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Autore: MAMMAESME    23/03/2015    4 recensioni
Matrimonio in vista? Chissà ...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3

Ciak, si gira.

Paul e Candice stavano veramente dando il meglio. Le loro scene erano intense, i loro sguardi comunicativi esattamente come avevo chiesto. Le luci soffuse rendevano l’ambientazione dark al punto giusto. Candice era una fantastica bad girl, sexy e cattiva, razionale fino all’estremo, bionda quanto basta.

Kat era intenta a provare la scena in cui avrebbe dovuto torturarmi con la mia controfigura, mentre il cameraman stava posizionando la telecamera esattamente alle spalle di Candice per ottenere un’inquadratura controluce che avrebbe esaltato il lato oscuro del personaggio di Caroline.

Seduto sulla mia sedia da regista, guardavo l’effetto d’insieme sul monitor, quando Nina mi si avvicinò. Il volto si era ricomposto, anche se gli occhi erano ancora un po’ gonfi e le guance arrossate. Non si era truccata e i capelli erano raccolti in un groviglio fissato con una matita.

-Cosa ne dici? Ti piace questo contrasto di luci su Candice? Non pensi che sia un po’ troppo d’effetto? Non vorrei esagerare … - le chiesi per metterla a suo agio e non farle ricordare la discussione di poco prima.

-A me piace. L’immagine è calda e, nel contempo, raggelante. Le fiamme dell’inferno che incorniciano un nuovo demone … -

-Esattamente quello che volevo trasmettere.-

-Kat si sta divertendo a vedere Jamie contorcersi alle sue finte torture … - aggiunse.

-Mmmm … -

Ero davvero concentrato sulla regia, intensamente concentrato sul mio lavoro, disperatamente consapevole della sua vicinanza.

Per avvicinarsi meglio al video, Nina si era avvicinata alla mia spalla e lì aveva lasciato la testa.

I suoi capelli spettinati mi solleticavano il collo, mentre il calore delle sue guance trapassava la maglietta che indossavo e m’intiepidiva la pelle.

Forse un po’ troppo.

Staccai lo sguardo dal video per posare le labbra sulla fronte di Nina: era calda, febbricitante.

-Nina … come ti senti? – le chiesi, prendendo la sua mano.

-Un po’ debole, stanca. – mormorò contro il mio collo.

-Tu non stai bene: hai la febbre! –

-No … non credo … sarà perché ho pianto. – protestò con un filo di voce.

Feci un cenno all’assistente di studio perche si avvicinasse.

-C’e un termometro in infermeria? – le chiesi gentilmente.

-Ian … non è necessario. Adesso mi riposo qualche minuto e passerà tutto. – insistette Nina.

Con un gesto della mano esortai la ragazza a lasciar perdere.

Presi il volto di Nina tra le mani.

-Ascolta: adesso chiamo la macchina e dico a George di portarti a casa. Vuoi che chiami qualcuno? Una tua amica? Magari Kat potrebbe accompagnarti … -

-No … - rispose, ribellandosi alle mie mani per riappoggiare la testa sulla mia spalla.

-Testona. Adesso ti faccio portare qualcosa di caldo e un’aspirina poi vai a casa e ti metti a letto. Io ne ho ancora per un paio d’ore … poi passerò a vedere come stai.-

-Le chiavi le hai ancora? –

Sì … le tenevo nel cassetto del mio camerino.

Dopo due anni non avevo ancora avuto il coraggio di restituirgliele. Avevo preferito fingere di dimenticarle in quel cassetto.

Chris apparve all’improvviso alle mie spalle.

-Bella questa inquadratura! – esclamò indicando il fermo immagine sul mio schermo.

-Grazie … - era l’ultima persona che avrei voluto vedere in quel momento.

Chris mi piaceva, era un bravo ragazzo, ma le insinuazioni su lui e Nina insieme mi rodevano.

-Ho visto il nostro girato: devo dire che insieme buchiamo la scena. – affermò entusiasta.

-Sì … - ero troppo preoccupato per Nina per ascoltarlo.

Inghiottendo un rospo grosso come una balena, mi voltai verso di lui.

-Chris, mi faresti il favore? Mi porteresti una tazza di tè e un’aspirina? Nina non sta bene … -

La sua attenzione si focalizzò sulla ragazza che avevo tra le braccia.

-Cosa ti senti, Nina? Hai una faccia … -

-Forse è solo un po’ di raffreddore, stanchezza … niente che una bella dormita non possa risolvere.- Colsi un velo d’ironia in quella risposta, ma finsi di non farci caso.

-Ho fatto chiamare la macchina della produzione, – dissi con il fiele sulla lingua. – La accompagneresti tu …? –

-Se per oggi ho finito e non hai più bisogno di me, certamente. – notai un certo compiacimento.

-Oggi vorrei finire alcune scene con Candice e Paul e provare una volta con Kat. Se l’accompagni tu mi sentirei più tranquillo. – Sì, tranquillo come la mamma che manda Cappuccetto Rosso nel bosco.

-Ok. Allora accompagno io Nina. –

-Grazie. – gli risposi a malincuore.

Nina, alzandosi, mi strinse la mano.

-Hai promesso che saresti passato, – mi sussurrò all’orecchio, mentre Chris si dirigeva verso il distributore di bevande calde.

-Ti chiamo quando parto,- la rassicurai, toccandole ancora una volta la fronte con le labbra.

-Non ce n’è bisogno. Vieni pure non appena finisci: conosci la strada … hai le chiavi … –

-E se tu fossi in compagnia …? –

-Non fare lo stronzo. Se ti va passa, altrimenti fottiti. –

Le gambe le cedettero mentre tentava di alzarsi e, nello sbilanciarsi, si sedette sulle mie gambe.

-Guarda come ti sei ridotta! Mangia qualcosa mentre vai a casa. Io arrivo … arrivo. – Sentii una fitta allo stomaco. La voglia di mollare tutto e andare con lei subito era insostenibile.

Non avrei potuto lasciarla sola … non avrei voluto lasciarla sola con lui.

Aveva bisogno di me ed io sarei stato con lei, a casa sua o all’inferno.

Ma la lasciai andare: avevo bisogno di prendere le distanze, prima di riaddentrarmi in quel territorio minato da tentazioni che era la sua vicinanza.

Nelle due ore successive la concentrazione non fu al massimo. Fissavo il monitor senza veramente vederlo.

Notando la mia distrazione, Paul mi si avvicinò.

-Vai da lei, fratello … qui hai finito. Io e Candice riproveremo i dialoghi prima di chiudere e poi ce ne andremo anche noi. Qui non hai più nulla da fare e fissare quello schermo non ti farà stare meglio. Vai da lei e vedi come sta … e chiama Nikki per riagganciarti alla realtà. –

Riagganciarmi alla realtà.

Per tre quarti del mio tempo vivevo una vita al di fuori della realtà, fatta di finzione, colma di creature sovrannaturali, dove l’impossibile diventava il quotidiano, dove certi amori erano epici, indelebili e altri sfociavano in tenere amicizie o con le ossa del collo spezzate. Giovani per sempre senza soluzione di continuità, senza possibilità di figli o famiglia, tutto si consumava in un eterno presente e in un infinito che era fragile come un foglio di carta velina.

Nella realtà, nella mia realtà, il tempo passava, in fretta, troppo in fretta … e io volevo tutto: carriera, famiglia, figli, impegno sociale … tutto e, soprattutto, non volevo aspettare, non più.

La mia realtà era Nikki, il mio presente … il mio futuro prossimo.

Nina era il mio sempre e il mio mai, il mio attimo fuggente, il sogno irrealizzabile, un freno ai miei desideri.

Non potevo aspettarla, non volevo.

Il problema però, non era la ragione, non erano le motivazioni, ma il mio istinto, l’insieme di emozioni che lei smuoveva e alle quali non riuscivo a resistere.

Senza rispondere a Paul, afferrai il giubbotto appoggiato alla mia sedia e mi diressi verso il parcheggio, dove avevo lasciato la mia Audi.

Il cielo si era fatto buio e le nuvole non permettevano alla luna di rischiarare il crepuscolo.

Guidavo con lo sguardo fisso all’asfalto e il piede incollato all’acceleratore, con i pensieri che mi rimbombavano nel cervello come una pallina da ping pong che rimbalzava tra le pareti del cranio.  Avevo spento anche la radio e le orecchie mi ronzavano come se avessi uno sciame di vespe nel canale uditivo.

Volevo correre da lei, scappare lontano, raggiungerla, allontanarla.

Senza pensarci troppo, premetti il pulsante del vivavoce che mi avrebbe messo in contatto con Nikki: avevo bisogno di un appiglio, un’ancora che mi tenesse con i piedi per terra, che non mi permettesse di fluttuare nel vuoto.

La sua voce riempì l’abitacolo, amplificata dagli altoparlanti.

-Ian, amore … come stai? Il lavoro? Tutto come previsto? – la sua voce dolce ammorbidì la tensione delle mie braccia, ancorate al volante.

-Nikki … mi manchi. – non mentivo. Davvero mi mancava.

-Qualcosa ti turba? –

Uno dei miei peggiori difetti: non riuscire a nascondere le emozioni, i turbamenti.

-Stanchezza … gira anche un po’ d’influenza. –

-Ti senti la febbre? –

-No … io no. – la voce si fece roca.

-Tu no … chi allora? – il tono si fece più dirò e la domanda era evidentemente retorica.

-Nina … credo che abbia preso un brutto raffreddore: ho dovuto mandarla a casa. -

-E tu stai andando da lei. – le sue parole erano pregne di frustrata rassegnazione.

-Chris l’ha accompagnata, io volevo solo … - non mi lasciò finire.

-Perché me lo stai dicendo? – la domanda non era così ovvia. –Non dirmi per onestà: mi sembra piuttosto un lavarsi la coscienza … -

-Nikki, avevo bisogno di sentirti, di sapere che ci sei … di sapere che capisci, che … -

-Ian, io ci sono, sono qui … capire è difficile: non stiamo parlando di Kat, non stiamo parlando di Candice. Sai bene che effetto ti fa Nina, che effetto fa a me sapere che siete vicini. –

-Devo vedere se sta bene … -

-Lo so … -

-Ti amo … -

-Lo so … -

-Tu chiamo più tardi. –

-Stai attento a non uscire da quella casa a pezzi: non li raccoglierò un’altra volta. – La sua severità mi scivolò addosso senza lasciare traccia.

-Buonanotte. –

Interruppi la comunicazione con più dubbi che certezze.

Perché avevo parlato di Nina a Nikki? Quale stronzo lo farebbe senza volerne pagare le conseguenze?

Cosa mi aspettavo, la sua benedizione … “Vai, bruciati, e io ti curerò le ferite …” ?

Per mia fortuna il parcheggio davanti all’appartamento di Nina era libero. Mi fermai e mi guardai attorno: l’auto di Chris non era nei dintorni e la luce alla finestra della camera era soffusa. Nina era a letto con l’abatjour acceso.

Non scesi subito. Appoggiai le braccia al volante e vi posai la fronte.

Che cosa stavo facendo?

Una cosa era vederla sul set, con tutta la troupe intorno, dove le tentazioni erano frenate dalla presenza di altre persone e sublimate da un bacio di scena o da un abbraccio da copione.

Salire da lei, nella sua camera, vicino al suo letto era come chiedere alla paglia di non incendiarsi vicino al fuoco.

Le avrei telefonato, le avrei lasciato un messaggio, le avrei detto che un impegno mi impediva di salire da lei.

Afferrai il telefono e lo fissai con le mani che tremavano. Infine, con stizza, lo infilai in tasca, sfilai le chiavi dal cruscotto e scesi dall’auto, sbattendo lo sportello contro la mia coglionaggine.

Cercai le chiavi per entrare nel mio personale girone infernale, quando mi resi conto che le avevo dimenticate in camerino.

Forse era un segnale, il monito a non proseguire in quella che, certamente, si sarebbe rivelata una gran cazzata.

Rimasi a guardare il citofono per un tempo che mi parve infinito.

Odiai quel tasto che mi avrebbe portato la voce di Nina, che avrebbe fatto scattare la serratura chiusa, che mi avrebbe condotto da lei.

Lo guardai come se fosse il  mio patibolo, la mia oasi ... la perdizione e la salvezza. Come potevo sentirmi tanto in contraddizione? Come poteva farmi sentire così inguaribilmente folle?

Lo guardai … la mia mano si mosse … e il tasto affondò sotto il mio polpastrello.

Passarono secondi che sembrarono secoli, attimi in cui una porta chiusa non era altro che un cancello ancora aperto, una via di fuga.

Passarono secondi pesanti come macigni in una clessidra troppo piccola … e miei piedi rimasero immobili.

-Ian? … -

-Sono qui. –

 

(Continua)

 

 

 

 

 

 

 

  
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