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Autore: EsterElle    24/03/2015    5 recensioni
Demetrio va alla guerra, Demetrio è un vero uomo.
I calzoncini vecchi e i capelli verdi non contano nulla per lui; solo, mamma e papà, guardate quaggiù, guardate quanto il vostro bambino è diventato forte. Guardate quaggiù e siate fieri di lui.
Il Capo, Ines, Pietrino, l’intera Banda lo sta aspettando: Demetrio gli corre incontro, ignaro della tragedia che lo aspetta, determinato a diventare un eroe.
Perché la Guerra delle Olive è cominciata.
Perché la Guerra delle Olive è una cosa seria.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Demetrio alla Guerra delle Olive
 
 


 
 
 
Demetrio indossa solo i pantaloncini sdruciti e una vecchia canottiera mentre fruga nel grande armadio di sua zia Ida. È talmente preso dalla ricerca che non si accorge del caldo estenuante di quella mattina di fine agosto, non si accorge che la brutta crosta sul ginocchio sinistro si è appena riaperta e nemmeno che le sue mani sono ancora sporche di terra.
Zia Ida non è in casa, per fortuna: è al funerale di Domenico il Barbiere, morto in guerra tre anni fa. Tutti gli adulti del paese sono lì, a rendere omaggio ad una scatola chiusa, ad un mucchietto di ossa. Poi, andranno al cimitero, alla vecchia città, e staranno via fino a sera.
Zia Ida si infurierebbe oltre ogni dire alla vista di quello scempio disordinato che è diventata camera sua. Demetrio non ha paura di zia Ida, però; lui è un uomo, forte e coraggioso, proprio com’era il suo papà.
Lui è un soldato che va alla guerra.
È proprio l’elmetto di papà che sta cercando nell’armadio della zia, pieno di cimeli e di pochi abiti da vecchia zitella.
Perché la Guerre delle Olive è cominciata.
La Guerra delle Olive è una cosa seria.
Niente da fare, solo cianfrusaglie: ecco il bollitore di nonna Giuditta, il velo da sposa di mamma, vecchi bigliettini dell’innamorato della zia Concetta.
Per tutti i diavoli!
Demetrio ha davvero bisogno di quell’elmetto!
Sono passati solo pochi mesi dall’ultima volta che è stato fregato, quando Tonio il Grosso aveva scovato il suo nascondiglio e gliene aveva date di santa ragione. Per colpa sua, avevano perso quella battaglia!
Deluso, afferra la fionda abbandonata sul pavimento, allaccia meglio le stringhe delle scarpe e si precipita giù per le strette scale della sua casa.
Di casa di zia Ida, a dirla tutta.
A casa sua, Demetrio non mette più piede da almeno due anni: non c’è nessuno ad aspettarlo, dopotutto.
Le cicale strepitano al di là della porta quando il bambino si siede sui primi gradini davanti all’ingresso; stringe in mano il suo bicchiere sbeccato preferito e un pestello.
“Questa volta vinceremo, me lo sento” borbotta, mentre raccoglie l’erba verde che cresce sul ciglio della strada.
La Guerra delle Olive è troppo importante.
Demetrio e la sua Banda si sono a preparati a questo giorno con molta cura; hanno saccheggiato le campagne in cerca di munizioni, hanno fatto un sopraluogo del campo e della base, hanno stabilito un piano d’attacco infallibile.
Il Capo è fiero di lui e Demetrio non può desiderare di meglio.
Il Capo è un tipo davvero forte: tutti hanno rispetto per lui.
Demetrio ha raccolto abbastanza erbe nel suo bicchiere ed ora ci sputa dentro numerose volte.
È un lavoro noioso, ma necessario.
“Ehi, Dem!” urla una voce, mentre il bambino fa colare un po’ di saliva nel boccale.
“Ciao” risponde laconico, pulendosi le labbra col dorso della mano.
È Ines, una bambina della sua Banda che abita a due case di distanza da quella di zia Ida.
Non che gli altri bambini abitino molto lontano, in realtà: Arco di Sotto è un paese molto, molto piccolo.
Demetrio, soddisfatto della quantità di bava, inizia a triturare violentemente il mucchietto viscido di erbe col pestello.
“Che fai?” chiede ancora la bambina, restando in piedi di fronte a lui.
“Mi preparo alla Guerra”.
“Non devi più farti scoprire o il Capo ti butta fuori”.
“Si, lo so”.
Ecco, la mistura è pronta.
“Ti serve aiuto?”
“Se vuoi”.
Ines afferra il bicchiere e si posiziona alle sue spalle. Senza esitare gli rovescia l’intruglio verdognolo sulla testa e con le mani lo spalma per bene sulla massa di capelli biondissimi.
“Sei stato proprio sfortunato a nascere così” commenta.
“Già”.
“Anche tua mamma aveva i capelli di questo colore?”.
“La zia dice di si. Io non l’ho mai vista”.
“Brillano al sole, sai?”
“Si. Per questo li coloro di verde, no?”
Il vento soffia leggero e caldo tra la campagna calabra di metà novecento; i bambini non sembrano infastiditi  dalle gocce di sudore che si rincorrono giù per le loro fronti.
Quella di Dem è già macchiata di verde.
Ines indossa un vestito carino, pensa Demetrio, mentre lei ha ancora le mani impiastrate nei suoi capelli.
Lei è sempre carina, in realtà.
“Finito!” esclama la bambina, posando il bicchiere per terra. “Vediamo come stai” ridacchia, tornando a guardarlo da di fronte.
“Allora? Brillano ancora?”
“Per niente. Sono davvero orribili, ti stanno malissimo!”.
“Non mi interessa”.
Insieme si alzano e iniziano ad inerpicarsi su per la strada in salita; alla loro destra si ripetono, l’una dopo l’altra, un mucchio di case piccole e grigie, basilico o peperoncino piantati in grossi vasi davanti alle porte. Alla loro sinistra, uno steccato in legno, pericolante, delimita un campo incolto, pieno di sterpaglie.
Ines e Demetrio camminano piano, spalla a spalla, lasciando ombre corte dietro di loro.
La meta è in cima alla salita.
“Le spie sono tornate?” si informa il bambino.
Ines è la cugina del Capo, lei sa sempre tutto.
“Si, questa notte”.
“E?”
“La Banda dei Longiani ha un membro in meno da questa primavera”
“Davvero? Chi?”
“Non lo sai? Ciccio lo Sciancato è andato via, in qualche altra città lontano da qui, al nord, con i suoi. Per farsi curare, dicono”.
“Non è una grossa perdita, per loro”.
“Già”.
“Poi?”
“Pietrino ha scoperto una mappa semi cancellata tra gli olivi di suo nonno; sembra un piano per attaccarci alle spalle”.
Ines da un calcio ad una pietra, nervosa.
“Il Capo che dice?”
“Organizzerà una difesa nascosta nella porcilaia del Bruciato. Me se dovessero esserci prigionieri non dobbiamo liberarli”.
“Cosa?”
“È troppo pericoloso: a difesa della loro Base c’è Tonio il Grosso con il fucile di suo padre. È scarico ma lui non esiterà a tirarcelo in testa”.
“Quell’idiota di Tonio”.
“E tu? Che farai tu?
“Il Capo non te l’ha detto?”
Ines scuote la testa e la lunga treccia bruna le cade dietro le spalle. Suo padre sta facendo fortuna in città e lei può vantare almeno cinque nastri per capelli colorati; per questo motivo nessuna delle altre bambine la sopporta.
Demetrio ha sempre pensato fosse una buona amica.
“Allora non te lo dirò”.
“Si, invece, lo farai!”
“No”.
“In cambio ti racconterò una delle mie storie”.
Questa è una proposta davvero allettante. Anche se non l’avrebbe mai ammesso, Demetrio adora le storie di Ines. Parlano di eroi invincibili e dei crudeli, e di guerre e di imprese, e di gloria eterna. Ines gli ha raccontato, parecchi mesi prima, che il suo stesso nome si può ricondurre a quello di una dea, la dea della vita e della prosperità: Dem si è offeso moltissimo, ovviamente.
Se papà avesse conosciuto queste storie, forse non sarebbe morto, pensa ogni volta.
“Dovrai anche rivelarmi il tuo, di compito” rilancia, allora, il bambino.
“Andata” ribatte lei prontamente, stringendogli una mano. “Vieni, sediamoci un attimo. Fa troppo caldo” propone poi, indicando l’ombra creata da una grande quercia sulla sinistra.
Ines si accomoda su un residuo d’erba quasi secca, mentre a Demetrio tocca la dura terra battuta della strada: lui non sembra nemmeno farci caso.
“Allora?”
“Farò il cecchino, come mio padre” e le guance gli si colorano d’orgoglio a quelle parole.
“Forte!”
“Si”
“È una grande responsabilità” corruccia la fronte lei.
“Dovrò coprire la traversata nella terra di nessuno quando la fanteria tornerà indietro con il tesoro”.
“Tutto da solo?”
“No. Pietrino sarà con me”.
“Pietrino?”
“Si, Pietrino”
“Bah. Contento tu …”
Demetrio passa distrattamente una mano tra i capelli, sporcandola di verde.
“Che c’è?”
Il sorriso storto di Ines lo mette a disagio.
“Pietrino è solo un bambino!” sbotta lei con sufficienza.
Ha le sopracciglia sollevate e un’espressione compassionevole.
“Senti, non sarò certo io a mettere in dubbio le decisioni del Capo”.
“Va bene, va bene, non agitarti. Però dovrai stare molto attento e coprire anche il suo raggio d’azione”.
“Lo farò”.
Ines sembra un momento distratta e Demetrio la osserva in silenzio, un raggio di sole che scende dolcemente tra le foglie della quercia e si posa sulla sua guancia destra.
È molto carina, Ines, coi suoi nastri colorati e gli occhi accesi, sempre in movimento.
“Tieni, è per te” dice lei, porgendogli una mora sul palmo aperto.
"Grazie”.
Demetrio sa di essere fin troppo contento per questo regalo. E no, la fame non c’entra.
Le labbra gli si tingono di blu, ma lui non ci pensa.
“Tu che farai? Hai promesso di dirmelo” le ricorda Dem, curioso.
“Si, è vero. Il Capo mi vuole in fanteria, in prima linea. Dice che nessuno di quei pappamolla è veloce come me” risponde lei, noncurante.
Demetrio ha paura per lei. Non c’è nessuna bambina che gli piaccia più di Ines e vorrebbe tenersela vicino, durante la Guerra.
Ma gli ordini del Capo non si discutono.
“Prenderai il tesoro, vero?” si azzarda a chiedere, per nascondere la preoccupazione.
È un duro, lui, deve tenerlo bene a mente. Una femminuccia non avrebbe fatto onore per nulla alla memoria di papà.
“Ovvio”.
Il tesoro. Tutti i bambini di Arco di Sotto non vedono l’ora di mettere le mani sul tesoro; chi possiede il tesoro, possiede il potere di comandare su tutta la città fino alla successiva Guerra.
Dem vorrebbe tanto conquistarlo lui, una volta tanto, ma non osa lamentarsi; sa che non succederà mai.
“Dai, alziamoci, siamo già in ritardo. La storia te la racconto alla base, insieme agli altri”.
Demetrio non si accorge che si sta grattando il naso con la mano verde e non capisce perché Ines, adesso, ride.
“Piantala” mormora, offeso.
“Va bene, va bene” dice lei, sullo strascico della risata. “Sei un soldato fin nell’animo tu, eh?”.
“Come mio padre” afferma lui, con orgoglio.
“Anch’io vorrei essere coraggiosa come mio padre, oggi” gli confida.
“Ma tu sei una femmina!”
“Cosa c’entra? Sono la più veloce e la più furba di tutta la Banda” dice, col naso per aria.
“Tranne il Capo”.
“Tranne lui, si”.
Il Capo ha dodici anni ed è il più grosso e il più vecchio di tutti; bisogna portargli rispetto.
La strada si allarga un poco quando i bambini arrivano in cima.
Sono affannati e sudati ma non possono concedersi nessuna distrazione: la guerra è alle porte e quello è un territorio pericoloso.
Sono fermi nella terra di nessuno, adesso.
In cima alla strada, un poco lontano dalla fila di case a schiera, ci sono due edifici a fronteggiarsi, ognuno padrone di un versante della via polverosa: la vecchia casa padronale e il frantoio in disuso.
La Banda dei Longiani, loro avversaria, ha fatto del frantoio la sua base: le mura sono solide e la struttura squadrata, invalicabile se non dalla porta d’ingresso. I loro nemici hanno conquistato quel fortino a suon di botte ed l’hanno reso, mese dopo mese, una vera roccaforte.
D’altra parte, Demetrio e la sua Banda, la Banda di Vascio, hanno conquistato il vecchio palazzo.
I vetri alle finestre non ci sono più, le imposte penzolano nel vuoto, lunghe crepe attraversano tutta la facciata principale. Un vero tugurio, a prima vista. Eppure, l’interno è pieno di sale ampie e segrete, le finestre sono ottime per gli appostamenti e per controllare la strada, alcuni vecchi mobili sono serviti per l’equipaggiamento dei soldati.
Un refolo di vento soffia in quel momento tra i bambini, portando con sé il sentore di meloni bianchi, fichi dolci e mangime per galline. Demetrio ingoia a vuoto, ormai esperto dei morsi della fame.
Ines batte tre colpi sicuri alla porta della Base.
“Chi va là?” domanda una voce dall’interno.
“Apri la porta Salvo” sbotta lei, innervosita.
“Parola d’ordine?”.
Demetrio pensa bene di intervenire per evitare una rissa.
“Onore ai caduti” mormora.
La porta si apre con un cigolio, lui ed Ines entrano dentro in gran fretta.
“Alla buon ora, Cima di Rapa” lo accoglie secco Salvo, grattandosi il collo.
Salvo ha otto anni, non ha i denti davanti ed il suo occhio destro è gonfio e rosso; suo padre è tornato vivo  dalla guerra, per sua sfortuna. Salvo lavora nei campi da mattina a sera ed è sempre infestato da strani pidocchi.
A Demetrio non è molto simpatico.
“Fatti i fatti tuoi, tu” ribatte.
Si becca uno spintone per questo.
“Piantatela voi due” interviene secca Ines, che già li precede nel cortile interno.
Ines è una che conta, questo lo sanno tutti, persino quello zoticone di Salvo.
La seguono in silenzio al di là della porta, nella grande stanza semibuia; Demetrio ha fatto in tempo a ricambiare la spinta con un pugno, per fortuna. Lasciare le offese impunite non è da veri uomini, questo lo sa.
Una volta dentro, è tutta un’altra storia.
Dalle finestre piovono scie luminose che rischiarano la stanza enorme al di là del portone; il pavimento è polveroso e la luce illumina i piccoli corpuscoli volanti, come fossero stelle.
Nelle fantasie di Demetrio, la Base è un luogo incantato, pieno di quelle stelle, un luogo sicuro e protetto; il Capo vigila su di loro, Ines colora quel buio coi suoi nastri, papà e mamma lo guardano fieri da lassù.
La Banda di Vascio al completo è radunata, ora; gli altri siedono su vecchie cassette di legno rovesciate, in cerchio, ai piedi della grande scalinata.
I loro passi rimbombano nel locale semivuoto.
“Eccoli, Capo: Cima di Rapa e Ines” li annuncia Salvo, correndo verso il bambino più grosso.
Il Capo si riconosce subito per quel berretto che indossa in ogni stagione dell’anno, marrone e verde, calato fino agli occhi; Demetrio gli lancia uno sguardo fugace.
Ines va a sedersi proprio al suo fianco, mentre lui prende posto tra Peppe e Pietrino.
“Come te la passi, vecchio mio? Bei capelli!” gli sussurra quest’ultimo, con una gomitata affettuosa.
Demetrio può solo fare una smorfia e annuire; Pietrino ha solo sei anni, ancora non sa come vanno le guerre.
“Riprendendo a parlare di cose serie” salta su Gina, dalla parte opposta del cerchio “Dobbiamo ancora stabilire chi di noi andrà a fare la muffa nella porcilaia del Bruciato”.
Gina ha un viso sgradevole, lungo e pallido, i capelli come paglia secca; i suoi occhi azzurri, però, sono come pezzi di cielo, Demetrio l’ha sempre pensato.
Cielo e stelle, colori e nastri; quanta bellezza in questa Guerra?
“Se non la pianti di fare la maestrina ci spediamo proprio te!” ribatte Salvo, suo fratello.
“Sei proprio tonto, caro mio! Io sono troppo importante quassù, alla guardia delle munizioni”.
“Vogliamo vedere?”
“Come no!”
“Basta, adesso” li interrompe secco il Capo.
Il silenzio cala in un momento, la bambina torna a sedersi, la gonna tra le ginocchia.
Ines la guarda con un misto di commiserazione nello sguardo, Demetrio se ne accorge subito.
“Non andrà Gina” decreta ancora il Capo.
“A-a-llora … io p-p-prop-p-ongo Dem-m-metrio” azzarda Cacaglio, torcendosi le mani magrissime.
“Giusto! È un’ottima idea” Salvo è entusiasta.
“Con quel muso lungo e i capelli verdi spaventerà i quei piscia sotto senza neanche muovere un dito” ride sguaiatamente Gina.
Ma questo non è giusto!
“No!”
È pronto a fare a pugni, Demetrio.
“Io sono il cecchino” ripete stupidamente.
Papà mi vedrà, da lassù, e sarà fiero di me, continua a pensare.
Mamma saprà che sono diventato un uomo adesso, che non piango più, che non stringo ancora tra le mani il suo vecchio scialle quando dormo.
È terrore puro quello che gli si dipinge negli occhi.
“Sta zitto, una buona volta, Cima di Rapa” lo rimbecca Salvo.
“Fa silenzio, biondino!” lo schernisce anche Gina.
“Dem è il mio compagno, io mi trovo bene solo con lui” inizia a piagnucolare Pietrino.
Peppe gli molla uno schiaffone sul collo per farlo smettere, ma sembra non funzionare; in fondo, è solo un bambino.
Tutti parlano, ridono, piangono, ora.
C’è una gran confusione e Demetrio sente caldo sulle guance, le mani gli prudono.
Perché gli fanno questo?
Dem non molla il Capo nemmeno per un secondo, lo guarda fisso, il respiro pesante; lui, però, sta bisbigliando qualcosa all’orecchio di Ines e nemmeno se ne accorge.
“H-h-ho a-a-avuto una b-b-buona idea!” nessuno aveva mai visto Cacaglio tanto felice.
Se Demetrio non fosse stato così preoccupato per sé se ne sarebbe accorto.
“Ogni tanto ne combini una giusta!” la risata di Gina è troppo fastidiosa.
“Non sarà Demetrio”.
Il Capo non ha urlato, ma tutti hanno udito il suo verdetto.
È enorme il sorriso che si apre sul volto del bambino: di nascosto, Ines gli fa anche l’occhiolino.
Quanto può battere veloce un cuore?
“Andrai tu, Peppe. Potrai prendere la falce piccola, con quella non dovresti avere problemi”.
Ed è di nuovo baraonda e chiacchiere e sussurri; ma Demetrio è tranquillo, adesso.
Nessuno oserà mettere in discussione la decisione del Capo.
Ines si alza in piedi, riportando il silenzio.
“Pietrino, Dem, venite di sopra con me; vi mostro le postazioni e le munizioni” dice, spostando la lunga treccia bruna dietro le spalle.
Quando Demetrio gli passa vicino, il Capo batte una mano sul suo braccio e lo guarda un momento, coi suoi occhi di pece; quale onore, quale gioia!
Mai i piedi di Demetrio sono stati più leggeri nel salire la grande scalinata di pietra.
Davanti a lui, la gonna del vestito giallo e blu di Ines ondeggia, e la treccia con lei: Pietrino ammicca in silenzio nella sua direzione.
“Non devi fare caso a quegli zoticoni di sotto, Dem” sta dicendo la bambina, continuando a dargli le spalle.
“Non hanno un briciolo del tuo cervello”.
“Lei ha ragione, amico!”
“Non urlare così, Pietrino”.
“Scusami Ines”.
“Lo credi veramente?” si azzarda a chiedere con un filo di voce Demetrio.
“Cosa?” lei non si è ancora mai voltata.
“Che ho cervello”.
È solo adesso che si ferma; si gira lentamente verso gli altri due compagni, gli occhi mobilissimi, le labbra a comporre una linea severa.
“Si. E dovresti crederci di più anche tu”.
Lo dice fermando lo sguardo su di lui, intensamente.
Non aggiunge altro e si riprende a salire.
“Anch’io dico sul serio, Dem, lo sai vero?” Pietrino è molesto, mentre saltella al suo fianco.
La voce dura di Ines sembra contenere tutta la musica del mondo; non gli aveva mai fatto un complimento così. Non c’è nessuna bambina come Ines, Demetrio lo pensa da sempre; lei, così furba e bella e colta, un po’ maschiaccio, con la sua lunga treccia bruna e quegli occhi profondi!
Ed io le sto simpatico, si, è così!
Ha voglia di ridere, ma non può, non è da soldato.
Conserva tutto nel suo cuore, Dem, e con un dito della mano sinistra disegna ghirigori strani e felici lungo il corrimano impolverato della scala.
Ines li conduce in una stanza lunga e stretta, che da sulla facciata del vecchio edificio.
La parete di fronte alla porta è piena di finestre; due cassette di legno stanno a segnare le postazioni dei cecchini, vicino a quei rettangoli di cielo d’estate, ed un vecchio lenzuolo tutto strappato è stato sistemato sulla metà inferiore delle finestre senza vetri, per garantire un po’ di protezione.
“Eccoci alla veranda” annuncia la bambina, cerimoniosa.
Devono stare ben attenti a dove poggiare i piedi, Demetrio e Pietrino. Le vecchie assi di legno del pavimento sono ricoperte da sacconi scuri e ruvidi, sommersi di piccoli olive, dure e acerbe, rubate qua e là ai grandi olivi.
“Questa volta le munizioni sono moltissime” commenta Demetrio, stringendo un paio di quei sassolini verdi nel palmo.
“Si. Gina e Salvo hanno fatto un buon lavoro”.
“Pietrino che fai?” Dem è inorridito. “Alzati immediatamente! Questo non è un gioco”.
Il bambino è ancora sdraiato per terra, tra le munizioni, il volto colpevole.
“Scusa” mormora allora, alzandosi piano.
“Oh, Pietrino, hai ancora molto da imparare” ridacchia Ines, andando a sedersi su una delle due postazioni.
La stanza è un po’ più buia del solito per via del lenzuolo; la penombra è piacevole, regala un po’ di frescura, distende le fronti.
“Su, venite anche voi” richiama i ragazzi. “Di sotto il Capo sta disponendo gli armamenti, è meglio non disturbare e stare quassù ancora un po’”.
I due obbediscono e, placidi, siedono ai suoi piedi, attenti a non schiacciare le olive.
“Avrete in dotazione solo le munizioni presenti in questa stanza; devono bastare a coprire tutta la ritirata, mi raccomando. Il Capo non vuole feriti né prigionieri questa volta” inizia Ines, autoritaria.
“Le spie ci hanno riferito che, come al solito, i Longiani piazzeranno un solo cecchino in cima al casermone; non sappiamo chi. Noi li prenderemo in contropiede, piazzando voi due. Fatelo fuori il prima possibile. Pietrino?”
“Si?”
“Non appena la guerra sarà iniziata tu obbedirai ad ogni singola parola di Dem, chiaro?” lo guarda duro.
“Sissignora”.
“Dem, tu assicurati che il tesoro torni sano e salvo all’interno di queste mura insieme a tutta la fanteria e il Capo saprà come ricompensarti. Tutto chiaro?”.
“Sissignora” annuiscono insieme.
“Bene” ripete lei, giocando con l’estremità della sua treccia.
Il silenzio scende scomodo mentre Ines guarda al di là del lenzuolo, fuori dalla finestra, pensosa e persa.
“Adesso che si fa?” azzarda Pietrino.
“Aspettiamo il segnale” risponde Demetrio, dopo il silenzio delle ragazza.
“Mi annoio”.
“Pietrino piantala”.
“Ma è vero!”
Il pizzicotto di Dem fa urlare il bambino.
“Che fai idiota?”
“Ti faccio vedere come si comporta un vero soldato”.
Mai una lamentela del genere sarebbe sfuggita dalle sue labbra, Demetrio ne era certo: papà non aveva pianto nemmeno in punto di morte, l’aveva detto quel suo compagno.
“Demetrio”
Il richiamo di Ines, tornata tra loro, fa passare tutto in secondo piano.
“Si?”
“Devo ancora mantenere una promessa o sbaglio?”
È un sorriso, quello?
Un sorriso diretto proprio a lui?
“No, non sbagli. Mi devi una storia” ammette, a testa alta.
Farsi mettere i piedi in testa da una femmina in ogni momento non è da soldato, vero papà?
“Bene, ve la racconterò adesso. Contento Pietrino?”
“Finalmente qualcosa da fare!” commenta lui, più felice.
“Sarebbe bella una storia di guerra” azzarda Demetrio, mettendosi comodo. “Per creare l’atmosfera giusta”.
“Una che parla di Uletto… o Ometto, o come diavolo si chiama!” lancia in aria le mani Pietrino.
“Ulisse?”
“Si, ecco, quello lì!”
Ines sorride e si carezza una guancia con la mano, pensosa.
“Si, c’è una storia che farebbe proprio al caso nostro, ragazzi” annuisce infine.
“Che parla di Ulesse?”
“Piantala di fare il bambino, Pietrino. Si dice Ulisse” Demetrio è molto serio e Pietrino lo sa.
Ines canticchia qualcosa a bocca chiusa, un motivetto allegro, mentre raccoglie le idee.
“Allora, la nostra storia inizia su un’isola, un’isola molto bella e lontana da qui, nel mar della Grecia. L’isola di Itaca” comincia, cantilenando.
“C’era un uomo, lì, un re, di nome Ulisse”.
Pietrino sorride e dondola avanti e indietro.
Che idiota, pensa Demetrio.
“Una guerra era alle porte, a quel tempo,  una guerra importante, combattuta dai più valorosi soldati di tutta la Grecia; tra loro, Ulisse sarebbe stato il più furbo e il più valoroso. Eppure, il re di Itaca, della guerra incombente non voleva proprio saperne e rifiutò di unirsi all’esercito”.
“Ma come? Non voleva combattere?”
“Esatto, Pietrino”.
“Non può essere: la guerra è il solo gioco a cui vale la pena giocare!”
“Non è un gioco, Pietrino” commenta tetro Dem.“Vai avanti, Ines, ignoralo”.
“Allora, due uomini importanti, chiamati Agamennone e Palamede, viaggiarono fino all’isola di Itaca, pur di convincere lo sciocco Ulisse a partecipare alla guerra. Ma, indovinate un po’? Lo trovarono sulla spiaggia, intento ad arare la sabbia”.
“Eh?”
“Arare la sabbia?” anche Demetrio non capisce, questa volta.
“Ines, ma questa è una pazzia! Non cresce niente, sulla sabbia, che senso ha arare?”
“Esatto, Pietrino, proprio una pazzia: Ulisse aveva messo in atto uno stratagemma, aveva deciso di fingersi  folle. In questo modo, sperava di evitare la guerra e restare a casa sua, insieme a sua moglie e suo figlio”.
“Furbo, questo Ulippe!”
“Già, era davvero astuto, il più astuto di tutti”.
“Quindi non va alla guerra? Non risponde alla chiamata, ignora la lettera, la convocazione?” Demetrio è confuso.
Che razza di storia sta raccontando Ines pochi momenti  prima dell’inizio della Guerra delle Olive? Dem avrebbe preferito qualche impresa eroica, una di quelle belle, come la leggenda di Teseo e del minotauro, le imprese di Ercole, l’inganno di Troia. Adora quelle storie!
Invece, non gli interessa per nulla il racconto di un pappamolla che se la fa sotto all’idea di combattere. Ha  paura di morire? Che eroe del cavolo! Papà è morto, alla guerra, ed ora è un vero eroe, e il suo nome è scritto su un grosso lastrone nella piazza in città.
Non importa morire, se muori da eroe.
Demetrio ne è convinto.
Non può essere diversamente, non può pensare alla morte inutile, nel fango, miserevole, alla follia, al rumore, alla terrore cieco, alla sporcizia.
La guerra è grandi gesta, coraggio, sangue freddo; è per veri uomini, come papà.
“Lasciatemi finire e saprete tutto” li ammonisce Ines, più dura.
“Scusaci”.
“Stavo dicendo; Ulisse si finge pazzo ed in questo modo spera di evitare la guerra. Ma Palamede, per una volta, si dimostrò più furbo di lui; temendo un trucco, una finzione, posò il figlioletto di Ulisse, Telemaco, davanti all’aratro!”.
“Oh no! È morto?”
“No, Pietrino. Telemaco si salvò perché il padre deviò l’aratro, dimostrando la sua perfetta lucidità. Così Ulisse partì per la guerra di Troia e ne fu uno dei più acclamati eroi”.
“E finisce così?”
Ines ridacchia: lei ama leggere, non lavora nei campi e non pascola le vacche, studia con diligenza alla scuola del paese. Suo padre viaggia e, al suo ritorno, le porta in dono piccoli libri rilegati in cuoio che fanno sentire tutti i bambini stupidi e ignoranti al suo confronto.
“No, la storia è molto lunga e molto bella. Parla di una guerra durata ben dieci anni! E di un eroe invincibile, un re giusto e sfortunato, moltissimi dei. Demetrio la conosce già; a te, la racconterò un’altra volta”.
“Non la parte degli dei, però” Pietrino è diffidente. “La mamma e la nonna non vogliono che ascolti queste sciocchezze. Dicono che sono storie per miscredenti e padre Tonino dice che mi porteranno all’inferno”.
Ines ride di nuovo.
“Sono contento che Ulisse alla fine prende parte alla guerra” commenta pensoso Demetrio, appiattendosi i capelli verdi sulla fronte.
“Ah si?” chiede la bambina, alzando le sopracciglia.
“Certo. Altrimenti sarebbe stato solo e semplicemente un codardo. Niente gloria, niente leggende, niente storie; nessuno narra le imprese di un debole”.
“Per fortuna nessuno della nostra Banda è così fifone”.
“Si, avete ragione. Questo pomeriggio dovremmo essere molto coraggiosi e vinceremo. Passeremo alla storia, proprio come Ulisse!” concorda Ines.
Dem un po’ di paura ce l’ha, a dirla tutta; ma fare la guerra è la scelta giusta, questo gli ha insegnato la storia di Ulisse.
Non ti deluderò, papà.
All’improvviso un fischio sale leggero e debole su per i muri della casa, sale dalla strada e si insinua tra i vetri mancanti dei finestroni della veranda.
I bambini tendono le schiene, rizzano le teste, nessuno pensa più alla storia di Ulisse.
È il segnale.
Demetrio si precipita alle finestre: nella terra di nessuno c’è il Capo, il sole che batte sul suo cappello verde e marrone, proprio sopra la sua testa. Regge alto un recipiente di latta.
È tutto molto veloce: il Capo si gira, strizza l’occhio alla loro finestra, ad Ines, e poi lancia il barattolo contro l’intonaco scrostato del frantoio.
La parete si tinge di viola, schizzi di succo di mora salgono su, fin sopra la testa del Capo.
Ci siamo, il dado è tratto.
La Guerra delle Olive è cominciata.
 
...
 
 
È pomeriggio, adesso, e fa più caldo che mai.
Demetrio si sente soffocare, la canottiera appiccicata al petto, lo scudo di legno che penzola dalle spalle, pesante. È l’anta di un vecchio comodino, in realtà.
“Ehi, Dem, tutto bene?” Pietrino urla alla sua sinistra.
Anche lui è accaldato, ha le guance rosse e gli occhi lucidi.
Demetrio annuisce.
Di sotto, nella terra di nessuno, la polvere si deposita pian piano, la nuvola marrone scende sulla terra battuta: tutto torna tranquillo, dopo l’assalto.
Adesso, la Banda di Vascio è all’interno del vecchio frantoio, a decidere le sorti della Guerra, per conquistare il tesoro. Chissà cosa starà succedendo.
Demetrio si sente inutile, ora.
Ma non lo sono stato, prima, papà!
Era stato il suo proiettile, veloce a lasciare la fionda, elegante nell’aria bollente, a colpire in fronte il cecchino avversario. Era stato davvero un bel lancio.
E poi, un colpo alla mano, uno al braccio ed al petto.
Il cecchino è fuori uso per un po’, sono le regole.
“Pietrino, inizia a ricaricare l’arma, dobbiamo tenerci pronti” mette in guardia il suo compagno.
Non è stato troppo d’intralcio, dopotutto, quel bimbetto.
“Sissignore”.
Si affannano insieme a raccogliere grandi manciate di olive verdi e a posizionarle sulle loro cassette di legno, in cima, pronte all’uso.
“Credi che stiano vincendo, là dentro?” domanda Pietrino, asciugandosi il sudore sul labbro.
“Non so”.
“C’è il Capo con loro”.
“Già, c’è il Capo”.
Anche Ines è laggiù, ed anche Salvo, Cacaglio e Lello. Gina è nel cortile interno, dentro la Base di quelli di Vascio, armate di fil di ferro e degli arnesi per filare di sua nonna. Polpetta è con lei. Peppe è nella vigna del Bruciato, a scongiurare un attacco alle spalle con la falce.
Tutto sembra procedere nel migliore dei modi, tutto è stato pensato e studiato attentamente. Niente può andare storto.
Demetrio cerca di convincersi, ma l’ansia e la paura salgono piano nel suo petto.
Quest’attesa è logorante.
Il suo compito, quello più importante, è proteggere la ritirata, il rientro alla Base: non può distrarsi, quindi, non può annoiarsi o farsi prendere dal panico.
Concentrazione, ragazzo!
Si gratta la testa, i capelli zuppi di sudore che macchiano di verde qualsiasi cosa.
Ha un livido sotto l’occhio, lì dove il cecchino nemico l’ha colpito con un’oliva; cerca di non farci caso. Pietrino, invece, si lamenta da dieci minuti della botta che ha ricevuto sul dorso della mano; in fondo, è solo un bambino.
“Vorrei ci fosse Ines qui con noi, a raccontarci una delle sue storie di eroi” dice Pietrino, le spalle curve.
Si, anche a Dem piacerebbe.
Pensa ad Ulisse, e si sente un po’ meglio.
Se persino il grande combattente greco aveva paura, allora quel che lui sente nel cuore non è troppo sbagliato.
E poi, si è dimostrato coraggioso, quel pomeriggio.
Hai visto, papà? Ho messo la paura in un cassetto e sono stato grande.
Sai una cosa, mamma? Vorrei abbracciarti, e baciarti, e sentire la tua voce, adesso. Vorrei ricordare il tuo volto e almeno una tua carezza, ma non posso e, forse, è meglio così.
Le donne sono debolezze, solo la Guerra è per veri uomini.
Non posso correre a piangere da te, mamma, quando ho paura, perché sei morta. Allora, non avrò mai più paura, nasconderò ogni spavento, ogni terrore.
E sarete fieri di me.
Mi avete lasciato perché ero così sbagliato, prima? Così debole? Per questo siete andati via?
Allora sarò Ulisse, che sconfigge la paura, va alla guerra e diventa un grande eroe, per ritrovare la sua famiglia.
Ed il Capo mi apprezzerà, ed Ines mi racconterà altre storie, mi sorriderà.
Sarà bellissimo.
Ma la Guerra avanza e Demetrio ha già fantasticato fin troppo.
Si sentono dei rumori, ora, provenire da sotto.
Curiosi i bambini sporgono la testa oltre il lenzuolo e trattengono il fiato.
Laggiù, nella terra di nessuno, due ragazzi rotolano nella polvere, avvinghiati l’un l’altro: Dem riesce a riconoscere il Capo, il suo fedele berretto abbandonato per terra, e il boss della Banda dei Longiani.
“Ma che fanno?” strilla Pietrino al suo fianco.
“Lottano per il tesoro. Abbiamo qualche possibilità di vincere, forse”.
Dal portone cadente e spalancato arriva subito altra gente: davanti a tutti, ecco lo sfolgorio del vestito giallo e blu di Ines, e la sua treccia ballerina.
In mano, impossibile da credere, regge il tesoro!
“Si!” grida Pietrino, improvvisando un balletto.
“Ce l’hanno fatta!” continua a gridare.
“Si, si, SI!”
Ma Demetrio si accorge subito che non è ancora finita.
Tonio il Grosso corre a perdifiato fuori dal vecchio frantoio e afferra Ines per la vita, trascinandola a terra: il ragazzo sanguina da un punto imprecisato sopra il sopracciglio ed impreca come un vero uomo.
“La schiaccerà!” Pietrino è inorridito, ora.
Demetrio non trova le parole, al momento.
Salvo si trascina a stento fuori dal portone del frantoio, si vede lontano un miglio che gli fa male il piede: ma non esita un secondo a raggiungere Ines per darle man forte.
Poco dopo sono tutti, di nuovo, all’aperto.
E la confusione è tanta, le grida infinite, schiaffi e spinte, e il tesoro resta il centro di ogni cosa. Quel tesoro che Ines stringe ancora al petto mentre è per terra, mentre con i piedi cerca di allontanare Tonio, che la sovrasta.
“Pietrino che stai facendo?” sbraita all’improvviso Demetrio.
“Eh?”
“Corri alla postazione, idiota! Dobbiamo difendere i nostri mentre il cecchino avversario è ancora fuori uso!” è fuori di sé, adrenalina e paura che scorrono a mille nel sangue, un’esplosione improvvisa.
Dem si asciuga la mano sudata sui calzoncini prima di impugnare la fionda.
Affila lo sguardo, si accuccia, arraffa un’oliva dalla cassetta: prende la mira, un bel respiro, e spara.
Non ha tempo di guardare se il colpo è andato a segno.
Un’altra oliva e poi una terza.
Resta calmo, resta concentrato!
Cerca di aiutare Ines a portare il tesoro in salvo, cerca di evitarle tutte quelle spinte e quei calci.
Vuole il tesoro, vuole una storia nuova, un pomeriggio tranquillo all’ombra della grande quercia.
“Pietrino, prendi meglio la mira! Hai colpito Cacaglio!” sbraita ancora, senza perdere il ritmo.
Oliva-mirare-sparare.
Oliva-mirare-sparare.
“Sissignore!”
Poi, Demetrio grida.
È un grido di dolore, acuto, di bambino.
Il cecchino avversario si è ripreso e, per prima cosa, ha sparato un colpo su di lui. L’oliva, dura e veloce, ha colpito il labbro superiore e fa malissimo.
“Non distrarti, Pietrino! Continua a sparare!” urla comunque, la vista offuscata dalle lacrime.
Adesso la Guerra è davvero dura: un parapiglia per terra, proiettili nel cielo, si avvicinano le battute finali dello scontro.
Demetrio lo sa, lo sente.
Concentrazione, concentrazione!
Sii Ulisse, furbo e feroce!
 Uno sguardo fugace giù e Dem si accorge che Ines è riuscita a liberarsi di Tonio il Grosso.
“Vai così!” esulta.
La bambina stringe ancora il tesoro tra le mani e affretta qualche passo instabile verso il portone della Base della Banda di Vascio. Se solo riuscisse a varcarlo portando il tesoro, la Guerra avrebbe fine; gloria, onore e rispetto per tutti loro sarebbero giunti, allora, e la spartizione del tesoro stesso!
“Sei grande, Ines!” si esalta anche Pietrino.
Il proiettile del cecchino avversario, però, sfiora il viso della bambina che corre e lei si ferma, spaventata, ad alcuni metri dalla porta della Base. È con orrore che Demetrio osserva quell’esitazione fatale, quella pausa fuori dal mondo, la loro condanna. È proprio in quel momento, infatti, che Nando dei Longiani raggiunge la ragazzina, ne afferra la treccia, la butta di nuovo per terra.
Lei grida, forte, di spavento e dolore.
È brutale, Nando, un grosso e violento bambino di dieci anni.
Le blocca le braccia sopra la testa, le si siede sopra.
Le sputa in faccia.
Demetrio vede solo rosso ora, vede la fine delle speranze, la sconfitta, il dolore e la vergogna di Ines.
Deve assolutamente fare qualcosa.
La Banda di Vascio sta perdendo, questa è la verità: Salvo si tiene il piede dolorante, ormai fuori gioco,  il Capo non riesce ad avere la meglio sul suo avversario, Lello e Cacaglio affrontano tre nemici contemporaneamente.
Ines è schiacciata da Nando, che le gira la pelle dei polsi, facendola urlare ancora di più, cercando di farle perdere la presa sul tesoro.
Demetrio deve fare qualcosa.
Guarda qui, papà!
Per terra, per tenere uniti i sacconi e non disperdere le olive, ci sono alcune pietre.
Pietrino non guarda mentre Demetrio ne raccoglie un paio.
Sono molto più grosse delle olive ma non troppo da essere inutilizzabili con la sua fionda. È la scelta giusta, è uno stratagemma geniale!
Sii furbo e feroce, ragazzo!
Dem ha ancora un po’ di paura mentre posiziona la pietra e prende la mira. Poi, pensa alla mamma e al papà, ad Ulisse e al Capo, e vincere la guerra diventa troppo importante.
Sarò ricordato da tutti, sarò un eroe!
Mamma e  papà torneranno a trovarmi, nei sogni, e staremo ancora insieme, felici!
Demetrio è pronto.
Mira alla spalla di Nando, quella del braccio che tiene sollevate le mani di Ines per terra, nel tentativo di allontanarlo senza fargli troppo male.
Mette tutta la forza che ha nel caricare il lancio.
Un bel respiro e poi un altro ancora.
“Dem che fai?” è Pietrino che lo guarda, spaventato.
Il ragazzo gli sorride un momento “Andrà tutto bene, vedrai. Vinceremo, saremo eroi!”.
Poi, lascia partire la pietra.
 
...
 
 
C’è silenzio, nella terra di nessuno.
Perché sono tutti immobili?
La Base è deserta; entrambe le Bande sono per strada, le braccia penzoloni lungo i fianchi, le espressioni vuote, basite.
Solo Ines resta per terra.
È bella, pensa Demetrio, come sempre.
La gonna del suo vestito giallo e blu, ora sporco e impolverato, si apre come la  corolla di un fiore sulla terra battuta, la treccia le cade poco sopra la spalla.
Il nastro colorato, giallo limone, spicca tra la polvere.
Ha le braccia ancora sollevate sopra la testa, in maniera quasi voluttuosa, gli occhi socchiusi, le labbra rosee.
È mattina, si sta stiracchiando, alla luce del sole?
Perché non ti alzi, Ines?
La tavoletta di cioccolato mezza mangiata resta tra le sue mani: non interessa più a nessuno conquistare il tesoro, chissà perchè.
Dai, Ines, aspettiamo solo te!
C’è qualcosa che non quadra, qualcosa che non va, questo è sicuro.
Sulla sua fronte una macchia viola fiorisce, un segno brutto e scomposto disturba quella pelle liscia e ambrata, la bella pelle delle donne del sud.
Adesso Demetrio ha davvero paura, quella paura che non si può nascondere in un cassetto, non si può sconfiggere.
Nando cade in ginocchio al fianco della bambina, illeso.
Gina scoppia in lacrime e corre a rifugiarsi tra le braccia di suo fratello, che ancora si regge al muro del vecchio frantoio.
Il Capo non parla, non questa volta.
Pietrino urla.
Ines?
Ines cosa fai, tu, invece?
Lei resta per terra e il volto le si fa pallido. Lei resta per terra e non ci sono più gocce di sudore ad imperlarle la fronte, né smorfie sulla bocca, lampi tra i suoi occhi.
Resta per terra ed i bambini sono immobili intorno a lei.
Nessuno osa guardare Demetrio.
Lui stesso chiude gli occhi: vorrebbe sparire, scappare via dalla sua mente.
Che cosa ho fatto?
Cosa ho fatto?
La mira era giusta, ma la pietra troppo pesante: è caduta più vicino di quanto pensassi. È caduta, violenta, grossa, sulla fronte di Ines, tra le braccia di Nando.
Si, è così.
Lei non racconterà più le sue storie a nessuno; non sorriderà, non intreccerà mai più i capelli bruni.
Le lacrime non riescono a scendere sulle guance, il respiro si incaglia in gola, le gambe non reggono più, il mondo prende a girare.
Aiuto.
Aiutatemi.
Posso urlare, adesso, papà?
“Ines” un mormorio soffocato.
Non c’è abbastanza aria, non basta, non basta per nulla: i respiri si rincorrono nel suo petto, diventano suoni strazianti, inumani, mostruosi.
Il singhiozzo della colpa, della consapevolezza.
Ines è morta.
L’ho uccisa io.
Il sole sta tramontando, ormai, e l’aria si tinge del rosso d’estate, le nuvole rosa. Arde come brace, quel cielo, porpora, colore del sangue.
I profili dei bambini diventano scuri, scura la loro disperazione, la loro paura.
No, la guerra non è nastri e cielo e stelle: la guerra è restare muti, vuoti dentro, per sempre.
Demetrio non pensa più, adesso, c’è solo rosso nella sua mente e lacrime sulle guance.
In fondo alla via si intravede una folla nera, che marcia bisbigliando, che trascina i piedi. Eccoli lì, gli adulti di Arco di Sotto, di ritorno dal funerale del vecchio Domenico il Barbiere, caduto di guerra.
No, signori, non affrettatevi.
Non correte, ormai è troppo tardi.
Non spogliatevi di quegli abiti neri, di quelle espressioni afflitte, di quel dolore: ben presto vi serviranno.
E poi, conservateli con cura, riponeteli nella carta velina, in cima all’armadio. Tenete da conto il velo nero, donne, fino a quando non insegnerete ai vostri bambini qualcosa di giusto, qualcosa di buono.
A rispettare, ad amare la vita; a dialogare, venirsi incontro; a disprezzare il pugno e il fucile, ad amare giustizia; a smettere di idolatrare la violenza, smettere di considerarla coraggio.
Demetrio era solo, prima, ed ora ancora di più.
Demetrio, in balia dei suoi demoni, dove troverà conforto, accoglienza, amore, adesso?
Cosa farà, dove andrà?
Chi resterà per lui?
La folla, sciocca, non perdona, non capisce.
La madre straziata abbraccia la figlia gelata, pallida e morta; zia Ida si copre il volto con le mani, gira le spalle, piena di vergogna, cieca alla sua colpa. I bambini corrono tra le braccia di chi ancora gli vuol bene, di chi ringrazia il cielo per averli risparmiati.
“Demetrio, sei colpevole?”
“Sei stato tu, ragazzo?”
Voci rabbiose, dure, piene d’odio.
Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra!” recita con voce stentorea, infernale, padre Tonino.
Le donne fanno il segno della croce, più e più volte, bisbigliando una preghiera.
La folla si stringe, la folla lo accerchia, la folla punta il dito lungo, ignara del sangue che macchia le sue mani.
“Nessuno lo tocchi” mormora Pietrino. “Nessuno lo tocchi!” grida, infine.
Gli occhi rossi, le guance lucide, è più sconvolto che mai.
Eppure si piazza davanti all’amico e lo abbraccia.
Il corpo caldo del bambino sembra scaldare il cuore ghiacciato di Demetrio.
Grazie, Pietrino, vorrebbe mormorare sui suoi capelli impastati ti terra.
Ma c’è qualcun altro con cui far i conti; un uomo deluso, lassù, che non può vedere, non può ascoltare.
Ho sbagliato, papà.
Non sono un soldato, non sono Ulisse, non sono un eroe; non merito di ritrovare la mia famiglia.
Nulla merita un assassino.
 
 
 
 




Note
Ciao a tutti e benvenuti!! :)
Inizio col dire che questa storia partecipa al contest “This is war II – Situations” organizzato da MunuFury sul forum di Efp: posso solo ringraziarla moltissimo, è stata di grande ispirazione!!
Se alcuni di voi lettori troveranno delle imprecisioni, una certa facilità e superficialità nel racconto di Ulisse, ci tengo a specificare che è volontario: Ines è solo una bambina e non ha a portata di mano l’opera omnia di Omero e degli altri grandi! Lei legge riduzioni, favole raccontate brevemente, le grandi leggende adattate ad un pubblico bambino! Ho scelto di privilegiare il realismo, insomma, rispetto alla vera, complicata, storia dell’eroe!
Infine, spero che questo racconto, questa breve parentesi su quelle che per me possono essere le conseguenze del vivere in un paese reduce dagli orrori della guerra e straziato dalla povertà, p
ossa piacere; è stato un esperimento anche per me, dato che è la prima volta che provo a confrontarmi con questo genere!
Grazie a voi, che avete letto e siete arrivati fin qui!!
Saluti,
EsterElle




 
  
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