Era bella. Era bellissima. Petrix era probabilmente la città più bella. Non erano né le montagne che la circondavano, né la tranquillità che regnava a renderla così speciale. Era ospitale, accogliente, luminosa.
Le persone erano allegre, si aiutavano nei momenti difficili, si sorridevano, si parlavamo. Era come una grande famiglia, nascosta dal resto della societá. Isolata, appartata, sola.
Non ce l'ha fatta a rimanere così.
La guerra, i disastri, l'uomo. L'hanno consumata, l'hanno scrostata, hanno tolto tutto quello che di bello c'era. Questa non è più Petrix.
Quel giorno, non lo dimenticherò mai. Indossavo la maglia blu che mi piaceva tanto. La cartella, la mia sola e unica compagnia di viaggio, rimbalzava sulla mia schiena mentre correvo per il Rondontray. Mi piaceva restare lí, lungo quel viale alberato, dove la brezza mi accarezzava il viso, e ogni problema all'improvviso se ne andava. Lontana da tutto, lontana da tutti. Il rumore dei rami calpestati, delle foglie che si muovono, accarrezzare i sottili tronchi degli alberi, così rugosi e silenziosi, come un anziano che riposa. Era qualcosa di meraviglioso, di inestimabile. Quella per me era casa. Potevo restare lí, saltare la scuola, ma non lo facevo. Avevo promesso a Mandy di accompagnarla sempre, di non lasciarla mai sola. E così facevo.
Lei mi aspettava sempre fuori, attendeva il mio arrivo in silenzio, distante dagli altri gruppeti. Non avevo idea del perchè mi fosse così vicino, del perchè aveva delle amicizie molto ristrette. A vederla sembrava un tipo socievole e molto solare, invece era timida, un delicato bocciolo in primavera, che all'inizio se ne sta chiuso, acuto, privato e dovrai aspettare prima che sbocci e ti mostri quanto bello, dolce e angelico in realtà sia.
Quando mi vide alzò il braccio per farsi notare e io le corsi in contro.
Mi salutò e mi porse un grande sorriso.
Io feci lo stesso.
In classe c'era il solito baccano. Ogni grido della professoressa White finiva inutilmente sulle pareti, cosí si sedette e lasció fare. Era una donna isterica, che si stancava facilmente e con la costante paura di non riuscire a farcela, di non arrivare fino in fondo. Non aspettava altro che prendere la pensione e lasciare questo lavoro, abbandonarlo fino alla fine dei suoi giorni. Cosí molte volte ci lasciava lavorare da soli, altre ci lasciava fare baccano e pochissime volte ci faceva fare una vera e propria lezione.
Un enorme botto ci fece zittire tutti. Si era espanso fino all'angolo piú remoto dell cittadina, impossibile da non udire. Ci guardammo tutti intorno un po' spaesati, senza fiatare. Poi un'altro botto. La scuola tremó. Il soffito si sgretoló.
Sembrava una bomba, ma non lo era. Era diversa. Non c'era stata nessuna esplosione, nessuno scoppio. Solo qualcosa di invisibile che si diffondeva per la cittadina. Si spostava, si muoveva, oltrepassava ogni piccola fessura.
Uno inizió a tossire. Un'altro inizió a tossire. Un terzo. Un quarto. La maggior parte di noi inizió a tossire pesantemente, quasi soffocandosi. Poi iniziarono a cadere a terra, come appena colpiti da una pallotola, incapaci di muoversi. Gli occhi aperti sembravano enormi buchi neri, che fissavano costantemente il vuoto.