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Autore: Snow_Elk    26/03/2015    4 recensioni
Fuori pioveva, la finestra aperta lasciava entrare qualche goccia d’acqua che si infrangeva silenziosa sul pavimento. Fuori pioveva, sentiva la sinfonia della pioggia, ma lei non provava freddo, si sentiva bruciare dentro. Quando riaprì gli occhi trovò nello specchio dinanzi a lei il riflesso di due rubini che la fissavano nel buio della stanza, uno sguardo che non aveva bisogno di descrizioni, uno sguardo che pretendeva una risposta silenziosa e il suo fiato corto, i brividi che la facevano tremare gliel'avevano appena data. Non aveva scampo, era diventata schiava di una passione insana di cui aveva assaporato solo il principio.
“ Sei mia… piccola Alice” un solo, unico sussurro e poi solo il buio.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Sovrannaturale
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A Black Lotus as Night

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Episodio IX- Frammenti di Sogno

Note dell'autore: Rieccomi gente! Mi scuso con tutti i lettori per la lunga assenza, ma l'università mi ha fregato parecchio tempo e non avendo un portatile in appartamento ho dovuto aspettare di ritornare a casa per poter ricopiare e quindi pubblicare l'episodio ( mi sto attrezzando per risolvere questo problema il prima possibile ). Come se non bastasse ho avuto anche un periodo da "blocco dello scrittore" che penso conosciate tutti e sapete quanto sia fastidioso <.< Comunque sia siamo giunti all'episodio IX e questo è un episodio particolare, leggendo capirete il perché, non voglio fare spoiler xD Spero che l'episodio  vi piaccia e che ripaghi la lunga attesa. Buona lettura!
Un abbraccio

Snowstorm

Kikuri giaceva davanti a lei in un religioso silenzio che ormai andava avanti da mesi, interrotto solo a tratti dal suo lieve respiro, quasi impercettibile, eppure era una delle poche cose che dimostrava che era ancora viva, nonostante tutto.
Strinse ancora di più la sua mano fasciata, era calda e delicata, nessuno avrebbe mai potuto pensare che quella mano aveva stroncato centinaia di vite, la stessa che l’aveva sorretta e aiutata tante di quelle volte da aver ormai perso il conto.
Era andata a trovarla per un motivo ben preciso, parlarle, ma quasi le sembrava ingiusto disturbare il suo riposo, quel sonno perpetuo in cu era caduta per salvare la propria amata. Kikuri aveva avuto il coraggio di prendere una decisione, di fare una scelta, accettandone tutte le relative conseguenze.
Lei avrebbe fatto altrettanto o sarebbe scappata via come una codarda che non sa gestire nemmeno i propri sentimenti?
Era lì proprio per capirlo, per sfogarsi con una donna che ormai vedeva come una sorella maggiore da quando era stata allontanata da Elza.
- Elza…- pronunciò quel nome a bassa voce, manco fosse stato il nome di un demone, e l’ennesima fitta di dolore alla testa la trafisse come un dardo incandescente ma al tempo stesso gelido. Scosse la testa, confusa più che mai, e si riprese: non era arrivata fin lì per sedersi su una sedia a rimuginare sui propri pensieri.
 
Inspirò profondamente, fece appello a tutto il coraggio che aveva in corpo e iniziò a parlare, come non faceva da tanto, troppo tempo:
- Kikuri, so che puoi sentirmi anche se non puoi parlare, ma il solo starti acanto mi rassicura e forse parlare con te mi farà trovare una risposta, una soluzione. Tentare non nuoce, vero? Sto impazzendo, Kikuri, letteralmente, per qualcosa che fino a poco tempo fa nemmeno calcolavo: l’amore, o comunque qualcosa di vagamente simile. Possibile che sia così straziante? Come posso essermi innamorata così velocemente di un uomo e al tempo stesso desiderare di essere…ehm…sì, ecco, posseduta da un altro? Tutto ciò non ha alcun senso, vero? Ho provato a cercare una risposta, ci ho passato intere notti in bianco, e nonostante tanto impegno eccomi qui, ancora ad arrovellarmi tra dubbi e incertezze. Uno schifo.
Mi hanno insegnato a combattere, ad usare la falce come se fosse un’estensione del mio corpo, a non temere alcun avversario, a non aver paura di niente sul campo di battaglia, eppure… non mi hanno mai insegnato a gestire le emozioni e penso che ne sto pagando le conseguenze, pezzo per pezzo-  si interruppe un attimo notando che stava stringendo con troppa forza la mano della ballerina, un chiaro sintomo della rabbia che stava crescendo in lei, una piccola fiamma che attendeva di trasformarsi in un devastante incendio.
 
Si alzò e si diresse verso la grande finestra che illuminava la stanza e rimase immobile ad osservare la skyline della capitale, palazzi su palazzi che si sfidavano a vicenda a chi arrivava a sfiorare di più la volta del cielo. Osservare quel paesaggio immenso faceva sembrare lei e i suoi problemi piccoli e insignificanti.
Sospirò, lasciando scivolare la punta delle dita sul vetro, e riprese a parlare, raccontando di come aveva conosciuto prima Debran e poi Xem, di come quella notte la sua vita era cambiata per sempre, se in meglio o in peggio questo era ancora da decidere.
Si soffermò su alcuni dettagli, su come si erano evolute le situazioni, intrecciati i rapporti, tralasciando alcune parti che la imbarazzavano al solo pensiero, azioni di cui si sarebbe vergognata praticamente per sempre, lei che aveva spazzato via battaglioni interi e devastato città senza alcuna pietà o ritegno.
Più che una parte della sua vita sembrava che stesse riassumendo la trama di un romanzo rosa e questa osservazione le strappò un mezzo sorriso. Quando finalmente concluse di narrare quella sottospecie di odissea sentimentale, stanca di fare avanti e indietro per la stanza, si riaccomodò accanto alla ballerina, sentendosi già più leggera quasi si fosse tolta un peso dal cuore.
Avrebbe voluto anche parlarle dell’altro problema che l’affliggeva, ciò che aveva visto nel riflesso dello specchio, ma il non aver dormito per tre giorni di fila iniziava a farsi sentire: le palpebre si erano fatte dannatamente pesanti, la vista un po’ sfocata e la classica stanchezza da post battaglia infernale le gravava addosso come un macigno.
Così, non appena si posò un attimo sul letto per “riposarsi giusto cinque minuti”, finì per sprofondare in un sonno profondo, ignara del fatto che neanche tra le braccia di Morfeo avrebbe trovato riposo, non come sperava, non questa volta.
 
                                                                […]
 
Di nuovo quella sgradevole sensazione di essere legata, no, non poteva aver fatto lo stesso sogno per l’ennesima volta. Aveva bisogno di guardarsi intorno per capirlo, per cercare una qualsiasi conferma, ma non poteva, la benda color porpora le copriva gli occhi, proprio come l’ultima volta, abbandonandola in quell’oscurità sconosciuta, indefinita e dai riflessi rossastri.
Sapeva che stava sognando, che si era addormentata accanto a Kikuri per colpa delle notti insonni, ma nonostante ciò c’era qualcosa che la inquietava e non poco. L’unica nota positiva a suo favore era il semplice fatto di avere ancora tutti i vestiti addosso, ma in curo suo sapeva che quella quiete non sarebbe durata a lungo, proprio come i suoi poveri vestiti.
Una voce calda, decisa, e fin troppo familiare gliene diede subito conferma:
- Bentornata nel mio mondo, mia piccola Alice –
Avrebbe voluto insultarlo, riempirlo di ingiurie e spaccargli la faccia per ciò che le aveva fatto ma non ci riuscì e le uniche parole che le uscirono dalla bocca la sconvolsero:
- Mi sono mancate le tue mani, le tue labbra, mi è mancato tutto di te. Riprendiamo da dove eravamo rimasti? – disse, consapevole che le sue labbra si erano mosse per formulare quella richiesta insana, emblema di un peccato nero come la notte, rosso come il sangue, andando contro ogni singola goccia della sua volontà.
- Con immenso piacere – rispose l’uomo e sentì il suo respiro sulla pelle, era vicino, dannatamente vicino, proprio come l’ultima volta.
Sentì le sue labbra umide socchiudersi sul collo e rabbrividì, scossa da una scarica di piacere che non tollerava, ma che al tempo stesso bramava con tutta se stessa.
- ma questa volta senza alcun incantesimo subdolo…- iniziò a sussurrarle nell’orecchio ed ogni parola era una fitta al cuore, un respiro mancato.
- Sono stanco di tutta questa messa in scena teatrale, abbiamo giocato anche abbastanza, è arrivato il momento che tu reagisca, sarà divertente – non appena concluse la frase si sentì attraversare da una scarica di energia anomala, percepì che il suo corpo e la sua coscienza le appartenevano di nuovo, ma quel desiderio di piacere blasfemo e lussurioso continuava a far sentire il suo canto nei meandri della sua stessa anima, implacabile, ossessivo.
 
- Maledetto bastardo! Che cosa mi hai fatto? Avanti, parla! – esclamò, fuori di sé, ricolma di rabbia e rancore, di un odio viscerale verso quell’uomo che l’aveva usata come una marionetta per soddisfare le sue maledette perversioni. Debran rise di gusto, la sua risata sembrava riecheggiare dovunque.
- bene, bene, bene. Allora è questo il carattere tutto pepe e spavalderia del Loto Nero, eh? Non che il lato docile da schiavetta sempre disponibile mi dispiacesse, ma così è decisamente più interessante – esordì, strappandole le maniche del vestito, lasciando le braccia scoperte e in balia delle sue labbra e di qualcosa che sembrava una lama molto sottile.
- Razza di maniaco, che cosa stai facendo? Toglimi questa dannata benda e liberami!- sentiva le sue labbra, sentiva quella lama sfiorarle la pelle scatenando fitte di dolore che duravano un battito di ciglia e lei era completamente impotente.
- Liberami! – urlò, dimenandosi, facendo tentennare le catene che la tenevano a bada nella loro crudele morsa metallica.
 
- Una preda che fugge e tante di difendersi dona maggiore soddisfazione, non è così? – il suo tono di voce era caldo e pacato mentre le lacerava il corsetto, scoprendole il seno –Una laura ricompensa, non trovi? – le chiese sadico, mentre le sue mani si insinuavano tra i resti del corsetto, strappandole sussulti di piacere e urla di rabbia al tempo stesso. Stava per riempirlo di insulti, ma prima che potesse aprir bocca le labbra di Debran si chiusero sulle sue in un bacio che bruciava come l’inferno.
Le sue dita scivolavano da una parte all’altra del suo corpo e per ogni brivido le catena vibravano spaventate, mentre dentro di sé sentiva quel desiderio urlare a squarciagola e reclamare ciò che chiedeva.
Debran si staccò dalle sue labbra, lasciandola con l’amaro in bocca, nel vero senso della parola: poteva sentire il sapore dell’animanera, un insieme di gusti che ridestava troppi pensieri, troppe emozioni.
Quel bacio improvviso le aveva mozzato il fiato tanto che non riusciva più a parlare, sentiva soltanto il suo cuore che batteva all’impazzata e il fatto che stesse ansimando come una ragazzina.
 
- Mi sei costata così tanto tempo e fatica, mia piccola Alice, non puoi nemmeno immaginare quanto – le stava girando intorno, percepiva i suoi passi – Una giovane donna fuori da qualsiasi canone, una bellezza fatale, un carattere che fa scappare la maggior parte degli uomini… - i suoi passi si interruppero, probabilmente era di nuovo davanti a lei.
- Un cuore tanto gelido e oscuro da non conoscere né accettare l’amore –
- Va al diavolo, Debran, tu e la tua follia – sibilò, col respiro greve, la mente a pezzi e l’anima in tumulto.
- Dimmi, come si sente la coraggiosa e impavida Dea Falce nell’essere legata e impotente? La tua spavalderia qui non serve a nulla e credo che tu ormai l’abbia capito… - iniziò a lacerarle le gonne, pezzo dopo pezzo, per poi afferrarla per le gambe – Voi essere umani siete così cocciuti, ignorate fin troppe cose – era in balia delle sue perversioni, si sentiva abbattuta, sconfitta, prossima al panico.
- Ti prego… non farlo – lo implorò, conscia di quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
- Ricordi che cosa ti avevo detto? Niente più scenette teatrali – sentì la lingua che le sfiorò i seni, la possente mano destra che ne stringeva uno mentre la sinistra si spingeva nell’inguine, tra le cosce, abbattendo qualunque difesa le fosse rimasta.
Tentò di urlare ma dalla bocca non le uscì nemmeno un filo di voce, tentò di dimenarsi ancora una volta ma ormai le forza l’avevano abbandonata e così Debran la fece sua, definitivamente.
 
                                                            […]
 
Non voleva minimamente pensare a quello che le aveva fatto, era solo un sogno, un dannato sogno, ma lui era ancora lì, proprio davanti a lei.
- Direi che è arrivato il momento che tu mi veda per come sono realmente. Non è affatto giusto usare delle maschere, vero? Ma credimi, ho avuto i miei buoni motivi – concluse sfilandole la benda che la rendeva “cieca” e quando finalmente i suoi occhi si riabituarono alla luce delle torce ciò che vide la turbò nel profondo: Debran era davanti a lei, i capelli argentati sospinti da una brezza impercettibile, i due rubini incastonati di nero e la camicia completamente sbottonata.
 Aveva la carnagione rossastra, un rosso svilito, smorto, attraversata da tatuaggi lineari e non, del colore del sangue, che gli ricoprivano il torace, il volto, praticamente tutto.
Due enormi corna ricurve gli spuntavano dalla fronte, emanava un’aura oscura che ben pochi potevano vantare e il suo sorriso sadico completava il ritratto… un ritratto inconfondibile.
Lo stupore sul volto di Alice si mescolò ben presto all’inquietudine.
- Non può essere tu eri…-
- Morto? Quasi, ci ero andato vicino, ma fino a prova contraria sono proprio qui, davanti a te – si avvicinò e le sfiorò la guancia con la lama, ferendola – Io sono Zebra, il Dio Folle, mia piccola Alice… e questo, questo non è affatto un sogno -.

 
   
 
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