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Autore: shadow_sea    26/03/2015    3 recensioni
La romance fra il comandante John Shepard e Jack, narrata in pochi capitoli ambientati alla fine di Mass Effect 3, ma costituita prevalentemente da rapidi flash back. Un'interpretazione personale del finale di questa saga.
Avverto i lettori che il linguaggio utilizzato è quello di Jack.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Uomo, Jack, Liara T'Soni
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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2. Un maledetto idiota

“Un maledetto idiota, ecco cosa sei!” lo rimproverò mentalmente.
Era stato un idiota a proseguire da solo, senza un solo compagno a guardargli le spalle. Sapeva che Shepard le avrebbe fatto notare che in quella disperata corsa verso il raggio nessuno poteva aiutare nessuno, ma non aveva voglia di essere ragionevole. Aveva solo voglia di trovarlo per potergli tirare un pugno in cui avrebbe infilato tutta la sua rabbia e la sua paura, così come aveva fatto pochi mesi prima, quando se lo era trovato davanti all'improvviso, in veste di salvatore dei suoi studenti, nell'Accademia Grissom.
Sembrava fosse diventata una sua abitudine, quella. Le compariva davanti e la salvava, come un eroico guerriero medioevale che sfidi il drago per liberare la fanciulla tenuta prigioniera.

- Non credere che adesso ti chiamerò principessa - aveva scherzato John appena qualche giorno prima, dopo che lei lo aveva preso bonariamente in giro per quel suo ruolo di prode paladino d'altri tempi, mentre si trovavano sdraiati sul grande letto nell’appartamento di Anderson sulla Cittadella.
Le era comparso davanti in modo inaspettato anche la prima volta, sulla nave-prigione Purgatory, quando si era ritrovata a combattere contro chiunque incontrasse sul suo cammino senza ancora comprendere per quale straordinario caso si ritrovasse fuori dalla sua cella, finalmente libera di uccidere quei carcerieri che avevano cercato, una volta di più nella sua vita, di spezzarle l'animo e la volontà di sopravvivere.
Non ci erano riusciti, così come non ci era riuscito nessuno degli accoliti di Cerberus. Su quella nave spaziale, sede di una delle prigioni più sicure e dure dell'intera galassia, avevano dovuto accontentarsi di tenerla in uno stato di ibernazione forzata una volta che si erano resi conto di essere incapaci di plasmarla a loro arbitrio, di spezzarle l'anima e di domare quel suo spirito selvaggio di ribellione.

Era stato lì che aveva incontrato per la prima volta il comandante John Shepard dell'Alleanza: le era comparso davanti dal nulla e con poche frasi era riuscito a spiazzarla, a instillarle i primi di quei tanti dubbi che avrebbero continuato a roderle l'animo, come un tarlo affamato incapace di resistere al richiamo dell'aroma di un legno antico e profumato, fino a quando si era arresa e aveva dovuto ammettere che lei sbagliava e che lui aveva ragione. Ma erano occorsi molti giorni perché il processo di cambiamento si avviasse e diventasse inarrestabile, fino a renderla la donna che era adesso, quella innamorata di un uomo a cui aveva consegnato l'anima e il corpo, con una fiducia cieca che fino a quel momento avrebbe definito sconsiderata, perché causa di debolezza e vulnerabilità.
E quella donna debole e fragile ora stava correndo a perdifiato con gli occhi puntati lontano, mentre i suoi piedi scavalcavano frammenti di corpi irriconoscibili, rottami di scafi di navi spaziali abbattute e di veicoli terrestri dilaniati, resti di armi che avevano cessato di sputare proiettili ritenuti letali, alla ricerca disperata di un’esile speranza.

Un crampo improvviso le morse il polpaccio della gamba sinistra, spezzando il ritmo della sua corsa senza però riuscire a bloccarla. Continuò a zoppicare verso il raggio bianco maledicendo i Razziatori e quella guerra, maledicendo Cerberus per essere riuscito a rendere ancora più complessa quella situazione già tanto disperata e maledicendo l'Alleanza e il Consiglio della Cittadella che non avevano creduto alle parole del comandante della Normandy fino a quando non era stato troppo tardi. Ma soprattutto maledicendo lui, Shepard, perché l'aveva costretta ad amarlo, ad abbassare il muro che la proteggeva e a rendersi conto che una gran parte di lei ora viveva per lui.

La sua corsa vacillante si interruppe bruscamente alla fine della lunga discesa della strada asfaltata, quando il suo sguardo colse dei colori fin troppo familiari balenare alla luce di una nuova esplosione. Non aveva neppure alzato la testa per capire quale nave spaziale alleata fosse andata distrutta quando quel bagliore livido si era riflesso su un frammento di armatura ornato da una lunga striscia rossa che correva fra due righe bianche parallele.
Una frazione di secondo dopo i suoi occhi presero a saettare tutto intorno, sperando che l'agonia dello scafo alleato durasse abbastanza a lungo da farle scandagliare accuratamente tutta la zona circostante.

Immaginò subito che il corpo immobile a poca distanza da quei resti di armatura N7 fosse quello che stava cercando e che si era augurata di non trovare. Cadde malamente in terra perché i muscoli delle gambe avevano cessato di sorreggerla e si ritrovò a mendicare un alito di fiato mentre i polmoni sembravano rifiutarsi di espandersi nella cassa toracica troppo contratta.
Combatté contro quella sensazione di astenia con rabbia, concentrandosi sulla necessità di superare quel paio di metri che ancora la separavano dall'uomo riverso in terra a pancia in giù. L'ultimo tenue bagliore dell'esplosione fece balenare delle ombre scure su quella schiena parzialmente messa allo scoperto, là dove l'armatura e l'uniforme erano state lacerate e strappate via.
Alla vista di quei segni Jack non tentò neppure di rialzarsi in piedi e si limitò a procedere strisciando sul terreno.

- Che ci fa qui? - aveva chiesto John quando se l'era ritrovata davanti aprendo la porta d'ingresso dell'appartamento sulla Cittadella.
- E' una sorpresa.
- Adoro le sorprese.
- Bene, spogliati.
Qualche minuto dopo, mentre si trovava sdraiato sul letto a pancia in giù, le aveva confessato di essere rimasto spiazzato da quella sorpresa inaspettata.
- Ovvio, altrimenti che sorpresa sarebbe? Non muoverti - gli aveva ordinato bruscamente mettendosi a cavalcioni su suo fondo schiena e impugnando la pistola a inchiostro.
Quando aveva finito John aveva apprezzato il suo lavoro con un aggettivo che l'aveva mandata in bestia.
- Bello? Non è questo il punto. Se ti ritroverai in fin di vita, allo stremo delle forze o sotto un cumulo di macerie alla fine di questa guerra di merda, beh vedendo quel tatuaggio l'intera galassia capirà che sei roba mia.
- Ti preoccupi troppo. Vieni qui - l'aveva rassicurata avvolgendola in un caldo abbraccio.


Invece aveva avuto ragione lei. Si era preoccupata il giusto, non troppo.
Maledisse di nuovo quell'uomo, l'unico che avesse mai amato, che ora giaceva in terra avanti a lei. Le aveva mentito e l'aveva tradita, fregandosene di tutte le rassicurazioni che le aveva dato.
Superò un paio di mutanti morti e tirò via ringhiando il corpo senza vita di un predatore, a metà riverso sul corpo del comandante le cui gambe erano ripiegate in un angolo impossibile. Aveva una pistola nella mano destra.
- John - sussurrò piano, con l'impalpabile speranza di ricevere risposta, ma l'unica reazione fu il repentino spegnimento della colonna di luce bianca: I Razziatori avevano disattivato il raggio.
Una coltre di oscurità scese improvvisamente, come un mantello calato dall'alto per proteggerli dalla vista del resto del mondo. Nel silenzio che seguì Jack avvertì un respiro sofferto e rantolante, lento come quello di un uomo addormentato. Si chiese se fosse solo la sua speranza a farle udire quel suono inesistente, o se davvero Shepard fosse ancora vivo.
Ora però non vedeva più nulla. Forse la battaglia si era spostata altrove, forse sopra il suo capo non esisteva più alcuna nave alleata. Sapeva solo che il cielo era uniformemente nero, senza luna e senza stelle, probabilmente celate dai fumi della battaglia.

Il suo factotum non aveva apparecchi medici e il buio opprimente che avvolgeva quel teatro di battaglia ormai in disuso non le rendeva possibile capire quanto gravi fossero le condizioni del ferito.
“Non ha neppure una torcia del cazzo questo factotum di merda” sibilò fra i denti con rabbia.
- John - ripeté sottovoce cercando di capire quale parte di quel corpo esanime le sue dita stessero sfiorando.

“Sei un'idiota del cazzo!” si rimproverò, perché nella fretta non aveva pensato di prendere con sé un apparecchio trasmittente più efficace di quello standard inserito nel factotum.
Nessuno rispondeva alle sue chiamate e dall'apparecchio proveniva un ronzio monotono, interrotto solo da schiocchi rabbiosi di scariche elettriche di disturbo.
Provò inutilmente a contattare Joker, IDA o un qualsiasi altro membro della Normandy con ansia febbrile. Provò a chiamare il suo distaccamento di biotici e provò ogni possibile frequenza dedicata alle comunicazioni di emergenza. L'unica volta in cui le giunse all'orecchio il suono di una voce metallica, forse appartenente ad un quarian, la trasmissione si interruppe improvvisamente con un boato.
“Un'altra nave alleata andata distrutta” realizzò freddamente, senza provare nessuna particolare emozione.

- Vaffanculo - concluse dopo pochi istanti, abbandonando ogni ulteriore tentativo con la ricetrasmittente.
- Porca puttana, John. Non puoi morire. Dannazione a te! Ti avevano dato l'ordine di combattere e di vincere questa guerra del cazzo, no? Tu obbedisci sempre agli ordini dei tuoi capi. Tu rispetti sempre le tue promesse... - singhiozzò stringendo le dita su un pezzo della sua uniforme. Poi le mosse con cautela tastando delicatamente il corpo alla ricerca di qualsiasi cosa che potesse utilizzare per fare un po' di luce. Con un po' di fortuna John poteva addirittura avere il suo factotum con sé.

Fu quando decise di cercarne uno ancora funzionante su uno dei cadaveri lì vicino che si accorse del lieve bagliore che avanzava lentamente sul terreno. Capì che proveniva da una torcia puntata in basso, forse schermata da una mano, e traballava incerta tracciando ampi semicerchi in terra.
Pur sapendo che non poteva trattarsi di un nemico, sganciò il fucile a pompa dal fianco e lo impugnò saldamente in mano. La luce si dirigeva verso la sua postazione, muovendosi lungo la strada che lei aveva percorso poco prima.

“Ecco. Ci mancava solo la fata turchina...” pensò un paio di minuti dopo con cattiveria, capendo di chi si trattava e tornando a riagganciare l'arma al fianco. Un attimo dopo la chiamò, perché quella donna così odiata poteva rappresentare la salvezza del comandante. Non le era mai piaciuta, per tanti, troppi motivi, ma ora non poteva che sentirsi sollevata nel vederla avvicinarsi.
- Liara, siamo qui. Lui è qui.

- Per la Dea! Sei sicura sia lui? - chiese l’asari, inginocchiandosi in terra al lato di quel ferito senza quasi più pezzi di armatura indosso, come se un'esplosione potente gliela avesse strappata via dal corpo. C'era ancora parte del lato sinistro, compreso il gambale che racchiudeva un arto chiaramente spezzato in malo modo. E la testa dell’uomo indossava un casco anche se, a giudicare dai frammenti sparsi sull'asfalto, doveva avere la visiera rotta.
Con estrema prudenza, alla luce bianca della torcia, le dita di Jack corsero alla parte posteriore del casco che copriva il volto dell'uomo e si insinuarono al di sotto, alla ricerca del meccanismo di chiusura.
Nel silenzio persistente, rotto solo da alcuni fiochi mormorii indistinti e dai guaiti lamentosi di un cane lontano, il lieve click che segnalava l'avvenuto sganciamento risuonò ai suoi orecchi come una piccola esplosione.
Un sorriso nervoso le passò sulle labbra, mentre la sua mente le riproponeva il ricordo di quello stesso rumore, avvertito appena pochi mesi prima all'interno di una navetta da sbarco.

Vi era appena salita a bordo, al termine della missione in cui il comandante aveva salvato lei e tutti i suoi biotici dall'attacco delle squadre di Cerberus nell'Accademia Grissom. Ricordava ancora bene la follia che l'aveva travolta nella stiva della navetta costringendola a strattonare Shepard per un braccio in modo talmente brusco da fargli quasi perdere l'equilibrio.
Allo sguardo stupito che aveva letto in quegli occhi azzurri al di là della visiera trasparente, aveva replicato afferrando il suo casco fra le mani, per sganciarglielo in modo brusco, in preda a una frenesia delirante. Era stata letteralmente travolta dal desiderio di poterlo guardare in viso liberamente, di poter appoggiare le dita sulle sue guance rasate sempre un poco ispide, di inalare il profumo esotico del suo dopobarba.
Il desiderio provato era stato talmente urgente e doloroso che aveva avuto quasi paura di poter svenire lì, davanti ai suoi ragazzi che la fissavano a bocca aperta, come se faticassero a riconoscerla.
Probabilmente si erano aspettati di vederla esibirsi in qualche nuovo gesto di aggressione, magari in un altro pugno ben piazzato in pieno viso, e invece si erano ritrovati a fissare due mani incerte che avevano elargito carezze timide come una ragazza alla sua prima esperienza amorosa e due occhi pieni di troppe lacrime che colavano strie nerastre di rimmel.

Ricordava bene l'espressione nata sul volto del comandante in quel momento: il suo stupore momentaneo era presto sfumato in quel suo solito sorriso, velato da una sottile ironia, che però non l'aveva mai ferita.
Quel sorriso affermava che lui era sicuro di sé, ma soprattutto era sicuro di lei e di quel suo amore violento, senza mezze misure, che chiedeva e dava tutto, senza accettare alcun compromesso.
Quel sorriso affermava con un sicurezza arrogante che John non si aspettava nulla di diverso da lei e sosteneva la sua incrollabile fiducia nel suo amore immutabile che le aveva fatto attendere con pazienza il suo ritorno.

Adesso invece, mentre cercava di sganciare quel casco con la massima accortezza possibile, nel timore di potergli arrecare nuove lesioni, sapeva che non avrebbe letto sul suo viso quell'espressione che tanto amava, né il desiderio fisico che gli ispirava sempre, quello che riusciva a farlo tremare mentre lo teneva stretto fra le braccia e gli arrochiva il timbro della voce.
- Tu sei me. Io sono te - le aveva confessato qualche rara volta, al posto di quel banale e troppo trito ti amo che l'avrebbe soltanto irritata.

Era quasi certa che fosse incosciente, ma sperò che tornasse in sé e potesse riconoscerla. Si chiese cosa avrebbe letto in quei suoi occhi azzurri e nella sua mente agitata passarono le immagini delle tante espressioni che aveva colto nei troppo pochi momenti che avevano potuto passare assieme. Ma non era assolutamente preparata a vedere ciò che i suoi occhi increduli registrarono alla tenue luce della torcia non appena ruotò il corpo esanime del comandante.
Anche Liara non doveva essersi aspettata nulla di simile, perché lanciò un grido e scostò istintivamente le mani, così che la luce finì per illuminare solo l'asfalto lì vicino.
Una volta che la asari ritrovò l'autocontrollo e tornò ad inquadrare il corpo in terra nel cono di luce, Jack non perse tempo a capire quale arma fosse riuscita a frantumare il casco e arrecare le ferite che deturpavano il volto del comandante, ma si occupò di estrarre i vari frammenti della visiera dalla carne lacerata con le piccole pinze del suo factotum e di cospargere poi tutta la superficie con il medigel. Spiccò allora ancora più chiaramente lo zigomo di metallo argenteo e la sovrastante orbita, ricolma di sangue, all'interno della quale riluceva una minuscola ma vivida luce rossastra.

Emise un grido strozzato, mentre le sue mani si allontanavano da quelle fattezze estranee in un istintivo moto di repulsione.
- Cos'è quello? - domandò Liara con voce carica di orrore, mentre fissava alternativamente l'occhio illeso, spalancato verso il cielo lontano, e quello che apparteneva ad un essere robotico.
- Jack, non è Shepard. Quello è un geth o una creatura dei Razziatori - affermò sottovoce, inghiottendo a vuoto.
- Possibile che tu sia così stupida? - sussurrò lei di rimando, con una rabbia antica che ora le esplodeva nel petto in tutta la sua virulenza e rancore sedimentato.
- E' questo il prezzo pagato a Cerberus. E' questo il prezzo della resurrezione di Lazzaro. Non lo capisci? - continuò a bisbigliare nel silenzio della notte cupa, mentre le sue mani sganciavano la medaglietta dal collo del comandante e la tendevano alla asari.
- Leggi cosa c'è scritto sopra - la invitò - Leggi il suo nome e chiediti come hai potuto farlo...

Non sapeva cosa si fosse aspettata di provare, ma la vista di Liara in ginocchio, in preda a una crisi isterica di pianto, non la fece sentire affatto meglio, nonostante l'odio profondo, l'astio incontrollabile e il rancore insanabile che nutriva per quella donna.
Ciò che aveva fatto a Shepard, consegnando il suo corpo esanime nelle mani dell'Uomo Misterioso, era imperdonabile. Non esisteva alcuna possibilità di redenzione per un gesto simile. Nessuno, più di lei, poteva comprendere lo scempio che stavano fissando incredule, perché lo stesso scempio era stato inflitto anche al suo corpo e al suo spirito. Forse da persone diverse, ma tutte appartenenti a quella medesima organizzazione.

Se erano stati i suoi variopinti tatuaggi ad incuriosire Shepard all’inizio, erano state le cicatrici che vi si celavano al di sotto ad attrarlo con una forza che non era riuscito a contrastare.
Quelle cicatrici di Cerberus l’avevano costretto a scendere più e più volte sul ponte secondario della sala macchine, in quella stanza priva di finestre e debolmente illuminata, nonostante l’accoglienza che lei gli riservava ogni volta.
- Mi ricordavi uno di quei cani che hanno trascorso tutta la propria esistenza legati a una catena oppure a combattere in un’arena. Avevi il loro stesso sguardo diffidente e la gola sempre pronta al ringhio - le aveva confessato accarezzandole lentamente la schiena e seguendo, quasi con devozione, il profilo delle antiche cicatrici che la solcavano in ogni direzione, durante la notte che aveva preceduto l’attraversamento del portale di Omega 4.
Non aveva risposto allora, lasciandosi cullare dal suono di quella voce sussurrante nel buio, tanto diversa da quella che lui usava sui ponti della Normandy o durante i combattimenti. Carezzevole e dolce come quella di un attore che declami una poesia di amore, e allo stesso modo vibrante e carica di emozioni e sentimenti che lei non sapeva ancora bene come interpretare.
Dopo una pausa silenziosa, l’aveva sentito chinarsi sulla sua schiena e accarezzarla non più con le dita, ma con la bocca socchiusa, sfiorandole la pelle con le labbra e indugiando sui cordoli di quelle ferite antiche, ormai rimarginate. Aveva rabbrividito di piacere sotto quelle carezze miste al suo fiato tiepido e per qualche istante non aveva protestato per quei brevi baci che non avevano più nulla di erotico o sensuale. Ma non aveva resistito molto, presa dall’imbarazzo e dal timore che lui potesse pronunciare una frase inopportuna, che l’avrebbe ferita e riportata in un’arena di combattimento, proprio quando si era illusa di aver chiuso con quel genere di vita.
- Piantala, mi fai il solletico - aveva mentito in tono di protesta, scalciando con rabbia per liberarsi dal peso di quel corpo appoggiato contro il suo e sentendo vibrare dentro di sé le prime avvisaglie di un’ondata di energia oscura.
- No. Non farlo - le aveva ordinato bruscamente, stringendole una mano e rigirandola in modo che il suo palmo gli premesse contro una guancia, quella attraversata da una lunga cicatrice.
- E’ una delle poche rimaste. Una delle poche che Cerberus non ha avuto il tempo di cancellare - aveva aggiunto in un soffio.
- Cerberus? - aveva domandato a quel punto, ritirando la mano di scatto, come fosse stata morsa.
- A te ha procurato tutte queste cicatrici nel tentativo di renderti un cane rabbioso, deciso a mordere la mano di chiunque, pronto ad azzannare alla gola senza farsi una sola domanda. Ha annullato ogni tuo dubbio residuo sulla possibilità che il tuo prossimo non fosse una minaccia. Ha cercato di trasformarti in una sorta di macchina con un solo obiettivo: uccidere per non essere uccisa. So che è orribile, ma forse Cerberus a me ha riservato un trattamento perfino peggiore…
- Cosa ti hanno fatto?
- Te lo racconterò, Jack. Te lo prometto. Ma non qui e non ora. Vai a prepararti. Manca poco al portale. E vedi di non morire, o non saprai mai con chi hai condiviso questa splendida notte - le aveva sussurrato con un sorriso divertito prima di alzarsi dal letto e tornare a indossare l’armatura e la maschera del comandante Shepard.
  
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