Capitolo
VI
Troy
Tempo rimasto alla fine dello Sfogo annuale: 11 ore
e 14 minuti.
Il furgone arrestò la sua marcia all’improvviso, facendo sbilanciare Dominick di lato. Lo sportello posteriore si aprì ed entrarono diversi tizi mascherati ed armati. Il ragazzo e tutti gli ostaggi vennero presi di forza e condotti fuori dal veicolo. Fecero il giro intorno al furgone e si ritrovarono davanti ad un paio di uomini vestiti eleganti. Dominick era ancora troppo stordito per accorgersi della mazzetta di soldi che quegli uomini consegnarono al ragazzino con la maschera bianca. Non appena quello prese i suoi soldi, il gruppo di pazzi mascherati si diradò. Salirono nuovamente sul furgone e sulle moto e se ne andarono da lì, abbandonando Dominick, l’uomo con i baffoni e gli altri ostaggi, altri tre uomini e tre donne, nelle grinfie degli uomini eleganti, che non persero un secondo e puntarono gli Mp5 contro di loro. Gli ostaggi alzarono le mani, ognuno di loro venne afferrato per la giacca o maglia e trascinato verso una porta chiusa. Uno degli aguzzini bussò tre volte e la porta venne aperta dall’interno, poi gli ostaggi furono spinti dentro l’edificio.
Incitati dalle armi puntate su di loro, Dominick e gli altri proseguirono per una fitta rete di corridoi spogli, con pareti, soffitto e pavimento di un bianco accecante. Ogni volta che rallentava, anche solo per pochi secondi, veniva puntellato dalla canna della mitraglietta dei suoi aguzzini e veniva costretto ad affrettare il passo. Notò che era lo stesso per tutti gli altri. Tutti quanti di tanto in tanto rallentavano il passo e venivano costretti con le armi a riprenderlo. Gli uomini e le due donne che si trovavano nella sua stessa situazione di tanto in tanto gemevano spaventati o singhiozzavano. Lui stesso si stava letteralmente torcendo in due per la paura. L’unico che proseguiva impassibile e a passo sostenuto, senza necessitare incitazioni da parte dei mitra degli aguzzini, era, di nuovo, l’uomo con i baffoni a manubrio. Questo proseguiva eretto in tutta la sua statura e a testa alta, per nulla spaventato. Come diavolo facesse ad essere così tranquillo, Dominick non riusciva a concepirlo.
Camminarono a lungo, poi raggiunsero una porta chiusa, che si aprì quasi immediatamente, rivelando quello che sembrava uno spoglio retroscena di un palcoscenico. Vennero afferrati di peso e messi in ginocchio davanti a quello che era per l’appunto un sipario chiuso. Da dietro di esso si sentiva provenire il vociare di diverse persone, musica classica e risate. Gli uomini eleganti si misero dietro di loro e tennero le armi sollevate, pronti a fare fuoco sul primo di loro che avesse dato segni di ribellione. Gli ostaggi rimasero inginocchiati e immobili, mentre il sipario di apriva lentamente di fronte a loro, rivelando uno spettacolo molto insolito per la notte dello Sfogo. O meglio, era insolito per Dominick, che non sapeva affatto che durante tutto l’arco di quella notte quello spettacolo si susseguiva regolarmente, in più zone della città.
Alla
sua visuale apparvero decine
e decine di tavoli rotondi e ben allestiti, intorno ai quali erano
seduti
molteplici uomini e donne, tutti vestiti eleganti e la maggior parte di
essi
con bicchieri pieni zeppi di champagne in mano. Tutti quanti fissavano
Dominick
e gli altri ostaggi con aria di sufficienza. Dom rabbrividì,
poi una donna
bionda e piuttosto avanti con gli anni, che si trovava sul palcoscenico
poco
lontana da loro, avvicinò il microfono che aveva in mano
alla bocca ed esordì
con tono gentile, che nascondeva tutta la sua maliziosità e
follia: «Molto
bene, gentili ospiti. Il primo lotto dell’asta è
finalmente arrivato.»
Un brusio di sottofondo andò a riempire
la stanza. Erano gli uomini seduti ai tavoli, che parlottavano tra loro
entusiasti. La donna accanto a Dominick singhiozzò,
così fecero la maggior
parte degli ostaggi, tranne l’uomo con i baffoni e lui.
«Come potete ben vedere, abbiamo otto
persone, tutte in ottima salute, pronte ad essere usate per purificare
le
vostre anime!» disse la donna porgendo un braccio verso Dom e
gli altri.
Un altro brusio si diffuse.
La donna fissò con lo sguardo pieno di
soddisfazione tutti quegli uomini e donne che facevano vagare lo
sguardo da un
ostaggio all’altro, domandandosi quale di loro sarebbe stato
il più facile da
ammazzare. Dominick era il più giovane, ma le tre donne
sembravano molto più
indifese di lui. L’uomo con i baffoni stonava in mezzo a quel
gruppetto. Era il
più grosso di tutti e messo a confronto con gli altri, la
sua stazza sembrava
ancora più imponente.
«Siccome questo è solamente il
primo
lotto...» riprese la donna avvicinando nuovamente il
microfono alla bocca. «...partiamo
con una base d’asta di centomila dollari!»
Dominick riuscì lentamente a mettere
insieme tutti i
pezzi. Un’asta. Lui e
gli ostaggi erano un lotto. Stavano per essere venduti. E quei tizi eleganti volevano
purificarsi.
«Oh cazzo...»
sussurrò, senza farsi
sentire. Cominciò a far vagare lo sguardo in ogni direzione,
alla ricerca di
una via di fuga, ma non appena si ricordò degli energumeni
dietro di lui che lo
tenevano sotto tiro, fu costretto a desistere.
Nel frattempo le prime mani cominciarono
ad alzarsi nella sala. Ad acquistare il primo lotto furono: due coppie
di un
uomo e una donna e un uomo con due ragazzi, probabilmente i suoi figli.
La donna sorrise e li acclamò con garbo:
«Molto bene! Abbiamo i signori Royce e Froid e le loro
graziosissime mogli
Katlina e Sasha.»
Gli uomini e le donne sollevarono i
calici colmi del liquido frizzante quando sentirono i loro nomi.
«E per finire abbiamo il signor Majestick
e i suoi cari figlioletti Josh e Greg!»
L’uomo sollevò la mano per
mettersi in
mostra e i due ragazzi, che dovevano avere su per giù
l’età di Dominick,
gonfiarono il petto pieni di orgoglio. Cosa ci fosse da essere
orgogliosi nello
stare per uccidere dei poveracci e un ragazzo con la loro stessa
età, non si
sapeva.
Dom fissò inorridito quei ricchi
psicopatici che da lì a poco avrebbero preso le loro vite.
«Molto bene, abbiamo i nostri
acquirenti!» sancì la donna, un sorriso gelato le
increspava il volto. «Prima
di cominciare la caccia, voglio ribadire che abbiamo aggiornato il
nostro assortimento.
Abbiamo introdotto molte armi interessanti, tra cui quella che vi
consiglio più
caldamente: la Lupara Calibro 12.» disse il nome
dell’arma con tono morbido,
quasi lo stesse accarezzando con la lingua. «E’
così perfetta che sembra
forgiata dagli angeli.»
Il sipario si richiuse lentamente
davanti agli ostaggi e la visuale di Dom sugli uomini eleganti venne
oscurata.
Cominciò a tremare, mentre accanto a lui gli ostaggi
riprendevano a
singhiozzare, poi gli uomini dietro di loro li afferrarono nuovamente
per le
giacche o maglie e li trascinarono via.
Sentì ancora la voce della donna
annunciare,
mentre il sipario la nascondeva: «Andate a prepararvi,
cacciatori, la vostra
purificazione avrà inizio tra quindici minuti.»
Di nuovo, Dominick rabbrividì, conscio
di cosa stava per accadergli e del fatto che possedesse solo
più quindici
minuti di vita. Guardò l’uomo con i baffi e, con
suo enorme stupore, lo trovò
perfettamente a proprio agio, senza alcuna traccia di paura nella sua
espressione, anche se pure la sua vita stesse per giungere al capolinea.
Cominciò
seriamente a credere che quel tipo
fosse fuori di testa.
***
Tempo
rimanente alla fine dello Sfogo annuale: 11 ore e 7 minuti.
Kevin proseguì la sua maratona del
terrore ancora per molto tempo. Ogni volta che sentiva dei passi, un
mormorio o
degli spari, cambiava totalmente direzione e non smetteva di correre,
se non per
brevissime pause. Ormai il trucco lo
aveva capito. Bastava muoversi in continuazione. Fu
una strategia che si rivelò efficace,
finché non capitò nel posto sbagliato al momento
sbagliato. Beh, quella notte
nessun posto e nessun momento erano giusti, però quella
volta ebbe davvero una
sfiga allucinante.
Stava correndo come aveva fatto fino a
un’ora prima, aveva svoltato l’angolo e si era
letteralmente scontrato con un
uomo. Solo che quello era grosso il doppio di lui, perciò
barcollò soltanto
dopo lo scontro, mentre Kevin si ritrovò con il culo a terra
in un batter di
ciglia.
Stava per rialzarsi e scappare con la
coda tra le gambe ad una velocità inaudita, ma si
pietrificò seduta stante
quando quel tizio grosso, calvo e barbuto gli puntò contro
il fucile che teneva
tra le mani. «Prova a scappare e ti trito,
moccioso!»
Kevin si sentì morire dentro. Le sue
gambe e braccia cedettero e gli sembrò di essere diventato
un inutile ammasso
di gelatina. Aprì la bocca, ma pure le parole gli morirono
in gola. L’uomo lo
afferrò per il colletto della felpa e lo issò in
piedi con una facilità quasi
allarmante. Sembrava un cucciolo di gatto sollevato per la collottola
dalla
madre. «Il capo sarà contento quando ti
vedrà! Aveva proprio bisogno di carne
fresca!»
«C-cosa?» riuscì a
biascicare Kevin, per
poi essere zittito da un’occhiata truce.
L’uomo lo condusse per la rete di vicoli
finché non raggiunsero la strada. Qui, radunati intorno ad
un pulmino
scolastico, con decine di cadaveri sanguinolenti e mutilati ai loro
piedi, si
trovava uno stormo di ceffi dieci volte più brutti di quelli
che Kevin aveva
incontrato poco prima.
Venne trascinato per un braccio in mezzo
a tutti loro. Gli uomini lo fissarono con sguardo famelico, desiderosi
di poter
mettere i loro denti su di lui. Kevin rabbrividì di nuovo e
riprese a pensare
ostinatamente di essere giunto alla fine. Venne condotto al cospetto di
un uomo
alto uno e novanta come minimo, ancora più grosso di quello
che lo teneva
bloccato. Aveva la barba corta e curata, i capelli altrettanto corti e
castani.
Era vestito con una divisa militare grigia e nera e teneva un fucile a
tracolla. A differenza di tutti gli altri non si stava divertendo a
massacrare
i poveracci stesi a terra. Più che altro faceva da
spettatore passivo.
«Ehi capo, guarda un po’
cos’ho trovato!»
esordì l’uomo allegro, agitando il braccio della
sua preda.
L’uomo, a quanto pare il capo,
fissò
attentamente lo scagnozzo, che stava sogghignando cattivo, poi
spostò lo
sguardo su di Kevin. Il ragazzino si sentì come folgorato da
quegli occhi grigi
e duri come la pietra. Lo osservò in silenzio per quelli che
parvero secoli e
secoli.
Intanto gli altri scagnozzi si erano
radunati intorno a loro per vedere al meglio la scena. Tutti quanti
agitavano
le armi che tenevano in mano e dicevano la loro opinione.
Kevin ne sentì parecchie, tipo:
«Spariamogli!»
«Impicchiamolo!»
«Bruciamolo!»
«Picchiamolo a sangue!»
Kevin era diventato bianco come un
lenzuolo e per poco non era svenuto sul colpo, suscitando
così l’ilarità nei
suoi aguzzini.
Alla fine fu il capo a riportare
l’ordine, con un tono talmente autoritario che perfino un
generale dei Marine
si sarebbe zittito: «Silenzio!»
Il gruppetto smise di abbaiare e tacque
istantaneamente. Quell’uomo sapeva davvero come imporre la
sua autorità, si
ritrovò a pensare Kevin ammirato, malgrado nel giro di pochi
minuti lo avrebbe
ucciso.
L’uomo prese la pistola che teneva nella
fondina e fece scorrere il carrello all’indietro, poi si
avvicinò a Kevin. Lo
sovrastò di quindici centimetri buoni e lo fissò
dall’alto. Kevin dovette
attingere a tutte le sue forze per riuscire a reggere lo sguardo
agghiacciante
degli occhi grigi dell’uomo, che avvicinò la testa
di scatto e la portò a
pochissimi centimetri di distanza dalla sua, per poterlo osservare
ancora più
da vicino. Il ragazzino deglutì, ma non distolse lo sguardo.
Si fissarono a lungo, poi l’uomo
abbozzò
un tenue sorriso e si allontanò da lui. Sollevò
la pistola e premette la canna
contro la fronte di Kevin.
Il ragazzino gemette spaventato, ma non
staccò gli occhi dall’uomo. Da
quell’uomo che nel giro di poco tempo sarebbe
diventato il suo assassino. Assassino che sarebbe rimasto impunito per
sempre,
agli occhi della legge. Un immagine dei suoi genitori che piangevano al
suo
funerale gli balenò per la mente. Per lo meno avrebbero
finalmente dedicato un
po’ di tempo a lui.
Lo sguardo dell’uomo era indecifrabile.
Era freddo, ma nient’altro. Non coglieva tracce di
cattiveria, sadico
divertimento o crudeltà dentro di esso. Non coglieva nulla.
Il capo della banda avvicinò il dito al
grilletto. Lo stormo di brutti ceffi si agitò, eccitato
all’idea di vedere
un’altra esecuzione, per di più del loro capo. Fu
solo allora che Kevin chiuse
gli occhi per non vederlo mentre poneva fine alla sua vita.
Sentì il suo
aguzzino dire: «Si purifichi con questo verme,
capo!»
Non però vide l’uomo che
allontanava di
scatto il dito dal grilletto e colpiva violentemente con il calcio
dell’arma la
tempia di quel ceffo calvo che teneva bloccato Kevin. L’uomo
crollò a terra
facendo un verso di dolore, mentre Kevin, sentendo di nuovo il braccio
libero,
spalancò gli occhi sorpreso e si ritrovò quella
scena di fronte. Il suo cuore
cessò di battere per un istante, per la sorpresa.
Il gruppo intorno a lui si agitò di
nuovo, sbigottito tanto quanto Kevin e l’uomo a terra, che si
massaggiava la
tempia gemendo, ma non fece nulla.
Il capo della banda guardò gli scagnozzi
e accennò all’uomo a terra: «Sollevatelo
e bloccatelo.»
Due uomini del gruppo, ancora piuttosto
sorpresi, obbedirono e sollevarono l’uomo, per poi tenerlo
bloccato per le
braccia.
Quello se ne accorse e cominciò ad
agitarsi, per poi guardare il suo capo in cerca di
spiegazioni.«Ehi! Che cazzo
vuole fare?! Ehi!»
L’uomo non rispose, puntò
invece la
pistola contro di Kevin. Il ragazzino sobbalzò e
alzò le mani. L’altro abbozzò
un altro sorriso, poi roteò la pistola con un abile gesto e
si ritrovò a tenerla
per la canna, mentre puntava verso di Kevin l’impugnatura.
Kevin lo fissò sbalordito mentre gli
porgeva l’arma. Non ci stava capendo più niente.
«Prendila.» ordinò
l’uomo.
Il ragazzino obbedì istantaneamente,
quasi come in uno stato di trance. Chiuse la mano intorno
all’impugnatura della
pistola e l’uomo gliela cedette. Kevin si sorprese parecchio
sentendo quanto
pesante fosse quell’arma.
«E adesso...»
incalzò l’uomo, portando
l’indice contro l’uomo calvo e imprigionato dalla
morsa degli altri. «...spara
al tuo aguzzino.»
Kevin strabuzzò gli occhi. Il contatore
del suo stupore ormai era schizzato dalle stelle a direttamente un
altro
universo. Prima voleva ucciderlo e adesso voleva che fosse lui stesso
ad
uccidere? Anche gli altri uomini cominciarono a porsi quella domanda,
ma
nessuno fece niente, si limitarono ad osservare Kevin e ad aspettare la
sua
mossa.
Sentendo tutti gli sguardi posati su di
lui e la tensione salirgli vertiginosamente puntò
l’arma contro il suo ex
aguzzino, che lo incenerì con un’occhiataccia
carica di odio. «Non oserai mica
farlo, schifoso verme...»
La mano di Kevin tremò. Certo che no.
Non avrebbe mai voluto ucciderlo. Non ne avrebbe mai avuto il coraggio.
Lui non
era come tutti gli altri, non sentiva il bisogno di uccidere per stare
meglio.
Non se la sentiva di porre fine ad un’altra vita. Nessuno ha
il diritto di
farlo. Ma ciò che non avrebbe mai voluto fare, era quello
che invece quel
branco di uomini assetati di sangue si aspettava da lui. Era con le
mani
legate.
Poi guardò meglio quell’uomo e
quella
sua espressione disgustata e di superiorità.
Quell’espressione che gli
ricordava molto, troppo, quella di Nicols. Il bastardo che lo aveva
trascinato
in quel casino. Colui che aveva quasi posto la parola fine alla sua
vita. E per
cosa? Per un paio di litigi a scuola? Perché era pazzo? Non
era una scusa
valida. Solo perché non ci stava con la testa, non
significava che poteva fare
una cosa del genere ad un ragazzo come lui. E poi, perché
cazzo non era in un
manicomio?
Kevin digrignò i denti mentre
l’uomo lo
insultava di nuovo, per nulla spaventato: «Allora merdina,
cosa pensi di...»
«STA ZITTO STRONZO!»
sbraitò Kevin
ammutolendolo, suscitando altro stupore negli uomini intorno a lui e un
altro
sorriso nel capo della banda. Il ragazzo aveva perso la pazienza. Era
stato
insultato e maltrattato fin troppo in quell’ora. Adesso era
lui ad avere il
coltello dalla parte del manico. Non sapeva quanto sarebbe durata
quella
situazione, ma non gli importava. Se proprio era destinato a morire,
voleva
farlo dopo essersi sentito potente a sua volta. «Non sei
nella posizione per
insultarmi! Ho io la pistola in mano e tu sei quello bloccato! Come ci
si
sente? Eh?! E hai perfino il coraggio di insultarmi! Dovresti
strisciare ai
miei piedi e implorare pietà, non il contrario, testa di
cazzo!»
Ad ogni parola del ragazzo, il capo dei
ceffi accentuava il sorriso sul suo volto. Un sorriso
quasi...orgoglioso.
L’uomo calvo si zittì
completamente e
impallidì. Farfugliò qualcosa di incomprensibile,
al che Kevin sparò per aria,
facendo sobbalzare l’uomo. Per poco la mano di Kevin non si
ruppe per via del
contraccolpo, ma il ragazzino strinse i denti e mantenne i nervi saldi.
Ripuntò
l’arma contro l’uomo e lo incalzò:
«Allora?!»
L’ex aguzzino divenne cupo in volto.
«Se
pensi di potermi convincere ad abbassarmi al tuo livello allora ti
sba...»
Kevin gli sparò addosso. Non voleva
ucciderlo, solo ferirlo, magari colpendolo ad una gamba. Invece
calcolò male la
traiettoria. Il proiettile raggiunse l’uomo allo stomaco,
facendogli emettere
un grido straziante. Kevin sbiancò. L’uomo
sputò sangue e la presa intorno alle
sue braccia si allentò. Lo lasciarono andare e si
accasciò a terra, continuando
ad urlare come impazzito. Si portò entrambe le mani sulla
pancia e cercò di
ostacolare la perdita di sangue, mentre tutti quanti fissavano attoniti
la
scena, Kevin in primis. La pistola gli scivolò lentamente di
mano e cadde a
terra, mentre fissava inorridito il suo stesso operato. Aveva appena
sparato ad
un uomo, probabilmente ferendolo mortalmente. Se non avessero fatto
qualcosa,
quell’uomo sarebbe morto per causa sua. Si aspettò
di vedere i ceffi andare a
soccorrerlo e mettersi a cercare di ucciderlo per aver appena sparato
in quel
modo ad un loro compagno, ma nulla di tutto ciò accadde.
Tutti quanti rimasero
immobili, ad osservare Kevin, interdetti, stupiti, sorpresi.
Il capo della banda affiancò Kevin, poi
prese un’altra pistola e sparò dritto nella testa
pelata dell’uomo già ferito
dal ragazzo. Le sue urla cessarono all’improvviso. Kevin
sobbalzò e fissò
inorridito tutta la scena. Poi il capo della banda gli sorrise e gli
porse la
mano: «Sono Troy, il capo di questi pazzoidi. Tu invece,
ragazzo?»
A Kevin girò la testa. Strinse la mano
di Troy per inerzia e rispose, con sguardo vitreo:
«Kevin...»
Troy allargò il sorriso e si
separò
dalla stretta. Si rivolse a tutto il gruppo di uomini intorno a loro ed
esordì
allargando le braccia: «Signori...date il benvenuto al nostro
nuovo componente!»
Credeva di aver raggiunto il limite al
suo stupore. E invece no. Kevin cominciò seriamente a
pensare di non trovarsi
più sulla Terra e di essere finito in qualche dimensione
parallela. Tutto
quello era impossibile. Ridicolo, addirittura.
Fissò gli uomini intorno a lui, che lo
fissavano sbigottiti a loro volta, poi, all’improvviso, un
boato si levò in
mezzo a loro e tutti quanti si ritrovarono ad acclamare ed esultare il
nuovo
membro del gruppo.
Quello era troppo. Il suo giovane
cervello non riuscì più a reggere tutto quello a
cui stava assistendo.
Kevin roteò gli occhi e svenne.