“Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti.”
Gilbert Keith Chesterton
Il mondo
dietro le palpebre è
infinito e sconfinato, di ogni colore e forma, l'unica limitazione la
propria immaginazione.
Splinter lo sapeva bene, date le ore che
passava a meditare. Perché meditare non era solo svuotare la
mente
per raggiungere uno stato di calma e coscienza superiore che si
uniformasse al tutto, ma anche focalizzarla su una immagine o un
suono o un ricordo per poterlo esaminare e trasformare, rivivere e
studiare.
In entrambi
i casi erano
necessari un punto tranquillo e riparato rischiarato dal morbido
chiarore delle candele e silenzio tutto intorno.
“No! Tocca a
me!” strillò una vocina arrabbiata, attirando la
sua
attenzione.
Certo, trovare il silenzio non era sempre facile.
“No,
oggi io!” urlò un'altra vocetta sottile, pestando
i piedini con
stizza. Michelangelo.
Splinter sospirò, tendendo le orecchie.
“Tu
l'hai scelta ieri! E non era nemmeno bella!” disse
corrucciato
quello che riconobbe come Raphael.
Erano tutti nel salotto, ma le
loro voci gli arrivavano nitide come se fossero lì con lui.
“E
tu prima ancora. Oggi tocca a Donnie” si intromise
più pacato
Leonardo, facendo da pacere.
“No, le sue sono noiose, sceglie
sempre le stesse!” gli rispose per le rime il fratello, con
il tono
arrabbiato.
Si
sentì uno sbuffo stizzito di
Donatello, che evidentemente cercava di tenere testa a Raphael.
“Io
però non scelgo quelle paurose e poi non dormo la
notte” rispose
il piccolo genietto di casa, alzando la vocina. Il rumore di un colpo
echeggiò nel silenzio e le urla si sommarono, mentre
Leonardo
cercava di mettere un freno.
“Bambini”
sospirò Splinter con voce pacata, con gli occhi ancora
chiusi. La
meditazione era ormai perduta per quel giorno, lo sapeva.
Uno
scalpiccio di piedini riempì l'aria, una piccola carica al
trotto, e
quando infine aprì gli occhi, si trovò quattro
piccole tartarughine
mutanti di quattro anni che lo fissavano con tanto d'occhi: Donatello
si massaggiava un braccio con aria offesa, mentre Raphael aveva il
segno di un morso sulla spalla. Michelangelo era attaccato a Leonardo
che gli carezzava la testina, e il bernoccolo che presentava, con
fare bonario.
Ognuno di loro aveva una benda sulla testa di colore diverso, regalo di qualche mese prima dell'Antico; blu per Leonardo, viola per Donatello, rossa per Raphael e arancio per Michelangelo. Loro se ne erano innamorati, incantati dai colori che in un certo senso rispecchiavano i loro caratteri in formazione, e non se le erano più tolte da allora; aveva dovuto costringerli più di una volta a toglierle almeno per poterle lavare. Doveva procurarsi delle stoffe di quei colori il prima possibile.
Tremarono tutti sottilmente sotto lo sguardo severo e silenzioso del loro padre. Non c'era nemmeno bisogno che parlasse. Poi esplosero tutti assieme, cercando di spiegare e giustificarsi, ogni voce che cercava di sovrastare le altre.
“Non
sono io… è stato Mikey, è
stupido”
“Bambini” provò a
bloccarli il saggio ratto.
“...no,
lui non ascolta mai…”
“Bambini” ripeté più forte,
ovviamente senza essere minimamente ascoltato.
“Mi
ha colpito, senza motivo…”
“Bambini” ripeté per la terza
volta, con un tono che già iniziava a spazientirsi.
“State
zitti! Il maestro vuole parlare!”
“Bambini!” urlò
imperioso, zittendoli all'istante. Nel silenzio i loro occhi
sembravano quasi fare rumore mentre si spalancavano sempre
più e si
riempivano di un lieve velo di lacrime di imbarazzo e vergogna.
Splinter respirò a fondo, combattendo contro l'istinto di abbracciarli. Fare il padre era difficile, di quattro piccoli mutanti dai comportamenti umani ancora di più. Non era pratico di molte cose, ogni giorno era una scoperta per loro e di più per lui.
“Perché stavate litigando?” domandò tenuemente, guardandoli a turno. Non appena si accorse che le loro boccucce si spalancavano tutte insieme per parlare, alzò la mano per interromperli, poi continuò:
“Uno
alla volta. Inizia tu, Michelangelo.”
Il piccolo fece un paio di
smorfiette titubanti, torturando nelle manine la sua bandana arancio,
tolta per poter controllare il bernoccolo. I suoi occhioni scuri
erano lucidi.
“I-io… volevo scegliere io la fiaba”
balbettò
con voce lacrimevole, il labbruccio tremulo.
Splinter capì al volo, con un sospiro.
La sera era sempre una battaglia cercare di mettere a dormire quei quattro terremoti, perché volevano continuare a parlare, volevano bere, litigavano tra loro per chi dovesse avere più attenzioni e scherzavano e ridevano, cercando di sgattaiolare fuori dal letto per continuare a giocare.
Ma il
momento delle fiabe,
quello era come un incantesimo che li rilassava di colpo, attirando
tutta la loro attenzione. Stavano con gli occhioni sgranati ad
ascoltare, pendendo dalle sue labbra, immaginando i mondi che lui
dipingeva con le sue parole: erano avidi di sapere, i suoi bambini, e
lui cercava in ogni modo di spiegar loro quel mondo che non potevano
vedere, che potevano solo immaginare, cercando nel contempo di farli
crescere con una buona morale e di spiegar loro, a poco a poco,
piccole verità che li preparassero a capire di essere
differenti.
Per quello l'ora della fiaba era così importante per
loro, e per quello era fonte di litigi.
Ognuno aveva una sua tipologia preferita, che ovviamente cercava di poter ascoltare e riascoltare: per Leonardo erano i vecchi miti giapponesi, che lui conosceva molto bene, meglio di tutte le altre fiabe che aveva letto in consunti libri trovati nella discarica. Era stata la dolce voce di Tang Shen a fargliele imparare, quando la donna le narrava ai piccoli nell'orfanotrofio della città e lui la seguiva sempre nella sua gabbietta in legno. Forse, erano le storie che anche lui amava di più, dal vago gusto nostalgico.
Donatello, invece, adorava le vecchie fiabe di Esopo, con gli animali parlanti dalla indubbia furbizia, per i quali lui tifava apertamente; e forse, sentiva la loro antropomorfizzazione in qualche modo vicino alla loro condizione, inconsciamente. Era il più intelligente, quel piccolo bambino di quattro anni che sapeva già leggere, e sembrava aver già capito quella lieve differenza, nel profondo.
Raphael
amava qualsiasi storia
che contenesse avventure e duelli, battaglie in terre esotiche o
conflitti eroici: i suoi occhi si illuminavano nel tifare per il re o
il principe che venivano spodestati e cercavano rivalsa, con un forte
senso di giustizia e desiderio di proteggere i più deboli.
Sarebbe
diventato uno splendido ninja, teso a cercare di sanare le
ingiustizie, da grande.
Michelangelo,
il più piccolo
anche se non di età, -i suoi bambini erano tutti uguali,-
voleva
sentire storie che gli altri non amavano molto, dove principesse e
ragazze si trovavano a dover fronteggiare grandi ostacoli e
difficoltà, che poi alla fine risolvevano solo col loro buon
cuore.
Raphael lo prendeva sempre un po' in giro per le sue
scelte, anche se più di una volta lui lo aveva messo in
punizione
per quel motivo, e se prima Michelangelo si era arrabbiato con le
lacrime agli occhi per lo scherno del fratello, poi si era impuntato
e aveva tirato fuori la vocina.
“Io
voglio salvare tutte le principesse!” aveva strillato, rosso
in
volto per l'imbarazzo, eppure con gli occhioni grandi grandi per
sostenere il suo sguardo. Raphael era rimasto un attimo interdetto,
poi aveva fatto spallucce, sorpreso e forse con un po' più
di
apprezzamento verso il fratello, colpito dalla sua irruenza.
Le
fiabe servivano anche a farli crescere, in fin dei conti, e a fargli
capire meglio loro stessi e gli altri componenti della famiglia.
Comunque, prima di quel momento, non era mai successo che si picchiassero e mordessero per decidere la fiaba notturna.
“Oggi
tocca a me” si lagnò Donatello, continuando a
massaggiarsi il
braccino dove il verde oliva andava scurendosi, mostrando il livido.
“Ma Raphie mi ha...”
“Colpito. Tu lo hai morso per vendetta e
lui ha reagito cercando di colpirti di nuovo, ma prendendo
Michelangelo al tuo posto” indovinò Splinter, con
la voce
sostenuta.
Si leggeva tutto il suo disappunto e la sua delusione e i piccoli si sentirono ancora più a disagio, col labbro tremulo per la vergogna di essere stati ripresi.
“Ma
se lui, se lui...” cercò di spiegarsi il piccolo
genio, con la
voce che diventava sempre più a singhiozzi per lo sforzo di
trattenere le lacrime.
“Ha cominciato Raph” lo aiutò
Leonardo, che proprio non voleva vederlo scoppiare a piangere. Il
fratello con la bandana rossa si voltò verso di lui con lo
sguardo
torvo, facendogli poi una smorfia e una boccaccia, non osando di
più
di fronte al loro padre.
“Sono
molto deluso da voi, figlioli. Anche se Raphael ha iniziato il
conflitto, avreste dovuto trovare un modo per risolverlo senza usare
la violenza: non voglio che alziate mai le mani uno contro l'altro.
Avete una lingua per parlare e spiegarvi, usatela!”
Leonardo
annuì ad ogni parola, mentre gli altri si limitarono ad un
cenno con
la testa per fare comprendere che avevano capito.
“Chiedetevi scusa” incalzò, notando che nessuno di loro sembrava intenzionato a farlo. Se ne stavano lì a dondolarsi da un piedino all'altro, senza guardarsi in faccia, nonostante le fugaci occhiate intorno per saggiare l'ambiente.
Donatello occhieggiò titubante verso Raphael, aspettando che fosse lui a fare la prima mossa; era lui ad aver torto. Ma il fratello non ne aveva nessuna intenzione, a quanto pareva: si guardava i piedini con insistenza, incapace di affrontare l'imbarazzo. Si sentiva sempre più furioso, gli occhietti sempre più umidi, a sentire i loro sguardi addosso, che lo biasimavano.
“NO!
Se Raphie non si scusa, io non mi scuso!” strillò
Donatello al
capire che l'altro non lo avrebbe fatto, pestando un piede a
terra.
Raphael alzò il viso e digrignò i denti nella sua
direzione.
“Io non mi scuso! E tu sei uno stupido!” gli
urlò
contro, prima di voltarsi e scappare verso la camera da letto, prima
che Splinter potesse riprenderlo.
Il saggio
ratto sospirò,
osservando il lieve tremolio arrabbiato di Donatello, e Michelangelo
e Leonardo che stavano quieti, ammutoliti dalla situazione.
“Andate
a dormire” mormorò, come un ordine.
I tre si
misero in fila indiana,
in silenzio, e si incamminarono verso la loro stanzetta. Dopo qualche
minuto Splinter entrò per controllarli, trovandoli
già sdraiati nei
loro lettini a castello: da una parte Leonardo e sopra Raphael,
dall'altra Donatello e sopra Michelangelo. Nel letto di Raphael c'era
un fagotto di coperte, con dentro una tartarughina mutante
arrabbiata. Sperò che avesse tenuto almeno un'apertura per
respirare.
Passò da ognuno di loro e sfilò le maschere dalle
loro teste, ottenendo solo un lieve mugolio di protesta, poi
rimboccò
loro le coperte, con amorevolezza.
“Buona notte, figlioli.”
“Ma…
ma, niente fiaba?” si sentì la vocina di
Michelangelo, chiedere un
po' sorpresa. Riuscì ad intravvedere i suoi occhioni delusi
spuntare
dalla spondina del letto, mentre tendeva il collo per guardarlo.
“No,
niente fiaba stasera. Vi lascio il tempo per riflettere sul vostro
comportamento, bambini” rispose il padre tornando sui suoi
passi,
con una mano già sull'interruttore della luce. Un tocco
leggero e la
camera piombò nella penombra.
“E
non litigate, riesco a sentirvi. Buona notte, figlioli.”
Accostò
la porta mentre usciva, e sentì un lieve sospiro e un
impercettibile
tiramento in su col naso.
Con lenti passi si diresse verso il salotto, godendo dell'immediato silenzio per mettersi a pensare. Si sedette a gambe incrociate per terra, chiudendo gli occhi all'istante.
Come doveva
fare con quei
bambini? Erano quattro e sempre più ingovernabili. Lui non
era un
padre, non lo aveva mai nemmeno avuto un padre nel senso umano del
termine: la figura che più si avvicinava ad esso era stato
il
maestro Yoshi. Per lui era stato come un padre.
Ma non nel senso
canonico del termine. E lui non sapeva perciò come
comportarsi ogni
volta che una nuova sfida o difficoltà si presentava
davanti: come
si faceva il genitore?
Come si diventava un buon genitore?
Gli umani, avevano qualcuno che glielo insegnava?
Aveva paura
di aver sbagliato,
di essere stato troppo duro con i bambini, ma voleva insegnar loro a
crescere bene, nel modo più giusto.
Un giorno lui non ci sarebbe
più stato e loro si sarebbero trovati a dover affrontare la
vita
senza una guida: per quel momento dovevano essere già pronti
e
sicuri; litigare tra di loro era una cosa che non dovevano fare, mai.
Avevano solo loro stessi, dovevano stare uniti.
Eppure
sentì che forse avrebbe
dovuto spiegare loro meglio dove avevano sbagliato. Erano ancora
piccoli e toccava a lui indirizzarli nella giusta via di
pensiero.
L'indomani, l'indomani per certo avrebbe fatto loro un
bel discorso. Tranquillo e pacato, eppure giusto.
Rilassò un po'
il respiro all'arrivo di quella risoluzione, senza rendersi conto che
era rimasto teso nel suo arrovellarsi il cervello. Fare il padre non
era proprio semplice.
Un debole,
morbido suono di
piedini contro il pavimento destò la sua attenzione: forse
era stato
troppo concentrato e non li aveva percepiti o forse il suo
proprietario stava imparando bene a mascherare la sua presenza.
Aprì
gli occhi e si trovò il viso di Raphael davanti, a pochi
passi di
distanza. Si dondolava da un piedino all'altro, il piccolo, come se
stesse cercando di trovare il coraggio per fare qualcosa.
“Come
mai sei fuori dal letto?” domandò sottovoce, senza
lasciare la
postura da meditazione.
Raphael sussultò, forse sorpreso dalla
domanda, forse per dover dare obbligatoriamente una risposta.
“Stanno….
Stanno piangendo. Mikey e Donnie” disse a mezza voce,
stentato.
Splinter non disse nulla, il suo silenzio parlava per
lui. Raphael, infatti, pressato dalla mancanza di risposta,
continuò:
“Non mi piace.”
Era
difficile far parlare
Raphael, fargli rivelare cosa teneva nella mente e nel cuore. Aveva
così paura di svelarsi troppo, da non provarci nemmeno.
Eppure
aveva imparato da tempo a leggere nei suoi gesti, nei suoi silenzi,
nei suoi scatti di rabbia. Quel senso di inadeguatezza che quel
bambino sentiva, lui non sapeva come scacciarlo.
“Vuoi
dire che ti dispiace?” indovinò, e Raphael scosse
la testa su e
giù, sollevato di non doverlo dire a voce.
“Sai che non è a me
che devi dirlo, vero?”
Il bambino
corrucciò le
sopracciglia, come se lui gli stesse chiedendo una cosa davvero
impossibile; se lo aveva capito perché non poteva aiutarlo?
“Non
puoi dirglielo tu, che mi dispiace?” alzò un po'
la vocina,
perdendo un po' di calma.
E nel vedere il sorriso che aveva
piegato le sue labbra, il bambino sembrò spazientirsi di
più. Lo
stava forse deridendo?
Poi si accorse che lo sguardo di Splinter
non era su di lui, ma oltre lui. Una manina lo toccò sul
braccio e
Raphael trasalì, sorpreso: alle sue spalle Donnie, Leo e
Mikey lo
osservavano con un mezzo sorriso.
Ci fu un istante in cui i bambini si osservarono uno con l'altro, in silenzio. Poi Donatello e Raphael aprirono la bocca nello stesso istante e insieme si zittirono per far parlare l'altro. Leonardo guardò prima uno poi l'altro: allungò di scatto le braccia e li abbracciò entrambi, prendendo anche Michelangelo. Era un grande abbraccio a quattro, le loro corte braccine non riuscivano nemmeno a chiudere il loro groviglio, era troppo grande per essere contenuto.
Splinter sorrise nel guardarli. Doveva avere più fiducia in loro, in fin dei conti: erano fratelli, le parole non erano sempre necessarie.
Allungò
le braccia verso di
loro, in un muto invito e i quattro, con gli occhioni sorpresi ed
emozionati, si fiondarono nel suo abbraccio, con uno scalpiccio
frettoloso.
“Quale fiaba volete sentire oggi?”
domandò
bonario. Raphael fece un cenno con la testa verso Donatello,
perché
potesse scegliere.
Il piccolo genietto sorrise in imbarazzo.
“La
lepre e la tartaruga” disse col cuore, e gli altri esultarono
con
lui. Quella fiaba piaceva a tutti loro, perché la tartaruga
alla
fine vinceva, contro ogni aspettativa.
“C'era una volta, una lepre che amava vantarsi con gli altri animali per la sua velocità...”
Iniziò a raccontare, e nonostante l'entusiasmo dei suoi bambini, non ci volle molto prima che il sonno vincesse sulla loro energia: Michelangelo si era sdraiato col capino poggiato sul suo ginocchio e già russava a bocca aperta ben prima che la tartaruga nella fiaba accettasse la sfida della lepre; Raphael era poggiato contro di lui, perciò non poteva vederlo in viso, ma sembrava anche lui addormentato; Donatello si era attaccato al suo kimono, cercando di non cedere al sonno, ma alla fine si era arreso, assopendosi contro il suo petto.
Solo
Leonardo stava ritto ad
ascoltarlo, anche se di tanto in tanto le sue palpebre cedevano e lui
scrollava la testa per poterlo seguire, per dimostrargli la sua
attenzione.
Ancora pochi istanti e anche lui, comunque, si sarebbe
arreso al sonno. I bambini non resistevano oltre le nove di sera, in
fin dei conti.
Poi però a lui sarebbe toccato prenderli in
braccio uno ad uno e riportarli nei loro lettini, con molta pazienza
e fatica.
Fare il padre non era per niente facile. Ma poco alla volta, con l'aiuto dei suoi bambini, sarebbe riuscito ad imparare.
Note:
Salve!
Questa OS nasce da un disegno di Sarajane, bravissimissima come sempre. Ha aperto una pagina facebook con alcuni dei suoi disegni, andate a dare un'occhiata, non ve ne pentirete. https://www.facebook.com/pages/Sarajane/386563768158774?fref=ts
Il suo disegno mi ha ispirato nella direzione di uno Splinter ancora acerbo, che non sa esattamente come comportarsi con quattro bambini irrequieti; ho immaginato che non sia sempre stato il saggio sensei che sa sempre tutto, che all'inizio anche lui abbia avuto dei dubbi su come essere un buon genitore.
Spero che vi piaccia!
Io
la dedico appunto a Sarajane, mia musa.
Abbraccione a tutti.