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Autore: La neve di aprile    17/12/2008    3 recensioni
Moriva dalla voglia di vederlo, poco da fare.
Voleva stringere le sue mani calde, voleva il suo respiro sul collo, voleva le sue labbra morbide, voleva i suoi occhi verdi.
Si abbracciò la vita, riparandosi sotto la peninsilina di un autubus, grondando acqua.
-Fino a che punto si può amare una persona?- chiese al suo riflesso, con un filo di voce.
E la risposta, per quanto la cercasse, continuava a sfuggirle dalle dita.
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOVEMBER RAIN


 

When I look into your eyes, I can see a love restrained.

But darlin' when I hold you, don't you know I feel the same? 

'Cause nothin' lasts forever and we both know hearts can change,

and it's hard to hold a candle in the cold November rain.

 

 

Pioveva.

Grandi gocce di pioggia cadevano impetuose a terra, forando come proiettili le pozzanghere che chiazzavano le strade e i marciapiedi, sui cui era praticamente impossibile camminare. Le macchine erano ferme, incolonnate nella maggior parte delle strade della città e i clacson risuonavano nell’aria, assieme ai tuoni e ai fulmini, in un bizzarro concerto tipico delle grandi città.

In un piccolo bar mezzo all’incrocio tra due vie, sull’angolo, una ragazza guardava fuori da una finestra, attraverso la pioggia, stringendo tra le mani un cellullare. Il viso, coperto da una grossa sciarpa verde muschio, lo teneva leggermente inclinato di lato, gli occhi scuri in parte nascosti dalla lunga frangia color cioccolata fissavano la strada intestardendosi su piccoli particolari. I trombini rossi di un bambino che camminava tenendo la mano della madre. L’ombrello nero di un’anziana signora piena di borse della spesa. Le piccole nuvolette che lasciavano i tubi di scarico delle macchine ferme davanti all’incrocio.

Sospirò, spostando lo sguardo all’interno del locale: frotte di persone entravano e uscivano di continuo, lasciando scie di acqua sporca sul pavimento di marmo. Una cameriera si fermò davanti a lei.

- Desidera qualcosa? -

Era la terza volta che glielo chiedeva e ogni volta lei aveva risposto “No, sto aspettando una persona”. Beatrice sospirò, guardando l’ora sul display del cellulare: le 17.23. Più o meno un’ora di ritardo. Tornò con gli occhi sulla cameriera, sorridendole.

- Un cappuccino, grazie. -

La donna non ricambiò il suo sorriso, ma roteò gli occhi, allontanandosi. Beatrice non ci fece più di tanto caso, posando la borsa multicolore che fino ad ora aveva tenuto sulle gambe, sul tavolino, davanti a lei. La aprì, infilandoci dentro il cellulare e prendendone fuori l’i-pod. Infilò le cuffie nelle orecchie, facendo partire la musica e chiude gli occhi, appoggiandosi allo schiena della sedie.

Era furibonda con Manuel.

Lo aveva aspettato per un’ora buona, controllando il cellulare ogni due secondi minimo in attesa di un messaggio, di uno squillo, di una qualsiasi cosa. Ma non aveva suonato e l’unico messaggio che aveva ricevuto era stato di sua madre che le chiedeva di comprare il pane, prima di tornare a casa. Ormai era certa che non sarebbe più venuto, le aveva tirato pacco.

Sospirò, incrociando le braccia al petto, mentre nelle sue orecchie Axl Rose cantava Give me a whisper and give me a sign, give me a kiss before you tell me goodbye.

Sistemò la sciarpa attorno al collo, ringraziando la cameriera che le aveva portato il cappuccino fumante con un cenno, e prese la tazza tra le mani. Si incantò per qualche attimo a guardare la schiuma, perdendosi nei suoi pensieri e nelle note malinconiche dei Guns N’ Roses che suonavano neanche tanto deboli nelle sue orecchie.

Manuel, il suo ragazzo.

Stavano assieme da più di un anno, oramai, e anche se non era stati giorni tutti rose e fiori, la loro era una bella storia. Si amavano, più di quanto non potessero credere, e questo era sempre bastato per farli andare avanti. Ma qualcosa, nell’ultimo periodo, si era incrinato.

Un meccanismo del loro delicato rapporto si era inceppato e le cose non funzionavano più. Continuavano ad amarsi, continuavano a vedersi, continuavano a sognare assieme, ma non era più come prima.

 Beatrice ingurgitò l’ultimo sorso di cappuccino, che le sembrò particolarmente amaro nonostante in genere fosse il più dolce in assoluto. Raccolse la sua borsa e prese qualche spicciolo da un piccolo portamonete colorato. Senza togliere le cuffie dalle orecchie pagò la barista nervosa, lasciandole qualcosina di mancia, per poi uscire dal locale e incamminarsi sotto la pioggia nella strada piena di gente.

Teneva lo sguardo basso, fisso sulle sue All star verdi, che apparivano e scomparivano alla sua vista ritmicamente. Prima una, poi l’altra. Prima una, poi l’altra. Avanti così, all’infinito.

Alla rabbia era subentrata la tristezza e con non poco fastidio dovette ammettere che Manuel che le mancava, da morire.

Moriva dalla voglia di vederlo, poco da fare.

Voleva stringere le sue mani calde, voleva il suo respiro sul collo, voleva le sue labbra morbide, voleva i suoi occhi verdi.

Si abbracciò la vita, riparandosi sotto la peninsilina di un autubus, grondando acqua.

- Fino a che punto si può amare una persona? - chiese al suo riflesso, con un filo di voce.
E la risposta, per quanto la cercasse, continuava a sfuggirle dalle dita.

 

 

*

 

 

Mattina.

Un ennesimo lunedì mattina fuori scuola, qualche minuto alle otto e aria satura di fumo. Beatrice sbadigliò, accoccolata sul motorino di un’amica, guardando il display del cellulare. Lo aveva aperto da qualche minuto e già segnava tre messaggi da leggere. Manuel, Manuel e ancora Manuel. Infilò di nuovo il telefonino in tasca, senza leggere nulla. Aveva troppa paura di farlo.

-Hai parlato poi con lui? - le chiese la proprietaria dello scooter, una ragazza bassina, dal viso rotondo incorniciato da un caschetto biondo e gli occhi neri.

- No. Mi ha tirato pacco. - con un balzo, la ragazza scese dalla sella, recuperando da terra una tracolla verde acido dell’Eastpack.

- Come ai vecchi tempi, eh? - le chiese l’amica, con un sorriso sornione.

Beatrice sospirò, avviandosi verso l’ingresso.

- Già, proprio come ai vecchi tempi... - mormorò tra se e se, con un sorriso malinconico.

Non era raro, ricordò mentre un’anziana professoressa dall’aria stanca tracciava grafici sulla lavagna, che nei primi mesi in cui stavano assieme lui non si presentasse agli appuntamenti. Non ci prestava nemmeno tanto attenzione, a dire il vero, tanto era entusiasta di stare con lui.
La loro storia era iniziata per caso, in un pomeriggio di giugno, con un bacio in riva al mare. 
Non si erano mai visti prima, non si erano parlati, ma avevano avuto la fortuna di incontrarsi e trovarsi. Da allora erano stati pressoché inseparabili, contro tutti i pronostici dei più acidi.

Si, ma all’epoca era diverso, pensò Beatrice, scarabocchiando una curva sul foglio davanti a lei. Ma diverso in cosa? Erano solo agli inizi, e lei perdonava tutti quegli appuntamenti mancati per paura che finisse tutto. Le fughe in moto, fuori città, le uscite con gli amici piuttosto che con lei. Tutto veniva perdonato, fino a quando le buche non erano gradualmente diminuite e poi scomparse. Ed erano state dimenticate.

E adesso?,si chiese trattenendo a stento un brivido, adesso perché sono ricominciate?

Gettò un’occhiata furtiva alla sua professoressa, prima di infilare una mano nella tasca dei jeans e prendere il cellulare in mano. Si guardò attorno, senza vedere altro che venti facce annoiate intente a seguire quel gesso sulla lavagna o il ritmo di un paio di cuffiette ben nascoste dietro kefie accuratamente alzate o capelli lunghi.

Tornò al display: i tre messaggi erano ancora lì. Aprì il primo, trattenendo il respiro.

Era stato mandato alle sette e quaranta della sera prima, quando era arrivata a casa fradicia con un sacchetto di pane nascosto tra le braccia.

Bea, scusami scusami scusami! Mi sono completamente dimenticato che dovevamo vederci, ho passato tutto il pomeriggio a studiare algebra. Mi dispiace un casino, amore, facciamo un’altra volta ok? 

Inarcò le sopracciglia, poco convinta. Manuel che passa l’intero pomeriggio a studiare? Impossibile. Studiare algebra, poi, ancora meno credibile.

Pigiò con rabbia i tasti del cellullare, cancellando il messaggio. Le aveva dato buca di proposito. Ma gli altri due...? Cosa c’era scritto lì? Aprì il secondo messaggio. Era stato mandato due ore più tardi.

Ehi, mica ti sei arrabbiata, vero? Non l’ho fatto apposta, te lo giuro! Rispondimi, su, che sennò passo la notte insonne divorato dai sensi di colpa! 

Ecco, bravo. Spero vivamente tu non abbia dormito un cazzo, pensò tra se e se Beatrice, acida, calcando con la punta della bic blu sul foglio e disegnando una curva che sembrava più un fulmine che altro.  Bloccò la tastiera del cellullare, infilandolo in fondo alla borsa senza leggere l’ultimo messaggio. Non aveva voglia di un altra patetica scusa. Avrebbe fatto meglio a dirle che non aveva voglia di vederla e farla finita lì. Perlomeno, sarebbe stato sincero.

Incrociò le braccia sul banco, affondandovi in mezzo il viso: le cose non andavano. Non potevano più andare avanti così. Erano arrivati davanti ad un bivio, e le strade da percorrere non erano affatto semplici. E una delle due la terrorizzava al punto che il solo pensarci le faceva mancare un battito, perché arrivati al punto dove loro erano, o capivano cosa era successo e sistemavano le cose, o si lasciavano. E lei non aveva nessuna intenzione di lasciare che questo accadesse: aveva lottato, per stare con lui, e lo amava troppo per lasciarlo andare così facilmente.

 Suonò la campanella una volta, e poi un’altra ancora, prima che Beatrice potesse mescolarsi nella folla che si accalcava nei corridoi della scuola e scappare poi in fondo al cortile, sul suo muretto preferito. Un piccolo gruppetto di ragazzi e ragazzi l’accolse con un sorriso e un saluto, che lei ricambiò, prima che una mano l’afferrasse per un braccio la trascinasse contro qualcuno.

- Ma che ca... - iniziò a dire, prima che quella stessa mano le sfiorasse il volto delicatamente, scendendo fino al collo.
Si voltò verso il proprietario, ritrovandosi a fissare quegli occhi verdi che amava da morire. Manuel le sorrise, dandole un rapido bacio a stampo e prendendole una mano, per poi tornare a chiacchierare con i suoi amici.

- Ciao anche a te, eh! - brontolò Beatrice sottovoce.

- Di cattivo umore, eh? - la stuzzicò un ragazzo dai capelli castani e gli occhi nocciola, illuminati da un luccichio divertito. Lei sorrise, scuotendo il capo.

- No, solo un po’ di stanchezza. -

- E ci credo, con due ore di geometria analitica che non dormirebbe in piedi? - osservò allegramente la ragazza con il caschetto e gli occhi neri.

- Giusto - convenne un terzo ragazzo con un maglioncino a righe – Ha ragione Cate, io sarei in coma profondo. -

- Tu sei in coma profondo per molto meno, mi pare... - insinuò Manuel, cercando gli occhi sfuggenti di Beatrice.

Non li trovò, intenti com’erano a seguire la discussione con un accenno di divertimento. Ma la sua mano, la sua piccola mano fredda, non accennava a muoversi.

La ragazza scoppiò in una risata, assieme a tutto il gruppetto, per una battuta del ragazzo con il maglioncino, e sollevò il viso verso quello del ragazzo, sorridendogli radiosa.

- Si, anche questo pelandrone qui non si presenta agli appuntamenti. - lo punzecchiò, scatenando la disapprovazione generale.

Il ragazzo con gli occhi nocciola sogghignò.

- Guarda che se non stai attento, Bea me la prendo tutta per me eh! - minacciò, scompigliando i capelli alla ragazza che sbuffò, contrariata.

- Tu provaci soltanto, Andrea. - ghignò Manuel, stringendo a se Beatrice con fare protettivo.

- Oh, ma allora ci tiene alla ragazza! - esclamò il ragazzo con il maglioncino, fingendosi sorpreso, scatenando una risata nell’intero gruppetto, interrotta dal suono della campanella. Sbuffando, si alzarono tutti dal muretto, gettando mozziconi di sigaretta ancora accesi per terra e calpestandoli con scarpe più o meno costose. Accanto a loro, sfilavano dozzine di Nike e Adidas immacolate, accompagnate da ballerine di tutti i colori e All star sbiadite.

- Beh - sospirò Cate – mi tocca andare. Ho compito di latino e non vorrei che quella stronza mi abbassasse il voto solo perché sono arrivata cinque minuti dopo. Cià cià! - li salutò con un sorriso, infilandosi nella piccola ressa di corsa, subito inghiottita da quel piccolo mare di persone. Andrea si stiracchiò, prima di salutarli tutti con un cenno e allontanarsi assieme al ragazzo col maglioncino.

Erano rimasti solo loro due.

Beatrice sospirò.

- Che hai ora? - gli chiese, pur conoscendo a memoria il suo orario.

- Inglese. - sbuffò lui.

- Mh. -

Calò il silenzio tra loro, rimasti praticamente da soli nel cortile, all’ombra della scuola. Rimasero fermi, senza parlare, per qualche altro minuto, prima che lei lasciasse andase la sua mano e si allontanasse di qualche passo.

- Beh, meglio che vada - disse con un sorriso, passandosi una mano sugli occhi – Ho lettere e sai com’èla Gentili, no? - sorrise, voltandosi a guardarlo.

Manuel non sorrise: la guardò per qualche altro istante in silenzio, prima di allungare un braccio verso di lei e porgerle la mano di nuovo. Lei inclinò il capo di lato, incuriosita. Si avvicinò di nuovo a lui, intrecciando le dita alle sue.

- Che c’è? - gli chiese allegramente, spaventata dalla sua espressione seria.

- Nulla, - rispose lui, prima di baciarla. La strinse forte a se, facendola affogare nella felpa blu che indossava, impregnata del suo profumo intenso – C’é che ti amo da morire - le sussurrò tra i capelli, dove le sue dita erano rimaste impigliate –e mi spiace di non essere venuto ieri. Davvero-

Beatrice chiuse gli occhi, accoccolandosi tra se le sue braccia senza curarsi di altro. La Gentili e le sue spiegazioni di Guicciardini erano un ricordo lontano.

- Mi hai spaventata. - replicò sottovoce, riaprendo gli occhi e scuotendo il capo, per scostare quelle ciocche di capelli che le erano finite sugli occhi.

- Spaventata? - le fece eco Manuel – Perché? -

- Non lo so. – si strinse nelle spalle – è stato un po’ come all’inizio, quando non si capiva se stavamo assieme o meno e mi davi buca ogni due per tre. -

- Come sei scema! - la prese in giro lui, con una risata.

- Tu credi? E allora perché non ti sei presentato? -

Lui si zittì, scostandosi e alzandosi in piedi.

- Devo andare in classe, Bea. - le disse senza guardarla negli occhi, avviandosi verso l’ingresso.

Beatrice rimase lì, immobile, senza riuscire a pensare o a fare nulla.

 

 

 

We've been through this such a long long time just tryin' to kill the pain,

 

but lovers always come and lovers always go and no one's really sure who's lettin' go today,

walking away. 

If we could take the time to lay it on the line,

I could rest my head just knowin' that you were mine.

All mine.

 

 

Era un bel pomeriggio di sole, un pomeriggio di inizio novembre.

Qualche foglia gialla colorava i bordi dei marciapiedi e gli alberi disegnavano le loro ombre secche e magre sui muri delle case, nella fredda luce di un quasi preludio d’inverno.

Andrea era seduto su una panchina, con le gambe allungate davanti a se sul marciapiede. Jeans chiari addosso e Vans ai piedi. Nelle orecchie, un paio di auricolari bianchi lo bombardavano di musica senza sosta, mentre tirava una boccata di fumo da una Malboro appena iniziata.

 Quando Manuel lo raggiunse, della sigaretta non restava altro che un mozzicone schiacciato sul cemento.

- Ciao! - lo salutò con un cenno, sfilando gli auricolari dalle orecchie con una mano e spegnendo il lettore mp3 con l’altra – Ti eri perso? -

Il ragazzo con gli occhi verdi sospirò, sedendosi accanto a lui.

- No, sono uscito tardi. - disse passandosi una mano sul volto, con aria stanca.

Andrea lo squadrò, sospettoso, lasciando cadere il discorso. Se avesse voluto parlare, l’avrebbe fatto.

Si alzò in piedi, stiracchiandosi.

- Beh, poco importa. Andiamo? Ci aspettano tutti all’Harry’s. -

Manuel annuì, alzandosi in piedi e incamminandosi a fianco dell’amico.
Rimasero in silenzio per un po’, crogiolandosi in quell poco di tepore che il sole riusciva a regalare alle loro guance non più abbronzate, sotto gli sguardi ammirati di buona parte delle ragazze che incontravano.

Ci avevano preso l’abitudine, oramai, tanto che quelle occhiate non li sfioravano nemmeno.
Continuarono a camminare immersi nei loro pensieri e fu solo quando Andrea si accese una sigaretta e ne offrì una all’amico, che la conversazione decollò e si spinse oltre le classiche domande di rito.

- Grazie. - disse Manuel accettando la sigaretta e accendedosela – Ormai con Bea non posso nemmeno più fumare. -

- E perché? - gli chiese l’altro ragazzo, soffiando il fumo fuori tra una parola e l’altra.

- Cazzo ne so? Ultimamente ha qualcosa di strano. O meglio, è diventata tutta strana. -

- Strana? -

- Massì, s’incazza per qualsiasi cosa. - sbuffò il moro, tirando un’avida boccata di fumo.

- Magari se tu non le tirassi buca, lei non avrebbe ragione di incazzarsi... - insinuò Andrea, seguendo con gli occhi il passaggio di una biondina in minigonna e ballerine.

- Mh. - mugolò Manuel, senza rispondergli veramente. Poi, dopo qualche minuto, esplose - Ho paura che mi molli, Andrea. -

Il ragazzo quasi si soffocò con il fumo che stava inspirando e si piegò in due, tossendo come un matto. Manuel roteò gli occhi, tirando qualche colpo sulla schiena del ragazzo e riprendendo a camminare. Riprese a parlare, quando lo raggiunse.

- E non sto scherzando, ho davvero paura che mi molli, per questo le ho dato buca ieri. -

- Vuoi evitarla per fare in modo che non ti molli? -

- Credo che l’idea di base sia quella - sospirò, tirando un’ultima boccata e gettando poi la sigaretta per terra, sul marciapiede – Ma non ha un grande senso. -

- No che non ce l’ha! - esclamò Andrea – Ma dove hai la testa, Manu? Ma non ti accorgi che Bea vive per te? Non ti accorgi di come, anche quando è incazzata nera, ti rimanga accanto? È lei che ha paura che la molli! -

- Ma io non voglio mollarla! - protestò senza troppa convinzione.

- Manu... Manu, fermati un salto. -

Andrea si piazzò davanti all’amico, guardandolo dritto negli occhi.

- Tu vuoi mollare Bea, per caso? - gli chiese a bruciapelo, conoscendo già la risposta.

- Ovvio che no! Che gran cazzata che hai detto! - replicò fulmineo, senza neanche pensarci su.

- E allora smettila di farti tanti problemi e presentati agli appuntamenti, senza darle una lunga serie di buoni motivi per farti piantare. - fu il secco consiglio che ottenne in risposta, mentre in lontananza s’intravedeva una piccola folla di ragazzi e ragazzi, stipati attorno a tavolini rotondi carichi di bicchieri e bottigliedi birra più o meno vuoti.

Erano arrivati all’Harry’s.

- BEAAAAAA! - strillò Cate, agitando la sua Corona in direzione della ragazza, sbracciandosi per attirare la sua attenzione – BEA, GUARDA UN PO’ CHI C’È!-

Beatrice si voltò, sospirando, con il cucchiaino del caffè che teneva tra le mani in bocca. Scorse Manuel e Andrea farsi largo nella ressa, distribuendo saluti qua e là.

- Cazzo, Cate! - rise, rimettendo il cucchiaino nella tazzina – Già ubriaca che urli così? -

- Oh, stronzetta! - si finse offesa la ragazza bionda, fermandosi accanto a lei – Va’ che ti tolgo il saluto eh! -

Beatrice rise ancora, continuando a mescolare il suo caffé, e Manuel la trovò così quando la raggiunse.

Bella e felice, con addosso un paio di jeans a sigaretta e un poncho nero, pesante.

- Amore, non hai freddo? - le chiese dandole un bacio sulla fronte, tra i capelli che profumavano di shampoo per bambini.

- Da che pulpito viene la predica! - s’intromise Cate, squadrando Manuel da capo a piedi.

- Eh, ma noi siamo uomini, siamo forti! - scherzò Andrea, chinandosi a dare un bacio sulla guancia a Beatrice e poi uno a Caterina.

- Oh si, certo .- replicò lei scettica, guardandolo male. Bea intervenne, dopo aver ingurgitato un sorso di caffé.

- Cate, lascia stare, sono una causa persa.. - i due ragazzi sghignazzarono, guardandosi di sbieco. Lei li ignorò, continuando a parlare – Si mostrano tanto forti, tanto maschi, ma poi in realtà sono peggio di me e te messe assieme. -

- Ah si? E quando mai? - la stuzzicò Manuel, pizzicandole i fianchi.

- Oh, non mi provocare amore. –

- Sennò che fai? - continuò lui, con un sorriso sornione dipinto sul viso.

- Sennò tutto l’Harry’s saprà di quanto sei freddoloso la notte.. -

- Davvero? - s’interessò Caterina, accedendosi una sigaretta.

- Cate, la ciccaa! - protestò Beatrice – Non sopporto il fumo, dai! -

- Bea, ti prego, siamo all’aria aperta! C’è tutta l’aria fresca che vuoi! - osservò la biondina, posando la bottiglia ormai vuota su un tavolino li vicino.

Manuel guardò Beatrice gonfiare le guance e finire il suo caffé in un unico sorso, sbattendo al tazzina accanto alla Corona vuota, prima di rifugiarsi tra le sue braccia. Tempo cinque secondi e si scostò di scatto, fulminandolo con lo sguardo.

- Hai fumato. - sibilò guardandolo male.
Spiazzato, il ragazzo fece la prima cosa che gli venne in mente, reagendo per istinto: mentì.

- ...no! -

Lei continuò a guardarlo male, prima di sospira e affondandare il volto nella sua felpa.

- Sei un pessimo bugiardo, sai? - commentò, senza nessuna voglia di litigare in una giornata così bella.
Andrea sorrise, intervenendo in difesa dell’amico.

- Colpa mia, colpa mia. L’ho costretto. -

Beatrice scoppiò a ridere, staccandosi da Manuel.

- E allora meriti una punizione! - esclamò, puntandogli un indice contro, tra una risata e l’altra.
Scoppiarono tutti a ridere, attirandosi gli sguardi incuriositi di buona parte della folla che si accalcava attorno al locale. Non ci prestarono più di troppa attenzione, riprendendo a chiacchierare come se nulla fosse. Parlavano tutti assieme, impazienti di raccontare le loro giornate, di lamentarsi di questo o quel professore, di mettersi in gioco. Solo Beatrice, era silenziosa.

Se ne stava tra le braccia di Manuel, con un mezzo sorriso sulle labbra, guardando i suoi amici ridere. Di tanto in tanto volavano saluti, nella sua direzione, a cui rispondeva distratta, guardando con meraviglia quelle tre persone attorno a lei.

Cate.

La sua migliore amica, così morbida e dolce. Cosa avrebbe fatto senza di lei, in tutto quell tempo?

Andrea.

Il migliore amico di Manuel, quasi un fratello maggiore con cui costruire castelli in aria pensando al futuro davanti a un cappuccino con tanto zucchero e una cioccolata al Bayles.

E poi Manuel.

Il suo mondo, il suo cuore, la sua anima.

Si chiese cosa avrebbe fatto, senza di loro.

E la risposta, non la trovò.

- Che dici, bella addormentata, andiamo? - le chiese Caterina, sventolandole una mano davanti al viso.
Beatrice sussultò appena, sorridendo dopo qualche secondo. Il sole stava tramontando, nonostante non fossero nemmeno le sei del pomeriggio, e l’aria si stava facendo più fredda. Il tempo le era scivolato tra le dita, come sabbia, tanto che non si era nemmeno resa conto dello scorrere delle ore.

Annuì.

- Si, arrivo. - si girò verso Manuel, guardandolo dritto negli occhi – Spero vivamente ti faccia vivo stasera. – gli disse cercando di sembrare minacciosa – O non rispondo più di me. -

Lui rise, dandole un bacio.

- Promesso. -

- Mh. Bravo bimbo. -

Salutò Andrea e qualche altra persona di sfuggita, trascinata da Caterina verso un folto gruppetto di motorini parcheggiati in un angolo.

Il sole stava tramontando alle loro spalle, le facciate bianche dei grandi palazzi che circondavano la piazza si erano tinte di arancione e rosso scuro.

Caterina infilò il casco in testa, guardandola mentre fissava un palazzo con aria distratta.

- Bea,va tutto bene? -

- Si, Cate, non ti preoccupar e- sorrise, senza troppa convinzione – Sono solo un po’ stanca, è stata una giornata pesante. -

- Se lo dici tu.. ti vedo un po’ giù, ultimamente, è successo qualcosa? -

La biondina si sedette sulla sella del motorino, senza nessuna fretta di andarsene. Beatrice abbassò lo sguardo ai suoi piedi, prima di risponderle.

- Mi evita. - sussurrò alla fine, gli occhi che scappavano a cercare la figura di Manuel nella folla attorno al bar.

Caterina raddrizzò la schiena.

- Ne sei proprio sicura? - le chiese perplessa – Perché a me non sembra proprio. Oddio, se poi ti riferisci all’altro giorno, allora non so proprio che dirti. Ma per me non ti evita. -

- Stai dicendo che sono io a farmi strane pare mentali, Cate? - rise la moretta, mentre un alito di vento freddo le scompigliava la frangia e faceva volare i suoi capelli da tutte le parti.

- Tesoro, io non ho detto proprio niente - replicò l’altra, tirando lo scooter giù dal cavalletto e mettendolo in moto – Hai fatto tutto da sola. -

- Come sempre. Ciao Cate, ciao! - ironica, le diede le spalle, incamminandosi verso la fermata dell’autobus. Neanche mezzo minuto dopo, la bionda la superò, strombazzando allegramente il clacson nel passarle accanto.

- Divertiti! - le urlò dietro, prima di infilarsi nel traffico del sabato pomeriggio, tra macchine incolonnate e autobus pieni di gente.

 

So if you want to love me then darlin' don't refrain

or I'll just end up walkin' in the cold November rain.

Do you need some time... on your own?

Do you need some time... all alone?

Everybody needs some time... on their own.

Don't you know you need some time... all alone? 

I know it's hard to keep an open heart when even friends seem out to harm you,

but if you could heal a broken heart wouldn't time be out to charm you? 

 

Everybody dance now! Strillarono le grandi casse del locale, invadendo la strada con il ritmo di Bob Sinclar. Beatrice si guardò attorno, facendosi largo in una piccolo folla di ragazzi e ragazze della sua età, fino a raggiungere l’ingresso di un piccolo locale seminascosto in una viuzza scura.

Letiques, recitava l’insegna.

All’interno la musica raggiungeva un volume assurdamente alto e fece fatica a raggiungere una piccola stanzetta in fondo al locale, dove poche persone cercavano di chiacchierare senza sgolarsi davanti a bicchieri più o meno pieni di drink alcolici.

Una barista bionda le soffiò un bacio, a cui lei rispose con un sorriso.

- Ciao Jeca, come va? - le chiese, sfilandosi dalle spalle il corto cappottino nero che indossava.

- Bene, tesoro, una meraviglia. - le rispose lei, raccimolando qualche bicchiere vuoto e un paio di portacenere traboccanti di sigarette spente nonostante il divieto di fumare – Il solito?-

- Si, grazie! - sorrise di nuovo, lasciandosi cadere su una sedia prima di chiedere – Hai visto Manuel per caso? -

- Chi, quel bel ragazzo dagli occhi verdi e i riccioli neri su cui farei volentieri un pensierino? -

- Il mio ragazzo, si. - sorrise candida, ripetendo quel piccolo rituale che andava avanti sin dalla prima volta che lui l’aveva portata lì. Era una sorta di rito scaramantico del sabato sera, quello scambio di battute.

- Si, l’ho visto cinque minuti fa. Stava chiacchierando con Nick, gli sarai passata davanti senza vederlo. -

- Okay, grazie Jeca. Se lo vedi, mandamelo qui, va. -

- Agli ordini, Bea! -

La ragazza incrociò le braccia sul tavolo, rabbrividendo per il freddo: decisamente, non era stata una buona idea mettere quella maglia senza maniche. Nonostante nel locale l’aria fosse calda, densa di musica, fumo e chiacchiere, lei aveva freddo.

 Manuel la trovò intenta a scrivere un messaggio sul cellulare.
Pigiava i tasti rapidamente, mordicchiandosi le labbra coperte da un sottile strato di lucidalabbra alla frutta che poi lui si sarebbe mangiato di baci, muovendo la testa a ritmo con la musica. I capelli raccolti in un morbido chignon scoprivano il collo bianco, da ballerina, e maglia lasciva intravedere le scapole sulla schiena.

S’incantò ad osservarla, per qualche attimo, prima che la folle paura di perderla lo attanagliasse nella sua morsa terrificante. Pensò di andarsene, ma lei lo vide, immobilizzandolo. Sorrise.

Un sorriso che gli scaldò il cuore.

- Amore! - lo chiamò, infilando il cellulare in una piccolissima borsa beige, appoggiata sul tavolo. La raggiunse, scacciando quella paura infondata in un angolino remoto per chinarsi e darle un bacio.

- Sei in ritardo. - puntualizzò lei, inarcando le sopracciglia sottili. Gli occhi color nocciola, evidenziati da un ombretto grigio e una sottile linea di eye-liner, erano buoni.

- Prenditela con Nick. - si difese lui, mostrandole i palmi delle mani – Mi ha trattenuto per mezz’ora a chiacchierare di stronzate. -

- Sempre il solito.. – rise lei, prendendo il bicchiere che Jeca le porgeva. Sorseggiò il suo Malibù Cola, con un mezzo sorriso.

- E il signorino qui, cosa vuole? - chiese la cameriera.

- Margarita. -

- E da quando ti piace la Tequila? - chiese Beatrice, mentre la biondina si allontanava. Manuel si strinse nelle spalle.

- Da quando l’ho assaggiata - si appoggiò allo schienale, guardando ora Beatrice, ora la stanzetta sempre più piena. Il volume della musica si andava pian pianino alzando, tanto che ben presto divenne impossibile continuare a parlare.

Manuel si alzò, prendendo per mano Beatrice e portandola al centro della sala.
Ballarono per ore, senza mai fermarsi se non per bere un sorso o salutare qualcuno. Ballarono senza sosta, trascinati dalla musica e dal suo ritmo frenetico.

Chemical brothers, Rihanna, Sean Paul, David Guetta, Shakira, Benny Benassi, 50cent.

Le canzoni scorrevano veloci, come quelle piccole gocce si sudore che scivolavano lungo la schiena di Beatrice, schiacciata nella ressa contro Manuel e mille altre persone. Si tennero per mano, si abbracciarono, piroettarono come se fossero un unico corpo, ridendo e rubandosi baci, del tutto incuranti degli sguardi che calamitavano.

Belli, giovani, felici, con una notte intera davanti a loro.

Beatrice rideva, chiedendosi quanto era stata l’ultima volta che si era abbandonata così, senza riserve, senza paure, senza nemmeno pensare. Era una sensazione splendida, di assoluta onnipotenza su se stessa e sulla musica, che addomesticava muovendo i fianchi, nascondendosi dietro le mani, tra ciocche di capelli sfuggite a una miriade di forcine.

Manuel rimase folgorato. Non le era mai sembrata tanto bella come in quel momento, mentre ballava con la schiena contro il suo petto e le sue braccia attorno alla sua vita. Percepiva echi leggeri del suo profumo, ogni bacio lasciava sulle labbra il sapore dolce del Malibù che attenuava quello più amaro della Tequila. Era stordito. Da lei, dalla musica, dall’alcol.

Prima che potessero rendersene conto, era ormai l’una passata ed erano di nuovo seduti al loro piccolo tavolo, tenendosi per mano.

- E cosa ridi, guarda che è vero! Mi ha pestato i piedi almeno dieci volte, quell’elefante! - raccontava lei, gli occhi offuscati dalla stanchezza e dalla felicità.

- E cosa posso farci io, amore? -

- Non lo so, ma sicuramente se la smetti di ridere mi fai un favore. - lo rimbeccò lei, imbronciandosi. Ma neanche cinque secondi dopo, il suo viso era di nuovo disteso in un sorriso.

- Sai, - iniziò a dire, abbassando lo sguardo sulle loro dita intrecciate – sono contenta che siamo usciti solo noi due, oggi. -

Manuel annuì

- Anche io. Avevamo bisogno di stare un po’ di tempo assieme, eh? -

- Decisamente! Soprattutto dopo l’altro giorno. -

Lui sospirò, posando la schiena contro lo schienale.

- Lo so. -

Rimasero in silenzio per qualche attimo, gli sguardi bassi. Fu lei a parlare, per prima.

- Manu, che sta succedendo? -

Trattennero il respiro entrambi, fissandosi negli occhi. In attesa. Poi, d’un tratto

- Non lo so, Bea, davvero. -

- Come può essere che non lo sai? - chiese lei, aggrottando la fronte – Sei tu che mi hai dato buca, in fin dei conti. -

- Si, ma... -

- Ma cosa, Manu? - lo interruppe, lasciando la sua mano e incrociando le braccia al petto, ostile.

- Non ti incazzare, Beatrice. - replicò lui, sulla difensiva – Ti ho detto che avevo da studiare algebra. -

- Oh, non sparare stronzate, per favore! - roteò gli occhi, irritandosi – Tu? Che studi algebra? Mi tiri scema? -

- Senti, avevo compito. Scusa tanto, se per un volta ho preferito restare a casa a studiare piuttosto che uscire con te, scusa tanto se ho la matura quest’anno! -

- Ma fammi il piacere! -

- Ma fammi il piacere di che? Che ne sai tu? - la aggredì lui, sporgendosi in avanti.
Beatrice ebbe paura del gelo che vide nei suoi occhi e reagì per istinto, attaccanto a sua volta.

- Un cazzo, Manuel, non ne so un cazzo perché non parliamo più. -

- Che vorresti dire? -

- Che non c’è dialogo, cosa credi che voglia dire? Stiamo assieme, usciamo, ma non ci raccontiamo più un cazzo. O meglio, tu non racconti più un cazzo. So quello che ti succede solo perché me lo dice Andrea... -

- ...adesso sei tu che spari stronzate, eh! - la interruppe, senza però riuscire a farla tacere.

- ...e alle volte ho l’impressione che solo a me importi della nostra storia. - concluse, facendolo ammutolire.

Si guardarono, per un attimo senza parole. Lei, sperando che lui la smentisse. Lui, senza sapere proprio cosa dire.

Beatrice di alzò, afferrando alla rinfusa la sua borsa e il suo cappotto.

- Dove vai? - le chiese, cercando di tenere ferma la voce.

- Via da qui, - fu la risposta che ottenne – perché mi pare che non ci sia altro da dire. -

Fermami, ti prego fermami, lo supplicò tra se e se, mentre si incamminava verso l’uscita, tra nuvole di fumo.
Ma lui rimase seduto, senza muovere un muscolo.

 

Sometimes I need some time... on my own.

 

Sometimes I need some time... all alone. 

Everybody needs some time... on their own.

Don't you know you need some time...?

All alone.

 
Manuel era stravolto.

Beatrice se ne era andata da una ventina di minuti scarsi e lui era ancora impietrito. Non era stato capace di fare altro che spostarsi davanti al bancone e scolarsi un paio di bicchierini di tequila tutto d’un fiato. Era completamente paralizzato, del tutto incapace di parlare, di pensare, di fare qualsiasi cosa al di fuori dello scolare di continuo amare sorsate di tequila. Gli sembrava di vivere in un brutto film.

- Ehi, va tutto bene? - azzardò timidamente Jeca, fermandosi davanti a lui, dietro al bancone. Lui la guardò, vacuo, annuendo distratto.

- Una meraviglia. - bonficchiò, con la voce impastata, prendendo un altro bicchiere tra le mani. La barista gli prese il polso.

- Ehi, ehi! Basta tequila, o Bea verrà a reclamare il mio scalpo se ti succede qualcosa. -

- Cazzo mi frega a me. - replicò lui, liberandosi dalla sua presa e buttando giù tutto d’un fiato il liquore. Rabbrividì, mentre l’alcol gli bruciava lungo la gola.

- Così mi piaci. - s’intromise un’altra voce femminile, che fece voltare sia Manuel che Jeca. A parlare era stata una ragazza piuttosto alta, slanciata, con un viso dai lineamenti marcati, gli occhi scuri e una folta chioma di riccioli color rame.

- Monica. - sibilò gelida la barista, riconoscendo l’ex ragazza di Manuel, che la fissò imbambolato per qualche attimo, prima di tornare a fissure la lunga fila di bicchierini vuoti e capovolti davanti a lui.

La rossa sorrise, salutando con un cenno la barista e sedendosi accanto al ragazzo.

- Mi pareva fossi tu, prima. Ma eri con quella li, quella morettina slavata... non mi ricordo il nome... - iniziò lei, posandogli una mano su un braccio.

- Beatrice. - biascicò lui, fissando quella mano stralunato.

- Si, lei. Beh, insomma, mi sembravate impegnati a discutere e non volevo interrompere qualcosa. -

- Avete litigato? - sbottò Jeca, sorpresa.

- Non hai proprio un cazzo da fare, tu? - insinuò seccata Monica alla bionda, prima di tornare a Manuel che fissava il nulla, più perso che mai. Gli rivolse un sorriso smagliante.

- Allora? Come stai tesoro? Non ha una bella cera, sai? - iniziò lei, mentre Jeca sbuffava e andava ad avvisare i pochi clienti rimasti che il locale stava chiudendo.

- Una meraviglia. - rispose lui, articolando lentamente le parole.
Decisamente, aveva bevuto troppo. Stupidamente, si ritrovò a pensare che quando si sarebbe svegliato avrebbe avuto un formidabile mal di testa. Scacciò il pensiero, posando gli occhi su Monica, che gli sorrise affabile.

- Non si direbbe proprio, Manuel, non sei un gran bugiardo. -

- A differenza tua... - osservò il ragazzo, che ricordava perfettamente come e perché aveva rotto con Monica: un bel giorno, pensando di farle una sorpresa, l’aveva trovata con un ragazzo di cui non aveva mai saputo il nome. Ed era stato subito chiaro che non stavano chiacchierando amabilmente.

- Oh, suvvia, ancora quella vecchia storia! - rise lei, scrollando i riccioli color rame – Non potresti dimenticarla, una buona volta? In fondo stavamo bene assieme, devi ammetterlo... -

Manuel distolse lo sguardo. Sapeva che aveva ragione, c’era stato un periodo in cui erano stati davvero bene. Prima che lei iniziasse a tradirlo, ovviamente.

- Si, un po’. - ammise alla fine, chiudendo gli occhi. Era stanco, voleva andare a casa. Fece per alzarsi in piedi, ma le gambe gli cedettero nell’esatto istante in cui il mondo iniziava a vorticare furiosamente davanti ai suoi occhi.

- Ehi, ehi, ehi! - rise Monica – Dove credi di andare, campione? -

- A casa. - biascicò lui, lasciando che lei lo sostenesse. Quasi non si rendeva conto che si stringeva a lui più del necessario.

- Non da solo e non in moto. Non oggi. -

- Lasciami... -

- Non esiste, campione, ti accompagno a casa io. - insistette lei, trascinandolo fuori di peso.
Senza chiedersi se fosse giusto o sbagliato, lui glielo lasciò fare.

Le lasciò fare molte cose, quella sera.

Stordito e sconvolto com’era, tanto dall’alcol che gli navigava nel corpo quanto dalla litigata con Beatrice, acconsentì che Monica salisse con lui e lo portasse fino in camera sua, dove si sedette sul letto incrociando le gambe e iniziò a chiacchierare come se niente fosse.

Manuel chiuse gli occhi, stanco.

Annuì un paio di volte, senza nemmeno sapere a cosa acconsentiva, e quando lei gli si avvicinò quel tanto che bastava perché potesse sentire il suo profumo, non si mosse.

- ...mi manchi, - stava dicendo la ragazza, posandogli le mani sul petto – mi manchi da morire, Manuel, da quando ci siamo lasciati non ho fatto che pensare a te... -

Parlava piano, a voce bassa, dei sussurri di cui faticava a cogliere il significato ma ne apprezzava il tono.

Una parte di lui era perfettamente consapevole del fatto che lei gli stava mentendo, come aveva sempre fatto, ma un’altra voleva starla a sentire. Voleva crederle, voleva da lei quell’amore che Beatrice gli aveva negato, voleva briciole di felicità pagate poco.

Fu questa parte qua che vinse, quando Monica lo baciò. Senza esitazioni, con lo stesso atteggiamento di chi vuole una cosa e sa come prenderla.

 Era stato così anche il loro primo bacio, si ritrovò a ricordare mentre le sue mani lavoravano febbrili per sollevarle la maglietta, lei lo aveva baciato senza esitazioni come se fosse una sua proprietà, come se fosse scontato che lui avrebbe ricambiato il gesto. Cosa che effettivamente aveva fatto.

Con Beatrice, invece, era stato tutto diverso. L’aveva vista in una stradina di periferia, che tornava a casa in lacrime, e aveva provato l’irresistibile impulso di rapirla. Di portarla via, in un posto dove le sue lacrime avrebbero smesso di scendere. E così era stato, in riva al mare, con i piedi nella sabbia calda, a chiacchierare di tutto e di niente. Un colpo di fulmine. L’aveva baciata seguendo l’istinto, gli era sembrata l’unica cosa giusta da fare, ma l’aveva fatto piano, delicatamente, con la paura di vederla scappare, scomparire.

Ma non era scomparsa, era rimasta lì. Da tanto tempo, era sempre lì, al suo fianco, nel bene e nel male. Si bloccò, mentre Monica si scostava appena per sfilarsi la maglietta. Sbattè le palpebre, un paio di volte, rimanendo immobile mentre lei si chinava nuovamente in avanti, a baciarlo ancora. Ma questa volta rimase fermo, con la fronte aggrottata.

- Beh? - chiese lei, perplessa, inarcando le sopracciglia. Manuel sembrava in coma, fissava il vuoto e sembrava non averla nemmeno sentita, gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla.

- Manuel, - disse con voce ferma – si può sapere cosa diavolo ti sta passando per la testa? -

Beatrice.

Si rese conto che stava pensando a Beatrice.

Al suo sorriso, a quella fossetta che lei disegnava sulla guancia destra, al modo in cui i suoi occhi si illuminavano.

Alle sue mani, le sue piccole mani fredde che sapevano sempre come trovare e imprigionare le sue, con una naturalezza che spesso lo lasciava senza fiato.

Al modo in cui il suo viso sapeva incastrarsi tra la sua spalla e il suo collo quando lo abbracciava stretto. Al modo in cui lo baciava, quasi timidamente, e a come poi gli parlava sottovoce, con le labbra quasi attaccate alle sue. Ai suoi malumori, al modo in cui si scherniva quando lui rideva delle tre bustine di zucchero che metteva nel caffè, a quel suo buffo modo di osservare le cose, senza paura.

Guardò Monica, in silenzio, e la allontanò da se, chiedendosi cosa diavolo stesse facendo.

 

And when your fears subside and shadows still remain,

I know that you can love me when there's no one left to blame.

So never mind the darkness, we still can find a way

‘cause nothing lasts forever even cold

November rain.

 

 

Beatrice fissava il vuoto, seduta su uno scoglio in riva al mare. Non sentiva nemmeno la musica nelle sue orecchie, si limitava a guardare fisso avanti a se, del tutto incapace di fare altro.

Era passata una settimana buona da quando Manuel le aveva confessato quello che era successo con Monica e lei non era ancora riuscita ad assorbire il colpo.

Si sentiva intorpidita, intontita. Era come se l’avessero stordita con un gran colpo in testa che le impediva di pensare o di fare qualsiasi altra cosa.

Da quando lui l’aveva chiamata, quella domenica pomeriggio, si era rifiutata di fare qualsiasi cosa. Non aveva più rimesso piede a scuola: le sue compagne di classe la cercavano ogni giorno, ad ogni ora, tempestandola di messaggi e di chiamate sul cellulare, ma lei non aveva mai risposto. Lo aveva spento, intenzionata a non sentire nessuno, a non dover spiegare niente a nessuno.

Era caduta in letargo.

E ogni volta che provava ad affrontare la realtà, si sentiva sopraffare. L’aria le mancava e soffocava nei suoi stessi singhiozzi. Prigioniera dei suoi stessi pensieri, aveva scelto di esiliarsi dalla realtà, evitanto tutto quello che poteva farla tornare sui suoi passi.

L’ultima volta che aveva visto Manuel, era stato quel pomeriggio, mentre usciva di casa con il viso affondanto in una sciarpa scura: lui era fermo davanti alla sua moto, fissava qualcosa che lei non riusciva a vedere tenendo il casco tra le mani. Era stato come ricevere una pugnalata al cuore, non le era mai parso così bello. Si era dovuta obbligare a correre via, a non andare ad abbracciarlo e perdonarlo seduta stante, far tornare tutto come prima, a dimenticare annegando nel suo profumo, nel suo sapore, nel suo calore. Sapeva che se lo avesse fatto, si sarebbe odiata per il resto del sua vita e non se lo sarebbe mai perdonato. Aveva tirato dritto, alzando il volume dell’i-pod e accelerando il passo.

E si era trovata lì, in riva al mare. Non dove tutto era iniziato, ma sempre in riva al mare. 
Tirò su con il naso rumorosamente, frugando nelle tasche dei jeans alla ricerca di un fazzoletto: niente. Le sfuggì un gemito sconsolato, che si trasformò in un singhiozzo solitario che si perse da qualche parte nel mare grigio ferro e nel cielo nero, carico di temporali e rabbia. Socchiuse gli occhi, mentre il vento freddo le scompigliava i capelli, aggrovigliandoli e facendoli danzare nell’aria fredda.

- Ti prenderai un accidente... - esordì una voce gentile alle sue spalle. Non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi per riconoscere il ragazzo che aveva parlato: Andrea. Scrollò le spalle, con indifferenza.

- Non importa. - commentò atona, mentre lui le si sedeva accanto, il viso in parte nascosto dal cappuccio della felpa tirato sul capo.

- Non dovresti parlare così, sai? - con un gesto carico d’affetto le sfiorò la guancia, fingendo di sistemarle la sciarpa. Lei sorrise debolmente.

- Che ci fai qui? - chiese guardandolo con la coda dell’occhio, mentre si accendeva una sigaretta con disinvoltura e soffiava fuori una nuvola di fumo.

- Mi preoccupo per te, sciocchina! - le rispose con una risata – Come stai? -

Beatrice trattenne il respiro, per qualche secondo, inseguendo il volo di un gabbiano senza fiatare.

- Non lo so, - capitolò alla fine, rompendo il silenzio dietro cui aveva cercato di nascondersi – sicuramente sono stata meglio, ma se sto bene o male non so dirtelo. - si voltò verso di lui, che rimase spiazzato dalla tristezza che riempiva gli occhi color cioccolata della ragazza. L’impulso di correre a piacchiare Manuel e fargli capire le proporzioni della cazzata che aveva fatto era a dir poco incontrollabile.

- Oh, lo so a cosa stai pensando. - la voce della ragazza interruppe il flusso dei suoi pensieri – Ma credimi, andare a picchiare Manuel non servirà proprio a niente. -

- Però sicuramente sarebbe una bella soddisfazione... - commentò cupo Andrea, per nulla sorpreso: da quando la conosceva, Beatrice aveva sempre dimostrato di saper leggere le sue intenzioni come se le avesse stampate sulla fronte a caratteri cubitali.

- Dipende... - rise piano, senza allegria – Come sta? -

Andrea sorrise, scompigliandole i capelli. Sapeva quanto le fosse costata quella domanda.

- Non sta bene. - rispose – Finge che vada tutto bene, ma in realtà sta da cani da quando avete litigato. -

- Noi non abbiamo litigato. - lo interruppe bruscamente – Noi abbiamo rotto. -

- D’accordo, da quando avete rotto. Ma resta il fatto che gli manchi, Bea, gli manchi da morire. -

-Poteva pensarci prima di andare con quella puttana!- sbottò Beatrice furibonda –Poteva pensarci prima, cazzo!-

Andrea rimase basito, mentre lei si allungava verso di lui e gli strappava via la sigaretta di bocca, tirando una lunga boccata. Immediatamente cominciò a tossire.

- Ehi, piano! - esclamò lui –C osì finisce che ti soffochi e allora dai un motivo ancora più valido a Manuel di buttarsi sotto un ponte. - 

- Vuole buttarsi sotto un ponte?! -

- No, Bea, no. Respira. Ma se sei così preoccupata per lui, perché non vai a parlarci? -

Lei tacque, mentre gli ultimi attacchi di tosse di chetavano e le permettevano di respirare normalmente.

- Bea, dico sul serio: perché non ci parli? È distrutto, veramente distrutto, se potesse tornerebbe indietro nel tempo e non ti lascerebbe andare via. -

- Andrea, è inutile. - sorrise dolcemente – Io perdono tante cose, ma non il tradimento. Posso sopportare che mi tiri buca, che non mi spieghi dove sparisce, ma che mi tradisca proprio no. -

- Ma non ti ha tradito... - cercò di mediare un’ultima volta Andrea.

- No? Stando a quello che mi ha detto, ci mancava tanto così che finissero a letto. - scosse il capo – No, Andrea, no. Puoi dirmi quello che vuoi, ma è lui ad aver sbagliato. E io non posso perdonarlo, non ancora. -

- Capisco, ma... -

- No, Andrea, niente ma! - esasperata, affondò le mani tra i capelli guardando per terra – Non ce la faccio. Sa il cielo quanto lo amo, ma non ci riesco! Quindi smettila, di prego smettila di cercare di convincermi del contrario. Fa ancora troppo male e io non merito di stare così. Merito di meglio, merito un ragazzo che mi rispetti, che non mi tiri buca, che non sparisca senza dire niente, che non vada con la sua ex dopo una litigata! -

Andrea rimase in silenzio. Tutto il fiume di parole che gli venivano in mente gli sembravano incredibilmente fuori luogo per confortare la ragazza, l’unica cosa che riuscì a fare fu abbracciarla. Rimasero così per un arco di tempo che parve loro un’eternità, entrambi persi nei loro pensieri, entrambi alle prese con un problema che, in un modo o nell’altro, era piombato loro tra capo e collo. Un problema che di nome faceva Manuel.

Fu lei la prima a parlare, nascondendo il tremore della voce in una risata roca.

- Siamo proprio una bella coppia di scemi, noi due. - si strofinò il naso – Ci ha fregati alla grande, con quel suo modo di fare. Sembra tanto indifeso, tanto tenero, tanto buono, e prima che te ne rendi conto sei legato a lui da una catena che non puoi spezzare nemmeno se lo vuoi. -

- Da come parli, sembra che sia una maledizione. -

- Lo è. - socchiuse gli occhi, mentre la pioggia iniziava a cadere in lontananza, nascondendo l’orizzonte dietro una cortina che aveva lo stesso colore ferroso del mare – E’ una maledizione e una benedizione, assieme. E ti giuro che per quanto mi sforzo, per quanto ci provo, non riesco più a capire dove inizi una e dove finisca l’altra, Andrea, non ci riesco. È entrato in me al punto che non riesco più a ricordare com’era stare senza di lui... -

Andrea non disse nulla, di nuovo. La strinse forte, mentre per la prima volta dopo sette giorni Beatrice si abbandonava a un pianto sordo, di dolore, lasciando che le lacrime rompessero gli argini della volontà che aveva eretto e irrompessero violente sul suo viso, sulla felpa dell’amico che la stringeva come se temesse di vederla volare via, nel vento freddo che soffiava perfido sulla costa.


Erano seduti sui gradini sotto casa di Beatrice, qualche ora più tardi.

Quando il vento si era fatto troppo freddo, se ne erano andati, scappando nella Punto verde di Andrea che li aveva riportati in città, li aveva riportati alla realtà. E ora erano lì, su quei gradini freddi sotto il cielo plumbeo: stava arrivando un temporale, e non sarebbe stato un acquazzone passeggero. Le nuvole erano nere, scure, ringhiavano in lontananza con cattiveria e i primi fulmini cadevano all’orizzonte, alle spalle della città.

- Tornerai a scuola, almeno? - chiese il ragazzo, giocherellando distrattamente con le frange della sciarpa di lei, che fissava assorta le sue Converse, vicine alle Vans di Andrea.

- Ho scelta? - replicò distratta – Ringrazio il cielo che sono maggiorenne, sennò vai tu a spiegare ai miei una settimana intera di assenze! - risero entrambi, senza convinzione.

- In effetti, sarebbe uno spettacolo interessante. - la stuzzicò affettuosamente.

- Oh si, il linciaggio di Beatrice! -

- Venghino siore e siori, cinque lire per lo scalpo della piccola Bea! - continuò il ragazzo, sulla falsariga del direttore di un circo.

Risero di nuovo, questa volta con il cuore, al punto da avere le lacrime agli occhi. Fu lei la prima a smettere, quando incrociò una figura famigliare che avanzava verso di loro. Non riusciva ancora a distinguerne il volto, ma quel modo di camminare, quel modo di tenere le braccia abbandonare nelle tasche dei jean era fin troppo famigliare: Manuel. Il sorriso le si congelò sul volto, in una piega amara della labbra che poteva benissimo essere una smorfia.

- Andrea, mi baceresti? - chiese, sull’onda di un’improvvisa cattiveria.

- Eh?! - fece lui, senza capire.

- Mi baceresti?? - insistette lei, con un’urgenza che la spaventava. 

- Bea, non… - spaesato, il ragazzo aggrottò la fronte.

- Oh, al diavolo. Baciami, Andrea, adesso! - sbottò, tenendo un’occhio fermo su Manuel, sempre più vicino e sempre più riconoscibile. Andrea se ne accorse.

- Bea... - mormorò – Da quando sei così piena di rabbia? - era triste, più che sorpreso.

- Da quando mi ha presa in giro. -

-...Bea, io ti bacerei se tu questo bacio lo volessi davvero. Sai che è da quanto ti conosco che vorrei baciarti, e ti bacierei se non fosse un capriccio o un modo per ferire lui, perché così proprio no. Cosa cambierebbe poi, lo sai solo tu. Finiresti con l’incunearti da sola in una fossa dove ti sei trovata per caso e dalla quale hai paura di uscire. -

La ragazza abbassò lo sguardò, abbracciandosi le ginocchia. Aveva in gola una lunga serie di insulti che aspettavano solo di essere sputati fuori. Quello che voleva, in quel momento, era solo restituire a Manuel tutto il dolore che lui le aveva causato, usando il suo migliore amico per essere sicura di fargli veramente male. Ma Andrea non meritava un trattamento del genere.

- Hai ragione, sai? - ammise alla fine – Mi sto crogiolando nella mia tristezza perché ho paura, in fondo. Sono una codarda. -

- Dimostra che non lo sei. - le sorrise – Va da lui, adesso, e parlaci. -

- E se... -

- Niente se, niente ma. Alzati e vai da lui. Piangi, sfogati, urla, picchialo, piangi ancora, perdonalo se vuoi, lascialo se vuoi, poi chiuditi in camera con Colazione da Tiffany, un panino e un barattolo di Nutella, abbruttisciti, deprimiti e poi ritorna a splendere con calma, torna la solita Bea prendendoti il tempo che ti serve, fregatene di quello che potrebbe dire la gente, ma dimostra a te stessa che non sei una codarda. D’accordo? Poi stasera se vuoi mi chiami e mi racconti come sono andare le cose. Se sono andate bene, rideremo su questo assurdo pomeriggio di lacrime, se sono andate male piangeremo e lo tratteremo male fino a quando non ti sarà passata. E se un giorno lo vorrai ancora, quel bacio te lo darò sul serio. - sorrise, ambiguo, alzandosi e infilandosi nella macchina, posteggiata qualche metro più in là.

La salutò con la mano, strappandole un sorriso, e se ne andò, prima che Manuel la raggiungesse e si fermasse davanti a lei, ancora seduta sui gradini.

 

 

Non ricordava che i suoi occhi fossero così grandi e tristi. Non ricordava che in mezzo a quel color cioccolata si annidiasse una malinconia tale da fargli venir voglia di piangere, non ricordava che fossero mai stati cerchiati da occhiaie così scure, non ricordava che i tendini premessero con così tanta forza contro la pelle sulle sue mani, non la ricordava così pallida e magra. Manuel la guardò senza riuscire a parlare, avvertendo nitido sul suo viso tutto il dolore che lei racchiudeva dentro di se.

- Odio tutto questo. - disse alla fine lei, passandosi una mano sul viso come a cancellare una lacrima.

- Cosa? - domandò Manuel, ancora in piedi, senza sapere cosa fare.

- Questo fottuto silenzio del cazzo. - sbottò, riaprendo gli occhi e catturando il quel caramello scuro tutta l’attenzione del ragazzo – Neanche fossimo due estranei. -

- Non lo siamo? -

- Potremmo diventarlo presto. - gelida, la voce di Beatrice lo colpì senza dargli il tempo di iniziare a sperare.

Di nuovo silenzio, interrotto solo da un tuono lontano e dal motore di una macchina che passò davanti a loro, ignorando la loro presenza.

Fu solo quando lei gli chiese di sedersi, che Manuel riprese a respirare accasciandosi sul gradino. La presenza della ragazza era tangibile nonostante il silenzio, come un fuoco che brucia ma non si riesce a vedere. Era calore. Era una forza che nessun matematico e nessun fisico sarebbe mai riuscito a imbrigliare in una inutile ed ennesima formula matematica da imparare a memoria.

- Beatrice, io... - incerto, lui iniziò a parlare. Qualsiasi cosa per riempire quei silenzi.

- Tu cosa? -

- Io vorrei...tu sei... io, io ti... - perso tra le parole, perso tra le mille cose che avrebbe voluto dirle, perso tra i suoi pensieri e le sue paure. Spaventato.

- Magari se riesci ad articolare una frase senza perderti posso capire quello che mi dici, ti pare? -

- Mica mi aiuti se fai così! - protestò debolmente, aggrottando la fronte.

- Non ho nessuna intenzione di aiutarti. - osservò lei, ostendando un’indifferenza che la spaventava.

- E lo capisco, ma... -

- Se lo capisci, allora arriva subito al sodo senza farmi perdere tempo. -

- Ho sbagliato. - sospirò alla fine, nascondendo il viso tra le mani.

- Ma va? -

- Ho sbagliato e non ti posso biasimare se mi odi, se sei arrabbiata, se mi tratti così. Ho fatto una gran cazzata e credimi, ti prego, se potessi tornare indietro e rifare tutto lo rifarei perché... - s’interruppe, quando Beatrice gli spostò le mani dal viso. Il gelido tocco delle sue dita lo fece rabbrividire. E non per il freddo.

- Guardami, Manuel. Guardami quando mi parli. -

- Scusa. - mormorò il ragazzo, senza sfuggire a quegli occhi scuri e indagatori, improvvisamente imperscrutabili.

- Dicevi? - lo esortò a proseguire, tornando ad abbracciarsi le ginocchia. Il vento le scompigliava dolcemente i capelli.

- Tornerei indietro e rifarei tutto perché sei quanto di più bello sia mai capitato nella mia vita e la sola idea di perderti mi terrorizza. Non ho mai avuto così tanta paura di perdere qualcuno, Beatrice. Mai. -

Rimasero in silenzio, mentre la ragazza soppesava quelle parole. Fidarsi o non fidarsi? Rischiare un ennesima ferita o strapparsi via il cuore con un colpo secco, per precauzione?

- Sai, - disse alla fine, socchiudendo gli occhi – sono fermamente convinta di meritare qualcuno migliore di te. Qualcuno che non sparisce, qualcuno che non mi da buca, qualcuno che non va con la sua ex dopo un bicchiere di troppo. - fece una pausa, solo per guardare l’espressione affranta di Manuel che sembrava sul punto di scoppiare a piangere. Riprese a parlare – Quindi la cosa più logica da fare sarebbe lasciarti, mandarti a fanculo e non rivolgerti più la parola. Sei stato stronzo abbastanza da meritare una cosa del genere, è innegabile. C’è solo un piccolo problema che rende tutto estremamente difficile. Sai cosa c’è?- 

Il ragazzo scosse il capo, incapace di parlare.

- Lo sospettavo. - commentò amaramente, abbassando lo sguardo alle sue All star, accanto alle Vans blu di lui. Le loro scarpe erano più vicine di quanto non lo fossero loro due. –C’è che, nonostante tutto, io sono ancora innamorata di te. C’è che, nel bene e nel male, io ti amo ancora troppo per poter tollerare l’idea di lasciarti, sarebbe troppo. Non so cosa rimarrebbe di me. Ma d’altro canto sei stato una vera merda e non posso nemmeno perdornarti. -

Iniziarono a cadere le prime gocce di pioggia, sporadiche lacrime cadute da un cielo color ferro, quasi fosse un riflesso dell’asfalto che si snodava davanti ai loro piedi attraverso una giungla di case e giardini.

- La verità è che non so cosa fare, Manuel. Non posso lasciarti e non posso nemmeno perdonarti. - inspirò a fondo, conscia che quanto stava per dire avrebbe cambiato ogni cosa – Ho bisogno di tempo. -

Un tuono squassò il cielo, nello stesso istante in cui Manuel sentì il suo cuore lacerarsi.

- D’accordo. - mormorò alla fine – D’accordo, va bene. Io ti aspetterò. - si alzò in piedi e le tese una mano, per aiutarla ad alzarsi a sua volta.

 

You're not the only one, you're not the only one. 

Don't ya think that you need somebody? Don't ya think that you need someone?
Everybody needs somebody, you're not the only one, you're not the only one.

 

 

Beatrice sbadiglia, fissando svogliatamente il libro di matematica che ha sotto il naso da più o meno tre quarti d’ora.

Domani ha un compito di matematica e di equazioni esponenziali non ha mai capito niente. Sa già come andrà: si convincerà di potercela fare, di poter arrivare ad un misero sei quantomeno, poi guarderà il foglio bianco e il testo degli esercizi e si dispererà per una mezz'ora buona, prima di darsi una calmata e fare almeno un tentativo. Risolverà tre esercizi e mezzo su cinque ma la prof, tanto per essere puntigliosa, le mettere un odiosissimo 5/6.

Inspira a fondo, allontanando la sedia dalla scrivania per poi stiracchiarsi e prendere il cellulare in mano: sullo sfondo, una sua copia è abbracciata ad Andrea. Cumuli di neve sullo sfondo, un buffo cappellino di lana in testa, un sorriso luminoso stampato in faccia.

E’ passato tanto tempo da quel pomeriggio grigio sui gradini sotto casa sua, è passata tanta acqua sotto i ponti.

Manuel, adesso, è un nome che continua a bruciare ogni volta che viene pronunciato, ma ogni giorno che passa lo fa sempre meno e Beatrice sa, è convinta nel profondo del suo cuore, che arriverà anche il giorno in cui riuscirà a sorridere ripensando all’anno appena concluso.

Ha provato a perdonarlo.

Ha lottato, prima di getta la spugna e arrendersi, ho lottato contro tutto e tutti, ha sbattuto la faccia contro tutte le evidenze di questo di questo fino a farsi veramente male e anche allora, tra le lacrime, ha continuato a tirare avanti una storia che poi è esplosa, semplicemente.

Quando si è arresa, però, lo ha fatto con la consapevolezza che non avrebbe avuto rimpianti.

“Ho fatto tutto quello che potevo” aveva detto ad Andrea “Di più, sarebbe stato impossibile. Va bene così, davvero.”

E ha finito col crederci davvero, a lungo andare.

Non è stato facile, ma ci è riuscita. Certo, vedere Manuel ogni giorno, a scuola, vederlo ridere e parlare con i loro amici.. fa male. Non è così ipocrita da sostenere il contrario, fa male e avrebbe preferito vederlo solo, grigio e triste e ignorato da tutto. Ma non è mai stata cattiva e alla fine si è abituata anche a quello, al punto che è normale stargli vicino mentre fumava una sigaretta, tra una lezione e l’altra, o uscire tutti assieme la sera.

Fino a quando non è arrivato dicembre, la neve e Andrea.

Beatrice sorride, leggendo il messaggio che le è arrivato cinque secondo dopo aver preso in mano cellulare. È sorprendente come lui sappia apparire ogni qualvolta lei pensi a lui e se all’inizio questo la spaventava, adesso pensa che sia la cosa più straordinaria di questo mondo.

Digita rapida la risposta, un tenue sorriso che le curva le labbra e gli occhi illuminati da una luce che non pensava di poter ritrovare.

Non sa se sia amore, non l’ha ancora capito.

Ma qualunque cosa sia, va benissimo così.

 

 

 

 

Don't ya think that you need somebody?

 

Don't ya think that you need someone?

Everybody needs somebody, you're not the only one,

you're not the only one. 

 

 

FINE

   
 
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