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Autore: Aries K    26/03/2015    1 recensioni
Quando la giovane Emily Collins mette piede nel collegio più cupo e spaventoso di Londra non sa che la sua vita sta per cadere in un mondo oscuro fatto di sangue e creature che credeva vivere solo nei suoi incubi. Quando pensa che la sua esistenza non possa cadere più in basso di così incontra William Delacour, figlio della temibile preside Jennifer Delacour. William -così enigmatico e onnipresente in quel convitto esclusivamente femminile- nasconde un segreto che sembra coinvolgere anche la giovane. I due non potranno che avvicinarvi anche se, non molto lontano da loro, qualcuno cova una centenaria vendetta che sembra non volersi compiere...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ventesimo Capitolo







Proprio come avevo dedotto trovai il portone aperto, sicché vi entrai e lo richiusi alle mie spalle con la massima celerità, per evitare a Jamie la tentazione di seguirmi al suo interno. Ero intenta a non rallentare l’andatura urgente e celere che avevo adottato se non fosse stato per il turbamento che m’immobilizzò nel vedere l’inusuale fonte di illuminazione che, già da prima, aveva catturato la mia attenzione: un manto di fuoco era sospeso sopra la mia testa, schiacciato al soffitto, con le fiamme che si agitavano avvolgendosi tra loro. Ma non solo, serpenti di fuoco si s’intrecciavano lungo il corrimano delle scale, proseguendo quindi anche ai piani superiori.
La magia con cui questo si trovava ad aleggiare nell’aria –senza né bruciare, né privare la struttura del suo gelo immane- doveva essere terribilmente forte.
Digerita quella visione, mi fiondai sulle scale attraversando senza ulteriori indugi i tre piani che mi ero ritrovata a percorrere ogni mattina. Infine, arrivai al quarto piano.
La porta dell’ufficio della Delacour era aperta; qui dove il soffitto era più basso, le fiamme parevano braccia incandescenti pronte ad acciuffarmi.
Il breve tratto di corridoio che mi separava dall’entrata diventava sempre più lungo ad ogni mio passo, così, quando mi posizionai sul vano della porta il pensiero di non avere più spazio per i ripensamenti quasi fu inebriante.
Dovevo affrontarla, come non avevo mai fatto prima.


Trovai la Delacour impegnata a carezzare il volto di suo marito impresso nel dipinto.
“E’ venuta da me, proprio come avevo pensato.”
Mi fece impressione vederla parlare al ritratto; la manifestazione del suo lucido delirio in tutta la sua essenza.
“Finalmente io potrò raggiungerti, Demetrio, e insieme ci riprenderemo la vita che ci spetta.”
“Tu non la meriti quella vita. Quell’eternità”, esordii, con quanto più disprezzo possibile. La vampira si girò con calcolata lentezza.
Aveva gli occhi sferzati di rosso, il volto tirato, forse stanco, e i capelli raccolti nella sua solita acconciatura. Mi venne da ridere nel vedere che indossava quel vestito lungo e azzurro con cui l’avevo vista per la prima volta, anche perché io –da sotto il cappotto di cui mi ero privata strada facendo- avevo casualmente scelto di indossare lo stesso maglione bianco e gli stessi jeans con cui mi ero presentata in quell’inferno. Che ironia.
“Ho aspettato questo momento da tutta una vita, Emily Collins, tanto che ora sento che il senso della mia esistenza si possa completamente condensare in questo attimo.” “Hai ucciso i miei genitori”, ringhiai, entrando nella stanza.
Il suo sguardo scivolò dai miei occhi, indugiò sul morso inferto da Tom al lato del collo e poi percorse la lunghezza del mio braccio per verificare con i suoi occhi che, sì, la daga che stringevo nel pugno era proprio quel pugnale.
“L’ho cercato da tutta una vita”, disse eludendo la mia accusa,-“alla fine è riuscito ad arrivare a te, che non hai mai fatto niente per cercarlo. Io che ho votato la mia vita per averlo sono costretta a mirarlo nella tua mano.”
“Perché è in questa mano che deve stare!”
“Ma i tuoi genitori non hanno fatto in tempo a spiegartelo.”
“Perché tu li hai uccisi”, ripetei.
La Delacour camminò fino alla finestra ancora spalancata, senza smettere di osservarmi. Se fossi stata più consapevole del peso del mio nome da Cacciatrice, avrei sicuramente pensato che l’emozione che attraversava i suoi occhi fosse paura. Invece, quella che io avevo scambiato per paura doveva essere fretta, bramosia, eccitazione per il termine della ciaccia in cui io ero stata una preda miserabile.
-“Loro, la mia migliore amica, la signorina Williams… hai torturato mia nonna, me.” Tremavo visibilmente. Avevo sempre sospettato che il mio corpo fosse troppo piccolo per conservare tutte quelle emozioni. La mia rabbia minacciava di spezzare me, anziché tramutare in una potenza tale da distruggere lei.
Sollevai il pugnale all’altezza del suo petto, benché ci fosse la scrivania a dividerci.
Fece un ghigno.
“Spesso chi cade trascina con sé quelli che accorrono ad aiutarlo. La responsabile di tutto il male che ti circonda è la tua natura. E’ forse il destino dell’eroe quello di mettere a repentaglio la vita di chi gli vuole bene; comico, senz’altro, ma questo è quanto.”
“O il delirio di potere di Demetrio Delacour? Cosa ne sarebbe stato del mondo se solo avesse raggiunto il suo scopo? Creare una razza immortale dotata di poteri straordinari…”
“..rendervi tutti schiavi sotto il nostro infinito potere”, continuò ravvivandosi,-“estirpare la parte umana dai miei figli per rendervi l’immortalità che gli spetta. Riprendermi. La. Mia. Famiglia.”
“William…”
“Non osare pronunciare il suo nome, Collins.”
E invece lo ripetei, il suo nome. Con il cuore che mi sanguinava ad ogni sillaba.
“William. Amo tuo figlio.” Più che una confessione, era il ringhio di un’ennesima condanna. Avevo amato William con la stessa inclemenza con cui avevo amato l’idea di una vita migliore che mi attendeva a braccia aperte fuori dall’istituto: in una maniera calma, silenziosamente feroce; proprio come chi sa di avere tempo.
-“E temo che anche lui ami te”, masticò muovendo dei lenti passi verso di me,-“mi raggiunse a Londra poco prima della tua venuta al convitto. Mi disse con non poca agitazione di sognare una ragazza in uniforme prossima ad una tragica fine. Intuii subito si trattasse di te. Quell’anima buona di mio figlio ti cercò come un pazzo in ogni angolo, in ogni stanza; pretendeva di trovare i tuoi occhi nei visi di quelle ragazze che già si trovavano nell’istituto. Eri diventata un’ossessione per lui, allora non capivo quanto. Ma adesso cosa importa? Se non ci sono riuscita io, a dividervi, sarà il destino a farlo. Questa sera.”
Adesso eravamo così vicine che potevo specchiarmi nei suoi occhi. Quest’ultimi mi scivolavano in ogni dove, come se mi stessero vedendo per la prima volta.
“Ho cercato di fermarlo, di convincerlo che i suoi erano semplici sogni, gridando a me stessa di non poter credere che il suo dono si fosse manifestato proprio adesso per metterlo in guardia sulla morte della sua nemica. Ad ogni modo, ero stata io ad inscenare il terremoto. Dovevi morire in quel terremoto, poiché ero convinta che i miei servizievoli vampiri avessero estorto informazioni riguardo a dove si trovasse il pugnale a tua nonna, a suon di torture. Ma quella vecchia era stata una grande cacciatrice, dunque si è dimostrata essere più resistente oltre ogni mia previsione.”
“Maledetta!”, le urlai in faccia, di nuovo in lacrime, cercando di pugnalarla.
La Delacour sollevò repentinamente una mano sussurrando un sortilegio in una lingua arcaica, incomprensibile a primo orecchio. Così, prima ancora che la lama potesse arrivare a colpirla, fui scaraventata a sinistra, infranta contro la libreria. Capitolai a terra assieme ad una pioggia di tomi dalla mole considerevole che mi diedero il ben servito in testa, sulle spalle, acciaccandomi le mani. Avevo fitte preoccupanti all’altezza delle costole, proprio dove avevo urtato le mensole. Abbracciai la daga come fosse un bambino, terrorizzata di vedermela strappare via.
“La fretta”, tornò a spiegarmi,-“mi aveva costretto a fare un passo falso. Vedi, se tu fossi rimasta vittima di quella croce in chiesa io, probabilmente, non avrei mai trovato il pugnale perché tua nonna sarebbe morta prima ancora di balbettare il tuo nome. Ma scommetto che da quel giorno William ti abbia rivelato le sue vere origini. Non è così?”
“No, non è così. Mi aveva solo parlato del suo dono, non mi aveva confessato di essere un vampiro per non spaventarmi più di quanto non lo fossi per ciò che era accaduto.”
Vidi Jennifer scomporsi in una breve corsa agitata per raggiungermi, quindi s’inchinò all’altezza del mio viso ignorando il fatto di aver puntato il pugnale alla gola. Mi fissava con occhi pieni di un furore malato, i canini ben in vista e le mani protese verso il mio capo.
-“No, no, non per non spaventarti. Conoscendo mio figlio, è stato per non perdere la sua nuova Adelaide. L’ha persa tra le sue braccia, uccidendola per aver fatto prevalere la sua parte umana per amore; bambino mio, che destino avverso innamorarsi, ora, di un’altra umana… di una ragazzina destinata a rovinare la sua famiglia.”
“La profezia riguardo questo è una sciocchezza. Quanto è vero che le persone a me care sono morte per colpa mia, è altrettanto vero che la tua famiglia si è disfatta per mano tua.”
Se non fossi stata rintronata da tutti quei sentimenti che mi vorticavano nel corpo con buone probabilità avrei visto arrivare lo schiaffo che mi si piantò sulla guancia facendomi girare il capo.
“Mio figlio è smarrito, mia figlia Genevieve mi odia e mio marito è in attesa della mia venuta da un tempo troppo lungo, prosciugato fino alle ossa in una cripta buia in Francia. Io ho sacrificato tutto ciò che mi è più caro per salvarlo, sì, è vero, l’ho distrutto senza rendermene conto perché quando nella mente c’è un unico pressante desiderio è facile rovinare le cose che si ha intorno, ma, vedi, Emily Collins, c’è una differenza tra me e te.”
“E quale sarebbe”, dissi, guardandola da sotto ciocche di capelli, immobile nella posizione dopo lo schiaffo per non essere costretta a guardarla negli occhi.
“La differenza è che io posso riunire la mia famiglia, chiedere perdono a Genevieve, alleviare i sensi di colpa e i demoni di William, cancellarti dalla sua memoria; tornare ad amare Demetrio, in un mondo ai nostri piedi. Tu, di contrario, non ce l’hai più una famiglia da cui tornare. Li ho ammazzati io i tuoi piccoli, fragili ed insignificanti genitori, dopo aver giocato a nascondino per anni.”
Non le avevo nemmeno risposto, dirottando tutte le innumerevoli domande che avevo e di cui esigevo conoscere le risposte verso la mia forza crescente, tale da farmi sferrare un fendente che si sarebbe rivelato mortale se non fosse stato che, la Delacour, bloccò a metà il mio gesto con la forza del pensiero. Quella telecinesi mi fece sollevare in piedi, inchiodandomi poi, contro il muro accanto alla porta.
Jennifer afferrò il mio braccio destro strappandomi il pugnale di mano. Passò la lingua sul sangue che imbrattava la lama.
“Povera signorina Lamberg, povero Thomas Jenkis.”
“Perché lo vuoi così tanto?”
“Perché i cacciatori della Prima Caccia erano persone straordinariamente creative e per sigillare la chiusura delle cripte hanno scavato nella roccia due piccole incastonature in modo da incastrare perfettamente i due pugnali delle famiglie fondatrici che, ancora oggi, fungono da chiave. Ma non è tutto: vedi questo liquido che galleggia in questo cristallo a forma di goccia? E’ l’unico siero al mondo capace di donare l’immortalità.
Quella che trasformerà la metà imperfetta dei miei figli in quella perfetta, eterna.”
Con una mossa del capo mi scaraventò sulla scrivania; rotolai sulla superfice e caddi trasportando con me tutti gli oggetti che vi giacevano sopra. Ero tramortita dalle sue parole tanto quanto dal dolore fisico che mi stava impartendo.
“Basta mischiare il siero con il sangue dell’ultima della dinastia dei Collins e il gioco è fatto. Sai un’ultima cosa? Questo collegio è stato il mio alibi per non attirare l’attenzione della gente e dei cacciatori dei paesi vicini e…ora sarà la tua tomba. Raggiungerai papino e mammina, non sei contenta, piccola maledetta?”
Come potevo anche solo tentare di rimettermi in piedi? Era stata una missione suicida fin dal principio; la rabbia, la sete di vendetta e di giustizia non mi avrebbero permesso la vittoria, ahimè; ero fin troppo debole anche solo per impartirle un graffio.
Su una cosa aveva ragione: avrei raggiunto mio padre, mia madre e Nicole. Forse, sarebbe stato veloce, come quando si crolla dalla stanchezza toccando istantaneamente il cuscino.

Perdonami William.

Ancora una volta era stato lui il mio ultimo pensiero, mi aveva tenuto per mano ma, evidentemente, la stretta non era stata altrettanto forte come il nostro fato contrario, eppure potevo giurare di amarlo ancora.
Lo amavo, follemente. Anche ad un passo dalla fine.
Chiusi gli occhi dopo aver visto il pugnale sollevarsi sopra la testa della vampira, dopo aver goduto di un’ultima volta della vista del mio cognome scintillare glorioso nella sua incisione.
“Raggiungi i tuoi all’inferno.”
Feci in tempo a prendere un grosso respiro, raggomitolandomi su me stessa… prima di sentire un cambiamento di gravità sopra di me, e l’accenno di un grido smorzato.
Lì per lì ancora non avevo capito che qualcosa aveva trattenuto Jennifer dall’assegnarmi il colpo di grazia, poi il pugnale cadere a terra, proprio accanto alla mia nuca e dunque riaprii gli occhi, guardando verso il mio boia.
Il suo volto aveva perso tutta la sua invulnerabilità ed ora era stravolto in un’espressione di sofferenza mista a quella che mi parve sorpresa. Gli occhi rossi ridotti a due fessure strette e la bocca spalancata in una smorfia deforme e a dir poco grottesca, con i canini in bella vista e le braccia sollevate in alto.
Fu dopo aver distolto gli occhi da suo viso che me ne accorsi.
Un lungo stiletto d’argento aveva penetrato il suo addome, incuneandoglisi nella carne e traballando come una freccia che si conficca nel bersaglio.
“C’è chi torna dall’inferno, Jennifer.”
Una voce maschile, profonda e solenne fece il suo ingresso nella stanza.
Lo stupore mi regalò una nuova immobilità che non aveva niente a che fare con la paura; tutt’altro. Era una sensazione diversa… una di…di riconoscimento.
Infatti, dopo qualche secondo mi fu ridicolamente semplice attribuire un volto a quella voce.
Non è possibile.
Sto impazzendo. Sono impazzita, il mio cervello mi ha abbandonata per primo…
Ma quando, quasi a rallentatore mi alzai per vedere chi mi avesse salvata, capii che il destino non avrebbe mai smesso di sorprendermi. La Delacour lottò contro la paralisi provocata dallo stiletto e riuscì a ruotare mezzo busto, proprio nell’esatto istante in cui io guardai negli occhi mio padre.
“Papà”, soffiai, in quella che sembrava una flebile preghiera.
“Emily.”
In piedi sull’uscio della porta, mio padre ne riempiva il varco con la sua imponente stazza. Era una figura avvolta di nero: indossava un lungo cappotto in cui –da quello che mi capitò di vedere- si nascondeva una vera e propria armeria. Una tuta di pelle intera con cinghie di cuoio a fasciargli le cosce e la vita gli facevano risaltare una massa muscolare di cui non avevo mai fatto caso.
Ma quello che più mi destabilizzò non era tanto mirarlo nella sua naturale tenuta da cacciatore, quanto il suo volto così incondizionatamente familiare. Niente in lui era estraneo, nessuno dei suoi tratti mi parve dimenticato o mutato; era tutto come doveva essere, era papà ed era vivo.
La violenza di quell’incredibile rivelazione mi fece molleggiare fino a lui, il quale aveva azzerato l’esigua e ultima distanza che ci divideva per accogliermi tra le sue braccia.
-“Dio, Emily. Mi dispiace così tanto.”
Non riuscivo a smettere di tremare, né parlare.
Ma non c’era tempo per calmarsi, né per ricevere spiegazioni.
La Delacour rovinò a terra, aprendo e chiudendo la bocca a scatti. Stava pronunciando un qualcosa che sembrava voler esprimere tutto il suo dolore, tutto il suo rifiuto nel vedere ciò che aveva tanto programmato venir fatto saltare in aria da un contrattempo che non aveva azzardo a mettere in conto. Però, subito dopo aver pensato quelle cose, mio padre mi smentì, chinandosi rapidamente a terra per recuperare il pugnale:
“Dobbiamo uscire di qui! Sta invocando un incantesimo, tra poco questo posto brucerà!”
Non feci in tempi a metabolizzare le sue parole che papà mi aveva già presa per la mano e condotto fuori dallo studio, di corsa.
Attraversammo l’andito correndo a più non posso, entrambi col fiatone. Scendemmo le scale di volata con la voce incolore della Delacour che c’inseguiva, quasi volesse acciuffarci come se fosse un qualcosa di palpabile, materiale. Con tutte le mie forze cercai di schivare le lingue di fuoco che iniziavano a contorcersi sul corrimano, soprattutto, di ignorare il manto sopra le nostre teste che iniziava a prendere le caratteristiche di un vero e proprio incendio, appestando l’ambiente di fumo elevando la temperatura ad una insopportabile.
“Emily, attenta!”
L’avvertimento di mio padre fu vano dal momento che, troppo presa a controllare la situazione sopra le nostre teste, non avevo visto l’ostacolo che mi fece rovinare a terra.
Gettai uno sguardo da sopra la spalla mentre mi rialzavo rapidamente, e quando lo feci ebbi la sensazione che il mio cuore avesse mancato un battito.
A pochi centimetri da me, raggomitolato a terra e con due paletti conficcati uno nel petto e uno sul collo –pesto di sangue in ogni dove- trovai Henry.
In un istante i nostri occhi si incrociarono e nei suoi vi lessi un odio gelido; un sentimento che era riuscito a stento a nascondere ma che comunque non mi diede eccessive preoccupazioni. Sul fondo, di quella collera, io vi lessi una promessa crudele che avrebbe altrimenti pronunciato a voce alta, se solo ne avesse avuto la possibilità.
“Henry Devonne”, attestò mio padre, strattonandomi per farmi ripartire, -“braccio destro e primo sostenitore della Delacour. Il Circolo era sulle sue tracce da anni, quel sadico figlio di…”
Un grido inumano squarciò l’aria sferzando fino alle nostre orecchie; lingue di fuoco si abbatterono a diversi metri da noi, incendiando qualsiasi cosa incontrassero.
L’incantesimo stava per compiersi.
“Non fermarti per niente al mondo!”, continuava a gridare mio padre, anche se stavamo attraversando a perdifiato l’atrio.
Una volta chiusoci il portone alle spalle sentimmo un’esplosione percuotere la terra, dunque capii che proveniva dalle cucine e che l’incendio aveva iniziato ad avvolgere l’intero istituto.
Mi accasciai al centro del cortile, stremata e con un vuoto nello stomaco, ad osservare quella che –mio malgrado- era stata una casa per me. Come la pellicola di un film, la mia mente ripercorse brevi diapositive che mi vedevano indugiare su quella porta d’ingresso assieme alla signorina Williams; vidi perfettamente un’Emily Collins stordita a distanza di poco tempo dalla scomparsa dei suoi genitori, guardare per la prima volta Jennifer Delacour. Come un flash, l’immagine scomparve e quasi giurerei di aver potuto risentire la risata gioviale di Nicole, o i rimproveri giornalieri di Jamie circa la mia impulsività.
O di vedere William apparire dove ora s’intravedeva solo fumo e fuoco.
La mano di mio padre mi riscosse.
-“Dobbiamo occuparci di lei”, sussurrò, come se cercasse di entrare in punta di piedi nei miei ricordi.
L’osservai dal basso, non capendo a chi si riferisse; poi, alzandomi e voltandomi vidi Jamie. Tremante, piangente e sporca di sangue non suo –segno che aveva cullato Nicole per tutto quel tempo- mi fissava con mille e più domande turbinargli negli occhi spalancati.
La raggiunsi avvertendo fitte dolorose alle costole, gambe, ma che parvero sparire non appena le sue braccia mi avvolsero nell’abbraccio più disperato e sentito che avessi mai ricevuto in tutta la mia vita. “Ma che cosa è successo, Emily?!” La sua voce era oltremodo convulsa, singhiozzante.
Serrai gli occhi stringendola ancora più forte tra le mie braccia, cercando di non guardare in basso a destra dove Nicole sembrava dormire, con l’ultima supplica ancora impressa sulle labbra dischiuse.
Un’altra esplosione fece seguito ad un ennesimo grido della vampira, nonostante la sua stanza fosse l’unica a non essere ancora stata raggiunta dalle fiamme.
Sciolta dall’abbraccio con Jamie stavo giusto per metterla al corrente dell’identità di quell’uomo quando, papà, sollevò repentinamente il pugnale guardando oltre noi, per poi riabbassarlo con aria distaccata, quasi arrendevole.
Io e Jamie seguimmo il suo sguardo fino a vedere due figure correre proprio verso il cortile.
Un uomo e una donna.
William e Genevieve.
Smorzai sul nascere un grido e feci per corrergli incontro, sentendo dentro di me fiorire un insolito e commovente sollievo, quando sia la mano di mio padre che di Jamie mi tennero ferma.
“Lasciatemi andare da lui! Cosa state facendo?”
“Devi dimenticare quel viso e quello che hai vissuto con lui”, disse mio padre, severo, proprio con lo stesso tono con cui era solito parlarmi.
Lo guardai in viso, trattenendo il respiro e avvertendo il passaggio di una lacrima.
“Tu non puoi chiedermi questo...”
“Non te lo sto chiedendo, Emily: te lo sto ordinando da cacciatore a cacciatrice.”
Fu come ricevere un pugno sulla bocca dello stomaco, tutto ciò che riuscii a fare, forse, fu un’espressione sconvolta, indignata.
William ci sfrecciò accanto, superandoci, quasi come se non ci avesse visto. Poi, osservando l’istituto morire su se stesso, s’immobilizzò ad assistere alla rovina.
Genevieve rallentò l’andatura, soppesando il suo sguardo sulle nostre tre facce stravolte che la ricambiavano.
Aveva il volto sporco di terra, una sfumatura di sangue a colorarle i lati della bocca e la sua tuta era stata strappata e imbrattata di fango. Dunque tornai ad osservare William che era nelle stesse condizioni della sorella: il bel maglione era coperto di sangue, come il suo collo graffiato e, il colore dei polsi –dacché le maniche erano state strappate a quel punto- viravano da un nero carbone a una tinta violacea.
Ma contro chi hanno dovuto combattere?, mi domandai stupidamente, per poi rispondermi un secondo dopo: Henry. Il traditore.
“William!”, strillai e a quel punto dovette esserci stato qualcosa nella mia voce a far leva sulla coscienza di Jamie e papà, perché allentarono la presa fino a concedermi il movimento che anelavo.
Raggiunsi William e il mio fu un vero e proprio assalto che lui –grazie al cielo- ricambiò con la medesima intensità.
“Amore mio”, fu la prima cosa che mi disse e ricordo che il modo con cui pronunciò quelle parole bastò a farmi intendere quanto in colpa si fosse sentito nei miei confronti, -“come posso chiederti perdono?”
“Non devi… non devi farlo, William. Non potevi saperlo.”
“Ho dubitato di te.”
“Non ho forse fatto lo stesso?”
Non gli diedi né modo né maniera per rispondermi che l’avevo condotto verso di me e baciato con estrema urgenza. Sentii le sue mani toccarmi in un punti in cui il dolore ero vivo e pungente ma in quell’istante perfetto, credetemi, anche il dolore era bello.
Di certo non potevo sapere cosa di lì a poco sarebbe successo.
Forse lo intuii quando, pian piano, avevo avvertito le sue labbra divenire sempre più ritrose e ferme.
Eppure non avevo voluto impartirmi l’ennesima sconfitta; perché in quella notte, sì, avevamo perso tutti.
“Emily”, disse distaccandosi, cercando di pronunciare dell’altro ma, delle urla strazianti provenienti dal quarto piano, lo interruppero facendolo impallidire più di quanto non fosse già.
“Devo…devo lasciarti.”
Ed ecco arrivare il colpo di grazia.
“No, tu non puoi farlo”, risposi con un groppo in gola che non m’impedì d’infarcire quella supplica con una ferocia inconsolabile.
Lui chiuse gli occhi per un attimo e poi riaprendoli mi prese il viso fra le mani.
Stava piangendo.
“Tornerò Emily, ma ora lasciami andare da lei. Non lo capisci? Questo è l’unico modo in cui io possa amarti.”
Lo guardai assente, doppiamente, inesorabilmente sconfitta.
“Ti amo.”
Era la prima volta che me lo diceva, ed erano state anche le ultime parole che mi rivolse prima di abbandonare la presa dal mio viso in una sorta di carezza, quasi fosse stata sufficiente per concorrere in aiuto alla profonda sofferenza che mi stava mangiando da dentro.
Fui solo vagamente cosciente della realtà che mi circondava quando lo vidi allontanarsi di corsa da me per scomparire, poi, all’interno dell’edificio morente.
Un violento capogiro mi costrinse a prendermi la testa tra le mani, e non seppi mai chi fu a gridare il mio nome: se Jamie o mio padre… o la Delacour.
   
 
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