Bella,
sei tu quella che fa le strategie!”.
“E tu
poi le mandi all’aria, comparendo in battaglia del tutto a
casaccio!”.
“Dannata
femmina, per te tutto quello che faccio è
sbagliato?!”.
“Sì,
è
così!”.
Ares
ringhiò. Atena fece lo stesso. Entrambi scattarono in piedi
ed iniziarono ad
insultarsi e menare le mani, con spintoni e calci.
“Signora!”
si allarmò Aiolos.
“Saory
saaaaaaaaan” gridò Seiya.
“E
chiudete la bocca!” li interruppe Arles, comparendo
all’arena “Non fanno sul
serio. Non vedete che si prendono solo in giro? Sono
divinità della guerra, se
combattessero per davvero ve ne accorgereste. Stanno
giocando”.
Atena si
accigliò, sentendosi offesa. Fece per aprir bocca e
ribattere, ma Deathmask interruppe
il litigio, facendo un passo avanti.
“Io ho
un’idea” parlò il Cancro “Per
spiare i nostri nemici romani”.
“Parla”
annuì Ares, continuando a punzecchiare Atena con un dito.
“I
romani sono circondati da italiani, loro servi. Io sono italiano,
potrei infiltrarmi”.
“Non
ti
hanno visto alla battaglia?”.
“No.
Io
e la mia donna eravamo impegnati..in altre
attività” ghignò Deathmask
“Ma
comunque mi offro volontario. Quando poi avrò abbastanza
informazioni, tornerò
qui”.
“Anche
la tua donna è italiana?” volle sapere il Dio.
“Shaina?
Sì, esatto”.
“Allora
potreste andare insieme. È una missione rischiosa e vorrei
che almeno uno dei
due tornasse qui a riferire”.
“Un
momento!” interruppe Arles “Questa missione
è suicida! Non manderai i miei
cavalieri a morire così a caso!”.
“I
tuoi
cavalieri?” si indispettì Atena.
“Perdonatemi,
ma..”.
“Non
prenderti troppe libertà. Dei Saint dispongo a mio
piacimento, chiaro?”.
“Mandandoli
a morire?!”.
“Quante
volte lo hai fatto tu?!”.
Arles si
zittì. Girò la testa leggermente. La Dea aveva
ragione. Però..
“Non
ti
preoccupare, vecchio!” rise Deathmask
“Starò attento! E poi..Shaina veglierà
su
di me!”.
“Io..”.
“E
poi..dubiti delle mie capacità, per caso?! Per chi mi hai
preso?!”.
“Non
dubito di te. Ma saperti circondato da Dei nemici, che so quanto
possano essere
forti e..”.
“Smettila,
sacerdote! Fidati di me”.
Il
Cancro sorrideva. Sbruffone come sempre, Deathmask non voleva sentirsi
secondo
a nessuno.
“Allora
è deciso” esclamò Atena “Tu e
Shaina partirete quanto prima, e non fermatevi
per strada a fare sconcezze, chiaro?”.
“Chiarissimo,
signora!” sorrise ancora, divertito, il cavaliere della
quarta casa.
“Ti
fidi
davvero di questo qui?” domandò Ares, rivolto alla
Dea.
“Ma
sì,
che male vuoi che faccia? Al massimo appende qualche testa nuova in
casa. Basta
che non me le porti alla tredicesima come fa questo
delinquente!” sibilò lei,
indicando Arles.
“Povero
piccolino” ridacchiò Ares “Voleva solo
fare un regalo. Come fanno i mici quando
ti portano gli animaletti morti davanti alla porta”.
Arles
rimase qualche istante in silenzio. Si accigliò.
“Un
micio?”sibilò.
“Ma
sì,
non prenderla come un’offesa!” sorrise Ares.
“Non
mi
offendo, per carità. Solo che..pensavo si dovesse essere
gentili con i vecchi”.
“I
vecchi?!”.
“Sì.
I
poveri vecchi che hanno problemi motori vanno aiutati, no?
Poveretto..vecchio,
storpio ed accoppiato a forza con una Dea vergine con la passera
cucita.
Dev’essere dura..”.
“Esageri,
mortale!”.
“..così
ho pensato: "portiamo un regalo al nonnetto millenario, così
che abbia qualcosa
con cui giocare e farsi fare un bocchino" e ti ho dato quella
testa”.
Ares,
accecato dalla rabbia, scattò di lato, nel tentativo di
afferrare il figlio,
qualche scalino più in su nell’anfiteatro.
Purtroppo per lui, il marchingegno
progettato da Efesto non era fatto per simili movimenti e non lo resse.
Cadde
in avanti, in malo modo.
“Patetico
Dio” lo derise Arles, serio “Non è
ostentando la tua superiorità che puoi far
sì che io creda in te. Io non ho alcun motivo per venerarti,
rispettarti o
riverirti. Non ho motivo alcuno di venerare, rispettare o riverire gli
Dèi”.
“Bada
a
come parli!” lo ammonì Atena.
“Altrimenti?
Mi uccidi? Già visto, già fatto. Ci mandate a
morire come fossimo
mostriciattoli inutili e poi pretendete amore e fede. Non avrete
nessuna delle
due cose da me. Forse un tempo..forse..
Ma ora
non più! E adesso, se non vi dispiace, ho un santuario da
amministrare.
Voialtri restate pure lì a giocare”.
Il
sacerdote si allontanò, nonostante le proteste di Atena. La
Dea, sentendosi un
pochino inutile, si avvicinò al fratello ,preoccupata.
“Stai
bene?” gli domandò.
Ares,
dopo l’incontro ravvicinato fra la sua faccia e lo scalino
dell’anfiteatro,
mugugnò. Atena gli andò accanto e
cercò di capire se fosse tutto apposto. Il
Dio sedette, massaggiandosi la botta.
“Ti
faccio portare del ghiaccio?” insistette la Dea.
“Ma
no,
che vuoi che sia!” la zittì lui
“Piuttosto..devo rimettere in riga quel
mortale. Anche se è mio figlio, non posso permettere che mi
si parli così!”.
“Siamo
tutti un po’ stressati. Credo che per ora dovresti lasciar
correre”.
“Lasciar
correre? Non se ne parla! Lascia che mi alzi da qui e..”.
“E non
farai niente!” si intromise Phobos, con Deimos al suo fianco.
“Che..?!”
si stupì Ares.
“Non
farai niente. Lo hai messo alla prova fin dal primo istante. Sai che
è un
mortale e che è più delicato di noialtri Dei,
eppure lo hai sottoposto a
trattamenti non consoni alla sua natura. Ciò nonostante lui
si è rivelato
sempre all’altezza. Ha sconfitto il drago, ha conquistato
l’armatura, ha
volato, ha imbrogliato un esercito con le sue illusioni e ti ha portato
la
testa di una Dea. Che altro pretendi? Ha fatto tutto questo e tu lo hai
deriso
definendolo un micio che fa i regali. So che è un aspetto
del carattere di
famiglia fare così, ma stavolta non puoi dare la colpa a
quello perché noi,
Phobos e Deimos, riconosciamo il gesto di Arles e comprendiamo la sua
rabbia ed
il suo sfogo. Fossi stato in lui, io ti avrei smontato la faccia a
pugni.
Perciò non alzerai un dito contro Arles per punirlo,
perché altrimenti te la
vedrai con noi. E sai bene che, così come sei messo, non hai
grandi speranze”.
“Phobos..Deimos..voi..”.
“Noi
siamo pronti”.
“Dov’è
la vostra lealtà? Mi affrontereste per difendere un
mortale?!”.
“No.
Ti
affronteremmo per difendere nostro fratello”.