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Autore: Princess Of Marshmallows    22/03/2015    6 recensioni
{ • TASSATIVAMENTE VIETATA AGLI STOMACI DEBOLI | psycho!Ticci-Toby | abusi sessuali | torture fisiche e psicologiche | prigionia | bipolarismo | C.I.P.A. | allucinazioni }
“Doveva essersi assopita, perché non si era resa conto dei passi che si avvicinavano sempre di più alla sua stanza, ma quando sentì la porta aprirsi di scatto si svegliò immediatamente, e la luce l’abbagliò per qualche secondo.
Sapeva che sarebbe venuto. La figura si avvicinò a lei lentamente, mentre la ragazza voltò lo sguardo dalla parte opposta mentre si sentiva mancare il fiato dalla paura. Nella sua mente ritornarono nuovamente a galla le immagini di quella mattina. Cominciò a tremare e a battere i denti per il terrore quando sentì i suoi guanti di pelle neri poggiarsi sulla sua gamba.
«Hai paura? È così brutto stare con me?», domandò all’improvviso, facendola sussultare.”

Per il mondo Anastasia Hamilton è morta il sei ottobre duemilatredici nel genocidio di Denver.
Nessuno sa che è ancora viva e si è ritrovata costretta a subire giornalmente torture di ogni tipo.
• Storia precedentemente intitolata "Hopeless Children of the Lonely Night".
Genere: Angst, Dark, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeff the Killer, Lyra Rogers, Nuovo personaggio, Slenderman, Ticci Toby
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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L’uomo era uno e nessuno

Avviso: Anche se l’ho inserito nel primo capitolo, volevo avvisarvi che recentemente ho creato il trailer della Fan Fiction. E’ il mio primo video, quindi non è un granché, però spero comunque che vi piaccia!
Ecco a voi il Link se vi interessa:

https://www.youtube.com/watch?v=gvK6MpO1U1Q

 

 

 

 

Part I

Chapter III

Insopprimibile ronzio

 

 

Chi è stato torturato rimane torturato. Chi ha subito il tormento non potrà più ambientarsi nel mondo, l'abominio dell'annullamento non si estingue mai. La fiducia nell'umanità, già incrinata dal primo schiaffo sul viso, demolita poi dalla tortura, non si riacquista più.

Jean Améry

 

 

L’uomo era uno e nessuno.

Portava da anni la sua faccia appiccicata alla testa e la sua ombra cucita ai piedi e ancora non era riuscito a capire quale delle due pesasse di più. Qualche volta provava l’impulso irrefrenabile di staccarle e appenderle ad un chiodo e restare lì, seduto a terra, come un burattino al quale una mano pietosa aveva staccato i fili.

A volte la fatica cancellava tutto e non concedeva la possibilità di capire che l’unico modo valido di seguire la ragione era abbandonarsi ad una corsa sfrenata sul cammino della follia. La vita era un continuo inseguirsi di facce, ombre e voci, persone che non si ponevano nemmeno la domanda e accettavano passivamente una vita senza risposte per la noia o il dolore del viaggio, accontentandosi di spedire qualche stupida cartolina ogni tanto.

C’era pace dove si trovava, era presente un lieve venticello notturno che urtava contro i rami spogli, poche erano chiome di abeti che danzavano e dei gufi che emettevano il loro monotono verso, formando insieme una melodia naturale che avrebbe potuto portare un senso di serenità ed armonia anche all’animo più corrotto.

Toby si appoggiò al solido tronco di un abete e pensò che tutti gli esseri umani erano inutili.

Di fronte a lui, ad una ventina di metri di distanza, camminando insieme mano nella mano a passo lento c’erano due persone, un uomo ed una donna.

Nella luce soffusa lei era sottile e dolce come la malinconia, aveva i capelli neri e due occhi color ghiaccio, talmente luminosi da poter attirare l’attenzione di chiunque. Lui aveva occhi solo per la sua bellezza in quell’istante e le sussurrava in continuazione all’orecchio, al fine che la sua voce non rimbombasse all’interno di quella foresta e svegliasse qualche scoiattolo in letargo. Si diedero un casto bacio e lei rise alle parole del compagno, rovesciando la testa all’indietro o nascondendo il viso nell’incavo della spalla.

Poco fa lei aveva udito un rumore, e si era voltata di scatto, notando un’anziana infreddolita puzzola tra i cespugli. Gli occhi della giovane donna incrociarono quelli dell’animale, ma quelli di lei erano passati indifferenti dinanzi all’adorabile muso dell’altra, come sul resto del mondo che la circondava. Era tornata a regalare il miracolo di quegli occhi all’uomo che era con lei e che la ricambiava con lo stesso sguardo, impermeabile ad ogni messaggio esterno al di fuori della sua presenza. Due luminose fedi dorate splendevano sui loro anulari.

Erano giovani, sposati, felici.

Toby, ancora appoggiato sul medesimo tronco, pensò che presto sarebbero morti.

 

Quella notte qualcosa si era spento nel cervello di Anastasia, come se una delle manovelle avesse all’improvviso smesso di girare.

Era di nuovo finita in quel ripostiglio fin troppo ristretto, luogo in cui aveva passato i primi tre mesi della sua prigionia, senza poter uscire. Aveva provato più volte a fracassare la porta di cemento blindata, ma con scarsi risultati.

Aveva soprannominato quel ripostiglio la scatola, date le sue modeste dimensioni. Avrebbe potuto essere l’incubo di ogni claustrofobico: era alta solo centoventi centimetri, infatti per muoversi al suo interno era costretta a gattonare. Neanche la larghezza della stanza era particolarmente generosa: orizzontalmente era lunga centottanta centimetri da una parte e novanta centimetri dall’altra.

Riusciva tuttora a credere a stento di essere riuscita a passare così tanto tempo in quell’agghiacciante camera. Toby ultimamente la rinchiudeva là dentro quando doveva lavorare. E ogni volta la ragazza temeva che non sarebbe più tornato, considerato che – se gli fosse successo qualcosa di grave – lei sarebbe morta nel giro di pochi giorni.

Tese l’orecchio, disperata, nella speranza che tornasse. Niente. Era stata di nuovo totalmente tagliata fuori dal mondo esterno. Attraverso le crepe dei pannelli di legno non penetrava alcun suono e non filtrava nemmeno un po’ di luce. L’aria puzzava di muffa e si posava sulla ragazza come un sottile strato di umidità che non riusciva a togliersi di dosso. L’unico rumore che le teneva compagnia erano le interferenze di una vecchia televisione di quindici pollici. Tuttavia in quel luogo sembrava non prendere alcun canale e Toby fin dal primo giorno della sua prigionia le aveva proibito di spegnerlo, quindi era costretta ad udire costantemente quel suono, mentre all’interno dello schermo della televisione strisce e bianche e nere si alternavano e si dislocavano continuamente, come se stessero quasi danzando.

Bzzzzzzzzzzzzz

Quel rumore era una vera e propria tortura: dal primo giorno quel ronzio riempì giorno e notte la sua piccolissima stanza, fino a diventare talmente irreale e stridulo da farle premere le mani sulle orecchie per non sentirlo. Quando il televisore si surriscaldava, cominciava a puzzare e lo schermo diventava totalmente nero per qualche secondo. Allora quel suono stridulo rallentava e subentrava un rumore nuovo.

Toc. Toc. Toc.

E poi il ronzio ricominciava.

In alcuni giorni il rumore assillante riempiva non solo ogni angolo della stanza, ma anche tutti quelli all’interno della testa di Anastasia.

Un altro fattore del suo turbamento era una luce artificiale accesa ventiquattro ore su ventiquattro che Toby aveva installato durante il terzo giorno dal suo rapimento. All’inizio la ragazza pensava fosse qualcosa di positivo, dato che la scatola diventava completamente buia senza di essa, e di conseguenza credeva che si sarebbe rivelata una sicurezza e le avrebbe donato il coraggio necessario per affrontare quell’ingiusta situazione. Tuttavia quella luce persistente e abbagliante si svelò quasi altrettanto orribile. Le dolevano spesso gli occhi e la mise in uno stato di veglia dalla quale non riusciva ad uscirne: anche quando si tirava la coperta sulla testa per attenuare il chiarore, il suo sonno era inquieto e leggero. La paura e la luce abbagliante non le concedevano qualcosa di più di un leggero dormiveglia, dal quale si scuoteva con la sensazione che fosse pieno giorno. Ma nella luce artificiale di quello scantinato chiusa ermeticamente, non c’era più alcuna differenza tra il giorno e la notte.

Anastasia non era a conoscenza che esporre i prigionieri alla luce artificiale continua era un metodo di tortura diffuso: le piante deperiscono quando sono esposte costantemente alla luce, gli animali muoiono. Per gli uomini era una tortura perfida, più efficace della violenza fisica: il bioritmo e lo schema del sonno ne sono così alterati che il suo corpo, per la profonda spossatezza, reagì come paralizzato e, già dopo un paio di giorni, il cervello non funziona più bene e perde alcune delle sue capacità. Altrettanto terribile ed efficace era la tortura per mezzo di un trattamento con ultrasuoni permanente e di esposizione a rumori ai quali non ci si può sottrarre. Come quello ronzante e stridulo di un televisore.

Ma mentre prima la ragazza trovava quella situazione inumana ed inammissibile, in quel breve istante, non molto tempo dopo che uno dei fili all’interno del suo cervello si fosse spezzato, una frase rimbombò all’interno della sua anima.

Forse è giusto così.

Era regredita interiormente. La mentalità dell’adolescente di diciassette anni ritornò allo stadio di una bambina di quattro o cinque anni che accettava il mondo intorno a sé così come le si presentasse; per la quale i punti di riferimento necessari per provare una sensazione di normalità non erano dati dalla comprensione logica della realtà, bensì dai piccoli rituali del quotidiano. Per non crollare completamente. La sua situazione era così estranea a tutto ciò che si potesse prevedere che, inconsciamente quanto lentamente, si ritirò in quello stadio: si sentì piccola, in balia di qualcun altro e libera da ogni responsabilità. La persona che l’aveva rinchiusa in quella prigione era l’unico adulto presente e, di conseguenza, colui investito di autorità e che avrebbe sempre saputo cosa fare.

Quella regressione intuitiva allo stadio comportamentale di un bambino piccolo fu il primo cambiamento importante del suo inconscio. Fu il disperato tentativo di creare una piccola isola familiare in una situazione senza via d’uscita.

L’involuzione mentale della ex-modella era dovuta principalmente a come Toby era solito a comportarsi con lei: le sbucciava le arance e gliele infilava in bocca, spicchio dopo spicchio, come se la ragazza non fosse capace di mangiare in maniera autonoma. Una volta gli domandò una gomma da masticare, ma questo gliela negò, per paura che potesse restare soffocata. La sera le costringeva ad aprire la bocca e le puliva i denti come se non sapesse neanche reggere uno spazzolino. Ogni due settimane le afferrava bruscamente i polsi e le caviglie, la teneva ben ferma e le tagliava le unghie ed una volta al mese le faceva la ceretta.

Si sentiva regredita, come se il serial killer le avesse tolto l’ultimo rimasuglio di dignità che, in quella situazione, cercava di conservare. Allo stesso tempo sapeva di essere stata lei stessa a voler inconsapevolmente mettersi in quello stadio che le assicurava un certo grado di protezione. Perché già dal primo giorno le era toccato sperimentare quanto Toby, nella sua paranoia, oscillasse tra il trattarla come se fosse troppo piccola oppure troppo indipendente.

 

Toby squadrò i due cadaveri con sguardo disinteressato: le loro interiora formavano una scia sulla candida neve, sulla quale i loro occhi – ormai fuori dalle orbite – erano leggermente affondati.

Il ragazzo osservò i bulbi oculari di lei e si chinò appena, sfiorandoli con la punta dei guanti neri. Era stata davvero una bella donna, e quegli occhi color ghiaccio splendidi quanto rari erano indescrivibilmente incantevoli. Ebbe l’istinto di raccoglierli e conservarseli, ma successivamente si arrestò, rimproverandosi mentalmente: possedeva già una splendida creatura la quale stava impazientemente aspettando il suo ritorno. Percepì il suo compiacere gli occhi di un’altra donna come una forma di tradimento.

Si tolse gli spessi occhiali, strofinando concitatamente la manica della sua felpa grigia sulle rotonde lenti arancioni, le quali si erano appannate a causa del clima invernale.

Esaminò nuovamente il cadavere della giovane donna, soffermandosi sul cappotto grigio di pelliccia imbrattato dal suo stesso sangue. Senza pensarci troppo, la sollevò tirandola per l’avambraccio e le sfilò l’indumento, per poi lasciarla capitombolare con noncuranza.

Non voglio che la mia piccola si ammali. Con questo starà al caldo.

Il suo sguardo cadde sul salma di lui e gli venne quasi spontaneo aggrottare le sopracciglia, mentre sentiva una smisurata sensazione di collera invadere ogni centimetro delle sue ossa.

Che cosa aveva di così speciale? Come era riuscito a conquistare quella donna? A farla ridere? Ad essere felice?

Perché Anastasia non si comporta allo stesso modo?

Inspirò profondamente, cercando di resistere ad ogni impulso violento; ebbe un tic e le sue braccia si contrassero più del solito.

«Invece di contemplare su quei cadaveri, pensa ad un modo efficace per sbarazzartene», una voce fin troppo fastidiosamente familiare gli accattonò la pelle e il castano serrò i denti, premendoli con brutale forza sul palato al fine di non perdere totalmente il controllo. Si voltò, incrociando per l’ennesima volta la figura di quel ragazzo qualche anno più grande rispetto a lui. Toby si alzò di scatto, avvicinandosi minacciosamente all’altro, per poi bloccarsi a pochi metri di distanza. Nonostante all’uno fosse stato severamente proibito ferire l’altro, entrambi ardevano al solo pensiero di poter trasgredire a quella piccola regola imposta dal loro patrono. Tuttavia infrangerla avrebbe portato a brutali conseguenze, ed entrambi tenevano molto alla loro nomea.

«Perché non lo fai tu? O forse l’ex-pupillo non vuole sporcarsi le mani?», lo provocò, sperando in una reazione violenta da pare dell’altro. Probabilmente, se non avesse portato quella maschera bianca, avrebbe potuto vedere i suoi occhi spazientiti ridursi a due fessure. Aveva toccato il suo punto debole, e ne era perfettamente a conoscenza.

«Credo che tu sappia meglio di me quanto la polizia degli Stati Uniti sia efficiente. Basta un piccolo errore e quelli ci scoprono», si guardò attorno, come se avesse paura che qualcuno li stesse osservando. Successivamente si voltò verso un Toby seccato e riprese a parlare. «E comunque, sei tu quello con i guanti qui. La polizia troverebbe tracce del mio DNA sui loro corpi».

L’altro si limitò a sospirare infastidito. Non era mai riuscito ad andare d’accordo con Masky: ogni volta finivano sempre in un dibattito o comunque in una conversazione poco piacevole. La loro avversione era dovuta al loro capo. Entrambi erano incondizionatamente devoti a lui, e di conseguenza desideravano sempre accontentarlo e ricevere la sua approvazione; questo loro obbiettivo in comune li aveva portati ad una forte rivalità e a competizioni giornaliere.

Il Capo aveva proibito a Masky di fare del male a Toby e viceversa. Eppure entrambi sembravano attendere impazientemente di cogliere l’attimo che li avrebbe permesso di squarciarsi a vicenda.

Ma l’attesa li stava rendendo sempre più iracondi.

 

Bzzzzzzz

Anastasia fissò infastidita il televisore. Anelava a spegnerlo, ma allo stesso tempo era terrorizzata all’idea di qualche punizione. Tra l’altro quel giorno la pancia le doleva più del solito, e non poteva fare a meno di domandarsi se stesse succedendo qualcosa al bambino. Sapeva già che quella creatura non sarebbe riuscita a vivere per molto dopo il parto o – ancora peggio – sarebbe morta dentro di lei a causa del mal nutrimento. Questo era forse il motivo principale per cui cercava di prendere le distanze e non affezionarsi troppo.

«Ehi, moccioso, sai per caso come si fa a diventare coraggiosi?», domandò ad alta voce, anche se probabilmente la domanda era rivolta più a stessa che al bambino.

Il coraggio era probabilmente una dote che non avrebbe mai posseduto, al contrario ricordava che fin dalla tenera età era stata una bambina codarda, ma soprattutto vigliacca.

Se fosse stata coraggiosa avrebbe tentato più volte di fuggire dalla sua prigionia o avrebbe mostrato continui segni di ribellione, senza temere le punizioni del suo rapitore. Anche in quell’istante, invece di restare rannicchiata su stessa, avrebbe già escogitato un nuovo piano per la fuga.

O ancora, se fosse stata coraggiosa si sarebbe suicidata già da tempo, eppure era troppo codarda anche per affrontare la paura e il dolore della morte.

«Ma io non sono coraggiosa», sussurrò a denti stretti, stringendosi nelle spalle e chiudendo gli occhi. L’unica cosa da fare era aspettare distaccatamente che qualcosa sarebbe cambiato, prima o poi.

Dopotutto non è poi così male stare con lui, una volta che ti abitui.

Anastasia sorrise. Non era un sorriso speranzoso o raggiante, ma nemmeno amareggiato o forzato.

Era un sorriso e basta.

 

Bzzzzzzzzzzz

 

 

 

 

Note dell’autrice: Eccomi! Non riesco a crederci, sono riuscita a rispettare i tempi che mi ero imposta, è un grande passo per me, considerata la mia eterna pigrizia, yay!

Ecco a voi il terzo capitolo di questa Fan Fiction!

Diciamo che questo è più un capitolo di “passaggio” per comprendere meglio i personaggi di Toby e di Anastasia e – da come possiamo vedere – la psicologia di quest’ultima va pian piano peggiorando.

Per scrivere i suoi pensieri ho dovuto fare diverse ricerche e mi sono dovuta adattare a storie di persone che hanno subìto realmente la prigionia, ma non ho disubbidito a nessuna delle regole imposte da EFP.

Nei prossimi due o tre capitoli si ritornerà al passato, e…no, non dico nient’altro.

Visto che ci sono, volevo ringraziare xmaliksmilk per il banner e diverse persone…

In primis, ringrazio KillerxPenguen_93, AnonimaKim, Goshikkudoru, Amekita, Petronela_Madness, Neko_chan14, Thedaughterofsatan, CrazySmile28, mysterydoragon, lovinfaber, BabyScaryDoll_01, laragazzadisabbia e Rosa Hagane per essere stati così gentili da recensire la mia storia.

Inoltre ringrazio AnonimaKim, CrazySmile28, laragazzadisabbia, Neko_chan14, Nightmare Bloody e Thedaughterofsatan per aver inserito la mia storia tra le preferite.

Ci tenevo inoltre a ringraziare BabyScaryDoll_01, CrazySmile28, Goshikkudoru, lovinfaber, Miss Blue, mysterydoragon e _silence_ per averla inserita tra le seguite.

Insomma, ringrazio tutte queste persone per il meraviglioso supporto che mi stanno dando e un piccolo grazie va anche a “chi legge la storia e basta” e continuerà a farlo!

Okay, dopo queste commuoventi (no) note dell’autrice, me ne vado, che è meglio, ahahah.

Au revoir,

Coffee Pie.

 

 

 

   
 
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