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Autore: edoardo811    26/03/2015    1 recensioni
[Anarchia: La notte del giudizio]
America 2025
La disoccupazione è ridotta al 3%, la criminalità è quasi inesistente e ogni anno sempre meno persone vivono sotto la soglia di povertà
[...]
"Questo non è un test. E’ attivo il vostro programma di emergenza che annuncia l’inizio dello Sfogo annuale sancito dal nostro governo. Possono essere utilizzate tutte le armi di classe 4 o inferiore, le altre sono proibite. Ai funzionari amministrativi di livello 10 viene concessa l’immunità. Al suono della sirena, ogni crimine, incluso l’omicidio, sarà legale per le successive dodici ore. Tutti i servizi di emergenza saranno sospesi. Il governo vi ringrazia per la vostra partecipazione."
La notte dello Sfogo, un'occasione annuale per potersi liberare di ciò che ci opprime e purificare le nostre anime. Quattro persone si ritroveranno nel posto sbagliato al momento sbagliato, riusciranno a sopravvivere?
Fic ispirata all' omonimo film.
[SOSPESA][MORTA]
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Violenza
Capitoli:
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Capitolo

VI

Troy

 

Tempo rimasto alla fine dello Sfogo annuale: 11 ore e 14 minuti.

Il furgone arrestò la sua marcia all’improvviso, facendo sbilanciare Dominick di lato. Lo sportello posteriore si aprì ed entrarono diversi tizi mascherati ed armati. Il ragazzo e tutti gli ostaggi vennero presi di forza e condotti fuori dal veicolo. Fecero il giro intorno al furgone e si ritrovarono davanti ad un paio di uomini vestiti eleganti. Dominick era ancora troppo stordito per accorgersi della mazzetta di soldi che quegli uomini consegnarono al ragazzino con la maschera bianca. Non appena quello prese i suoi soldi, il gruppo di pazzi mascherati si diradò. Salirono nuovamente sul furgone e sulle moto e se ne andarono da lì, abbandonando Dominick, l’uomo con i baffoni e gli altri ostaggi, altri tre uomini e tre donne, nelle grinfie degli uomini eleganti, che non persero un secondo e puntarono gli Mp5 contro di loro. Gli ostaggi alzarono le mani, ognuno di loro venne afferrato per la giacca o maglia e trascinato verso una porta chiusa. Uno degli aguzzini bussò tre volte e la porta venne aperta dall’interno, poi gli ostaggi furono spinti dentro l’edificio.

Incitati dalle armi puntate su di loro, Dominick e gli altri proseguirono per una fitta rete di corridoi spogli, con pareti, soffitto e pavimento di un bianco accecante. Ogni volta che rallentava, anche solo per pochi secondi, veniva puntellato dalla canna della mitraglietta dei suoi aguzzini e veniva costretto ad affrettare il passo. Notò che era lo stesso per tutti gli altri. Tutti quanti di tanto in tanto rallentavano il passo e venivano costretti con le armi a riprenderlo. Gli uomini e le due donne che si trovavano nella sua stessa situazione di tanto in tanto gemevano spaventati o singhiozzavano. Lui stesso si stava letteralmente torcendo in due per la paura. L’unico che proseguiva impassibile e a passo sostenuto, senza necessitare incitazioni da parte dei mitra degli aguzzini, era, di nuovo, l’uomo con i baffoni a manubrio. Questo proseguiva eretto in tutta la sua statura e a testa alta, per nulla spaventato. Come diavolo facesse ad essere così tranquillo, Dominick non riusciva a concepirlo.

Camminarono a lungo, poi raggiunsero una porta chiusa, che si aprì quasi immediatamente, rivelando quello che sembrava uno spoglio retroscena di un palcoscenico. Vennero afferrati di peso e messi in ginocchio davanti a quello che era per l’appunto un sipario chiuso. Da dietro di esso si sentiva provenire il vociare di diverse persone, musica classica e risate. Gli uomini eleganti si misero dietro di loro e tennero le armi sollevate, pronti a fare fuoco sul primo di loro che avesse dato segni di ribellione. Gli ostaggi rimasero inginocchiati e immobili, mentre il sipario di apriva lentamente di fronte a loro, rivelando uno spettacolo molto insolito per la notte dello Sfogo. O meglio, era insolito per Dominick, che non sapeva affatto che durante tutto l’arco di quella notte quello spettacolo si susseguiva regolarmente, in più zone della città.

Alla sua visuale apparvero decine e decine di tavoli rotondi e ben allestiti, intorno ai quali erano seduti molteplici uomini e donne, tutti vestiti eleganti e la maggior parte di essi con bicchieri pieni zeppi di champagne in mano. Tutti quanti fissavano Dominick e gli altri ostaggi con aria di sufficienza. Dom rabbrividì, poi una donna bionda e piuttosto avanti con gli anni, che si trovava sul palcoscenico poco lontana da loro, avvicinò il microfono che aveva in mano alla bocca ed esordì con tono gentile, che nascondeva tutta la sua maliziosità e follia: «Molto bene, gentili ospiti. Il primo lotto dell’asta è finalmente arrivato.»

Un brusio di sottofondo andò a riempire la stanza. Erano gli uomini seduti ai tavoli, che parlottavano tra loro entusiasti. La donna accanto a Dominick singhiozzò, così fecero la maggior parte degli ostaggi, tranne l’uomo con i baffoni e lui.

«Come potete ben vedere, abbiamo otto persone, tutte in ottima salute, pronte ad essere usate per purificare le vostre anime!» disse la donna porgendo un braccio verso Dom e gli altri.

Un altro brusio si diffuse.

La donna fissò con lo sguardo pieno di soddisfazione tutti quegli uomini e donne che facevano vagare lo sguardo da un ostaggio all’altro, domandandosi quale di loro sarebbe stato il più facile da ammazzare. Dominick era il più giovane, ma le tre donne sembravano molto più indifese di lui. L’uomo con i baffoni stonava in mezzo a quel gruppetto. Era il più grosso di tutti e messo a confronto con gli altri, la sua stazza sembrava ancora più imponente.

«Siccome questo è solamente il primo lotto...» riprese la donna avvicinando nuovamente il microfono alla bocca. «...partiamo con una base d’asta di centomila dollari!»

Dominick riuscì lentamente a mettere insieme tutti  i pezzi. Un’asta. Lui e gli ostaggi erano un lotto. Stavano per essere venduti. E quei  tizi eleganti volevano purificarsi.

«Oh cazzo...» sussurrò, senza farsi sentire. Cominciò a far vagare lo sguardo in ogni direzione, alla ricerca di una via di fuga, ma non appena si ricordò degli energumeni dietro di lui che lo tenevano sotto tiro, fu costretto a desistere.

Nel frattempo le prime mani cominciarono ad alzarsi nella sala. Ad acquistare il primo lotto furono: due coppie di un uomo e una donna e un uomo con due ragazzi, probabilmente i suoi figli.

La donna sorrise e li acclamò con garbo: «Molto bene! Abbiamo i signori Royce e Froid e le loro graziosissime mogli Katlina e Sasha.»

Gli uomini e le donne sollevarono i calici colmi del liquido frizzante quando sentirono i loro nomi.

«E per finire abbiamo il signor Majestick e i suoi cari figlioletti Josh e Greg!»

L’uomo sollevò la mano per mettersi in mostra e i due ragazzi, che dovevano avere su per giù l’età di Dominick, gonfiarono il petto pieni di orgoglio. Cosa ci fosse da essere orgogliosi nello stare per uccidere dei poveracci e un ragazzo con la loro stessa età, non si sapeva.

Dom fissò inorridito quei ricchi psicopatici che da lì a poco avrebbero preso le loro vite.

«Molto bene, abbiamo i nostri acquirenti!» sancì la donna, un sorriso gelato le increspava il volto. «Prima di cominciare la caccia, voglio ribadire che abbiamo aggiornato il nostro assortimento. Abbiamo introdotto molte armi interessanti, tra cui quella che vi consiglio più caldamente: la Lupara Calibro 12.» disse il nome dell’arma con tono morbido, quasi lo stesse accarezzando con la lingua. «E’ così perfetta che sembra forgiata dagli angeli.»

Il sipario si richiuse lentamente davanti agli ostaggi e la visuale di Dom sugli uomini eleganti venne oscurata. Cominciò a tremare, mentre accanto a lui gli ostaggi riprendevano a singhiozzare, poi gli uomini dietro di loro li afferrarono nuovamente per le giacche o maglie e li trascinarono via.

Sentì ancora la voce della donna annunciare, mentre il sipario la nascondeva: «Andate a prepararvi, cacciatori, la vostra purificazione avrà inizio tra quindici minuti.»

Di nuovo, Dominick rabbrividì, conscio di cosa stava per accadergli e del fatto che possedesse solo più quindici minuti di vita. Guardò l’uomo con i baffi e, con suo enorme stupore, lo trovò perfettamente a proprio agio, senza alcuna traccia di paura nella sua espressione, anche se pure la sua vita stesse per giungere al capolinea.

 Cominciò seriamente a credere che quel tipo fosse fuori di testa.

 

***

 

Tempo rimanente alla fine dello Sfogo annuale: 11 ore e 7 minuti.

Kevin proseguì la sua maratona del terrore ancora per molto tempo. Ogni volta che sentiva dei passi, un mormorio o degli spari, cambiava totalmente direzione e non smetteva di correre, se  non per brevissime pause. Ormai il trucco lo aveva capito. Bastava muoversi in continuazione.  Fu una strategia che si rivelò efficace, finché non capitò nel posto sbagliato al momento sbagliato. Beh, quella notte nessun posto e nessun momento erano giusti, però quella volta ebbe davvero una sfiga allucinante.

Stava correndo come aveva fatto fino a un’ora prima, aveva svoltato l’angolo e si era letteralmente scontrato con un uomo. Solo che quello era grosso il doppio di lui, perciò barcollò soltanto dopo lo scontro, mentre Kevin si ritrovò con il culo a terra in un batter di ciglia.

Stava per rialzarsi e scappare con la coda tra le gambe ad una velocità inaudita, ma si pietrificò seduta stante quando quel tizio grosso, calvo e barbuto gli puntò contro il fucile che teneva tra le mani. «Prova a scappare e ti trito, moccioso!»

Kevin si sentì morire dentro. Le sue gambe e braccia cedettero e gli sembrò di essere diventato un inutile ammasso di gelatina. Aprì la bocca, ma pure le parole gli morirono in gola. L’uomo lo afferrò per il colletto della felpa e lo issò in piedi con una facilità quasi allarmante. Sembrava un cucciolo di gatto sollevato per la collottola dalla madre. «Il capo sarà contento quando ti vedrà! Aveva proprio bisogno di carne fresca!»

«C-cosa?» riuscì a biascicare Kevin, per poi essere zittito da un’occhiata truce.

L’uomo lo condusse per la rete di vicoli finché non raggiunsero la strada. Qui, radunati intorno ad un pulmino scolastico, con decine di cadaveri sanguinolenti e mutilati ai loro piedi, si trovava uno stormo di ceffi dieci volte più brutti di quelli che Kevin aveva incontrato poco prima.

Venne trascinato per un braccio in mezzo a tutti loro. Gli uomini lo fissarono con sguardo famelico, desiderosi di poter mettere i loro denti su di lui. Kevin rabbrividì di nuovo e riprese a pensare ostinatamente di essere giunto alla fine. Venne condotto al cospetto di un uomo alto uno e novanta come minimo, ancora più grosso di quello che lo teneva bloccato. Aveva la barba corta e curata, i capelli altrettanto corti e castani. Era vestito con una divisa militare grigia e nera e teneva un fucile a tracolla. A differenza di tutti gli altri non si stava divertendo a massacrare i poveracci stesi a terra. Più che altro faceva da spettatore passivo.

«Ehi capo, guarda un po’ cos’ho trovato!» esordì l’uomo allegro, agitando il braccio della sua preda.

L’uomo, a quanto pare il capo, fissò attentamente lo scagnozzo, che stava sogghignando cattivo, poi spostò lo sguardo su di Kevin. Il ragazzino si sentì come folgorato da quegli occhi grigi e duri come la pietra. Lo osservò in silenzio per quelli che parvero secoli e secoli.

Intanto gli altri scagnozzi si erano radunati intorno a loro per vedere al meglio la scena. Tutti quanti agitavano le armi che tenevano in mano e dicevano la loro opinione.

Kevin ne sentì parecchie, tipo: «Spariamogli!»

 «Impicchiamolo!»

«Bruciamolo!»

«Picchiamolo a sangue!»

Kevin era diventato bianco come un lenzuolo e per poco non era svenuto sul colpo, suscitando così l’ilarità nei suoi aguzzini.

Alla fine fu il capo a riportare l’ordine, con un tono talmente autoritario che perfino un generale dei Marine si sarebbe zittito: «Silenzio!»

Il gruppetto smise di abbaiare e tacque istantaneamente. Quell’uomo sapeva davvero come imporre la sua autorità, si ritrovò a pensare Kevin ammirato, malgrado nel giro di pochi minuti lo avrebbe ucciso.

L’uomo prese la pistola che teneva nella fondina e fece scorrere il carrello all’indietro, poi si avvicinò a Kevin. Lo sovrastò di quindici centimetri buoni e lo fissò dall’alto. Kevin dovette attingere a tutte le sue forze per riuscire a reggere lo sguardo agghiacciante degli occhi grigi dell’uomo, che avvicinò la testa di scatto e la portò a pochissimi centimetri di distanza dalla sua, per poterlo osservare ancora più da vicino. Il ragazzino deglutì, ma non distolse lo sguardo.

Si fissarono a lungo, poi l’uomo abbozzò un tenue sorriso e si allontanò da lui. Sollevò la pistola e premette la canna contro la fronte di Kevin.

Il ragazzino gemette spaventato, ma non staccò gli occhi dall’uomo. Da quell’uomo che nel giro di poco tempo sarebbe diventato il suo assassino. Assassino che sarebbe rimasto impunito per sempre, agli occhi della legge. Un immagine dei suoi genitori che piangevano al suo funerale gli balenò per la mente. Per lo meno avrebbero finalmente dedicato un po’ di tempo a lui.

Lo sguardo dell’uomo era indecifrabile. Era freddo, ma nient’altro. Non coglieva tracce di cattiveria, sadico divertimento o crudeltà dentro di esso. Non coglieva nulla.

Il capo della banda avvicinò il dito al grilletto. Lo stormo di brutti ceffi si agitò, eccitato all’idea di vedere un’altra esecuzione, per di più del loro capo. Fu solo allora che Kevin chiuse gli occhi per non vederlo mentre poneva fine alla sua vita. Sentì il suo aguzzino dire: «Si purifichi con questo verme, capo!»

Non però vide l’uomo che allontanava di scatto il dito dal grilletto e colpiva violentemente con il calcio dell’arma la tempia di quel ceffo calvo che teneva bloccato Kevin. L’uomo crollò a terra facendo un verso di dolore, mentre Kevin, sentendo di nuovo il braccio libero, spalancò gli occhi sorpreso e si ritrovò quella scena di fronte. Il suo cuore cessò di battere per un istante, per la sorpresa.

Il gruppo intorno a lui si agitò di nuovo, sbigottito tanto quanto Kevin e l’uomo a terra, che si massaggiava la tempia gemendo, ma non fece nulla.

Il capo della banda guardò gli scagnozzi e accennò all’uomo a terra: «Sollevatelo e bloccatelo.»

Due uomini del gruppo, ancora piuttosto sorpresi, obbedirono e sollevarono l’uomo, per poi tenerlo bloccato per le braccia.

Quello se ne accorse e cominciò ad agitarsi, per poi guardare il suo capo in cerca di spiegazioni.«Ehi! Che cazzo vuole fare?! Ehi!»

L’uomo non rispose, puntò invece la pistola contro di Kevin. Il ragazzino sobbalzò e alzò le mani. L’altro abbozzò un altro sorriso, poi roteò la pistola con un abile gesto e si ritrovò a tenerla per la canna, mentre puntava verso di Kevin l’impugnatura.

Kevin lo fissò sbalordito mentre gli porgeva l’arma. Non ci stava capendo più niente.

«Prendila.» ordinò l’uomo.

Il ragazzino obbedì istantaneamente, quasi come in uno stato di trance. Chiuse la mano intorno all’impugnatura della pistola e l’uomo gliela cedette. Kevin si sorprese parecchio sentendo quanto pesante fosse quell’arma.

«E adesso...» incalzò l’uomo, portando l’indice contro l’uomo calvo e imprigionato dalla morsa degli altri. «...spara al tuo aguzzino.»

Kevin strabuzzò gli occhi. Il contatore del suo stupore ormai era schizzato dalle stelle a direttamente un altro universo. Prima voleva ucciderlo e adesso voleva che fosse lui stesso ad uccidere? Anche gli altri uomini cominciarono a porsi quella domanda, ma nessuno fece niente, si limitarono ad osservare Kevin e ad aspettare la sua mossa.

Sentendo tutti gli sguardi posati su di lui e la tensione salirgli vertiginosamente puntò l’arma contro il suo ex aguzzino, che lo incenerì con un’occhiataccia carica di odio. «Non oserai mica farlo, schifoso verme...»

La mano di Kevin tremò. Certo che no. Non avrebbe mai voluto ucciderlo. Non ne avrebbe mai avuto il coraggio. Lui non era come tutti gli altri, non sentiva il bisogno di uccidere per stare meglio. Non se la sentiva di porre fine ad un’altra vita. Nessuno ha il diritto di farlo. Ma ciò che non avrebbe mai voluto fare, era quello che invece quel branco di uomini assetati di sangue si aspettava da lui. Era con le mani legate.

Poi guardò meglio quell’uomo e quella sua espressione disgustata e di superiorità. Quell’espressione che gli ricordava molto, troppo, quella di Nicols. Il bastardo che lo aveva trascinato in quel casino. Colui che aveva quasi posto la parola fine alla sua vita. E per cosa? Per un paio di litigi a scuola? Perché era pazzo? Non era una scusa valida. Solo perché non ci stava con la testa, non significava che poteva fare una cosa del genere ad un ragazzo come lui. E poi, perché cazzo non era in un manicomio?

Kevin digrignò i denti mentre l’uomo lo insultava di nuovo, per nulla spaventato: «Allora merdina, cosa pensi di...»

«STA ZITTO STRONZO!» sbraitò Kevin ammutolendolo, suscitando altro stupore negli uomini intorno a lui e un altro sorriso nel capo della banda. Il ragazzo aveva perso la pazienza. Era stato insultato e maltrattato fin troppo in quell’ora. Adesso era lui ad avere il coltello dalla parte del manico. Non sapeva quanto sarebbe durata quella situazione, ma non gli importava. Se proprio era destinato a morire, voleva farlo dopo essersi sentito potente a sua volta. «Non sei nella posizione per insultarmi! Ho io la pistola in mano e tu sei quello bloccato! Come ci si sente? Eh?! E hai perfino il coraggio di insultarmi! Dovresti strisciare ai miei piedi e implorare pietà, non il contrario, testa di cazzo!»

Ad ogni parola del ragazzo, il capo dei ceffi accentuava il sorriso sul suo volto. Un sorriso quasi...orgoglioso.

L’uomo calvo si zittì completamente e impallidì. Farfugliò qualcosa di incomprensibile, al che Kevin sparò per aria, facendo sobbalzare l’uomo. Per poco la mano di Kevin non si ruppe per via del contraccolpo, ma il ragazzino strinse i denti e mantenne i nervi saldi. Ripuntò l’arma contro l’uomo e lo incalzò: «Allora?!»

L’ex aguzzino divenne cupo in volto. «Se pensi di potermi convincere ad abbassarmi al tuo livello allora ti sba...»

Kevin gli sparò addosso. Non voleva ucciderlo, solo ferirlo, magari colpendolo ad una gamba. Invece calcolò male la traiettoria. Il proiettile raggiunse l’uomo allo stomaco, facendogli emettere un grido straziante. Kevin sbiancò. L’uomo sputò sangue e la presa intorno alle sue braccia si allentò. Lo lasciarono andare e si accasciò a terra, continuando ad urlare come impazzito. Si portò entrambe le mani sulla pancia e cercò di ostacolare la perdita di sangue, mentre tutti quanti fissavano attoniti la scena, Kevin in primis. La pistola gli scivolò lentamente di mano e cadde a terra, mentre fissava inorridito il suo stesso operato. Aveva appena sparato ad un uomo, probabilmente ferendolo mortalmente. Se non avessero fatto qualcosa, quell’uomo sarebbe morto per causa sua. Si aspettò di vedere i ceffi andare a soccorrerlo e mettersi a cercare di ucciderlo per aver appena sparato in quel modo ad un loro compagno, ma nulla di tutto ciò accadde. Tutti quanti rimasero immobili, ad osservare Kevin, interdetti, stupiti, sorpresi.

Il capo della banda affiancò Kevin, poi prese un’altra pistola e sparò dritto nella testa pelata dell’uomo già ferito dal ragazzo. Le sue urla cessarono all’improvviso. Kevin sobbalzò e fissò inorridito tutta la scena. Poi il capo della banda gli sorrise e gli porse la mano: «Sono Troy, il capo di questi pazzoidi. Tu invece, ragazzo?»

A Kevin girò la testa. Strinse la mano di Troy per inerzia e rispose, con sguardo vitreo: «Kevin...»

Troy allargò il sorriso e si separò dalla stretta. Si rivolse a tutto il gruppo di uomini intorno a loro ed esordì allargando le braccia: «Signori...date il benvenuto al nostro nuovo componente!»

Credeva di aver raggiunto il limite al suo stupore. E invece no. Kevin cominciò seriamente a pensare di non trovarsi più sulla Terra e di essere finito in qualche dimensione parallela. Tutto quello era impossibile. Ridicolo, addirittura.

Fissò gli uomini intorno a lui, che lo fissavano sbigottiti a loro volta, poi, all’improvviso, un boato si levò in mezzo a loro e tutti quanti si ritrovarono ad acclamare ed esultare il nuovo membro del gruppo.

Quello era troppo. Il suo giovane cervello non riuscì più a reggere tutto quello a cui stava assistendo.

Kevin roteò gli occhi e svenne.

 

 

   
 
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