Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: Locked    22/03/2015    3 recensioni
Questa FF partecipa al Glee Big Bang Italia.
"Perché essere anime gemelle significa molto di più che amarsi per tutta la vita."
Questo era esattamente il genere di frasi melense che Kurt Hummel avrebbe creduto di poter ritrovare nella carta spiegazzata di un cioccolatino di San Valentino - o in una versione arrangiata della proposta di matrimonio del proprio fidanzato Blaine Anderson, insomma.
Non avrebbe mai potuto immaginare quanta verità una simile frase potesse effettivamente nascondere.
Dal testo:
[Dopo una lotta – impari, a detta di Blaine – contro gli scatoloni ricolmi di vecchi oggetti inutilizzati che ‘continuano ad uscire fuori dal nulla, Kurt!’ la sua testa riccioluta riemerse dal ripostiglio con un vecchio lettore di videocassette nelle mani e una luce brillante negli occhi.
“Okay, Kurt, potresti spostarti? Non ho posto per sedermi.”
“Blaine.”
“Ho capito che non volevi alzarti, ma se per favore potresti scorrere—“
“Blaine quei due-- i due sullo schermo, siamo noi.”

"Oh mio Dio."]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note iniziali:
Ringrazio Anna_Vik e Klaineintheheart per le splendide recensioni e mi scuso per il ritardo nel rispondere - mi metterò in pari al più presto! Purtroppo la scorsa domenica non ho avuto internet, così come il lunedì e il martedì, quindi - dato che questa OS doveva essere divisa in due parti perché è uhm, abbastanza lunga - ho preferito aspettare oggi e pubblicare le due parti tutte in una volta.
So, ecco a voi!

 
We found love right where we are
 
A Roberta, che ormai chiama questa one-shot "mia nipote".
*aggeggia* :')



“Okay, Blaine, respira.” L’ordine di Rachel è perentorio e lo obbliga a rilasciare il fiotto d’aria che sta trattenendo nei polmoni da troppo tempo. “E’ solo il liceo, fratellino; puoi sopravvivere!” Il tono entusiasta di sua sorella – sorellastra, ma ha smesso di considerarla tale da … sempre. Rachel è una sorella a tutti gli effetti, condividono il cinquanta per cento del loro patrimonio genetico, tra cui l’altezza da piccoli nani da giardino, la carnagione olivastra e una discreta dose di melodrammaticità, oltre che una madre – gli fa roteare gli occhi brillanti e vagamente terrorizzati, ricolmi di un prepotente strato di ansia da primo-giorno-di-liceo.
Primo giorno del primo anno, nel liceo pubblico della città più grande dell’intero Colorado, Aspen. Una passeggiata, sul serio.
Sente a malapena il braccio di Rachel agganciarsi al suo, quando varca la porta del grande edificio dall’aspetto anonimo e— okay. Quindi questo è il liceo. Una gran confusione di uniformi da cheerleader rosse e svolazzanti – e troppo corte – e di passi pesanti dei giocatori di football avvolti nelle loro giacche gigantesche, un flusso costante e caotico di indumenti colorati e code di cavallo troppo strette negli elastici.
E Blaine si ritrova a pensare che dopotutto basta questo, no? Confondersi con la massa in un unico grande miscuglio di voci e risate cristalline. Ce la può fare, ne è sicuro; fa leva sui talloni e si spinge in avanti, azzardando qualche passo sul pavimento di linoleum opaco ed urtando accidentalmente la spalla di un ragazzo in divisa del McKinley grosso più o meno come due se stessi.
"Fa' attenzione!"
"S-scusa."
Blaine non ce la può fare.
Si volta in cerca di Rachel – che era esattamente alla sua destra non più di cinque secondi prima – e la ritrova con la bocca languidamente incollata a quella di un altro giocatore di football – che stavolta è grosso più o meno come tre Blaine – e— okay, forse può farcela da solo. Dopotutto sembrano abbastanza impegnati e insomma, non è che muoia dalla voglia di interromperli.
Stringe convulsamente le mani alla tracolla e si guarda intorno: aula di storia, aula di storia, aula di storia— andiamo Blaine, non è difficile. La puoi trovare e— è costretto a distogliere lo sguardo dal suo scandagliare continuo del corridoio principale, perché improvvisamente le sue membra si fanno calde e gli formicolano i polpastrelli.
E no, questa cosa non è catalogabile come normale.
Aggrotta appena la fronte, piegando cautamente le dita ed accartocciandole su se stesse. Si osserva le mani – probabilmente deve essere uno spettacolo abbastanza stupido, se visto da fuori, ma in quel momento il suo cervello non riesce ad inserire questa informazione tra quelle più importanti.
Non è una sensazione spiacevole; al contrario, è come un torpore lieve e ramificato fino alle punta delle dita, ma radicato e svolazzante da qualche parte dentro di lui – è solo strano.
Non gli è mai successo prima.
Ma ora ha priorità diverse: trovare l'aula di storia, ad esempio. Riprende a camminare, e questa volta va meglio; camminare e non fermarsi, spalle dritte, tracolla di traverso, occhi vigili e sguardo sicuro – non sembra poi così difficile.
E, oh!, aula tredici, aula di storia; l'ha trovata e deve farsi violenza fisica per impedirsi di darsi alla pazza gioia scatenandosi in un balletto della vittoria in mezzo al corridoio.
È a un passo dall'entrarci, quando deve bloccarsi un'altra volta. Perché ora il calore fluido che gli attraversa il corpo pulsa. E va bene, forse dovrebbe andare in infermeria e misurare la febbre – troppo stress, ansia da primo anno; è imbarazzante, ma può essere di tutto, no? – solo che stavolta è diverso. È come se sentisse un'attrazione, un sentirsi legato letteralmente a qualcosa, e non poter far altro che raggiungerla ed completarla. Come poli opposti di una calamita.
È per questo che alza gli occhi e ne trova automaticamente un altro paio – non c'è neanche bisogno di cercarli, sono lì, per lui, lo stavano aspettando –, e sono le iridi più belle che abbia mai visto.
Azzurre, azzurre azzurre azzurre, a prima vista sembrano angoli di cielo, ma forse sono più onde di oceano; e sono così meravigliose, contornate da una fitta coltre di ciglia castane e leggere, sovrastate da due archi di sopracciglia alti ed eleganti, divise da un nasino all'insù vagamente simile a quello di un bambino baciato dalla mamma prima di rimboccare le coperte.
Blaine non scorge molto altro della figura con lo sguardo aggrovigliato al suo, appoggiata mollemente alla parete opposta a quella dell'ingresso della sua aula di storia – un corpo tonico e longilineo, due braccia forti strette al petto, una cascata di capelli disordinata ad arte del colore del miele e un sacco di pelle chiarissima e levigata lungo la curva delle guance e della mascella – ma è abbastanza.
Abbastanza da farlo arrossire, inciampare e pulsare – e oh mio Dio, perché sta pulsando? – e sorridere ed abbassare gli occhi tutto in una volta.
È abbastanza sicuro di aver scorto un'aria confusa a fissarlo di rimando, sciolta in quelle iridi così azzurre da far invidia al mare in primavera, ma una spinta poco gentile gli sconquassa la spalla e "Ehi, vuoi entrare o no?"
Aula di storia, Blaine. Muoviti.
Le sue dita smettono di pulsare, ma i polpastrelli continuano a formicolargli.
 
*
 
Le lezioni sono normali. Non che si fosse aspettato nulla di diverso dal solito, certo. Ma ora è al liceo, e se l’unica cosa che distingue quel suo primo giorno dagli anni precedenti è quel pizzicore costante che gli fluttua sottopelle – be’, non è deluso, ma quasi.
Ha conosciuto qualche ragazzo – un tipo biondo e davvero alto, per essere appena quindicenne come lui, che fa delle imitazioni divertentissime, gli si è seduto vicino a pranzo e … sembra simpatico; proprio come il tipo con la cresta da moicano che gli ha chiuso l’armadietto quando aveva le braccia stracolme di libri – ma non è questo il punto.
Il punto è che forse – sicuramente – potrebbe essere – è – deluso dal fatto di non aver più incrociato quei due occhi azzurri. Non che non abbia più rivisto il ragazzo. E’ ovvio che l’ha rivisto, ci saranno appena cinquecento persone, in quella sottospecie di liceo, ma il problema non è quello.
E nemmeno l’averlo visto in compagnia di altre due persone – un ragazzo alto, tremendamente alto, capelli biondo cenere e occhi smeraldini, una bellezza sfacciata impressa nei lineamenti e un braccio fin troppo saldamente ancorato al suo fianco; una ragazza mora, una cascata di capelli della sfumatura più buia della notte riversata sulle spalle color caffellatte, lasciate scoperte dall’abito bianco scollato, e un viso esotico e sfrontato nel migliore dei significati – gli dà fastidio.
Be’, non troppo – la mano di quel tipo è decisamente stretta sulla curva del fianco del ragazzo dagli occhi azzurri, ma non si può essere gelosi di una persona con la quale si ha condiviso a malapena uno sguardo, no? –, almeno. Ciò che gli dà enormemente, esponenzialmente fastidio è il non essere riuscito ad intrecciare di nuovo i loro sguardi assieme.
E’ come se quelle iridi azzurre avessero cercato di combattere contro le maree al loro interno per evitare di lasciar scivolare lo sguardo su Blaine. Riuscendoci.
Sbuffa, richiudendo con un tonfo il frigorifero e dirigendosi verso la sua cameretta. Sua madre Shelby non c’è; ha appena fatto in tempo a salutarla quella mattina, prima che partisse per uno dei suoi innumerevoli viaggi di lavoro, e non tornerà per altri due giorni. E sì, forse è anche un po’ deluso per quello; non che il primo giorno di liceo sia un evento d’importanza internazionale, ovviamente, ma sarebbe bello avere qualcuno con cui parlarne – che non siano Rachel e i suoi infiniti commenti sdolcinati su quel giocatore di football a cui l’ha vista incollata quella mattina, ecco.
Forse ha solo bisogno di un amico.
 
*
 
Blaine non riesce ad addormentarsi. Non ci riesce e ha caldo. E diavolo, non è febbre – il suo termometro misura trentasei gradi e mezzo spaccati – e sta iniziando a preoccuparsi. Rotola sul materasso, scalciando via i rimasugli di quelle che una volta erano state coperte ben ripiegate, e si alza a sedere.
Le 3.00 – la sveglia lampeggia, emanando un bagliore verdastro nel buio della stanza. E’ passato un quarto d’ora, da quando l’ha guardata l’ultima volta, e il chiarore della luna piena fuori dalla stanza non sembra essere mutato. E’ come se il tempo si stesse prendendo gioco di lui.
Le dita non hanno smesso di pulsargli neanche per un secondo, da quando ha sparecchiato la tavola, ma ora è diverso; il calore lo attraversa ad ondate, espandendosi da un punto indefinito all’interno della gabbia toracica fino alle braccia e alle gambe, invadendogli la testa ed accelerandogli il respiro.
Doccia. Ha bisogno di una doccia.
Si sfila la t-shirt consumata di Star Wars che usa per dormire e la lancia da qualche parte sul pavimento, mentre saltella su un piede solo per districarsi dall’ammasso di felpa dei pantaloni della sua tuta e si avvicina al bagno. Lascia cadere i boxer un attimo prima di infilarsi nella doccia ed aprire l’acqua fredda – gelida.
Ma non cambia niente. Al contrario, la sua pelle sembra quasi infastidita dal getto ghiacciato – non ne è propriamente sicuro, ma gli sembra di aver appena sentito un ringhio di disappunto montargli involontariamente nella gola.
Chiude l’acqua e afferra a tentoni un asciugamano, avvolgendoselo attorno velocemente, e improvvisamente il suo cervello inizia a ragionare in maniera nuova e diversa e correre.
Deve correre, correre correre correre, ogni muscolo del suo corpo glielo impone e non può far altro che seguire l’istinto. Si lancia fuori dal bagno, l’asciugamano pericolosamente barcollante sui suoi fianchi e gli occhi spalancati, i riccioli bagnati che lasciano scie umide sulle sue guance e il respiro che si fa bollente nei polmoni, e si precipita giù per le scale, urtando mobili e quadri, lasciando dietro di sé un sentiero di caos.
Sta pulsando, letteralmente. Ormai non è più solo una sottospecie di calore liquido che gli avvolge le membra; è dappertutto. Percepisce distintamente il ringhiare sommesso che gli risale la gola, mentre spalanca la porta e si affanna giù per i pochi gradini dell’entrata, lungo il vialetto, nel minuscolo giardino che contorna la piccola villetta in cui vive.
Respira, respira, respira.
Un crack gli rimbomba nelle orecchie e ad un certo punto c’è solo dolore. Si piega in due, accartocciandosi a terra e lanciando un urlo che rimbomba nel vuoto come un tuono che squarcia il silenzio della notte stellata prima della tempesta. Avverte ogni singolo osso del proprio corpo spezzarsi e fa male. Fa così male che non ha nemmeno la forza di respirare.
Un ringhio riecheggia, attutito dalle mani avvolte attorno al suo viso, nell’intera radura che divide la piccola casa dalla foresta plumbea e – cosa diavolo mi sta succedendo?
Braccia–  zampe e dita– artigli. Dolore, dolore, dolore– rabbia. Fame.
Blaine – Blaine che non è più Blaine, Blaine dal pelo fulvo e gli occhi brillanti di raggi baluginanti di luna piena, Blaine che ha i ringhi nella gola – corre e fugge e ulula.
Nello stesso singolo istante, il cuore del ragazzo dagli occhi azzurri sussulta.
 
*
 
Si dice che ci siano piccoli istanti – minuscoli frammenti di tempo, così insulsi, davanti alla maestosità dell'eternità – nella vita di un uomo, in cui ogni singolo tassello di quel puzzle gigantesco e complesso che siamo noi si incastra al proprio posto, in maniera così naturale da sembrare irreale.
E tutto, semplicemente, scorre.
Scorre come le miglia e miglia divorate da Blaine – da quel che ora Blaine è, almeno – nella foresta fredda e bluastra. Scorre come l'aria pura che gli fluisce nei polmoni, dentro e fuori, dentro e fuori. Scorre come l'adrenalina liquefatta nelle sue vene, come il sangue che gli rimbomba all'altezza del cuore in un thump thump sordo.
È tutto perfetto.
Ogni cosa al posto giusto, ogni sfumatura verde e grigia delle foglie appese ai rami e ombreggiate come trame di merletti sul terreno dal chiarore della luna, ogni odore e ogni rumore: è tutto nitido e netto e preciso e giusto.
L'istinto gli imprime nei muscoli – ora contratti, ora elastici ed allungati – di correre, e Blaine lo fa. Corre. Senza mai fermarsi, senza mai voltarsi indietro.
Non saprebbe dire esattamente quando sia cambiato qualcosa; ma succede, e le sue gambe–  zampe se ne accorgono ancor prima di lui. Rallenta lentamente, gradualmente, acuendo l'udito e semplicemente ascoltando l'armonia della natura che lo circonda.
E wow— Ci sono rumori che non avrebbe mai immaginato di essere in grado di percepire; ronzii flebili e dolci scrosci d'acqua, forti raffiche di vento e fruscii morbidi di foglie, ma anche degli scalpiccii ritmici di passi. Blaine spalanca gli occhi. Improvvisamente, ogni singola fibra del suo corpo è tesa come una corda di violino, e i sensi si risvegliano ancor di più, allertandosi automaticamente.
Percepisce la sua presenza ancor prima di vederlo oggettivamente, ma è già abbastanza; un grosso lupo grigio, dal pelo del colore delle nuvole invernali e dagli occhi di quello dei piccoli sprazzi di cielo che s'intravedono attraverso di esse, si fa strada nella minuscola radura in cui si trova – può giurare di aver già visto quelle iridi da qualche parte, ma è tutto così confuso – e lo fronteggia, inclinando il muso in un angolo vagamente preoccupato e ... consapevole.
A Blaine non è molto chiaro perché non stia urlando e scappando via come un pazzo – dà la colpa all'istinto, e tanto basta –, ma al contrario si stia avvicinando a quel lupo, lentamente, come se fosse la cosa più naturale e semplice del mondo. Ad un certo punto, nel bel mezzo di quel percorso lento e vagamente strano verso quelle iridi azzurre e quel muso vispo, un po' curioso e innaturalmente espressivo per un animale, qualcosa cambia di nuovo.
E torna il calore. Torna il pulsare. Denso, liquido, che lo attraversa da parte a parte, insinuandosi in ogni suo muscolo e osso in maniera dolorosa. È piuttosto sicuro che quei due crack provengano dalla propria spina dorsale e tutto è doloroso in maniera insopportabile; si ripiega su se stesso, affondando nella terra umida e guaisce. L'ultimo sprazzo di vista nitida che ha ritrae due occhi grandi, rotondi e profondi e preoccupati, che rimangono semplicemente lì, mentre tutto il corpo del lupo si deforma in maniera spaventosamente umana – ma forse sta già sognando.
 
*
 
"Kurt, Cristo! Ma sei impazzito?"
"Sebastian, per l'amor di Dio, vuoi abbassare il volume della voce? Sai com'è, non voglio che la mia vita diventi un affare di stato."
Kurt si guarda attorno circospetto, ma sembra che il viavai che affolla il corridoio non si sia curato dell'imprecare del suo migliore amico – non troppo, almeno; potrebbe giurare di aver visto due matricole allontanarsi terrorizzate. Torna a puntare gli occhi in quelli di Sebastian, placidamente appoggiato con la schiena agli armadietti metallici, le braccia incrociate al petto e i capelli scompigliati che gli ombreggiano gli occhi verdi ed annoiati.
Santana si porta una mano al fianco destro, fasciato da un paio di jeans aderentissimi, e sospira, incastrandosi una ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio. "Seb ha ragione, Kurt. Come ti è venuto in mente di prendere e rincorrerlo, senza avvertire nessuno? Sai quanto possiamo essere pericolosi durante la prima trasformazione."
Ed è ovvio che Kurt lo sa. Lo sa benissimo e vorrebbe non doverlo fare, e Santana sembra pentirsi di aver pronunciato quelle parole.
"Sì," risponde secco, "come lo sai tu."
"Avrebbe potuto ferirti, lo sai?" Sebastian lo squadra con preoccupazione, quasi ad accettarsi che sia davvero lì, tutto intero.
"Ma non l'ha fatto," ribatte Kurt spazientito, "e ora ho solo bisogno dell'aiuto dei miei migliori amici, che sono pregati di smetterla di comportarsi come due genitori iperprotettivi, grazie tante."
Santana fissa a lungo i propri occhi nerissimi nei suoi; "Secondo me dovresti parlarci."
"No! Pessima idea! Assolutamente no." Sebastian scuote la testa energicamente, e la ragazza accanto a lui sbuffa.
"Sia tu che io sappiamo quanto sia traumatico non avere qualcuno vicino durante il primo periodo," gli dice, ignorando volutamente Sebastian che rotea gli occhi. "Quel ragazzino è piccolo, fragile. Deve aver capito poco o forse nulla di ciò che gli è successo stanotte; forse parlarne con qualcuno potrebbe aiutarlo."
Kurt la fissa dubbiosa, poi annuisce lentamente, senza staccare gli occhi dai suoi. È tanto da assimilare, troppo; improvvisamente sente sulle sue spalle il peso di una responsabilità che non sa se è in grado di prendersi. Santana sembra intuirlo, e gli poggia una mano dalle unghie laccate di nero sul polso, in una muta rassicurazione.
Puoi farcela.
Sebastian li fissa dubbioso, ma poi rotea gli occhi - di nuovo - e annuisce piano. "Okay, forse non è una bruttissima idea, dopotutto." Kurt gli sorride appena.
"Ma ancora non capisco, perché sei riuscito a raggiungerlo così velocemente? Voglio dire, quando tu e San mi trovaste, durante la mia prima trasformazione, erano passate ore e ululavo da diverso tempo. Tu hai detto di averlo trovato subito, anche se da quel che ho capito non abita vicino a casa tua, e di averlo seguito finché la luna non era quasi completamente scomparsa."
Kurt percepisce una spiacevole sensazione di calore invadergli il collo e le guance, mentre distoglie lo sguardo da quelle iridi verdi e lo punta sulle piastrelle sporche del pavimento. "Credo che sia stato ... Istinto."
La campanella lo salva da qualsiasi tipo di discussione imbarazzante su cosa, effettivamente, intenda per istinto; ma Sebastian fa in tempo a bloccarlo prima che si giri e si avvii verso la propria classe, strattonandolo per una manica del maglione blu che indossa.
"Ma se l'hai visto ritrasformarsi in essere umano, significa che l'hai visto nudo?"
"Oh mio Dio; Seb, tu hai un disturbo serio, non è possibile che tu non riesca a pensare ad altro."
"Non tentare di evitare questo discorso con me, Hummel! L'hai visto nudo, sì o no?"
Kurt lo fissa con aria esasperata.
"Lo prendo come un sì. Voto da uno a dieci al suo culo?"
"Oh. Mio. Dio. A dopo, Sebastian."
Si gira e si allontana velocemente, la cinghia della tracolla stritolata nel suo pugno e il sottofondo della risata cristallina di Santana e del Secondo me, a giudicare da come arrossisci, è un undici di Sebastian nelle orecchie.
Si trattiene a stento dal rispondergli In realtà anche un dodici
Blaine ha l'impressione di dover vomitare da un momento all'altro. La nausea gli aggroviglia lo stomaco fin da quando, quella mattina, dopo essersi svegliato in un ritardo tragico, si è catapultato fuori di casa senza gel e col papillon allacciato storto per non arrivare tardi a scuola. Non troppo, almeno.
Le lezioni gli sono scivolate davanti come olio, e lui – lui che di solito ne sa quasi più degli insegnanti – è semplicemente rimasto a subirle, senza scrivere uno straccio di appunto o ascoltare un briciolo di spiegazione. Non male per un secondo giorno di scuola.
La verità è che ha passato le precedenti quattro ore a cercare di scavare nel miscuglio aggrovigliato di ricordi sbiaditi che gli fluttuano nella mente come nebbia fitta a novembre, senza riuscire a cavarne assolutamente nulla.
Il che non è neanche del tutto vero, pensa, rimestando con la forchetta quell'ammasso verdastro che dovrebbe essere l'insalata della mensa.
Non è neanche del tutto vero perché qualcosa di nitido, di definito, c'è; quelle iridi azzurre, azzurre e profonde e oceaniche, gli galleggiano nelle retine. Oh, e il fatto che nel proprio sogno – perché era un sogno – abbia praticamente fronteggiato un lupo senza dare di matto o mettersi a gridare, ovviamente – ma questo è un altro paio di maniche, una cosa per volta.
Per ora, sta semplicemente cercando di sopravvivere alle successive tre ore, poi andrà a casa e cercherà di dormire, di fare ordine nella propria mente e di calmare quel dannato tremore che gli scuote le mani ad intervalli irregolari; sbuffa appena, portandosi le mani agli occhi e stropicciandoseli, cercando di scacciare via quell’insopportabile sensazione di torpore che glieli invade. Quanto meno non ha ancora incontrato Rachel – che sicuramente lo avrebbe sottoposto a un interrogatorio sul perché di quelle ombre nere che gli circondano gli occhi – e il pulsare caldo alle dita se n’è andato.
“Ehi?”
Non prova neanche ad alzare lo sguardo; è seduto al tavolino da solo e non c’è praticamente nessuno che possa voler qualcosa da lui.
“Ehi, tu! Scusami?”
E—okay, forse qualcuno sta veramente tentando di parlargli e forse si sta comportando come un perfetto maleducato, quindi apre gli occhi e solleva il mento, fino ad incontrare e rispecchiarsi in due iridi così familiari da stordirlo.
“Ehi! Uhm—certo, dimmi … Voglio dire—sì?” incespica tra le sue stesse parole e muore un po’ nel flebile sorriso che incurva le labbra di quel ragazzo, quello con l’amico troppo appiccicoso e l’amica troppo bella, quello che l’ha semplicemente stregato. E che ora sta parlando con lui.
Sente il respiro accelerargli ed uscirgli in uno sbuffo dalla bocca, mentre le pupille gli si dilatano, espandendosi nell’ambra liquida delle sue iridi.
“Ciao; ti spiace se mi siedo con te?” Il ragazzo accenna un sorriso e gesticola – per quanto può, ostacolato dal vassoio del pranzo in una mano e dai libri nell’altra – verso la sedia posizionata davanti alla sua.
Blaine rimane per un attimo senza parole, l’aria impigliata nella trachea e il cuore sprofondato nello stomaco, ma annuisce freneticamente ed aspetta inquieto che si sieda – rendendosi conto solo dopo che forse potevi anche aiutarlo coi libri, idiota –; poi il ragazzo gli sorride, scompigliandosi con la mano sinistra i capelli – riuscendo ad essere ancora più bello: Blaine è sicuro di stare per avere un mancamento – e allungando la destra al di là del tavolo. “Io sono Kurt.”
Si affretta a stringerla, rendendosi conto, nei meandri del proprio cervello, di aver appena percepito la stessa identica sensazione del pulsare del giorno precedente, e a mormorare un impercettibile “Blaine.”
“Allora, primo anno?” chiede Kurt – per un attimo, per un minuscolo attimo, Blaine ama il modo in cui il suo nome gli rimbomba nella mente – ed annuisce, mentre entrambi afferrano le forchette e cominciano a mangiare. O almeno a provarci, perché quell’insalata non è cibo realmente commestibile, andiamo.
“Tu?” chiede, perché una conversazione si fa in due, quindi cerca di parlare. Senza balbettare, possibilmente.
“Quarto,” sbuffa Kurt, sollevando giusto per un attimo lo sguardo dal proprio vassoio. “L’anno del diploma, delle scelte e bla, bla, bla,” rotea gli occhi, mimando con le dita le virgolette in aria.
Blaine si ritrova a pensare che è ancora più bello, quando sorride. E poi si ritrova a farsi una sorta di auto-violenza psicologica per smettere di pensarci. E anche per smettere di rimuginare sul fatto che un – meraviglioso – ragazzo di tre anni più grande di lui gli stia effettivamente rivolgendo la parola.
“Almeno ti è rimasto meno tempo da passare qui,” borbotta; e forse non è esattamente quello che Kurt si aspettava dicesse, perché alza la testa e lo fissa negli occhi, inchiodandolo col proprio sguardo.
“Credo che tu abbia ragione,” aggiunge poi, con un sorriso, e Blaine sente il sangue rifluirgli velocemente sulle guance.
Continuano a parlare, poi. Di cosa, Blaine non se lo ricorda, ma forse non è poi così importante.
 
*
 
Non è importante perché poi avviene più spesso; avviene tutti i giorni. Blaine si siede al solito tavolo da solo, mangiucchia qualsiasi cosa ci sia quel giorno nel terribile menù della mensa ed aspetta di intravedere Kurt tra la folla. A quel punto, quando scova quelle iridi celesti, sente il cuore accelerare i propri battiti e lo stomaco restringersi, e si mordicchia il labbro finché Kurt non lo scorge al solito posto e gli sorride, per poi afferrare un vassoio, fare la fila per quella sottospecie di pranzo e raggiungerlo.
E ogni giorno parlano. Di tutto e di niente. Di Non capirò mai la mia insegnante di francese e di Blaine, Madame Briette e il suo francese sono impeccabili, smettila di brontolare e passami il tuo succo; di Kurt, ti è mai capitato di piangere per il tuo film preferito? e di Ogni singola volta fin da quando avevo la tua età; di Ogni tanto, quando ho bisogno di stare da solo, vado nella foresta e mi metto ad ascoltare e di Io mi sdraio sul tetto di casa mia e guardo le stelle.
E va avanti, in qualche modo.
Non sono amici – non ancora, almeno –, ma insieme stanno bene e tanto basta.
Blaine sogna molto di più, di notte. Sogna occhi azzurri come fondali oceanici e lupi grigi dal pelo fulvo e lucente sotto il bagliore opaco della luna piena. Sogna corse a perdifiato e foreste cupe in movimento, ma non sono mai incubi. Solo sogni vividi – troppo, qualche volta – e tangibili anche quando si risveglia.
Sta giusto ripensando a quello che ha vissuto quella notte, quando Kurt gli piomba davanti, caracollando sulla seggiola di plastica e scaraventando il vassoio sul tavolino con poca grazia.
“Ehi …?”
“Io non capisco perché la mia insegnante di algebra debba essere così … pesante. Voglio dire, non è passato neanche un mese dall’inizio della scuola e ci sta già riempiendo la testa di ‘Quando sarete fuori di qui, avrete bisogno di sapere questo e quello e quest’altro ancora, quindi studiate e bla, bla, bla’. Io amo  l’algebra, sul serio, ma quando penso che ho lei come insegnante mi sento soffocare e—“ Kurt interrompe il suo soliloquio per scoccare un’occhiata a Blaine, che lo sta guardando di sbieco, con un sorriso timido appena appuntato agli angoli delle labbra. Sbuffa un po’ e si abbandona contro lo schienale della sedia, incrociando le braccia al petto. “Troppo melodrammatico, so che lo stai pensando.”
Blaine arriccia adorabilmente le labbra per trattenere una risata. “Non è vero, assolutamente.”
L’occhiata scettica che gli lancia Kurt lo fa desistere da ogni buon proposito che si era imposto. “Okay, forse un po’,” ammette ridacchiando, mordendo un minuscolo pezzo di pane – che sembra plastica, ma comunque.
“Se ti può consolare, anche io ho problemi con l’algebra,” esala in uno sbuffo, sbattendo le ciglia un paio di volte.
“Tu?” chiede Kurt, una punta di incredulità nella voce. “Tu che sei in ogni corso avanzato di questo insulso liceo e che probabilmente ti diplomerai anche prima di me?” Si raddrizza sulla sedia ed infilza un pezzetto di carne con la forchetta.
“Tutti tranne algebra.” Blaine arrossisce un po’ e Kurt rotea gli occhi, masticando velocemente.
“Facciamo un patto: se riesci a trovarmi tre motivi per cui dovrei sopportare quella vecchia scorbutica dal discutibile senso dell’abbigliamento senza avere la tentazione di scagliarle contro il mio libro di matematica, ti do ripetizioni di algebra gratis finché non passi al livello avanzato.”
Blaine lo fissa con aria di sfida. “Okay, allora, primo motivo: sicuramente è una nonna, e le nonne sono tutte adorabili, quindi in fondo in fondo lo è anche lei.”
“Blaine Anderson—“
“Fammi finire; secondo motivo: insegna bene una materia che ami, e forse se non ci fosse lei avresti una professoressa inesperta o incapace. E terzo motivo, lei segue il corso avanzato, dove tu sei e io no, quindi sarebbe meschino da parte tua parlarne male davanti a me che vorrei frequentarlo,” conclude, alzando vittorioso il mento e scoccandogli un’occhiata soddisfatta.
Kurt lo fissa incredulo, poi la sua espressione si addolcisce; “Bene, oggi pomeriggio dopo scuola vieni da me. Ripetizioni di algebra. Aspettami nel parcheggio,” dice, e si alza, raccogliendo al volo tracolla e rimasugli del pranzo.
Forse Blaine si è appena messo nei casini.
 
*
 
Il viaggio in macchina è tranquillo; un po’ impacciato all’inizio, ma non è come se non fossero abituati a condividere determinati spazi. Il problema si presenta quando parcheggiano nel vialetto della casa di Kurt, dietro a una Mercedes dall’aspetto davvero costoso, e lui impreca sottovoce.
“Va … tutto bene? Perché posso tornare un altro giorno se oggi—“
“Blaine, va tutto bene. E’ solo Sebastian.” Kurt lo interrompe con una smorfia di disappunto; estrae le chiavi dal quadro e spalanca la portiera per uscire, mentre Blaine lo segue cautamente.
Non appena la chiave scatta nella serratura, Kurt socchiude la porta e sbraita: “Se siete in atteggiamenti compromettenti, rivestitevi immediatamente perché non ci tengo a fare il bis di quello che è successo la settimana scorsa!” e sembra aggiungere un ‘E anche quella prima.’ borbottato tra i denti.
Blaine è sicuro che le proprie guance abbiano assunto dodici diverse tonalità di magenta, nell'arco di quei cinque secondi, e non riesce ad evitare di fissarsi le punte dei propri mocassini con un interesse che in realtà non gli appartiene.
Cinque secondi che sembrano essere abbastanza, per Kurt, per potersi rivestire; quindi strattona la maniglia della porta, aprendola velocemente e lasciando entrare Blaine.
"Come ve lo devo dire che queste robe non le dovete fare sul mio divano? Che diavolo, io lì ci mangio e mio padre ci guarda le sue stupide partite di football, la frase 'ho casa libera' significa 'possiamo studiare insieme', non 'datevi da fare nel mio salotto'," dice ad alta voce, entrando velocemente nella stanza e lanciando un'occhiata accusatoria ai capelli spettinati di Sebastian e alla spallina del reggiseno di Santana abbassata lungo il braccio.
"Dolcezza, abbassa gli artigli, ce ne stavamo andando; anche perché—" Sebastian intercetta la figura di Blaine seminascosto dal corpo di Kurt, e non si preoccupa nemmeno di nascondere un ghigno. "Anche perché non vorremmo mai disturbare te e il nano che ci date dentro, giusto San?"
Lei rotea gli occhi, scuotendo i lunghi capelli neri sulla schiena, e Kurt sbuffa, prendendoli entrambi per le spalle e trascinandoli – letteralmente – fuori dalla porta d'ingresso. Blaine fa appena in tempo a sentire un mezzo insulto mugugnato da Sebastian – conosce il suo nome solo perché ne ha sentito parlare spesso da Kurt, sempre con un tono di voce che vuol dire è un coglione ma gli voglio bene, ma non ha mai avuto un incontro così ravvicinato con lui – prima che la porta sbatta violentemente contro lo stipite e il silenzio si riappropri delle pareti della casa.
Kurt riemerge dall'atrio, passandosi una mano sugli occhi – sembra così piccolo quando lo fa – e gli rivolge un'occhiata esasperata venata di affetto. "Scusali, loro— Non sanno controllarsi. Di solito."
"Nessun problema." Blaine scrolla le spalle e sbuffa una mezza risata. "Loro ... Uhm, stanno insieme?" chiede, e si morde la lingua subito dopo, perché che diritto ha di ficcanasare nella vita degli amici di Kurt? Non crede di avere nemmeno quello di farlo in quella di Kurt stesso, in realtà. Ma sembra così bello credere che Sebastian e Santana – conosce anche il suo, di nome, ed è sempre merito di Kurt e dei suoi sproloqui a pranzo – stiano insieme, che nessuno dei due stia con Kurt, che ha bisogno di conferme, e ne ha bisogno subito.
Kurt non sembra offeso o qualcosa del genere, comunque. Rotea gli occhi, anzi, ed è adorabile, e Blaine dovrebbe smetterla di pensarlo. "No, loro— si divertono? Non ne ho idea, sai?" Ridacchia. "Non stanno insieme, non ci riuscirebbero mai. Sono incompatibili; se ci provassero finirebbero a lanciarsi scarpe ed insultarsi in francese o in spagnolo. E diciamo che entrambi in realtà ... Preferiscono altro. Ma— credo sia un modo per divertirsi? Non chiedermelo, meno so e meglio è," conclude con una smorfia strana, che sa tanto di sono la mia famiglia, voglio loro bene lo stesso.
"Preferiscono altro ...?" Blaine non è sicuro di aver capito.
"Santana è innamorata di una ragazza, Brittany. Ma ... è complicato. E Sebastian andrebbe a letto con qualsiasi cosa abbia un buco. Quindi sì, attualmente entrambi preferiscono altro."
Ed è così naturale, il modo in cui Kurt ne parla, come se non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, nessuna paura di essere giudicato, che lo stordisce.
"Anche io— preferisco altro. Non nel senso … di Sebastian, ma— sì" sbotta. Non sa il perché, non l'ha mai detto a nessuno. Neanche a Rachel. Perché andiamo; ha solo quindici anni, non è mai stato il ragazzo di nessuno e come fa ad esserne sicuro?
Almeno, questo è ciò che si è sempre ripetuto – forse per codardia, forse perché ha semplicemente paura. Ma sente di non doversi frenare con Kurt. Sente di potersi fidare e lo fa, ed è come chiudere gli occhi, lasciarsi cadere e poi afferrare al volo, un attimo prima di schiantarsi al suolo.
E Kurt lo guarda con quell'aria così da Kurt che ha imparato a riconoscere bene: la testa appena inclinata, gli occhi grandi e spalancati e profondi come fosse oceaniche, la bocca incurvata in una specie di sorriso pensieroso— è davvero bellissimo. E Blaine dovrebbe aggiornare il proprio vocabolario, perché 'bellissimo' non rende neanche minimamente l'idea
Deve ricordarsi di respirare - dentro e fuori, Blaine; dentro e fuori – e—“Anche io, se è per questo.” Kurt scrolla le spalle e raccoglie la propria tracolla, che nella foga di calciare i propri amici fuori di casa gli è caduta a terra, e Blaine spalanca la bocca in maniera completamente inelegante.
“Sul serio?”
“Sul serio, Blaine; ora algebra, muoviti.” La voce di Kurt riecheggia da quella che sembra essere la cucina e lui lo segue come in trance. Non è come se non ci avesse mai pensato – se non ci avesse mai fantasticato – ma averne la certezza concreta è qualcosa di disorientante e guarda dove metti i piedi, fare una culata sul pavimento del suo salotto non è esattamente attraente.
 
*
 
“Grazie per—“ Blaine gesticola per un attimo con le mani, non sapendo esattamente dove metterle – opta per le tasche della felpa, alla fine – “tutto, insomma.” Ridacchia e si avvia verso la porta, seguito da Kurt, che puntualmente rotea gli occhi e lo squadra da dietro gli occhiali da vista che usa per studiare e che si è dimenticato di togliere – sempre più adorabile,  sospira una voce nel cervello di Blaine.
“Nessun problema; dovremmo rifarlo, sai?” Gli lancia un’occhiata che significa qualcosa. Cosa, di preciso, Blaine non ne ha idea.
“Oh, no! Voglio dire, l’ultimo anno è impegnativo e non puoi perdere tempo ad aiutare una matricola come me, non voglio—“
“Veramente non intendevo solo per i compiti di algebra.” Blaine lo fissa confuso e Kurt sospira, appoggiandosi alla parete affianco alla porta aperta sul vialetto buio di casa sua. “Potremmo vederci altre volte, no? Oltre alla scuola. Cinema, passeggiate …?”
Il cuore di Blaine inizia a battere in modo strano e si ritrova a balbettare un ‘sì, sì—perché no?’  un po’ confuso. Sente la tensione aggrovigliargli le spalle, quando Kurt si avvicina – si avvicina troppo – e lo abbraccia. Così, dal nulla. Proprio come dal nulla arriva quell’ondata di calore che lo attraversa dall’interno non appena i loro corpi entrano in contatto.
Kurt sa di boschi, frutta e caffè, e Blaine potrebbe semplicemente rimanere avvolto nel calore di un suo abbraccio per sempre, ma non sembra qualcosa di normale, quindi si scosta leggermente e ridacchia, quando incontra le iridi brillanti e vicine, così vicine, di Kurt.
“Ci – ci vediamo domani?”
“A domani.” Kurt chiude la porta dietro di lui e Blaine inspira a fondo nell’aria fresca ed autunnale, prima di ricordarsi che non ha un passaggio per tornare a casa.
Merda.
 
*
 
Blaine torna a casa di Kurt il giorno dopo, e si ferma a cena. E ciò che lo stordisce e lo spaventa più di tutti è il fatto che sia completamente, totalmente naturale. Anche sfiorarsi appena le caviglie sotto il tavolo mentre tentano sperimentalmente di attorcigliare una sottospecie di spaghetti alle forchette, per poi rinunciarci e mangiarli col cucchiaio. Anche ripulire le labbra di Kurt da uno sbaffo di sugo al pomodoro col tovagliolo. Anche canticchiare insieme mentre lavano e asciugano i piatti.
Suo padre deve essere fuori città, perché Kurt non accenna per niente alla sua presenza e sembra abbastanza tranquillo del fatto che nessuno piomberà in casa senza preavviso a rendere le cose imbarazzanti.  Evidentemente si sbaglia, perché alle nove in punto Sebastian fa il suo ingresso nella mini-villetta Hummel senza troppi complimenti, trascinandosi dietro una Santana altrettanto entusiasta, e si piazza sul divano con aria vagamente compiaciuta.
“Da quando abitate qui dentro?” chiede Kurt ridacchiando.
“Da quando ci abita lui?” ghigna Sebastian, ammiccando verso Blaine. Armeggiando con la borsa dell’amica e ne cava fuori un videogioco dall’aspetto violento. Kurt rotea gli occhi; “Lui” comincia, indicando un Blaine vagamente preoccupato. “Si chiama Blaine. Blaine, loro sono Sebastian e Santana, gli stessi che ieri ho lanciato fuori di casa a calci, sì. Ora, se volete scusarci, io e Bl—“
“Quello è COD?” chiede il più piccolo dei quattro, attirando a sé due occhiate stralunate – di Kurt e Sebastian – e una divertita – di Santana. “Sì,” risponde il ragazzo. “Ci sai giocare?”
Gli occhi di Blaine sembrano scintillare – letteralmente. “Lo adoro!” Sebastian lo squadra in silenzio per qualche istante, poi gli passa un joystick e gli fa posto sul divano. Kurt esala un ‘Oh mio Dio’ vagamente incredulo, gli occhi spalancati, e Santana soffoca una risata contro le unghie smaltate.
 
*
 
Il giorno dopo vanno al cinema – “Blaine! Non possiamo perderci Titanic in 3D!” “Ma Kurt! Titanic fa piangere!” – e Blaine freme ogni volta che le loro dita si incontrano nel sacchetto di popcorn.
All’’uscita, Kurt cerca di ignorare le lacrime incastrate tra le sue ciglia, ma quando una sfugge a quel reticolo complicato gliela asciuga con un gesto veloce della mano e Blaine trema.
 
*
 
Quando Kurt sente Blaine complimentarsi con Santana per il suo vestito e vede le guance color caffellatte di lei arrossire, capisce che non esiste persona al mondo più genuina di lui, e si ritrova a ridacchiare col naso infilato nell’armadietto metallico.
 
*
 
“Ehi Blaine, stasera videogiochi?” Sebastian lascia scivolare il vassoio accanto al suo, guadagnandosi un’occhiata stranita da parte di Kurt. “Vuoi la rivincita?” gli chiede Blaine tranquillo, mangiucchiando un angolino del toast bruciacchiato che ha in mano.
“Piano con le parole, novellino.”
“Non sembravo così novellino quando ti ho battuto a Call Of Duty per—quante? Sette volte? O erano otto?”
Kurt soffoca una risata dietro la punta delle dita e Sebastian li fulmina con gli occhi.
 
*
 
Quella mattina, Blaine si alza con un familiare formicolio ad accarezzargli i polpastrelli; aggrotta le sopracciglia, preoccupato – dopo l’ultima volta ha paura, quando sente quel pizzicore – ma viene distratto dalla sveglia che vibra e sbraita impazzita sul comodino, quindi rotola giù dal letto e corre in bagno.
Riesce a non pensarci fino all’ora di pranzo, quando vede Kurt avvicinarsi a quello che è diventato il loro tavolo e percepisce un’ondata di calore traboccargli dal cuore ed investirlo tutto. Gli si mozza il respiro per un attimo – solo per una frazione di secondo, ma potrebbe giurare di aver visto anche Kurt sussultare – ma poi si sforza di mettere su un’espressione tranquilla e lo saluta.
“Ehi,” mormora, ma Kurt non sembra intenzionato ad ascoltarlo. “Blaine, ti va di venire a casa mia, stasera? Ci— ci vediamo un film, o qualcosa del genere …” E sul serio, Blaine non riesce a capire perché sia così in ansia nel chiederglielo – non è come se fosse la prima volta che succede – ma si ritrova ad esitare, perché ricorda benissimo tutto quello che è successo l’ultima volta che quel calore gli ha invaso le membra in quel modo strano e non vuole che si ripeta con Kurt. Okay, forse non ricorda un granché, ma non vuole che accada comunque.
“Io—non lo so, devo studiare e—“
“Puoi farlo da me? Per favore?”
E come si fa a dire di no a quegli occhi?
“Va— Va bene.”
“Perfetto, a stasera!” Kurt si volta per andarsene, ma Blaine gli afferra il polso – e wow,  dalle loro mani in contatto potrebbero partire scintille e non se ne stupirebbe – ed entrambi sussultano. “Non resti a pranzo?”
Kurt sembra esitare un attimo, poi lo guarda in un modo che sembra vagamente in colpa e scuote la testa. “Non posso—mi dispiace, a stasera?”
Blaine è deluso, ovvio che lo è. E non fa nemmeno finta che non gliene importi; annuisce appena e lo saluta con un cenno del capo, non riuscendo però a trattenere un piccolo sorriso che gli solleva un angolino delle labbra.
“A stasera.”
 
*
 
Kurt è strano. Ed è strano anche solo pensare che lui sia strano, ma è … strano. Si agita in continuazione sul divano, si mangiucchia le unghie – e lui non se le mangiucchia mai –, ha la schiena rigida contro lo schienale e accavalla le gambe ogni manciata di secondi.
“Ti va di fare una passeggiata?” gli chiede ad un certo punto, ignorando completamente il film comico proiettato sulla TV. Blaine è un po’ spiazzato, ma accetta con un sorriso appena impacciato.
 
*
 
Kurt gli presta una felpa - ed è bellissimo, perché ora può finalmente annusare il suo odore senza passare per uno stalker psicopatico – e si incamminano nella radura vicina alla casa di Kurt – piccolina, accogliente, sembra quasi un prolungamento della villetta stessa, ed è come se le stelle lì brillassero un po' di più.
Camminano vicini, stretti uno affianco all'altro ma senza mai davvero sfiorarsi – il calore, comunque, non ha mai abbandonato il corpo di Blaine, ed ora sta seriamente iniziando a preoccuparsi –, perché basta essere lì entrambi, insieme, per stare bene.
"Blaine, io— devo dirti una cosa." Blaine piega il volto di lato incuriosito e un po' apprensivo, ma gli fa cenno di andare avanti.
Kurt prende un respiro profondo e continua a parlare. "Dio è— È complicato." Ridacchia, poi torna serio e il suo sguardo si schianta negli occhi di Blaine. "La prima volta che ti ho visto io— è come se ti conoscessi già. Da prima. O almeno come se conoscessi una parte di te di cui tu nemmeno avevi idea." Gli lancia un'occhiata strana – Blaine è ancora lì. Incredulo, ma è lì. "Questo ... pulsare che senti ogni tanto, quando sei vicino a me. Be', lo— lo sento anche io. Tutti quelli come noi, lo sentono."
"Quelli come noi?"
Kurt gli lancia un'occhiata che sembra quasi disperata, ma poi sembra illuminarsi. Comincia a spogliarsi, tirando via la felpa e sfilandosi la maglietta, rimanendo solo con il sottile strato della canottiera a fasciargli l'addome muscoloso; Blaine lo fissa sconvolto – non che non stia apprezzando, ma che diavolo –
"Guardami," gli sussurra Kurt – vicino all'orecchio, come se fosse un segreto che vuole condividere solo con lui – e stringe la mano a pugno, chiudendo gli occhi e corrucciando le sopracciglia.
Quando li riapre sembrano più acquosi, e Blaine vorrebbe davvero farci caso ed imprimerseli nella memoria, ma sembra impossibile perché sulle dita di Kurt sono spuntati degli artigli e il suo braccio si sta gradualmente ricoprendo di un soffice strato di peli grigi e fulvi e animaleschi.
"Kurt ma cosa –"
"Siamo licantropi Blaine. Siamo. Io, Sebastian, Santana e ... Anche tu. È per questo che una volta, ogni mese, senti questo formicolare sordo e caldo alle dita. Oggi, come— come ventotto giorni fa c'e la luna piena e noi ... Be', reagiamo così."
Gli occhi di Blaine sono così rotondi da assomigliare vagamente a piattini, e— okay, forse è stato un po' troppo brusco, ma esiste un modo per dire a qualcuno ehi! Sai che sei un licantropo? in maniera non-brusca? Se sì, Kurt non lo sa, e sta già impiegando fin troppe energie nel non trasformarsi in quel momento, con i raggi della luna che gli drappeggiano archi di luce sulla schiena bianca, per potersene curare.
"Questo significa che da un momento all'altro potrei diventare pericoloso?" Blaine chiede e Kurt sbuffa ed alza gli occhi al cielo, perché è così ovvio e così da Blaine preoccuparsi di questo in un istante come quello.
Kurt opta per la verità. "Sì. Ma qui ci sono io," esita per un istante. "E Seb e San." Fa un gesto vago dietro di sé, e due figure grandi ed animalesche entrano nella piccola radura – una ha il pelo di un beige simile alla sabbia bagnata dagli spruzzi delle onde e degli occhi così verdi da togliere il respiro; l'altra è nerissima, il pelo e gli occhi del colore dell'ebano e il muso incredibilmente espressivo.
Blaine sobbalza un po', ma non è spaventato. Non ne sente neanche il bisogno, in realtà; non fin quando non percepisce il proprio corpo tendersi ed arcuarsi da solo sotto la stoffa dei vestiti, ma a quel punto ha paura solo di se stesso.
 
*
 
È solo una cantilena infinita di resta con me resta con me resta con me, dopo. Blaine torna lentamente a percepire la realtà, ed è come risvegliarsi da un sogno troppo vivido. Sbatte le palpebre lentamente, mettendo a fuoco ogni cosa con la stessa gradualità di un obbiettivo di una fotocamera un po’ malconcia, e poi si sente avvolto da una stretta calda e rassicurante, che assomiglia così tanto a casa da far male al livello del cuore.
“Sei stato bravissimo, solo— bravissimo Blaine,” Kurt sussurra, ed è come se la sua voce si trovasse in bilico sull’orlo del baratro bagnato delle lacrime. “Kurt,” mormora con la voce impastata; poi si sporge appena e vede che entrambi non hanno nient’altro che una coperta buttata addosso e che i loro vestiti sono completamente stracciati e dispersi nella piccola radura – che ora non sembra più così accogliente – e che Kurt sta sanguinando dal braccio – tanto –, e non può fare a meno di singhiozzare.
Si preme una mano sulla bocca e spalanca gli occhi. “Ti ho—ti ho ferito, io mi sono trasformato e ti ho ferito ohmioDio Kurt, oh, Dio!, mi dispiace così tanto, così—“
“Shh, Blaine, ehi!” Gli afferra il mento con due dita. “Ti sei trasformato, sì. E mi sono trasformato anche io, ma sul serio tu— sei stato straordinario. Sei tornato in te dopo appena trenta secondi, e questo,” scrolla il braccio indicando la ferita “è solo un graffio. Noi guariamo in fretta.” Quasi a dimostrazione di ciò che ha appena detto, la pelle sul braccio di Kurt inizia a rimarginarsi e a rinnovarsi ad una velocità sorprendente, tornando intera e bianca e perfetta in una manciata di secondi.
“Sebastian e Santana sono dentro; ci hanno portato una coperta perché— be’, sì, insomma.” Arrossisce un po’ piegando la testa di lato ed accennando ai pezzi di stoffa sparsi qua e là. “Si stanno cambiando, torneranno tra poco.” Blaine è frastornato, completamente disorientato, eppure insieme non lo è, perché è come se l’avesse sempre saputo.  Solo che ora può dargli un nome.
Sente il cuore iniziare a battergli freneticamente contro la gabbia toracica quando lo realizza, e non può fare a meno di alzare lo sguardo negli occhi limpidi e lucenti di Kurt e— Dio, vorrebbe baciarlo così tanto.
“Ti insegneremo a controllarti, te lo prometto. E’ sempre così, all’inizio; ma migliorerà. Io— farò tutto, di tutto, per aiutarti e—“
E Blaine segue l’istinto. Chiude gli occhi e preme le labbra contro le sue, in un tocco un po’ impacciato. Un po’ da sei il mio primo bacio e vorrei fossi anche l’ultimo. Un po’ come se fosse l’unica alternativa che ha. Sente Kurt rilassarsi contro la sua bocca e vorrebbe davvero essere uno di quegli scrittori così bravi, in quel momento, per poter imprimere su carta ogni sensazione che sta provando – il formicolio sui polpastrelli, le dita dei piedi che si arricciano, il corpo che trema alla consapevolezza della sua pelle e di quella di Kurt senza nessun ostacolo in mezzo – e potersene ricordare poi.
Restano semplicemente lì, a sfiorarsi le labbra in una maniera così delicata ed impalpabile e perfetta da scombussolargli i battiti cardiaci e il respiro e— oh, forse dovrebbe davvero ricordarsi di respirare.
Si dividono con uno schiocco che sa un po’ di oh, eccoti qua, e restano fronte contro fronte, in un groviglio di arti e stoffa ed emozioni che non hanno idea di come descrivere.
“Pensavo che non avresti mai fatto il primo passo,” ridacchia Kurt, ed è un po’ senza fiato. Blaine lo scruta da sotto le proprie ciglia scure. “Stavi aspettando me?”
“Ti aspetto da una vita intera.” E forse quelle parole non hanno senso – forse loro non hanno senso­ –, ma sono Kurt e Blaine, e tanto basta. Non sentono nemmeno le grida di approvazione di Santana e Sebastian, quando le loro labbra combaciano un’altra volta.
 
*
 
Quando Blaine si affaccia nel corridoio ricolmo di studenti, sente una stretta al cuore poco piacevole e il respiro aggrovigliarsi nella propria gola, perché Kurt è lì, ed è bellissimo, e ha tre anni più di lui e probabilmente nemmeno un briciolo di voglia di perdere tempo con uno più piccolo, continua a ripetergli il cervello in una cantilena continua.
Kurt sembra quasi accorgersi di lui ancor prima di vederlo – un sorriso gli si dipinge sul volto e le spalle gli si rilassano, mentre chiude l’armadietto col gomito e si volta in cerca di lui –, e quando lo raggiunge, Blaine non fa in tempo a rendersi conto di nulla, perché le loro dita sono già intrecciate e i loro cuori sembrano voler urlare mi importa di te e grazie per tutto.
 
“Sei un lupacchiotto bellissimo.”
“Non so se prenderlo per un complimento o …”
“’Ti aspetto da una vita intera’? Cosa fai, rubi le battute Hummel?”
“Sono abbastanza sicuro che la tua fosse più qualcosa come ‘Ti aspetto da sempre’, sai?”
“Mmh, forse. Posso accoccolarmi sopra di te?”












 
Ah, qualcuno è sopravvissuto alla fine di Glee?
La sottoscritta è ancora in fase "non-realizzo". 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: Locked