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Autore: Abby_da_Edoras    17/12/2008    4 recensioni
Autrice: Lady Arien. Trama: la mia fanfic si ispira al libro e, di conseguenza, al film "Il Cacciatore di aquiloni" che ho amato molto. Nella mia versione, però, avviene qualcosa di molto imprevisto per cui il piccolo hassan non sarà cacciato da Kabul e avrà un'esistenza diversa da quella avuta nel libro. Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni della mia ff appartengono a Khaled Hosseini e ai registi e produttori del film tratto dal libro.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Hassan dovette racogliere ogni briciola del suo coraggio per riprendere l’argomento, la mattina seguente, mentre lucidava le s

Baba aveva deciso di andare a parlare con Assef per accontentare Ali, ma dentro di sé riteneva che il servetto si sarebbe trovato benissimo in casa del giovane, di cui conosceva la famiglia da anni. Per questo motivo non ebbe alcuna fretta e si limitò a telefonare a casa di Assef il giorno dopo per fissare un appuntamento con il ragazzo: si sarebbero incontrati quel pomeriggio e l’uomo aveva già deciso di portare il figlio Amir con sé. Continuava a trovare maleducata e inopportuna l’ostilità del bambino verso Assef e sperava che, parlando civilmente con lui, le cose si sarebbero normalizzate.

 

Intanto, però, la situazione di Hassan non era delle più invidiabili: strappato a forza dal padre, lontano da tutte le persone a cui voleva bene e rinchiuso nella stanza del giovane che lo aveva perseguitato fino a traumatizzarlo e fargli tanto male, si sentiva terribilmente solo, spaventato e triste. Non mancava a nessuno dei suoi doveri, ma la sua vivacità e la sua allegria sembravano scomparse. Fortunatamente Assef passava poco tempo a casa, impegnato com’era fra gli allenamenti di calcio e la persecuzione dei ragazzini più piccoli di Kabul insieme ai fidi Wali e Kamal. Il piccolo, così, aveva modo di compiere tutto il lavoro al meglio, sempre temendo che il nuovo padrone potesse arrabbiarsi con lui per qualche inezia.

Hassan era abituato ad avere del tempo libero dopo lo svolgimento delle proprie mansioni: quando aveva terminato, generalmente aveva il permesso di andare a giocare con Amir oppure si metteva a disegnare nel cortile della casa padronale. Se Amir era a scuola, a volte Hassan saliva fino al loro luogo segreto, si sedeva sotto l’albero di melograno dove solitamente ascoltava le storie dell’amico e passava il tempo in vari modi.

A casa di Assef, ovviamente, una volta finiti i lavori assegnatigli non aveva più nulla da fare; allora sentiva più forte la solitudine e la nostalgia. Il secondo giorno, dopo aver stirato gli abiti del padrone e lucidato tutte le sue scarpe, pensò che non sarebbe successo nulla se avesse fatto una corsa fino all’albero di melograno e fosse rimasto lì per un po’. Era ancora presto e non avrebbe incontrato nessuno: Amir era a scuola e Assef probabilmente in giro a tormentare qualcuno. 

Dal balcone della camera di Assef scendeva una piccola scaletta che conduceva nel giardino. Hassan decise di passare di lì per non farsi vedere da nessuno; ricordava bene, infatti, che il giovane gli aveva intimato di non parlare con gli altri domestici e di rendersi praticamente invisibile. Attraversò il cancello del giardino ed uscì in strada. Si mise a correre. Il fatto stesso di potersi muovere, di percorrere di corsa le strade di Kabul come un tempo, lo faceva sentire vivo e sembrava addolcire un po’ la pena che si portava dentro.

Raggiunse in fretta l’albero di melograno e si sedette, guardandosi intorno. Era sorprendente che lì tutto fosse rimasto identico quando la sua vita era cambiata in modo così drastico e decisivo. Vide la scritta che Amir aveva inciso sul legno un’eternità prima; pur non sapendo leggere ricordava benissimo che cosa c’era scritto, “Amir e Hassan: i sultani di Kabul”. I ricordi lo assalirono, così numerosi e dolorosi che il suo piccolo cuore non poté resistere alla nostalgia. Chinò il viso sulle ginocchia e scoppiò a piangere, sfogando tutta l’amarezza, la paura e la malinconia che non poteva manifestare in nessun altro momento. 

Dopo si sentì effettivamente un po’ meglio, si fece coraggio e si rialzò in piedi per tornare alla villa di Assef. Non era trascorso poi molto tempo da quando era uscito e non aveva nulla da rimproverarsi, tuttavia restò impietrito quando, rientrando nella stanza del padrone dalla porta-finestra, lo trovò seduto sul letto che lo fissava con un’espressione che non prometteva nulla di buono.

“Si può sapere dove ti eri cacciato?” gli chiese il ragazzo. Non sembrava realmente arrabbiato, ma il suo tono era gelido.

“Io… ti chiedo perdono, agha sahib. Avevo finito di fare i servizi e pensavo fosse ancora presto. Sono uscito per fare una passeggiata, non ho parlato con nessuno, te lo assicuro.” rispose il bambino, paralizzato dal terrore.

“Mi avevi forse chiesto il permesso di uscire?”

“No… io… tu non eri in casa, agha sahib, non sapevo quando saresti tornato e pensavo che…”

“Io non ti pago per pensare, ti pago per obbedirmi! Sei un servo, hazara, te lo sei forse dimenticato? Hai bisogno che ti rinfreschi la memoria?” ribatté allora Assef in tono tagliente, alzandosi di scatto dal letto.

Tutto questo fu troppo per Hassan. Indietreggiò fino ad appoggiarsi al muro e si rese conto di essere in trappola. Assef gli si avvicinava lentamente. Il suo visetto colorito divenne improvvisamente grigio e, scosso da un lieve tremito, Hassan cominciò a scivolare, perdendo i sensi. Sarebbe caduto, ma il giovane fu più veloce e lo riprese prima che rovinasse a terra. Se lo sistemò in braccio come un bambino. Era piuttosto stupito: non pensava di farlo svenire dalla paura.

“Dimmi la verità, hazara. Da quando sei qui sei mai sceso in cucina a mangiare con i servitori?” domandò, sempre tenendolo in braccio, quando si accorse che il ragazzino stava riaprendo gli occhi.

“No…” mormorò lui debolmente.

“Lo immaginavo. Dunque sono due giorni che non mangi niente. Sei proprio un hazara sciocco. Dovrò chiamare un domestico perché ti porti qualcosa. Nel pomeriggio verranno qui il tuo amichetto Amir e il suo grande Baba e non voglio che pensino che ti maltratto o che ti faccio soffrire la fame. Dovranno rendersi conto che stare qui con me è stata la tua fortuna e che tu sei felice di essere al mio servizio. Sono stato chiaro?”

Hassan era tanto stanco e debole che riuscì solo ad annuire. Si chiedeva come avrebbe fatto a dominarsi rivedendo Amir e Baba dopo tutto quello che era successo. Si chiedeva anche come mai Assef continuasse a tenerlo in braccio anche adesso che si era ripreso.

“Molto bene. Allora siamo intesi.” concluse Assef. Portò Hassan nel ripostiglio e lo depose sul suo materasso prima di chiamare qualcuno affinché gli portasse da mangiare. L’ultima cosa che voleva era fare una brutta figura di fronte a Baba e Amir. Anzi, voleva che Amir si rodesse dall’invidia vedendo che il suo ex-servitore si trovava meglio con un altro padrone.

 

Baba ed Amir giunsero a casa di Assef quel pomeriggio verso le quattro ed il maggiordomo li fece accomodare in salotto andando poi a chiamare il giovane padrone. Assef, infatti, aveva scelto di incontrare i due proprio quel giorno perché i suoi genitori sarebbero stati fuori casa e lui avrebbe potuto parlare liberamente.

Il ragazzo scese in salotto in compagnia di Hassan, che nel frattempo si era un po’ ristabilito, ma che si sentiva molto turbato all’idea di rivedere Amir. La scena terribile che si era svolta due giorni prima e che aveva portato all’allontanamento suo e di suo padre era ancora troppo vivida nella sua mente. Non sapeva come avrebbe reagito di fronte all’amico di un tempo, temeva che si sarebbe tradito in qualche modo e a quel punto Assef lo avrebbe fatto a pezzi.

Kaka jan, Amir jan, siete i benvenuti.” li salutò cortesemente Assef, andando incontro agli ospiti e stringendo loro calorosamente le mani “Sono contento di vedervi. Posso offrirvi qualcosa?”

Hassan era rimasto fermo sulla soglia del salotto e gli occhi di Amir erano fissi su di lui.

“No, ti ringrazio molto, Assef jan.” rispose il padre di Amir. Cercava di sembrare controllato, ma la sua voce vibrava dall’emozione. Aveva creduto di aver perso Hassan per sempre e invece adesso lo vedeva lì, piccolo, indifeso e molto intimidito.

“Non credo di aver capito bene il motivo della vostra visita, anche se non nego che mi faccia molto piacere. Voleva assicurarsi del fatto che avessi veramente preso Hassan al mio servizio?” chiese allora Assef.

“È così. Ieri mattina sono successe delle cose molto spiacevoli nella mia casa” iniziò a spiegare l’uomo, lanciando al figlio un’occhiata severa “e a causa di ciò Ali ed Hassan hanno deciso di andarsene. Volevano recarsi in Hazarajat, ma poi, quella stessa sera, Ali è tornato a bussare alla mia porta, sconvolto e in preda all’angoscia. Mi ha raccontato del vostro incontro e del fatto che tu avevi portato Hassan a casa tua. Avrebbe voluto che venissi subito qui a controllare che suo figlio stesse bene, ma mi è sembrata un’assurdità: ovviamente tu sarai un ottimo padrone per lui. Però immagino di capire le paure di Ali: per la prima volta si è trovato separato dal figlio e probabilmente ha temuto che Hassan, solo in un ambiente sconosciuto, potesse spaventarsi.”  

Nel frattempo il bambino si era lentamente avvicinato al divano sul quale sedeva Assef, senza mai alzare lo sguardo da terra. Sentiva gli occhi di Amir fissi su di lui e non osava incontrare il suo sguardo.

“Allora è stato questo. Sì, in fondo Hassan è ancora un bambino e deve essersi spaventato. Pensate che ho scoperto solo stamani che non aveva ancora mangiato niente da quando si trova qui!” replicò Assef “E non me lo avrebbe mica detto: me ne sono accorto solo perché mi è praticamente svenuto tra le braccia. Ma non preoccupatevi, ora sta bene. Anzi, diglielo tu stesso, Hassan, spiegagli come sono andate le cose.” lo incoraggiò, facendolo sedere accanto a sé.

“Sei svenuto? Ed ora stai bene? Ma perché non volevi mangiare, Hassan?” lo incalzò subito Baba, agitatissimo. Amir invece aveva abbassato lo sguardo sulle proprie scarpe: lui sapeva benissimo perché Hassan rifiutava di mangiare. Come poteva resistere dopo la vergognosa figura che gli aveva fatto fare e dopo che lo aveva praticamente gettato tra le braccia della persona che più lo terrorizzava al mondo?

“Mi vergognavo a chiedere…” cominciò timidamente il piccolo hazara. Ma si rese subito conto che non avrebbe mai potuto parlare di fronte ad Amir e a suo padre. La voce gli si spezzò ed il poverino scoppiò in singhiozzi davanti a tutti, consapevole del fatto che Assef si sarebbe arrabbiato e piangendo ancora di più per la paura delle conseguenze.

Vedendolo così disperato, Amir sentì ancora più pungente il senso di colpa. Spostò lo sguardo su Assef e vide che il ragazzo era impallidito per la rabbia e che un lampo gli era passato negli occhi. Evidentemente non aveva previsto questo sfogo ed ora si sarebbe vendicato sul bambino?

La rabbia di Assef, però, sbollì subito. Il giovane capì che poteva approfittare di questo inaspettato scoppio di pianto e volgere la situazione a suo vantaggio. Circondò le spalle del piccolo hazara con un braccio e lo strinse a sé per mostrare a Baba che padrone buono e affettuoso fosse.

“Hassan, che ti prende?” gli chiese “Non c’è bisogno di fare così. Cosa penseranno Amir e suo padre che sono venuti a trovarti? Li farai solo preoccupare, no?”

“Adesso lo chiami Hassan, eh?” avrebbe voluto gridargli Amir “Ora ti ricordi che ha un nome, ipocrita bugiardo! Quando lo tormentavi lo chiamavi soltanto hazara, come una bestia!”

Ma naturalmente non aprì bocca. Dire questo avrebbe significato dover spiegare anche molte altre cose delle quali Amir non voleva assolutamente parlare. Non poteva fare altro che tacere e guardare nauseato Assef che confortava Hassan con una tenerezza tutta studiata. Assef aveva vinto su tutta la linea e lui non poteva più farci nulla.

 

 

 

   
 
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