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Autore: obstacle    17/12/2008    0 recensioni
Disquisizioni non-sense in un periodo di intenso accanimento morale sui gggiovani d'oggi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prosegue a pagina ventitré.

Dita grandi e scure, corrose da coloranti chimici, sporche di nicotina là, dove si intrecciano con quelle di mia madre. Quelle dita consumate e stanche che voltano pagine patinate di alberi abbattuti e lustrati, di padre che mi ha lanciato in aria e dato quella stessa mano per attraversare la strada. Prosegue a pagina ventitré l’articolo sui ventenni d’oggi, gli abusi di droghe, in discoteca ad albeggiare, la follia spensierata, viziata, volgare.

Pasticche a forma di cuore sulle lingue di adolescenti (o non più tali) nelle loro mini di jeans, e gli occhi bistrati di nero. Il trucco sciolto e lacrime di kajal, tristezza o devasto. Se pensi a quei corpi rovinati e martoriati, se pensi agli organi interni, a quel cuore che pompa sangue e poi, quella pasticca in gola, giù per la trachea, e accelera e pompa sempre più forte, se pensi a quel cuore affaticato che in una macchina col sesso spicciolo in un motel, finisce quasi per collassare, a quei polmoni neri di tabacco, ai neuroni tesi di scariche elettriche, alla pelle che si tira e ingiallisce, ai quei denti che si anneriscono.
Alza un occhio, papà, e mi guarda per cercarmi addosso i segni inconfutabili di quelle sigarette e di quel trucco. Gli ritorna lo sguardo innocente della bambina che ero; gli ritorna il profumo del sapone di casa e la familiarità degli occhi che mi ha regalato mia madre. Specchi dell’anima, o fortezze. Erigere difese per non mostrare a nessuno il sabato passato a casa dell’amica di sempre, con la bottiglia di vodka vuota fatta girare e la sorte che sceglieva per noi le labbra dell’altro da assaggiare. Fragola e limone, sono questi i sapori che avevano tutte, fragola e limone; forse immoralità nell’avere così vicino – a un soffio – quelle persone che non sono altro che appendici della nostra persona. Reato, forse peccato.

Li colgo, negli sguardi della gente, i pensieri che corrono al telegiornale e ai programmi su di ‘noi’. Li colgo nella signora che mi lancia uno sguardo preoccupato e si stringe più forte il borsello al seno, nell’uomo che scuote la testa nel vedermi su un bus con l’ipod nelle orecchie, e sceglie di sedersi lontano da me. Perché siamo tutti depravati, perché siamo tutti delle isole lontane, perché siamo tutti delinquenti che devastano e rubano e ingannano. Che la domenica pomeriggio ridono troppo forte nel parco del comune, e sono pur sempre dei senza idee e senza dio, anche se fanno le bolle di sapone. Magari fanno le bolle di sapone con qualche acido, e, lo vedi?, te lo dicevo, io. Lo vedi, quello? Si sta facendo una canna, lo vedi che tira fuori il fumo? Di certo non è tabacco, vuoi darla a bere a me? Ho esperienza, io.

Sotto quel gazebo, sotto quel sole, salgo su uno sgabello e cito Dostoevskij per il mio pubblico. La senti la musica? – urlo – odora di cimitero! Mi ridono addosso per il riferimento un po’ triste. E’ Aprile e c’è il sole, c’è chi corre e tutti questi bambini, ed io di cosa mi metto a parlare?
Rido anche io. E’ la storia di una risata. Che è sincera e limpida e mi fa sembrare una bambina. Si innalza al cielo azzurro e la dedico alla semplicità e alle nuvole bianche che non minacciano la tempesta. La dedico alla bellezza dei pomeriggi passati con la stessa gente a ridere sulle risate della sera precedente, del mese prima, degli anni trascorsi assieme. A prenderci in giro nei ricordi che serbiamo e nelle situazioni giornaliere. Raccontando di quel cinquantenne che ha aperto il giornale ed ha trovato scritto che tutti i ragazzi italiani non ascoltano quello che gli viene detto e che i genitori non se ne accorgono, però si drogano e bevono e fumano e chi più ne ha più ne metta. Di quel cinquantenne che è mio padre e della coetanea con cui è sposato che si preoccupa che tutto questo sia vero e mi controlla lo zaino per vedere se ci trova qualcosa di compromettente. Che controlla se ho “Tre Metri Sopra Il Cielo” nella libreria, e invece ci trova Cime Tempestose e Oceano Mare. Il calendario di Klimt e le fotografie di Doisneau.

Questa è la storia di una risata che corre su un filo che unisce me e il sole, che prende la rincorsa sui prati freschi e verdi della nuova primavera, ma che si spezza appena spiccato il volo. E’ una storia breve, perché basta abbassare lo sguardo per trovare il disgusto di un signore, in quello stesso parco, che si preoccupa di non far diventare il nipotino che ha con sé come una come me. Che porto le Converse viola e sto vicino a un ragazzo coi capelli lunghi, e ad un altro con l’orecchino. Che sono arrivata con due ragazze che sorridevano e si tenevano per mano e – sacrilegio – hanno osato baciarsi sulle labbra.  E’ una storia breve perché, quando incrocio quello sguardo sprezzante e di disapprovazione, la risata si spezza. E muore.

  
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