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Autore: Nicky Rising    23/03/2015    0 recensioni
L'autobiografia della più grande rockstar degli anni '90, Minnie, in arte Aree Monroe, diventata famosa grazie al suo produttore Axl Rose e alle sue molteplici collaborazioni con i Guns N' Roses. Ripercorriamo insieme alle sue stesse parole le emozioni, e la strada che l'ha portata al successo insieme agli uomini che lei stessa, ancora oggi, definisce come i più importanti della sua vita.
Aree sono io e siete voi: prendendo spunto solamente dai sogni, un personaggio e una storia, che spero vi possano appassionare. Mia prima long degna del termine!
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Axl Rose, Quasi tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Maggio, 1992 “Blink 182 – Adam’s Song”


E’ il compleanno di bimba, compie diciotto anni. Eppure a tutti sembra così piccola. Ed è questo il problema. Solo Izzy sa la verità. Solamente lui. Non ho avuto il coraggio di dirlo a nessun altro e anche con lui ho faticato molto: per quanto, come al solito, mi abbia rassicurato e dato utili consigli, provo ancora vergogna quando lo guardo, sapendo che.. che lui sa.. Lui sa il vero motivo per cui ho deciso di prendere Bambolina con me, e il fatto che quel motivo si è rivelato talmente fondato.. Talmente perfetto.. Vorrei solo poter..
Eppure, ci sono troppe cose da considerare: lei è venuta qui per diventare famosa, non per altre frivole distrazioni.. E pensare che anche io prima le consideravo tali.. Che anche io non avevo mai provato niente di simile.. da.. da quando.. BASTA. Prima convinci te stesso che sono solo stronzate, prima riuscirai a liberartene. Lei è una bambina, lei dimostra così pochi anni.. Soprattutto non puoi condizionare la sua carriera, la sua brillante carriera con i tuoi fottuti sentimenti da frocio. Chiaro? Chiaro. Ora farai meglio a farle passare un bel compleanno, il suo regalo è pronto, devi pensare solo a quello e non a.. Non a.. A quanto la vorrei.


Quando il 5 maggio 1992, Axl mi promise di avere per me una grandiosa sorpresa di compleanno, non potevo nemmeno immaginare fin dove fosse in grado di arrivare.
Incredibilmente, mi svegliò lui facendomi gli auguri e apprezzai tantissimo il gesto, nonostante vedessi le profonde occhiaie che gli solcavano il viso per via di un riposo probabilmente durato non più di quattr’ore.
Dopo la colazione, mi condusse nella sua limousine e mi legò una delle sue bandane sopra gli occhi, in modo che non potessi nemmeno vedere dove stessimo andando. Il viaggio fu lungo circa due ore, seppi poi che a separare Los Angeles dalla città a cui eravamo diretti, c’erano ben 200 km, ma la pazzia di Rose a volte non conosce limiti. Fu esasperante, perché Axl non era assolutamente intenzionato a dirmi dove fossimo diretti, ed iniziai persino a perdere le speranze e a smetterla di godermi il mio compleanno e la trepidante attesa che mi separava da quella sorpresa, ma proprio allora arrivammo e i miei dubbi sparirono in pochi secondi.
Scese velocemente e aprì la portiera, sciogliendomi la benda davanti a un cancello, un cancello che avevo già visto moltissime volte su copertine di riviste e servizi tv. Era un cancello di ferro battuto, con due leoni dorati al centro che stringevano uno stemma e diversi altri motivi dello stesso colore che abbellivano tutto il contorno di quell’incredibile ingresso. Sopra, a lettere cubitali laccate d’oro, era scritto:
NEVERLAND.
Rimasi incantata nello scoprire che quel posto esisteva veramente e non era soltanto un’altra invenzione dei tabloid che così tanto prendevano di mira l’unica persona che poteva vivere in un Ranch del genere.
Axl mi prese per mano, ammirando soddisfatto la mia espressione di gioia  e sorpresa tale da non permettermi di dire neanche una parola, mentre i cancelli si aprivano e un golf cart si avvicinava a noi.
“E ora dove andiamo?”
“L’abitazione di Jackson è lontana da fare a piedi.. Il suo giardino è grande sei volte casa mia”
“Intendi.. dire che..”
“Che lo incontrerai! Cosa credevi? Non è una visita guidata nel suo parco giochi.. So quanto sia importante per te quel ragazzo.. Ho pensato facess.."
Lo abbracciai strettissimo, lasciandolo un po’ interdetto, poi sorrise.
“Non essere troppo espansiva ragazza, lo sai che sono una persona sensibile”
Risi con lui mentre salivamo sul veicolo, per poi ritrovarmi ad osservare l’incredibile vastità di quello che nemmeno sembrava un giardino, ma un’enorme riserva naturale. In alcuni angoli si scorgevano dei piccoli edifici e in altri delle piscine, delle attrazioni da parco divertimenti e delle piazzette con pavimenti di mosaici.
quando arrivammo davanti alla zona in cui si trovava Michael al momento, una villa davanti alla quale si ergeva un’enorme aiuola a forma di orologio fermo, scendemmo e l’autista ci accompagnò all’interno.
Sembrava tutto magico, fuori dal mondo, c’erano distributori di caramelle e una segnaletica infinita per indicare tutte le possibili attrazioni che quella casa aveva da offrire.
“Un po’ eccessivo.. Ti pare?”
“E’ solo.. magia”
Axl, scosse la testa ridendo e poco dopo ci dissero di entrare in un salotto.
Fu lì, in piedi davanti a un divano, con una camicia scura, dei pantaloni neri lunghi da cui si intravedevano i calzini bianchi sotto i famosi mocassini neri, che lo vidi: i capelli neri raccolti in una coda gli scendevano dolcemente su una spalla, gli occhi profondi e neri sorridevano, come le labbra e gli zigomi.
Axl gli strinse prontamente la mano:
“E’ un piacere rivederti, Michael”
“Per me è lo stesso.. Slash sta bene?”
“Tutto a posto.. Lei è Bimb.. Minnie..”
I suoi occhi grandi guardarono ora me e mi strinsero la mano tremante.
Ci dissero di attendere sul divano e Michael scomparve per un paio di minuti.
“Come hai fatto?”
Riuscii solo a chiedere ad Axl.
“Slash lavora con lui da un paio d’anni, ha lavorato su un intro di una delle hit di maggiori successo dell’ultimo album, e anche ad un altro paio di canzoni.. Jackson ha fatto anche un paio di live con noi, ho avuto modo di conoscerlo anche io.. Non è così eccezionale Bambolina.. E cerca di non svenirgli davanti, sei più di una semplice fan, ricordi? Sei una rockstar adesso.. Una collega”
Focalizzai quella parola, collega, che a me sembrava assurdamente estranea.
Dopo pochi minuti, Michael tornò, ed iniziammo a parlare, dando modo ad Axl di spiegargli il progetto che aveva in mente, e raccontandogli come gli avessi detto di aver iniziato a cantare dopo aver sentito per la prima volta l’album Thriller. Michael, dal canto suo, era ben felice di ospitarci, dato che doveva tanti favori a Slash, e che, soprattutto, aveva sentito la mia esibizione in Italia e ne era rimasto completamente folgorato, dicendo che avevo emozionato persino lui che ormai aveva una lunga carriera alle spalle.
Ero in estasi, il mio idolo di sempre mi stava dicendo che gli ero piaciuta, incredibile.
Axl uscì per un paio di minuti per via di una chiamata importante da Daug, il loro tour manager,ed io rimasi sola con MJ.
“Axl è stato molto coraggioso, a prenderti con sé. Non tutti sarebbero disposti a fare una scelta del genere..”
“Lui.. è incredibile con me.. Mi sta dando la possibilità di avverare i miei sogni, e gli sono debitrice per questo..”
Lui annuì gentilmente, mentre teneva gli occhi sulle sue dita affusolate.
“Minnie, per quanto il suo progetto sia grandioso, potrei farti una proposta?”

Ora, bisogna sottolineare che all’epoca non avevo il senso degli affari, non avevo il senso di niente, e non capivo come fosse possibile che Michael Jackson mi volesse proporre qualcosa. La verità è che quando accettò di incontrarmi, alcuni membri della MJJ production avevano già discusso con Rose di un’idea che Michael aveva avuto ascoltandomi in quel concerto, e lui non si era di certo mostrato indisponibile all’idea, anzi: più erano le possibilità per me di diventare qualcuno, e fargli guadagnare qualcosa, più lui era contento. Perciò, se da un lato io rimasi di stucco quando Mike mi fece quella proposta, dall’altro, tutto, da quella mattina, era programmato perché io potessi venir sottoposta ai suoi occhi critici e valutata idonea a quello a cui lui pensava da tempo.

“La tua voce, ha un che di molto particolare, è una voce calda, che non è per niente da pelle bianca.. Non so se mi capisci, è una voce tipicamente nera, la tua. E come sai, essendo io afroamericano ho una voce della stessa intensità, e mi circondo di persone capaci di lavorare con qualcosa di simile.. Come le mie coriste.. Eccezionalmente una di loro si è ritirata per proseguire altrove i suoi studi.. Ed era da tempo che cercavo qualcuno che potesse rimpiazzarla.. Mi segui, Minnie?”
“C- Certo.”
“Ecco, vedi, io penso di aver trovato la persona che stavo cercando in te. Tengo molto a scegliere personalmente il mio staff, e anche questa volta non voglio essere da meno, penso che tu sia perfetta. Ovviamente, non decido per te e non penso nemmeno che sia una scelta semplice, ma vorrei che ci pensassi, Minnie. Potrebbe essere la strada che stai cercando.”
Axl rientrò in quel momento, scusandosi per l’imprevisto. Si scambiò una strana occhiata con Michael, annuì e poco dopo, quest’ultimo si scusò e ci avvertì sconsolato di non aver molto tempo a disposizione, e ci chiese cortesemente di salutarlo. Gli ristrinsi la mano e lo salutai, mentre risalivamo sul Golf Cart che ci avrebbe ricondotto all’entrata e quindi alla nostra limousine.

“Quanto siamo silenziosi.. Va tutto bene?”
Annuii distrattamente ad Axl sulla via di ritorno verso Los Angeles.
“E’ che.. Michael mi ha fatto una strana proposta.. Ecco.”
Sorrise, ma non fu affatto un sorriso convincente per quanto dovesse esserlo.
“Sapevo che te ne avrebbe parlato..”
“Lo sapevi?!”
“Certo tesoro, era questo il tuo regalo di compleanno..”
Rimasi frastornata.
“Non ti è piaciuto?”
Lo guardai:
“Certo, è stato fantastico incontrarlo.. E, beh mi ha dato una possibilità grandiosa..”
“Non sei convinta”
Sospirai:
“Penso mi serva solo un po’ di tempo, prima di.. Di accettare.”
“Non sei obbligata a farlo, Bambolina.”
“Certo che lo sono. E’ Michael Jackson, è una occasione irripetibile..”
“Se tu non vuoi, non ha senso che tu lo faccia.”

Arrivammo in casa e Axl mi lasciò da sola ad aprire un paio di regali lasciati dai ragazzi, in attesa di andare a cena con loro quella sera. Ricordo che furono ore tormentate da pensieri, da pensieri su quanto sarebbe stato stupido rifiutare e allo stesso tempo su quanto sarebbe stato difficile per me vivere nell’ombra di del Re del Pop. Allo stesso tempo, però, mi sentivo egoista a fare pensieri del genere: fino all’anno precedente ero una ragazza di cui nessuno sapeva il nome, ora avevo l’opportunità della vita e non volevo accettarla perché.. Perché non mi sembrava abbastanza.
Allo stesso tempo, pensavo ad Axl, a come avrei dovuto abbandonarlo dopo i  quattro mesi che mi erano sembrati i più belli della mia vita, dopo essermi accorta di provare tanto per quel ragazzo. Lo stesso ragazzo che, al contrario di Michael, mi proponeva tutto il mondo, senza dover sottostare a regole, come aveva fatto lui.
Con Michael avrei avuto un’incredibile carriera, certa e sicura con il mio dio.
Con Axl avrei avverato il mio sogno, ma non era affatto scontato che lui riuscisse a convincere qualcuno a farmi firmare un contratto, e questo me lo ripeteva sempre.
Ora, che avrei dovuto fare?
Mi alzai dal mio letto e andai a cercare Axl, che trovai intento a bere del Jack davanti alla tv. Strano. Di solito non beveva superalcolici in casa.
“Ehi?”
Alzò lo sguardo e mi sorrise. Mi sedetti a fianco a lui.
“Per te cosa dovrei fare?”
“E’ una tua scelta, non mia..”
“Non so decidere.. Non so fare niente da sola.”
Spense la tv.
“Tu puoi fare quello che vuoi. Chiaro? Ascoltami bene. Ci sono delle persone là fuori che non sono buone, che non vogliono il tuo bene, ma che vogliono approfittarsi di te. Jackson non è una di queste, è un professionista, o non avrei mai permesso che ti parlasse del suo progetto. Detto questo, tu puoi scegliere, c’è sempre una scelta. Sempre. E’ il tuo futuro. Il tuo. Se vuoi andare vai, se non vuoi andare resta.”
“A volte penso che vorrei restare solo per te”
Axl mi guardò ad occhi sgranati per pochi secondi, poi sorrise e scosse la testa.
“Io non c’entro.. Non farlo per me, io voglio che tu sia felice.”
“Con te sono felice.”
“Anche io”
Restammo con gli sguardi bassi, imbarazzati per qualche secondo.
La verità è che Axl si sarebbe sentito dannatamente egoista ad invitarmi a restare con lui privandomi di un’occasione simile. D’altronde, lui ci avrebbe guadagnato comunque, ma ormai era chiaro che non era solo quello ad importargli. Lui non voleva che me ne andassi. Punto.
“Più tardi chiamerò la MJJ Production e gli dirò che ho deciso”
Annuì, quasi rassegnato, come se conoscesse la risposta. In fondo era certo che i miei interessi fossero una vera carriera piuttosto che un sogno infantile e pericoloso. O un uomo pericoloso.
“Gli dirò che rifiuto l’offerta di Michael”
I suoi occhi tornarono a brillare, seppur senza illudersi, e a guardarmi:
“Sei sicura?”
“Mi fido di te. So che sarai capace di realizzare quello che voglio davvero”
“Ma non posso promettertelo”
“Non serve”

Quando quella sera quelli della MJJ mi chiamarono, io rifiutai, e anche se non lo dissero espressamente, dal loro tono stupito e sconfortato si capiva che non riuscivano a credere che qualcuno avesse veramente declinato un’offerta del genere. Ma loro non sapevano che c’era qualcosa più importante per me. C’era la musica, c’era l’anima e c’era il cuore. Non potevo realizzare soltanto una delle cose che ritenevo giuste per la mia vita.
I tabloid iniziarono a sparlare della mia decisione e persino la mia famiglia mi chiese perché diamine non avessi accettato, mio padre era quasi oltraggiato. E quella fu la goccia, e i contatti che avevo con la mia famiglia, divennero ancora più sottili.

Durante il resto del mese, non ci furono grossi cambiamenti. Cantai in alcuni shows che i Guns tennero in centro a L.A. e mi esibii due volte a Seattle, intonando sempre cover che più si addicevano alla mia voce. Alla gente non dispiaceva il fatto che non portassi brani inediti, anzi: erano entusiasti di qualcuno che donasse la propria interpretazione a brani che potevano cantare anche loro, conoscendoli già, ed Axl non si preoccupò di lavorare su nuove canzoni. Anche perché in quel periodo lo vidi un po’ più distaccato.
Dopo il dialogo aperto che avevamo affrontato sulla mia decisione di restare con lui, cercò di riprendere le distanze da me, pentendosi forse di essersi mostrato così vulnerabile ed espansivo agli occhi di quella che doveva restare una compagna in campo professionale, e nient’altro. Perciò, lo vidi più di rado, e ricominciò a bere davanti ai miei occhi tremendamente spesso, ad alzarsi tardi e a tornare a casa la sera quando già dormivo da un secolo. In un qualche modo, dopo quella che mi era sembrata la maniera migliore per avvicinarsi, cioè parlare, finimmo per allontanarci molto più di prima.

Un pomeriggio, sulle due, non lo sentii però uscire di casa per andare alle prove, e preoccupata di un suo possibile abituale ritardo, mi avvicinai in camera sua per controllare che fosse sveglio e si stesse preparando.
La camera era buia e le finestre chiuse con le tende calate. Accesi la luce, ma non lo trovai nel letto sfatto. Entrai allora nel suo bagno privato, e, mossi due passi, lo trovai:
il suo corpo privo di sensi era scomposto nella doccia, con la testa rivolta all’indietro, gli occhi chiusi e la bocca aperta, bagnata di saliva. Le dita delle mani gli tremavano involontariamente ed indossava solo dei boxer che mostravano il petto leggermente graffiato e le gambe pallide.
Intorno a lui solo bottiglie vuote e resti di strisce di coca. Alcool misto ad acqua nel pavimento del bagno e gli asciugamani sporchi sparsi sulle mattonelle bagnate.
“Axl?!”
Lo chiamai ad alta voce, gli sollevai la testa e cercai di metterlo seduto, dandogli dei piccoli colpetti sul viso per risvegliarlo. Dopo minuti in cui non aveva dato segni di risposta, presi il telefono, pronta a chiamare Slash o Izzy o qualcuno che potesse dirmi cosa fare, ma nel momento in cui le mie dita tremanti iniziarono a digitare i numeri, sentii chiamare.
Tornata in bagno lo trovai con gli occhi aperti e stanchi che mi guardavano. Riuscii soltanto a sussurrare più a me stessa che a lui:
“Ehi, cosa ti è successo..”
Mi sedetti vicino a lui, avvicinandogli alle labbra un bicchiere d’acqua che bevve quasi come se fosse una punizione:
“Calmati ora, è tutto a posto, vero? Ti sentirai meglio..”
Ebbe un fremito, i brividi lo tormentavano, continuava ad aprire a richiudere le labbra come se non riuscisse a parlarmi. Lo aiutai a camminare fino al letto e lo coprii con una coperta.
“Ora vado a chiamare Duff, va bene? Ci prenderemo cura di te..”
“Non andare via”
Tese il braccio verso di me. Mi voltai, sollevata dal sentirgli pronunciare qualche parola.
“Hai bisogno di aiuto..”
“Mi basti te”
Titubante, mi sedetti sul letto vicino a lui, e mi ritrovai quasi senza volerlo ad accarezzargli i capelli.
Sembrava un bambino, sperduto e spaventato, bisognoso di affetto.
Il pensiero di dover chiamare qualcuno si perse lontano, mentre lo vedevo lottare contro un sonno da cui temevo persino non potesse più risvegliarsi.
“Resta sveglio Axl, non chiudere gli occhi, devi reagire.. Raccontami qualcosa.. Ti va?”
Mi prese la mano e se l’appoggiò sulla fronte.
“Sei fresca.. Sei tanto fresca..”
Lentamente si calmò e ricominciò a respirare regolarmente.
“Raccontami Axl, puoi dirmi quello che vuoi..”
Si rigirò nel letto un paio di volte, poi, iniziò, seppur apparentemente controvoglia a raccontarmi, forse accettando il consiglio, forse per ricominciare dopo settimane finalmente a condividere qualcosa di suo con me.
“Una volta.. Mio padre aveva comprato una pistola giocattolo.. E.. Noi.. Io e i miei due fratelli, facevamo i turni per giocarci insieme a lui. Ed era bello. Ci divertivamo con quella pistola..”
“E’ un bel ricordo.”
Provai a sorridergli, ma per lui era difficile tenere le palpebre aperte e non se ne accorse.
“Una volta.. misi da parte un po’ di soldi, e quando furono abbastanza, comprai un’altra pistola giocattolo e la portai a mio padre, dicendogli che così potevamo giocarci più spesso.. Tutti insieme.. Lui mi disse che ero stato bravo.. Che era fiero di me.. Era fiero..
E’ l’unico ricordo felice.. Che ho di mio padre..”
Strinse la mano che gli tenevo sulla fronte, cercando di sconfiggere un mal di testa atroce che lo faceva gemere piano.
“Come sono gli altri ricordi?”
Questa volta respirò diverse volte, più affannato, prima di rispondere.
“Lui non mi amava.. Perché non ero suo figlio.. E.. mi picchiava.. Perché non ero come voleva che fossi. Lui voleva che pregassi e che cantassi nel coro e io non volevo.. Io.. Voleva che mi tagliassi i capelli. Che me li tagliassi perché.. Così sembravo gay.. Sembravo un figlio del diavolo diceva.. Mia mamma diceva che potevo tenerli così, ma alla fine non disse niente quando lui mi cacciò fuori casa.”
“Quanti anni avevi?”
“Sedici”
E lo guardai, lo guardai come non avevo mai fatto prima. Con tenerezza. Quell’aspetto di Axl, che lottava con il suo passato e che semplicemente si rassegnava a ciò che gli era successo, era diverso da tutti quelli che avevo visto in lui. Quell’immagine di Rockstar pericolosa che si era creato, era soltanto un disperato bisogno di attirare attenzione, di ribellarsi e di chiedere aiuto.
“Due anni dopo.. Sono andato a Los Angeles.. Con Izz. Avevo scoperto che mio padre non era nemmeno mio padre e perciò cambiai nome.. Presi il cognome del mio vero padre e mi inventai un nome che mi piacesse. William, il mio nome vero, era da deficienti perciò mantenni solo l’iniziale. Mi piaceva che.. Che il mio nome fosse guerra.”
“Ti ricordi il tuo vero padre?”
Si irrigidì. E la sua fronte incominciò a imperlarsi di sudore. Portò anche l’altra mano sulla mia, come se potesse premerla più forte su di se e sentire più fresco.
“Io me lo ricordo.. Perché ho fatto una cura e grazie a quella mi ricordo tante cose.. Ma.. Non avrei mai voluto ricordarle.. non voglio.. Non voglio parlartene Bimba.. Solo Izz..”
“Non importa, va bene così.. Non voglio..”
Tacque. Immaginai che si fosse calmato e mi riavvicinai al telefono per chiamare aiuto.
“Lui mi violentava.”
Il mio sguardo si pietrificò sui tasti del cellulare che ero riuscita a prendere in mano. Mi voltai e guardai i suoi occhi che però rimanevano chiusi. Le sue mani smisero di tremare. E raggiunse una profonda calma. Una pace interiore grazie a quella liberazione, che se ora però non pesava su di lui, lo faceva su di me facendomi sprofondare lo stomaco e i polmoni.
In un attimo, scomparve tutto. Scomparvero i muri, il letto, la sua camera. La sua carriera divenne infima e sentivo solo le sue mani stringermi le mie, il suo respiro flebile.
Era tutta un’inutile bugia.
Axl viveva in una bugia di gente che non sapeva, che non lo conosceva, che non poteva aiutarlo e che riusciva soltanto a considerarlo per quello che non era.
Ora era tutto così chiaro, ora era ovvio il perché a volte fosse così aggressivo. Il suo dolore si tramutava in quello che lui non era. In quella persona che odiava e basta. Che odiava il passato, che odiava la sua nascita e la sua famiglia e la sua infanzia e tutti i ricordi con cui era costretto a convivere per costruire la propria vita.
E ora, a venticinque anni, era ancora fragile come un bambino. Un bambino madido di sudore e tormentato dagli incubi che persone malvagie che avrebbero dovuto insegnargli a crescere erano riusciti a provocargli.
Ed era solo. Talmente solo da trovare rifugio in una come me. Così impotente davanti a un dolore neanche paragonabile a quello che si era immaginata.
Smisi di accarezzargli i capelli, e allora aprì gli occhi:
“Non volevo spaventarti”
Scossi la testa, ma in maniera poco convincente.
Provò a mettersi seduto, riuscendoci con difficoltà, per poi appoggiare la testa sulla mia spalla, come se pesasse troppo per reggerla. Riprese a sfiorarmi le mani e a portarsele sulla fronte.
“Se vuoi puoi.. Spiegarmi.”
“Non voglio farlo. Non voglio farti soffrire.”
“Ma hai bisogno di parlarne.”
Sospirò, rassegnato, ammise che avevo ragione e continuò:
“Era un tossicodipendente, mia madre se n’era innamorata al college ed era rimasta incinta a sedici anni. Probabilmente mi considerava persino una stupida perdita di tempo, una rovina per tutti i suoi piani.. Mio padre rimase al suo fianco, si sposarono credo e andarono a vivere insieme, pensando che quella potesse essere la scelta migliore. Credendo che potessero costruire insieme una famiglia. Essere felici.”
Dalla sua bocca risuonò una risata amara, che divenne ancora più tetra nella camera semibuia.
“Iniziarono a litigare, urlavano sempre e alla fine di ogni litigio, mio padre mi prendeva e mi rapiva. Mi portava non so dove, in delle case abbandonate, non ricordo. E.. lì.. Mia madre una volta mi trovò. Ricordo la sua espressione. La ricordo diventare così pallida da sembrare morta. Ricordo le lacrime inondargli la faccia. Quando aveva provato a fermarlo, lui l’aveva allontanata con forza. La ricordo piegarsi sul pavimento e piangere. Ma non urlava. Non urlava mai. Aveva persino paura ad urlare.. E..”
“Ti prego smettila.”
Mi guardò con gli occhi azzurri bagnati di lacrime. La sua voce era diventata aggressiva, mi stava spaventando. Avevo paura di quei racconti e avevo paura di credere che fosse successo davvero.
“Scusa”
Mi asciugò le lacrime.
“Non volevo farti piangere.. Non devi piangere mai, Bimba.. Sei così bella quando sorridi..”
Mi raccolsi le ginocchia al petto e questa volta fu lui ad abbracciarmi. Mi circondò con le sue braccia grandi e iniziò a cullarmi lentamente, mentre tenevo la testa sotto al suo mento e mentre sentivo le sue lacrime iniziare a scendermi sui capelli.
“Non avrei dovuto raccontartelo.”
“Ti sentirai meglio, invece. Dovresti parlarne anche con i ragazzi..”
“Solo Izz..”
“Lo so.. Ma, tu hai bisogno di.. Di aiuto Axl.”
Tacque, non disse più nulla. Rimase solo a stringermi forte, fino a quando non mi addormentai mentre lui faceva lo stesso.
L’ultima cosa che sentii prima di cadere tra le braccia di Morfeo, furono le sue calde labbra appoggiarsi sulla mia guancia, e rimanerci per interminabili secondi prima di abbandonarmi la pelle per iniziare a sognare.
  
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