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Autore: OurChildhood    25/03/2015    7 recensioni
Annabeth Chase si è trasferita a New York all'inizio dell'estate. Anzi, l'hanno spedita a New York all'inizio dell'estate.
"Abbiamo trovato una scuola per ragazzi problematici come te. La Goods." La sua matrigna non aveva peli sulla lingua per quanto riguardava la sua "adorata" figliastra. Solo perché soffriva di dislessia e iperattività. Non lo trovava giusto.
"Troverai Luke ad aspettarti all'aeroporto." Per di più doveva contare su un ragazzo quasi sconosciuto che i suoi genitori conoscevano appena.
"Perfetto" pensava "non potrebbe andarmi peggio."
Ma si sbagliava di grosso.
***
Le vite di ognuno di noi si incrociano, si scontrano, si sfiorano con quelle di altre persone e, ognuna di queste, lascia un segno più o meno forte nelle nostre vite.
Ogni persona che incontriamo provoca in noi un cambiamento più o meno forte, voluto o meno.
***
Dal Capitolo 12:
Sapevo già che la vita cresce, muta, si incrocia con quella altrui, si marca di cicatrici che non si rimargineranno più. Sta solo a noi cercare di dimenticarle e rincominciare da capo.
Mi alzai dal letto e preparai le valigie. Stava anche a me
cambiare per la vita.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bianca di Angelo, Connor Stoll, Nico di Angelo, Percy/Annabeth, Talia Grace, Travis & Connor Stoll
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Adele - Make You Feel My Love
When the rain is blowing in your face, 
and the whole world is on your case, 
I could offer you a warm embrace 
to make you feel my love. 
When the evening shadows and the stars appear, 
and there is no one there to dry your tears, 
I could hold you for a million years 
to make you feel my love. 
I know you haven't made your mind up yet, 
but I would never do you wrong. 
I've known it from the moment that we met, 
no doubt in my mind where you belong. 
I'd go hungry; I'd go black and blue, 
I'd go crawling down the avenue. 
No, there's nothing that I wouldn't do 
to make you feel my love. 
The storms are raging on the rolling sea 
and on the highway of regret. 
Though winds of change are throwing wild and free, 
you ain't seen nothing like me yet. 
I could make you happy, make your dreams come true. 
Nothing that I wouldn't do. 
Go to the ends of the Earth for you, 
to make you feel my love.
 
PoV Annabeth
Mio padre tentò di parlare, ma venne interrotto dall'arrivo di un dottore.
«Signor Chase? Signorina Chase? Abbiamo una notizia per voi».
 
Non mi sentii affatto bene. La mia testa vorticava per la marea di domande che mi stavo ponendo.
Lo seguimmo attraverso un corridoio che mi sembrava non avesse fine. Le pareti bianche e asettiche ricordavano il colorito dei malati, mentre le luci gialle non facevano altro che dare a tutto un aspetto tetro e un po' malaticcio.
Le porte delle stanze erano aperte quel tanto da permettere ai sussurri di uscire dalle stanze e sembrare ai passanti dei leggeri sibilii un po' sinistri.
Gli infermieri e i dottori che mi passavano accanto sembravano non accorgersi di me. Tutti erano di corsa, con i camici bianchi svolazzanti, e sfogliavano cartelle mediche di qualche paziente.
Mi strinsi nel mio cardigan di lana quando una folata di vento mi sferzò il viso.
Il gelo era aumentato e sembrava più intenso a causa dell'ambiente che mi circondava.
 
D'un tratto il dottore si fermò per poi farci segno di entrare in una stanza.
Questa, a differenza di altre stanze dell'ospedale, era colorata di verde ed era piena di quadretti con le foto di tre bambini, probabilmente i suoi figli.
Alla mia sinistra si trovava la scrivania. Andai a sedermi su una delle sedie di stoffa rossa poste davanti, mentre il medico si stava sedendo su una sedia di pelle sulla parte opposta della scrivania.
Mi padre non si sedette, anzi, rimase in piedi dietro di me e mi appoggiò le mani sulle spalle. Mi scansai e, voltandomi, notai il suo sguardo preoccupato.
«Perché ci ha chiamati?» chiesi.
L'uomo sospirò, soppesando le parole per alcuni secondi.
«Lei sa cos'è la gravidanza extra uterina tubarica, signorina?»
Pensai un attimo alle lezioni di scienze fatte prima di smettere di seguire questa materia, oltre a quelle di educazione sessuale.
Sì, mi ricordavo di quella complicazione della gravidanza. L'embrione cominciava a svilupparsi prima di essere completamente uscito dalle tube per varie cause che non ricordavo, quindi cominciava lo sviluppo al di fuori dell'utero.
«Sì — dissi atona — la conosco»
«E conosce anche le possibili conseguenze?»
Tacqui alcuni secondi. Certo, conoscevo anche quelle. E, in quel momento, conoscevo anche ciò che mi era successo.
«Aborto» sussurrai.
Non potevo crederci. Era sempre stato tutto così lontano per me, mentre ora era tutto così vicino.
Mio padre tentò nuovamente di consolarmi, senza però avere successo.
Mi alzai e chiesi:«Quando mi dimette dall'ospedale?»
«Non prima di dodici ore. Ha pur sempre subito un aborto, vogliamo tenerla in osservazione per un po'».
«C'è altro di cui discutere?» sibilai.
Il medico scosse la testa. Dopo essermi congedata, uscii dalla stanza, diretta il più velocemente possibile verso la camera dove avevo lasciato gli altri.
 
Il tragitto di ritorno fu più lungo dell'andata. Ragionavo, tentando di pensare che forse sarebbe stato un bene. Ma il fatto era che in parte mi ero affezionata e l'idea di poter stringere una piccola creatura tra le mie braccia si era insinuata nel mio cuore e nella mia mente.
È forse vero, però, che i cambiamenti accadono così, di punto in bianco, senza poterci far niente. 
Certi ti segnano, altri trafiggono, alcuni ti fanno rialzare, altri ti fanno volare, anche se per poco.
 
Aprii la porta della stanza, gli occhi di tutti si fissarono su quello che era la mia sofferenza: la sondavano, la manipolavano, captavano i segnali, cercavano informazioni, graffiavano la corazza per vedere altro.
Fu come vedere la scena dall'esterno, io, ferma alla soglia, e loro, a intercettare i più piccoli movimenti del corpo.
Probabilmente capirono; anzi, capirono sicuramente.
Una sola persona, però, non mi strinse tra le sue grinfie, non mi denudò della mia dignità lasciando solo una carcassa vuoto.
Percy aveva gli occhi fissi nei miei, ma vi lessi dolcezza e forse un po' di dolore. Forse  quello era solo un riflesso del mio. 
In quei pochi secondi di silenzio assoluto capii che forse era meglio così, per quanto fosse dura. Non avrei potuto amare un figlio. Come avrei potuto, se non sapevo nemmeno cosa fosse il vero amore di madre?
Non sarei mai riuscita a crescerlo. Non senza un padre, senza qualcuno che mi avrebbe aiutato non solo nei primi mesi, ma per tutta la vita.
Ma forse sarei riuscita ad amare qualcuno. Forse lo amavo già, qualcuno.
Forse sarei riuscita ad amare un bambino: se già conoscevo l'amore per un'altra persona, forse avrei potuto conoscere l'amore di una madre.
Forse sarei riuscita a farmi una nuova vita, forse sarei riuscita a farmi aiutare da mio padre.
Era un susseguirsi di pensieri e silenzi asfissianti che mi facevano sentire come se avessi corso la maratona di New York in poco più di dieci minuti.
Non mi accorsi nemmeno delle braccia che mi stringevano e delle lacrime che mi annebbiavano la vista, almeno non fino a quando non vidi il viso di Percy davanti al mio.
«Ti va di uscire un po'?» mi chiese.
Annuii, asciugandomi le lacrime. Il suo braccio mi stringeva, dandomi i brividi.
Riuscii a malapena a sentire Nico che, parlando al telefono, pronunciava il verdetto finale.
 
PoV Bianca
Riattaccai con ancora il cuore a mille. Non riuscivo a credere alla mole di informazioni che mi erano cadute addosso dopo quella telefonata.
Dopo un paio di secondi, nei quali ricacciai indietro una decina di volte le lacrime, guardai tutti i miei amici dall'alto della gradinata esterna alla scuola, che mi avevano guardata col fiato sospeso durante tutto il corso della telefonata.
«E allora?» chiese Clarisse.
«Annabeth — presi fiato — ha abortito. Era incinta. É stato un aborto spontaneo».
Si levarono cori di empatia, ma anche di disappunto. Noi non sapevamo nulla e ricevere quella doccia fredda fu dura soprattutto perché non ci aveva confidato quel fardello che avremmo potuto condividere. Ma é pur vero che, certe notizie, non si vanno certo a sbandierare ai quattro venti, soprattutto in una scuola come quella, dove anche i muri hanno orecchie.
«Zitti! — urlò Silena — Non credete che sia meglio per Annabeth se andiamo a trovarla per consolarla? Insomma, dev'essere stata molto dura per lei tenere nascosto tutto e dev'essere tutt'ora dura affrontare tutto questo da sola».
«No, Silena. Nico mi ha detto che é molto scossa e che sarebbe meglio lasciarla in pace per un po'. Solo che... — mi zittii —  i suoi genitori. Hanno parlato dell'accaduto in privato, ma Percy li ha sentiti. Ha detto che hanno intenzione di riportarla a San Francisco. Sapete, per aiutarla».
«Non possono!» sbraitarono Travis e Connor in coro.
«Lo so, lo sappiamo tutti. Ma sono loro i suoi genitori, non noi».
Il silenzio calò tra noi per la prima volta da quando avevo annunciato la terribile notizia.
Il bello di quella giornata – se proprio si possa considerare un lato positivo – era la pioggiarellina leggera che aveva costretto tutti gli studenti a pranzare in sala mensa, dall'altra parte della struttura, così da permetterci di parlare indisturbati.
Scesi i gradini, mentre tutti avevano rincominciato a parlare tra loro.
Rachel era l'unica appartata in silenzio, stretta in un giubbino di jeans troppo leggero per la stagione. Era mortificata. Per cosa non lo sapevo, non era di certo colpa sua.
Mi allontanai, non tanto perché fosse Rachel Elizabeth Dare, ma perché avevo l'impellente bisogno di parlare con Travis.
«Stoll! — lo chiamai — Porta quella tua testaccia vuota qui!»
Lui sbuffò sorridendo nascostamente. Ancora una volta la mantra si ripeteva. Eravamo dei bravi attori, ma sospettavo che Silena sapesse. Aveva fatto un improvviso gridolino quando lo avevo chiamato.
«Che vuoi, Di Angelo?» rise.
«Parlarti».
Improvvisamente si fece serio.
«Non credo che questa cosa della relazione segreta debba andare avanti» sussurrai.
Il suo viso si fece pallido, gli occhi si spalancarono.
Poi lo baciai.
Inutile dire che le esultanze soddisfatte di Silena fecero girare tutti nella nostra direzione, mentre Travis mi stringeva la vita con le braccia.
«L'allieva che supera il maestro! — sussurrò staccandosi da me — Ma, per favore, la prossima volta dimostrami la tua bravura in altri modi, altrimenti mi fai morire direttamente sul colpo».
Mi voltai e vidi Juniper con il cellulare voltato verso di noi.
«Stai avvisando mio fratello?» le chiesi.
Le in tutta risposta si aprì in un sorriso a trentadue denti.
«Grazie, così mi risparmi una fatica».
 
Il messaggio che ricevetti durante l'ora seguente era l'emblema della perfezione.
 
From: Nico
To: Bianca
Cosa significa tutto questo?!
 
From: Bianca
To: Nico
Ahahaha :'D Ti é arrivata la foto?
 
From: Nico
To: Bianca
CERTO che l'ho ricevuta, cosa credi? E mi chiedo ancora perché io non sappia NIENTE di tutto questo
 
From: Bianca
To: Nico
Appunto per questo. Adesso mi chiederai tutto di Travis anche se lo conosci da ANNI. Per non parlare del quarto grado e delle occhiate e a pranzo.
 
From: Nico
To: Bianca
Che male c'è ad avere un fratello protettivo? D: E va bene, penso di poterlo accettare. Ma bada bene che Travis non pensi di scappare alle occhiatacce. Comunque, io sono a casa, Annabeth sta meglio. C'è Percy lì con lei (chissà che fanno... Probabilmente nulla, dato che la mente retrograda di Percy non potrebbe arrivare a pensare a certe cose). Quando torni a casa passa al cinese e prendi tutto ciò che puoi. Ho fame e non ho voglia di cucinare. A dopo!
 
«Signorina Di Angelo, cos'ha da ridere? Platone non é assolutamente uno scherzo!»
«Nulla, professore, mi scusi».
Nascondevo un sorriso. In fondo Nico mi voleva bene.
 
PoV Annabeth
Alle nove di sera uscii finalmente dall'ospedale. I miei insistevano per accompagnarmi a casa, ma mi rifiutai. 
Volevo andare a casa e mangiare quanto più cibo spazzatura fosse concesso ad un essere umano – il cibo dell'ospedale era veramente immangiabile – e magari bere qualcosa. Bere molto. Non tanto da rasentare il coma etilico, ma abbastanza da perdermi un po' tra i fumi dell'alcol.
Mi stupii quando, all'ingresso, trovai Percy che sfogliava una rivista di macchine. L'avevo mandato via con l'aiuto dell'infermiera perché andasse a riposare. A quel punto non sapevo se avesse veramente dormito come mi aveva invece promesso.
«La tua perseveranza rasenta il limite dell'idiozia» lo canzonai.
Sussultò, per poi sorridermi.
«Ti aspettavo».
Speravo di non essere arrossita nel mentre. Non volevo rendere la situazione più imbarazzante di quanto già non fosse.
«Questo lo vedo» risi.
Lui si alzò e mi prese per mano, io sussultai. Mi lasciò la mano di scatto, io intrecciai le mie dita alle sue.
Nascosi il viso bollente abbassando la testa, dato che il suo sguardo si era alzato su di me.
«Andiamo, ti devo mostrare una cosa» mi disse; poi, mi portò via nella pioggia.
 
Salimmo in metro e camminammo in totale per mezz'ora.
Non capivo che stesse facendo fino a quando non raggiungemmo il parco dove si era nascosta Bianca tanto tempo prima. Ne erano successe di cose.
Era paradossalmente più bello in quel momento, illuminato dalla luce abbagliante dei lampioni che proiettava lunghe ombre tutt'attorno. 
I giochi sembravano forse più sinistri, così desolati e illuminati, ma acquistavano una bellezza tutta loro che non avrei trovato in nient'altro se non lì.
L'aria frizzante della sera mi faceva rabbrividire, come la carezza di un fantasma.
Cercai conforto e lo trovai, inaspettatamente, in Percy. Mi stupii a sentire le mie guance bagnate per la seconda volta in una giornata e mi stupii ancora di più ad accorgermi che non riuscivo, in quel preciso momento, a capire che cosa stava succedendo alla mia vita.
Mai, in tutto quel tempo, avevo pensato attentamente a ciò che stavo facendo, al mio cammino, compiuto o da compiere che fosse. O, almeno, non in maniera così completa e attenta.
Tentai di fermare il corso che avevano preso i miei pensieri – e gli eventi – chiamando Percy.
Lui, che inaspettatamente mi aveva confortato nella difficoltà. Lui, che era cambiato. Lui, che mi aveva cambiata nel profondo.
Lui, di cui mi ero profondamente innamorata senza speranza di vera riuscita.
E pensare che mi consideravo una persona di grande intuito.
 
«Allora?» chiesi tra le lacrime.
Lui si allontanò un secondo per rovistare nella tasca. Ne tirò fuori una macchinina di pezza.
«Ecco... Pensavo... Questa era mia, gliel'avrei voluta regalare. Mi sarebbe piaciuto vederlo giocare con questa. Potremmo seppellirla, come simbolo».
«E se fosse stata femmina?»
«Sarebbe stato di sicuro un maschio».
Risi.
La sua proposta, però, mi aveva colpita nel profondo.
Rovistai nella borsa e trovai una piccola matita rovinata, l'unica cosa che aveva della mia vera madre, quella con cui disegnava i suoi progetti.
«Io voglio seppellire questa».
Lui annuì.
 
Decidemmo di seppellire tutto sotto un albero.
La pioggia leggera aveva ammorbidito la terra, tanto da renderla abbastanza morbida da poterla scavare con le mani.
Riponemmo il pupazzo e la matita dentro la cavità e la ricoprimmo.
Poi presi la forbice dall'astuccio e incisi una scritta sull'albero.
Le lacrime rigavano il volto mio e di Percy.
«Non piangere» lo supplicai, tenendogli il volto tra le mani.
Lui sorrise, poi si fece nuovamente serio.
«Annabeth, ho sentito i tuoi che parlavano di riportarti a San Francisco, quindi non m'importa di rovinare tutto. Io ti amo».
Rimasi in silenzio, stupita. Mi sentivo la persona più stupida e più felice di questo mondo, non riuscivo nemmeno a formulare una risposta.
Per questo lo baciai, e forse fu la risposta migliore.
«Non partirò, costi quel che costi».
E rimanemmo lì, sotto una leggera pioggia autunnale, a baciarci per quelle che sembrarono ore. Non ero mai stata più felice.
 
Cambiare serve, forse fa male, ma è ciò a cui siamo destinati.
Ma alla fine, si può sempre arrivare a qualcosa di migliore. Sempre.
 
~SPAZIO AUTRICE~
E così siamo alla fine. Devo veramente felice di aver scritto questa storia, perché grazie ad essa e grazie a voi, alle vostre parole, ai vostri consigli, al vostro supporto, sono cresciuta un po' anch'io.
Devo ammettere che avevo iniziato a scrivere questa fanfiction senza avere la reale intenzione di pubblicarla, - anzi, non avevo nemmeno previsto di finirla - ma grazie a voi sono qua, con 70 persone che l'hanno aggiunta alle storie preferite, 81 alle seguite e 20 alle ricordate, 142 recensioni e un posto tra le più popolari del fandom.
Quindi é tutto grazie a voi se sono qui ora. Grazie mille per tutto!
Per il resto non ho molto da dire, mi prenderò qualche tempo per staccare, ma sono sicura che prima o poi pubblicherò una nuova fanfiction, quindi non sparirò del tutto - non si sa però se per vostra fortuna o sfortuna!
Ho in mente circa un milione di idee che prima o poi butterò giù.
 
Ah, voglio ringraziarvi anche per il fatto che anche dopo aggiornamenti in ritardo e capitoli deludenti, c'è sempre stato qualcuno a supportarmi. Siete davvero fantastici!
 
Ricordo che, per chiunque volesse contattarmi, può scrivermi qui su EFP, oppure su Tumblr (dramasound), o su Facebook (Arya Turner - per motivi che non sto qui a spiegarvi ho dovuto cambiare nome, sigh).
 
Spero di risentirvi!
-A
   
 
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