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Autore: Manu_Green8    23/03/2015    2 recensioni
Il college era la nuova esperienza di lei, da vivere e da gustare. Il pugilato professionistico quella di lui. Un anno era passato in fretta e i due ragazzi si sentivano più uniti che mai. Ma cosa accadrà quando si insinuerà la lontananza? O quando incontreranno persone nuove e ne riemergeranno dal passato?
L'avventura di Melanie e Chad continua, anche se non tutto sarà facile. Ce la faranno anche sta volta? Questo è tutto da scoprire...
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Salve, cari lettori! Vi ricordate di me? Forse sì, o forse no. Sono già passati diversi mesi dall'ultima volta che ho scritto una storia e finalmente sono ricomparsa proprio con il sequel di "Un battito d'ali... un battito del cuore". Con questo non vi obbligo di certo a leggere la storia precedente, ma vi invito comunque a farlo, considerando i riferimenti all'interno di tutta la fanfiction.
Non mi dilungo oltre! Fatemi sapere cosa ne pensate! Buona lettura :D
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[STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA: MI SCUSO PER IL DISAGIO]
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un battito d'ali.. un battito del cuore'
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Pov Melanie

Erano ormai passati diversi giorni dall'inizio delle lezioni e la mia routine iniziava a consolidarsi sempre di più di giorno in giorno. Come al solito, mi alzavo dal letto prima della mia compagna di stanza, con la quale non scambiavo una parola da almeno due giorni, e mi intrufolavo in bagno. Uscivo dall'appartamento che Cher dormiva ancora: il che mi portò a confermare il fatto che avessimo orari differenti.
E ogni mattina, alla stessa ora passavo davanti ad Adrian che mi faceva un cenno con il capo e mi mostrava il suo sorriso quando staccava gli occhi dalla tela e si accorgeva di me. Talvolta era talmente assorto che non mi notava neanche. Dopotutto quasi non ci conoscevamo e a me stava più che bene non attirare l'attenzione, nonostante Chris continuasse a ripetermi di diventare sua amica. Era una delle pochissime occasioni per conoscerlo in prima persona e di certo lui non voleva farsela scappare.
E mentre passavo di lì, il telefono vibrò nella mia tasca e un sorriso mi sorse spontaneo.
"Buongiorno, amore" dissi, premendo il verde e rispondendo senza neanche guardare chi fosse.
"Ciao a te, piccola. Come stai?" la voce di Chad era strana. Dalla prima parola mi ero accorta che sembrava quasi assente. Inoltre un leggero fruscio rendeva la sua voce un po' più bassa del normale.
"Bene. E tu?" continuai con le solite domande preliminari, mentre cercavo di fare mente locale e immaginare cosa potesse renderlo in quel modo.
"Tutto ok. Sei già uscita?" mi chiese.
"Sì" risposi, ma la mia voce venne sovrastata da un rumore al di là del telefono: un clacson.
E fu così che capii cosa fosse quel leggero fruscio che avevo sentito dall'inizio della conversazione: il vento. E certamente realizzai perché Chad parlasse in qiel modo. Non era affatto assente: era concentrato.
"Chad! Sei sulla moto?!" quasi urlai e notai delle ragazze lungo il viale che si erano voltate a guardarmi in modo annoiato.
"Eh? Quale moto?" mi rispose e per la prima volta quella mattina sentii l'ironia nella sua voce.
"Dio, sei un delinquente! Stai parlando al telefono mentre guidi la moto?" chiesi per la seconda volta, non volendo credere al fatto che lo stesse facendo davvero.
"Forse" disse, ridacchiando.
"Tu sei completamente impazzito" lo insultai, spalancando gli occhi. Non che non mi fidassi di come guidasse il mio ragazzo. Anzi, sapevo quanto fosse bravo, ma rischiare di farsi male o di essere investito perché parlava con me mentre guidava, era proprio una follia.
"No. Sono solo in ritardo" fu la sua placida risposta.
Sospirai esasperata. "Richiamami dopo. Non ti voglio sulla coscienza, disgraziato!".
Lo sentii ridere. "Macché coscienza. Comunque ho appena fatto. Niente di cui preoccuparsi" disse in modo beffardo.
"Sei.." iniziai a dire, fermandomi per trovare la parola giusta da appioppargli.
"Incredibile? Meraviglioso? Geniale?" chiese e potevo immaginare perfettamente il sorriso che doveva avere sul viso in quel momento.
"Beh, non erano proprio le parole che avrei utilizzato. Stavo per dire più... Incosciente" terminai.
Lo sentii ridere e non potei fare a meno di pensare che piuttosto che colpirlo per aver guidato in quel modo, avrei voluto soltanto abbracciarlo e sentire il suo calore intorno a me.
"Sei arrivato al lavoro?" gli chiesi, cercando di pensare ad altro.
"Sì. Sono appena arrivato" rispose, mentre lo sentivo macchinare con le chiavi.
"Ok. Allora ti lascio andare. Ci sentiamo più tardi, va bene?" proposi.
"Ok, piccola" mi rispose, mentre mi fermavo davanti all'aula che avevo appena raggiunto e in cui sarei dovuta entrare.
"Chad?" lo richiamai, prima che potesse attaccare.
"Sì?".
"Mi manchi" non potei fare a meno di dire.
Lo sentii sospirare prima di rispondere: "Anche tu. Ti amo".
"Anche io, sempre" gli dissi indietro, prima di chiudere la conversazione. Sorrisi tristemente, ma cercai di non pensarci ed entrai nell'aula, dopo aver riposto il cellulare e proseguire con la mia giornata.
 

Pov Rachel

Quella mattina aprii gli occhi prima del solito. Era ancora piuttosto strano per me svegliarmi in una stanza diversa da quella in cui avevo dormito per anni e in un letto decisamente più grande. La cosa migliore di tutte, però, era il ragazzo che mi ritrovavo accanto tutte le mattine. Dave, in quel momento, aveva un braccio intorno alla mia vita e il suo petto nudo era a contatto con la mia schiena. Adorava dormire soltanto con i pantaloni del pigiama e io non mi lamentavo certamente di ciò. Il suo respiro era regolare e profondo, quel tipo di respiro che avevo imparato a conoscere già da quando stavamo a Dover. Il sonno del mio ragazzo infatti, al contrario del mio, era decisamente pesante e a me veniva molto semplice sgattaiolare fuori dalle sue braccia senza svegliarlo, per preparare la colazione o soltanto per prepararmi. Un'altra sua caratteristica, infatti, era quella di riuscire a prepararsi alla velocità della luce e proprio per questo era sempre l'ultimo ad alzarsi.
Mi girai delicatamente tra le sue braccia per guardarlo direttamente in faccia. Era così rilassato da sembrare un angelo e quell'accenno di sorriso sulle labbra portò a chiedermi a cosa stesse sognando.
Passai una mano tra i suoi capelli ramati e lo sentii sospirare nel sonno. In quei momenti mi chiedevo come avessi fatto ad ottenere un ragazzo del genere e ad averlo soltanto per me.
E mentre continuavo a formulare quel tipo di pensieri, i suoi occhi si aprirono, sorprendendomi.
Sorrisi, mentre il suo braccio mi trascinava ancora più vicina a lui. "Hai finito di fissarmi?" disse con la voce roca che aveva sempre dopo essersi svegliato e che io ritenevo dannatamente sexy.
Io ridacchiai. "No" risposi, mentre lui sorrideva e chiudeva di nuovo gli occhi. "Quindi ho appena trovato un modo per svegliarti prima del suono della sveglia?" chiesi, ancora stupita da quell'evento raro.
Dave mugolò senza rispondere e seppellì il viso nel mio collo. "Che ore sono?" chiese, solleticandomi la pelle con il suo respiro.
"Le sette".
"Cosa? Ma è ancora l'alba!" protestò staccandosi da me e poggiando la testa di nuovo sul cuscino, dopo avermi dato le spalle.
"Andiamo! Ormai ti sei svegliato" protestai.
"Non è vero. Sto ancora dormendo" borbottò e io non potei fare a meno di ridere. Era adorabile.
Mi sporsi verso di lui, intenzionata a contrastare i suoi piani. Non volevo farlo tornare a dormire.
Piazzai un bacio sulla sua spalla, ma lui rimase impassibile. Continuai il lavoro e salii con le labbra lungo la sua pelle, sulla clavicola, sul collo, sulla mandibola appena ruvida per la barba che stava iniziando di nuovo a crescere e sulla guancia, così vicina alle sue labbra. Dave emise un piccolo gemito e si voltò verso di me cercando le mie labbra con le sue. Fu un bacio leggero e delicato e io sorrisi, pensando di essere riuscita nel mio intento. Quando si allontanò da me, però, appoggiò la testa sul cuscino di nuovo e io sospirai.
"Piccola, io ho fame" si lamentò.
"Andiamo a fare colazione" proposi, ma lui non sembrava essere dello stesso parere.
"Ma è presto. E dobbiamo ancora cucinare" disse, scuotendo la testa e distendendosi sulla pancia.
Io sbuffai e mi misi a sedere, allontanando le coperte da noi.
"Alzati, D" ordinai alzandomi in piedi, dopo avergli dato uno schiaffetto sul fondoschiena.
"O ti lascio a digiuno" lo minacciai, drigendomi verso la cucina.
Lo sentii borbottare qualcosa e poi il letto che cigolava sotto ai suoi movimenti.
Finalmente si era alzato.
Mi misi subito ai fornelli mentre poco dopo Dave venne a sedersi su uno degli sgabelli della cucina, poggiando le braccia e la testa sul ripiano davanti a sé. "Dave!".
"Che c'è?" chiese esasperato.
"Dato che miracolosamente sei in piedi a quest'ora, che ne diresti di darmi una mano?" gli chiesi facendogli gli occhi dolci, a cui sapevo perfettamente che non riusciva a resistere. Lui sollevò gli occhi al cielo e sorrise. "E va bene" disse, alzandosi in piedi e mettendosi all'opera.

In due il lavoro da fare si era dimezzato e la nostra colazione fu pronta prima del previsto. Dave divorò tutto come al solito e io mi chiesi come facesse a mangiare così tanto senza alcun problema né rischio di ingrassare.
E così tra risate e sorrisi la nostra colazione finì e Dave si alzò in piedi soddisfatto. 
E mentre iniziavo a mettere le stoviglie a posto, il mio ragazzo parlò: "Vado a farmi una doccia" disse, camminando verso il bagno. Fece soltanto qualche passo e poi si voltò di nuovo: "vieni con me?" mi propose con un sorriso malizioso sulle labbra.
E così, guardandolo al centro del salotto, con addosso soltanto dei pantaloni grigi e i capelli ancora scompigliati, non potei fare a meno di abbandonare i piatti sul ripiano e senza farmelo ripetere due volte lo seguii verso il bagno, per poter iniziare la giornata nel modo migliore.
 
Io e Dave uscimmo di casa allo stesso orario, separandoci con un casto bacio prima di intraprendere le strade diverse che ci avrebbero condotto alle differenti lezioni. La mia facoltà era davvero come avevo sempre immaginato: d'altronde avevo visto per anni la mamma all'opera nel suo studio e alle prese con la clientela da difendere in tribunale. E proprio nell'ambito del lavoro aveva conosciuto mio padre e si erano innamorati a tal punto di dare alla luce due creature, che adesso riuscivano a malapena a vedere i genitori. Nonostante avessi scelto la stessa facoltà di mia madre, rendendo felice entrambe, mi ero rispomessa già da tempo che non avrei mai seguito l'esempio dei miei genitori. Mi sarei impegnata ad essere sempre lì per loro, un giorno.
E così ero riuscita ad integrarmi quasi subito, stringendo amicizia in particolare con due ragazze che fin dall'inizio mi erano sembrate simpatiche. Lucy e Zoe venivano entrambe da Los Angeles e si conoscevano da quando erano veramente piccole. Una mora e l'altra bionda, erano talmente legate che una completava spesso le frasi dell'altra o riuscivano a comprendersi soltanto con uno sguardo. Quel tipo di rapporto che io non ero mai riuscita ad avere con nessuno. Neanche con Melanie, che era arrivata a Dover in un periodo della mia vita talmente noioso da risultare soltanto monotono e ripetitivo. E la noatra amicizia, benché veramente salda da continuare a sentirci quasi tutte le sere anche in quel periodo di distacco, non aveva mai raggiunto certi livelli, sicuramente per il fatto che due anni non erano poi così tanti.
Nonostante il loro rapporto le due ragazze erano subito state amichevoli con me, dopo avermi aiutata il primo giorno a trovare l'aula giusta in cui seguire la prima lezione. E forse intenzionate ad ampliare i loro orizzonti in quanto a relazioni sociali, avevano continuato a parlare e a passare del tempo con me. Io ero sempre stata considerata la ragazza che riusciva ad attaccare bottone con tutti, specialmente quando trascorrevo molto del mio tempo con Melanie. Delle due, infatti, io ero quella estroversa e spontanea, mentre lei quella chiusa e talvolta anche scontrosa. Comunque, sapevo benissimo che quella della mia migliore amica era soltanto una corazza resa sempre più dura con il passare del tempo a causa della malattia che aveva dovuto affrontare per anni.
Così come la sua era solo una corazza, anche il mio comportamento era qualcosa del genere. Da quando mio padre era partito per il suo maledetto lavoro circa tredici anni prima e tornava a casa di tanto in tanto, facendoci sapere che era ancora vivo per miracolo, la mia personalità si era plasmata anche in base a quello. Avevo sempre paura di essere abbandonata, come aveva fatto mio padre, e di rimanere da sola e proprio per quel motivo cercavo di essere sempre amichevole con tutti e di vedere il lato buono delle persone, intrattenendole con la mia parlantina, presa da mia madre, avvocato qual era.
Da un lato però questa situazione mi aveva portata al punto di non legarmi veramente con la gente, allontanandomi istintivamente quando le cose si facevano più complicate. E tutto questo era cambiato da quando i Carter erano entrati nella mia vita. Quando avevo scoperto della malattia di Melanie avevo avuto talmente paura che il mio primo istinto era stato quello di allontanarmi, come al solito. Non volevo perdere un'altra persona a me cara, ma lei era diversa. Era così forte che riusciva a tenermi sempre in piedi e così viva che la monotonia era sparita dalle mie giornate. Tutte qualità che Melanie ovviamente non riusciva a vedere, tormentata da quella malattia che era riuscita a superare quasi due anni prima.
E poi aveva un gemello. Quel ragazzo che mi aveva colpito con il suo sorriso dalla prima volta che lo avevo visto, nella mensa della scuola e dalla prima volta che mi aveva rivolto quel semplice ciao. E mi aveva fatto perdere la testa a tal punto da accettare di vivere con lui in un appartamento a pochi isolati da Stanford. Da quando li avevo conosciuti avevo capito finalmente che legarsi alla gente non era poi così male e mi ero ripromessa di godermi la vita insieme a loro, anche se significava talvolta litigare con il fidanzato della mia migliore amica, Chad, con il quale non avevo assolutamente nulla in comune o assistere agli isterismi di Melanie o ancora passare le notti sveglia per parlare al telefono con il ragazzo che amavo, nonostante il giorno dopo avessimo scuola. Già, quella era davvero una bella vita.
Così la prima lezione della mattinata finì e mi separai dalle gemelle siamesi- così le chiamavano tutti- per andare al bagno, prima che iniziasse la prossima lezione.
Mentre camminavo per i corridoi sentii il telfono vibrare nella mia tasca e lo tirai fuori. Sorrisi vedendo che avevo appena ricevuto un messaggio da Dave.

Mi manchi. Pranziamo insieme oggi? Riesci a venire per l'una e mezza ai giardinetti est? Per favore non dirmi di no!
With love, D.

E come potevo rispondere di no? Stavo per scrivere la risposta quando distratta dal telfono andai a sbattere contro qualcuno e una montagna di carte volò intorno a noi. Subito mi abbassai per terra cercando di raccogliere quanto più possibile. "Oh dio. Mi scusi, dovrei guardare dove cammino. Mi dispiace" dissi molto velocemente.
E poi qualcuno si abbassò accanto a me e mi afferrò delicatamente il polso. "Si figuri. Anche io non stavo guardando dove andavo. Non si preoccupi, signorina. Sapevo che queste carte avrebbero fatto una brutta fine, ad un certo punto" disse una voce calda e profonda. Alzai lo sguardo per la prima volta e finalemente lo incrociai con quello del mio interlocutore.
Era un uomo con i capelli castani e degli occhi scuri piuttosto penetranti, con gli occhiali neri e sottili a circondarli. Indossava una camicia e una cravatta allentata. Per non essere più un ragazzo, non era proprio niente male e la barba si vedeva appena, ordinata con i baffi e il pizzetto più accentuati del resto.
Io gli sorrisi educatamente e lo aiutai comunque a raccogliere i fogli. Quando finimmo ci alzammo in piedi e glieli porsi.
"Grazie" mi disse, sorridendo. Poi guardò un punto sopra la mia testa. "Accipicchia. Devo scappare. Arrivederci, signorina...".
"Miles" terminai e lui annuì, prima di passarmi accanto e sparire per i corridoi, in mezzo alla gente, molta della quale aveva guardato tutta la scena con curiosità e divertimento, probabilmente per la figura poco carina che avevo fatto andando a sbattere contro ad un uomo, perché troppo impegnata a guradare il mio cellulare.
E a quel punto mi ricordai di non aver ancora risposto a Dave. Sbloccai il telefono che avevo ancora in mano e risposi in modo affermativo, felice del fatto che avrei potuto vedere il mio ragazzo anche prima che si facesse buio. Dopo averlo fatto mi mossi da lì e sorridendo, raggiunsi l'aula successiva della giornata.
 
Il pranzo con Dave fu più lungo del previsto, considerando che il mio ragazzo aveva una pausa più lunga della mia, prima dell'inizio degli allenamenti e che io avevo perso la concezione del tempo solo a causa dei suoi dannati e bellissimi occhi verdi. Per cui, adesso mi ritrovavo quasi a correre per i corridoi, cercando di arrivare in tempo, prima che la lezione di diritto politico iniziasse. Ero in netto ritardo, per la prima volta da quando il college era iniziato. Almeno il professore di quella materia era un vecchio così pacato che non si accorgeva nemmeno di chi arrivasse in ritardo e non li degnava neanche di uno sguardo continuando la sua lezione. Aprii la porta dell'aula cautamente, con il fiatone, a causa della corsa che avevo appena fatto. La corsa era l'attività fisica che apprezzavo di più al punto che spesso la sera, prima che Dave tornasse dagli allenamenti mi ritrovavo a farlo per le strade piene di verde della città. In quel caso, però, non era stata una cosa così carina da fare, senza tralasciare la tracolla piena di libri che mi perforava una spalla. Mi ripromisi di farla pagare a Dave, una volta tornata a casa quella sera. Sgattaiolai dentro e senza guardare la cattedra cercai un posto a sedere, tentando di scovare le due mie amiche. Aveva appena fatto in tempo ad individuarle che una voce mi fece sobbalzare. "Essere in ritardo è una forma di maleducazione nei confronti del professore, che deve interrompere la sua lezione o che perde semplicemente il filo del discorso distraendosi" disse una voce profonda, che quella mattina mi era già capitato di sentire.
Alzai gli occhi e vidi lo stesso uomo con gli occhiali, a cui avevo fatto volare le carte per il corridoio, in piedi davanti alla cattedra, all'inizio della grande aula.
"Io... Mi scusi" dissi, imbarazzata. Per la seconda volta avevo fatto una figura poco consona davanti a quel, a quanto pareva, professore. E tutte e due le volte a causa di Dave. Oh sì, quel ragazzo non l'avrebbe passata liscia. Stavo analizzando le vendette che avrei potuto mettere in atto, quando il professore mi riportò alla realtà.
"Prenda posto, signorina Miles" disse e io sobbalzai al sentirgli pronunciare il mio cognome.
Non me lo feci ripetere una seconda volta e mi mossi da lì, andando a sedermi vicino alle due ragazze che mi guardavano con stupore e curiosità.
"Come fa a sapere il tuo nome? E perché sei in ritardo?" mi sussurrò Lucy, inclinando leggermente la testa e facendo cascare una ciocca di capelli scuri sul suo viso.
"Lunga storia, ve la racconto dopo" risposi, guardando comunque dritto davanti a me.
Non volevo essere ripresa un'altra volta per disturbare la lezione.
"Ma lui chi è? Che fine ha fatto il professor hovogliadiandareinpensione?" non potei fare a meno di chiedere, utilizzando il soprannome che avevamo dato al professore che avevamo fino al giorno prima e che parlava spesso soltanto con se stesso, mostrando solo la voglia di tornarsene a casa.
"Problemi di salute. Lui è il suo sostituto: il professor Michael Ant" mi spiegò Lucy a bassa voce, tornando anche lei a guardare davanti a sé. Intanto il professore aveva iniziato a parlare e noi smettemmo definitivamente di chiaccherare pronte a seguire finalmente le lezione, che sicuramente sarebbe stata decisamente più interessante di quelle precedenti.
 

Pov Melanie

Dopo aver parlato con Chad quella mattina, mi ero diretta subito a lezione. Oggi ci avevano avvisati che avremmo finalmente iniziato a mettere in pratica ciò che avevamo appreso dalla teoria e avremmo ripreso in mano, matite e attrazzetura giusta per dar vita alla noatra prima opera al college.
Ero così elettrizzata che arrivai quasi per prima in aula. Presi posto sulla solita sedia, verso i primi posti e vidi la gente che entrava e la stanza che a poco a poco si riempiva. Non erano neanche le otto quando la professoressa era entrata in aula, puntuale come al solito.
"Buongiorno" aveva detto semplicemente, senza sistemarsi alla cattedra. "Oggi cambieremo aula, seguitemi" disse e tutti ci alzammo in piedi, con l'ansia e l'eccitazione che fremevano dentro di noi.
Il luogo che raggiungemmo era uno degli spazi del college che più apprezzavo e che anche in seguito avrei iniziato ad amare. Era una grande sala piena di vetrate, con la luce del sole che entrava e illuminava il tutto. Al suo interno, a debita distanza l'uno dagli altri c'erano cavalletti e dei tavoli attrezzati.
"Bene signori, oggi per la prima volta potrete mettere in pratica le vostre abilità per raggiungere un grande e importante obiettivo. Chi tra voi, infatti, vincerà questa sorta di concorso per quattro giorni potrà recarsi a spese del nostro istituto a New York, dove si terranno due mostre dei maggiori esponenti della pop art e due convegni in merito" disse e da lì partì il vociferare intorno a noi. Io non riuscivo a credere che nonostante avessimo appena iniziato il nostro percorso avevamo la possibilità di andare a New York e di assistere a eventi così importanti nel nostro campo.
"Potremo assistere a convegni su Andy Warhol?" chiese una ragazza, con gli occhi che le brillavano.
"Esattamente" annuì la professaressa e io potei vedere negli occhi di tutti la determinazione e la voglia di vincere. Anche io mi sentivo proprio come loro e sapevo che ce l'avrei messa tutta per vincere questo concorso.
"Soltanto due dei vostri saranno scelti e potranno partecipare insieme ad altri due ragazzi del nostro corso degli anni successivi. Il vostro compito è quello di realizzare un dipinto o un disegno a vostra scelta, che possa trattare qualsiasi cosa utilizzando soltanto due colori e tutte le loro tonalità: il rosso e il blu" e a quel punto indicò il tavolo dietro di sé, sopra la quale erano piazzati pastelli, matite, acquerelli e tutti gli altri materiali necessari per poter adempire al nostro compito. E su di esso soltanto i due colori appena enunciati. Dalla magenta al rosso fuoco al rosso scuro, dal blu come la notte e al celeste ghiaccio.
"Avete una settimana di tempo e potrete lavorarci soltanto qui dentro, durante le mie lezioni. Prendete posto e buon lavoro" terminò, andando a sedersi alla sua cattedra.
Presi subito posto davanti ad uno dei cavalletti, accanto alla quale si trovava un tavolo attrezzato di fogli di tutte le grandezze. Ora, avrei dovuto scegliere per prima cosa se creare un dipinto o se dedicarmi al disegno.
Mi guardai intorno e vidi la maggior parte dei ragazzi già piazziati davanti alle tele. In effetti un dipinto fatto bene sarebbe potuto risultare un'opera d'arte migliore rispetto ad un semplice disegno. Ma io amavo disegnare. Lo facevo da quando ero bambina e grazie ad esso ero riuscita ad entrare in quell'istituto.
Perciò credendo nelle mie capacità e non volendo amalgamarmi alla massa mi misi a sedere al tavolo, scegliendo le dimensioni giuste del foglio. E poi, prima di scegliere i colori iniziai a pensare a quale sarebbe potuto essere il soggetto del mio disegno, cercando di associare quei due colori a qualcosa di veramente adeguato, che avrebbe potuto portarmi più vicina a questa vittoria, il cui solo pensiero faceva andare in circolo nel mio sangue pura adrenalina.
 

Pov Chad

La casa era così silenziosa. Talmente tanto che arrivai a chiedermi che fine avessero fatto tutti a quell'ora del pomeriggio. Seduto sul mio letto si sentiva soltanto la lancetta dell'orologio sulla scrivania, che mi ricordava come i battiti di un cuore che il tempo continuava a passare e che io lo stavo perdendo. Avevo già perso qualcosa, ma non riuscivo a ricordare cosa. E poi il campanello suonò, distruggendo il silenzio. Mi alzai in piedi e scesi di sotto il più in fretta possibile. Aprii la porta e mi trovai di fronte una ragazza che mi dava le spalle, lasciando alla mia vista i suoi lunghi capelli rosso fuoco.
La ragazza si voltò verso di me e incontrai i suoi occhi. Quel verde intenso in cui mi ero perso milioni di volte.
"Melanie" dissi con un filo di voce, stupito.
"Chad" la sua voce che formulava il mio nome mi faceva venire i brividi lungo la schiena.
"Che cosa ci fai qui?" chiesi, pensando che lei doveva essere al college. Non qui a Dover.
"Abbiamo perso troppo tempo. Mi dispiace" mi disse ed entrò in casa, mettendo le mani sul mio petto e facendomi indietreggiare. La porta si chiuse dietro di lei e le sue labbra furono sulle mie. Era un bacio intenso, di quelli che ti faceva venire voglia di averne degli altri.
"Melanie" dissi staccandomi solo per respirare.
"Mi dispiace di averti lasciato qui, amore" affermò, passando le mani sotto la mia maglia. "Ho bisogno di te" continuò.
Non riuscii a resistere e la baciai di nuovo, mettendo le mani sul suo viso. La mia lingua fu nella sua bocca, che aveva dischiuso per permettermi l'accesso.
Sentivo le sue mani giocare con il bottone dei miei jeans e presto furono sbottonati.
"Mel" sussurrai, baciando il suo collo e ogni parte di pelle scoperta che riuscissi a trovare. Mi staccai da lei per liberarla della sua maglia, che finì per terra mentre lei mi trascinava verso il salotto e mi spingeva sul divano, dopo avermi aiutato a togliere la maglia. Si mise a cavalcioni su di me, abbassandosi per baciare il mio tatuaggio e per lasciare piccoli morsi intorno, mentre io passavo la mano tra i suoi capelli e gemevo.
"Non lasciarmi" mi sentii dire, mentre cercavo di nuovo le sue labbra.
"No" disse, accontentandomi.
"Chad" sussurrò, a un centimetro dalle mie labbra.
"Melanie".
"Chad... Chad..." e poi la sua voce divenne sempre più bassa e diversa.
"Chad!" sentii la voce di mio fratello nell'orecchio e sentii il mio corpo che veniva riportato alla realtà.
La sua mano sul mio braccio nudo che cercava di scuotermi. "Chad, svegliati!" disse Evan, mentre io mi muovevo tra le coperte del mio letto, ormai diventate troppo calde. E finalmente realizzai che quello che avevo appena vissuto era solo un sogno. E io volevo tornare tremendamente a dormire. Melanie non era lì con me e non mi dispiaceva affatto vederla nei sogni, nonostante non fosse reale.
"Chad!" Evan mi chiamò ancora una volta.
"Mmh, lasciami in pace" borbottai, girandomi dalla parte opposta.
"Ma devi alzarti!" insistette.
Io sbuffai e realizzai che era domenica. Cosa che mi fece imbestialire ancora di più. Perché diavolo mi stava svegliando di domenica, quando sapeva benissimo che non doveva farlo?
"Evan va' via. È ancora presto!" dissi, iniziando a perdere la pazienza.
"Presto? Sono le due!" ribatté e io a quel punto aprii gli occhi.
"Mmh" allungai minacciosamente un braccio verso di lui e lo sentii urlare. Balzò giù dal letto e scappò verso la porta.
E poi sentii la risata di qualcuno.
"Scusa, marmocchio. Avrei dovuto svegliarlo io" disse la voce di Ryan.
Che diavolo ci faceva in casa mia?
Poi sentii dei passi frettolosi che si allontanavano e io sbuffai gettando via le coperte e mettendomi a sedere sul letto. Mi portai le mani sul viso e i gomiti sulle ginocchia, irritato.
"Buongiorno, furia" disse Ryan, che adesso era in piedi appoggiato allo stipite della porta.
Io mi alzai in piedi, borbottando e andando verso il bagno.
"Oh, Chad. Il tuo amico è più sveglio di te. Adesso cspisco perché gemevi il suo nome mentre dormivi. Proprio un bel sogno eh?" mi derise, facendo un cenno con la testa verso il mio pacco, coperto solo dai boxer.
"Fottiti" dissi, sentendomi male per non essere riuscito a terminare il sogno.
Era domenica, l'unico giorno in cui dormivo spropositamente e non ero riuscito a finire un sogno così piacevole.
Entrai nel bagno che avevo in camera e aprii l'acqua della doccia, mentre Ryan rideva di me nella mia stanza.
“Quello l’hai già fatto nel tuo sogno” mi prese in giro.
Io alzai gli occhi al cielo e sbarazzandomi dei boxer mi infilai dentro la doccia. Imprecai, mentre il getto non ancora caldo si schiantava sulla mia pelle.
“Da quanto tempo non la senti?” mi chiese, la sua voce più vicina, probabilmente perché si era avvicinato al bagno.
“Ieri sera”.
“Oh, mica tanto” affermò.
“Sì, ma non è la stessa cosa, lo sai”.
“Sì, lo so Chad” disse, la sua voce fattasi improvvisamente seria.
Questa era una delle cose che adoravo di più di Ryan. Nonostante il suo carattere riusciva a diventare serio al momento giusto, soprattutto con le persone a cui teneva, riuscendo a capire come comportarsi in determinate situazioni. Lui sapeva perfettamente quanto Melanie mi mancasse e quanto fosse stato difficile per me lasciarla andare.
“Comunque, che diavolo ci fa a casa mia a quest’ora?”  chiesi, cambiando discorso.
“Forse la domanda sarebbe: perché non eri ancora sveglio a quest’ora? Non dirmi che ti sei dimenticato del nostro impegno!” mi chiese, con un’altra domanda.
“Certo che no. Ma sei in anticipo di almeno tre ore, se hai notato”.
“Sì, beh. Volevo solo pranzare con te” mi rispose.
Feci una mezza risata e roteai gli occhi. “E vorresti dirmi che non avevi calcolato il fatto che stessi ancora dormendo e che non hai ancora pranzato? O che comunque se fossi stato sveglio avrei già pranzato a quest’ora?” lo derisi.
“In realtà ho già mangiato. Volevo soltanto far mangiare te”.
Io intanto spensi il flusso dell’acqua e raggiunsi l’asciugamano con il braccio, avvolgendolo intorno alla vita. Uscii da lì e l’aria fredda entrò subito a contatto con la mia pelle bagnata, facendomi rabbrividire.
Guardai Ryan, che adesso stava appoggiato allo stipite della porta con la spalla.
“E chi sei? Mia madre?” chiesi ironico.
Lui scrollò spalle e fece una faccia incurante, mentre io gli passavo accanto e mi dirigevo davanti all’armadio.
“Che diavolo devo indossare?” chiesi dopo aver aperto le ante, mentre il mio amico aveva preso posto sulla poltrona.
“Jeans e camicia vanno benissimo” mi istruì, facendo un gesto sbarazzino con la mano.
Mi diressi di nuovo in bagno e mi vestii in fretta. Guardai i miei capelli allo specchio, che stavano diventando di nuovo troppo lunghi e pensai che sarebbe stato opportuno tagliarli di nuovo, al più presto. Li buttai indietro con la mano e tornai in camera, dirigendomi al piano di sotto con Ryan al seguito.
“A proposito, perché tu non sei ancora vestito?” gli chiesi, indicando la sua felpa nera con il cappuccio.
“Perché devi aiutarmi a scegliere” affermò deciso, mentre entravo in cucina.
Mia zia, seduta al tavolo insieme a Mason, mi guardò e sorrise.
“Buongiorno, pensavo che saresti morto in quel letto oggi” mi prese in giro.
“Giorno. Beh, non sarebbe stata poi una cattiva idea” affermai, prendendo un piatto dalla credenza e riempiendolo con il cibo rimasto del pranzo cucinato da mia zia. Ogni domenica era sempre la stessa storia. Nel pranzo domenicale io ero solo un’apparizione.
Mi sedetti sullo sgabello, davanti al ripiano della cucina e prestai di nuovo l’attenzione a Ryan, che venne a sedersi accanto a me.
“Quindi dobbiamo andare a casa tua?” gli chiesi.
Lui annuì: “Mia madre e Blake continuano a chiedere di te, per altro. Due piccioni con una fava”.
Io sorrisi, pensando al primo incontro con la signora Rage e a come mi avesse accolto in casa sua così benevolmente. E poi c’era Blake, la sorella minore di Ryan che, lui continuava a ripetermi, aveva una cotta mostruosa per me. Aveva appena quindici anni ed era una ragazza davvero simpatica e sempre allegra, proprio come suo fratello. Non che il resto della loro famiglia fosse da meno.
“Chad, che cosa hai fatto a tuo fratello?” mi chiese mia zia, interrompendo i miei pensieri, mentre masticavo il boccone che mi ero ficcato in bocca.
La guardai accigliato. “Che cosa gli ho fatto?” chiesi istintivamente.
“Perché continua a nascondersi dietro la porta, senza voler entrare in cucina?” continuò lei e io mi voltai verso la porta. Evan aveva appena la testa sporta verso l’interno della cucina, ma appena si accorse del fatto che lo stessi guardando squittì e la tirò indietro.
Io cercai di trattenermi dal ridere. “Sa benissimo che non avrebbe dovuto svegliarmi” affermai.
“Ma Ryan era lì” protestò a quel punto il marmocchio, entrando in cucina.
“E che importa?” ribattei.
Mio fratello sbuffò e Mason scosse la testa, mentre ci guardava. “Vieni qui, ragazzino” gli disse e gli fece segno con la mano.
Mio fratello rise e corse verso di lui, gettandosi sulle sue gambe. “Lascia stare tuo fratello. È solo un orso” gli disse, facendolo sorridere e annuire.
E io mi bloccai a guardare quella scena. Mi si sciolse il cuore, pensando a come sembrasse felice mio fratello sulle gambe di un uomo che poteva benissimo fargli da padre. Un uomo che sembrava voler fare parte di noi e che sicuramente non era me.
Poteva essere finalmente la figura che non c’era mai stata in quella casa. O almeno, non per Evan.
“Ehi, tutto bene?” mi chiese Ryan, dandomi un colpo sul braccio che teneva la forchetta, ormai ferma a mezz’aria.
Io annuii e non appena finii di mangiare, mi lasciai trascinare da Ryan fuori casa, dopo che aveva salutato per bene i miei familiari. Dentro quella casa tutti, compresa mia zia, ci eravamo ormai abituati ad avere quella presenza costante: quel pugile così diverso da me.
Dovetti lasciare malvolentieri la mia moto nel parcheggio e salii nella macchina di Ryan, facendomi condurre fino a casa sua.
La villetta era molto simile alla nostra e non appena entrammo in casa, delle voci ci investirono. Al contrario di casa mia, lì c’era sempre un gran casino e il silenzio era un’occasione rara. Il televisore a tutto volume e musica che arrivava da chissà dove.
Quando Ryan fece sentire la sua voce, subito sua madre, una donna bassa e con degli occhi accesi e vispi, ci venne incontro e salutò con grande gioia, abbracciandomi e facendomi sentire quel calore materno e quel senso di protezione che non sentivo da tempo.
“Dovresti venire più spesso a trovarci, tesoro” mi disse, come di consueto e io sorrisi, cercando di rispondere in modo cordiale ed educato.
Anche sua sorella scese le scale di corsa poco dopo e saltò addosso a Ryan con poca delicatezza. “Ehi, fratellone!” gli urlò.
“Blake, guarda chi ho portato!” gli disse, indicandomi.
La ragazza gli lanciò uno sguardo fulminante, mentre Ryan sorrideva sornione.
“Ciao, Chad” mi disse poi la ragazza, facendomi un sorriso luminoso.
“Ciao, Blake” dissi, ricambiando il sorriso.
“Dove andate vestiti così?” chiese, poi al fratello, ma senza staccare gli occhi da me e dai miei vestiti.
“Ad una sfilata. E adesso va a fare ciò che stavi facendo prima. Abbiamo del lavoro da fare qui” disse Ryan, facendomi segno di seguirlo di sopra.
“Sfilata? Di moda? Ma perché non mi porti mai con te?” si lamentò la ragazza, restando ai piedi delle scale.
“Perché non sei nemmeno maggiorenne e non ho intenzione di mettere a rischio la sicurezza della cocca di casa portandoti con me” affermò Ryan, andando verso la sua camera.
“Io non sono la cocca di casa” ribatté l’altra, facendo ridere il fratello.
“Sì, come vuoi” borbottò lui, facendomi sorridere.
E poi mi ritrovai in camera sua a osservare montagne di camicie tutte uguali, per poi annuire e arrivare al punto di essere d’accordo con la sua scelta, ovviamente.
Infatti, lui sapeva già cosa avrebbe indossato, ma voleva soltanto che io gli dicessi che poteva andare bene e che gli stesse da dio.
E io ne ero consapevole: conoscevo ormai troppo bene quel ragazzo.
E così, fummo fuori dopo poco tempo e in macchina Ryan mostrò tutto il suo entusiasmo. Aspettava questo evento da giorni ed era così contento per il fatto che potessi finalmente vedere la famosa ragazza di cui mi aveva parlato.
“Ci aspetterà alla fine della sfilata e potrò presentartela come si deve” mi spiegò, mentre camminavamo tra la folla che si era radunata intorno all’hotel che avevamo davanti. Intorno a noi c'erano moltissime donne vestite di tutto punto, ma anche uomini, lì da accompagnatori o soltanto da spettatori. E così scoprii che anche una buona parte del sesso maschile si recava a quel tipo di eventi e si interessasse alla moda, per apparire al meglio nella loro vita quotidiana. Cose per me inconcepibili, considerando che io andavo in giro con tute da ginnastica e felpe più grandi della mia taglia.
“Come diavolo hai fatto a convincermi?” chiesi a Ryan, mentre andavamo verso l’entrata.
Lui rise e si sistemò la giacca, tirando fuori dalla tasca i due inviti che ci avrebbero permesso di entrare.
“Vedi il lato positivo. Qui si po’ rimorchiare. E con una vasta scelta di entrambi i sessi” ammiccò.
Io scossi la testa e ridacchiai. “Come se ne avessimo bisogno” borbottai.
Lui mi guardò con divertimento: “Avere un’amante non fa mai male, Chad” disse, facendomi sbuffare divertito. Sapevo perfettamente che stesse scherzando e che il tradimento secondo lui era una delle cose più deplorevoli da fare.
“Prova a ripeterlo alla ragazza che sfilerà su quella passerella” proposi, facendolo ridacchiare. Ryan porse gli inviti ai buttafuori che stavano lì apposta ed entrammo in un grande salone, con una lunga passerella al centro e molte comode poltrone tutte intorno, molte delle quali erano già occupate.
Ryan mi condusse ai nostri posti e ci accomodammo, mentre la musica in sottofondo aleggiava intorno a noi. E adesso avremmo dovuto solo aspettare che iniziasse.
 
L’attesa non fu lunga e dopo che le luci si abbassarono numerose ragazze entrarono nella nostra vista. Tutte indossavano abiti particolari e camminavano con sicurezza verso la fine della passerella, mentre la voce di una donna descriveva e annunciava le varie mise.
Vidi tantissime ragazze che se non fosse stato per il colore differenti dei capelli e le diverse acconciature, per me sarebbero state tutte uguali.
Ryan faceva qualche verso di apprezzamento di tanto in tanto, mentre io iniziavo ad annoiarmi a morte.
“Chi è la tua, amico?” chiesi ad un certo punto, iniziando a spazientirmi.
“E’ la guest star della serata. Porta pazienza, furia. Arriverà” mi spiegò.
Io sospirai, pensando che avremmo dovuto aspettare la fine della sfilata per vederla.
Stavo rischiando davvero di addormentarmi, chiedendomi se questo genere di evento sarebbe potuto piacere a Melanie e concludendo che anche a lei non sarebbe potuto importare di meno, quando Ryan mi diede un colpo con il gomito.
“Ci siamo, amico. È il suo momento” mi disse, mentre la donna annunciava l’ultimo capo della sfilata e pronunciava un nome che certamente non avrei mai saputo ripetere.
E poi, una ragazza bionda apparve sulla passerella. Aveva addosso un vestito bianco perla, pieno di ricami e pietre luminose, in piedi su dei tacchi vertiginosi.
E fu allora che il mio respiro si fermò. I suoi capelli biondi le ricadevano sulle spalle e gli occhi ghiaccio erano messi in risalto dal trucco, a tal punto da riuscire a notarli anche da quella distanza.
Il naso all’insù e le labbra piene. Quel viso così familiare e allo stesso tempo così estraneo. Immagini rapide attraversarono la mia mente e potei risentire la sua risata nelle mie orecchie o le sue prese in giro, mentre passavamo le ore nei giardini della scuola. O le sue parole e i suoi discorsi che mi facevano perdere completamente e credere perfetto tutto ciò che diceva.
E rividi quel viso che avevo già visto ultimamente. Quella ragazza che soltanto di sfuggita avevo notato tempo prima in discoteca.
Sentii a malapena la voce di Ryan, che diceva qualcosa che non riuscivo a distinguere. Poi la ragazza sparì di nuovo e le luci si accesero. Mi alzai in piedi in fretta, mentre Ryan mi imitava.
“Allora, che ne dici?” mi chiese con un sorriso sulle labbra. “E’ bella?”.
Io mi guardai intorno e sentii il panico crescere dentro di me.
“Ehm..” balbettai.
Ryan mi guardò in modo strano, non capendo che diavolo mi stesse succedendo.
“Ehi, stai bene?” mi chiese.
“Io… no… cioè, sì. Scusa. Io devo andare via. Mi dispiace, non posso restare. Potresti presentarmela un’altra volta? Mi dispiace davvero, Ryan” dissi troppo velocemente, cominciando a camminare verso l’esterno.
Il mio amico era stupito e venne dietro di me,seguendomi.  “Chad” mi fermò, prendendomi per il braccio e voltandomi verso di lui.
“Che cosa c’è?” mi chiese, preoccupato.
“Scusa. Io… sto bene. Ti prego, devo solo andare via” dissi e lui sospirò e annuì.
“Ti accompagno” mi disse.
“No. Non c’è bisogno. Posso camminare. Torna dalla ragazza” lo rassicurai.
“Chad! Ma sono parecchi isolati e tu sei a piedi” protestò, guardandosi intorno e solo allora notai come si fosse ormai fatto buio.
“Sta tranquillo. Posso farlo, davvero” continuai.
Lui sospirò pesantemente. “D’accordo. Solo… mandami un messaggio quando arrivi, ok?” mi disse.
Io annuii e voltandogli le spalle, iniziai a camminare. Sapevo perfettamente che il giorno dopo avrei dovuto dargli una spiegazione valida, ma ci avrei pensato quella notte, sempre se la mia mente me lo avrebbe permesso. In quel momento, però dovevo solo andare via.
E così mentre camminavo per le strade della città, diretto a casa, potei realizzare che la ragazza che avevo visto in discoteca non era stata soltanto il frutto della mia immaginazione.
Lei era davvero lì, come quella sera su quella passerella. Lei era davvero nella mia città. Sì, Sarah Wilkinson, la ragazza che aveva invaso i miei pensieri durante il terzo e il quarto anno del liceo e che mi aveva abbondonata senza dirmi nemmeno una parola e senza darmi spiegazioni, era davvero tornata a Dover.
 
 
 


Angolo dell'autrice: Ehilà!!! I am back!! Lo so, è passato tantissimo tempo, ma queste settimane scolastiche sono state durissime! Spero di farmi perdonare con questo nuovo capitolo! :D Lascio i commenti a voi e scappo! ;)
Ecco, intanto Sarah Wilkinson.





Alla prossima!! :)
  
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