Capitolo 3.
Tom Johnson
Il giorno
successivo Harm si recò in ospedale nel primo mattino. La
situazione purtroppo
non era cambiata rispetto alla sera precedente. Trascorse alcuni minuti
al
capezzale di Mattie e le raccontò di San Diego, del suo
lavoro alla base Nato, della
gravidanza di Sarah e di quanto sarebbe piaciuto loro che lei li
andasse a
trovare appena fosse arrivata la sua sorellina o il suo fratellino.
Non poteva
fare molto per aiutare quella ragazzina dal punto di vista medico,
pertanto la
lasciò nelle sapienti mani del personale sanitario.
Però indubbiamente poteva
intanto cercare suo padre. La sua licenza non gli permetteva di perdere
tempo. Per
prima cosa noleggiò un’auto, così da
potersi muovere per la città in modo
indipendente. Partì dal magazzino dove Tom lavorava e
lì alcuni colleghi gli
dissero che non lo vedevano dal giorno dell’incidente. Rabb
temeva di sapere
dove avrebbe potuto trovare Johnson: la tragedia che aveva colpito sua
figlia
doveva aver rappresentato un terremoto devastante per il suo fragile
equilibrio, faticosamente raggiunto dopo mesi di disintossicazione. E
la
tentazione di cercare rifugio nell’oblio dell’alcol
doveva essere stata
irresistibile.
Washington
offriva una scelta decisamente troppo ampia di bar e locali e le chance
di
individuare immediatamente Johnson erano scarse. In ogni caso, Harm non
voleva
nemmeno che Mattie si svegliasse da sola in quel letto di ospedale,
senza un
volto amico accanto a sé. Decise dunque di ritornare a
Blacksburg e di
dedicarsi a quella ragazzina.
Mangiò
un
sandwich al volo, rigorosamente vegetariano, nel bar
dell’ospedale e si avviò
di nuovo verso il reparto di terapia intensiva. L’infermiera
Wilson lo
riconobbe e lo accolse con un sorriso: “Venga, signor Rabb, i
parametri vitali
di Mattie stanno dando segnali incoraggianti!”
Harm si
precipitò nella camera e si sedette di nuovo accanto al
letto. Le prese una
mano e le parlò con dolcezza: “Andiamo, Mattie,
sono qui con te. Prova ad
aprire gli occhi, forza…”
I monitor
indicarono un cambiamento dell’attività cerebrale
per alcuni minuti, poi ritornarono
di nuovo alla loro calma piatta. Harm sospirò.
“Signor
Rabb, deve avere pazienza. Vedrà che si sveglierà
appena sarà abbastanza forte
da farlo. Il corpo umano segue dei percorsi non sempre spiegabili
scientificamente e ha i propri tempi” lo consolò
il dottor Daniels. Harm non si
era nemmeno reso conto che il medico fosse entrato nella stanza.
“Possiamo
comunque essere moderatamente ottimisti. Sta facendo piccoli progressi
ogni
giorno e questo è un buon segno. Dovremo però
prendere delle decisioni appena
vedremo quali saranno le sue effettive condizioni al risveglio. Dalla
cartella
clinica della signorina Johnson sappiamo che la madre è
deceduta anni fa e non
abbiamo più visto suo padre. Lei ha la tutela
legale?”
Harm scosse
la testa. “Sono stato il tutore di Mattie quando suo padre si
stava
disintossicando, ma da un po’ si era rimesso in riga e aveva
ripreso il suo
ruolo genitoriale. Lo sto cercando anche io, ma finora non ho avuto
successo.”
“Capisco”
fu
l’unico commento del medico. Poi riprese: “Se trova
il signor Johnson, gli dica
di contattarmi quanto prima” Detto questo, si
congedò e uscì dalla stanza,
lasciando Harm in compagnia dei suoi pensieri e del beep emesso dai
macchinari
che monitoravano lo stato di Mattie.
Nei due
giorni successivi l’unico cambiamento fu rappresentato dalla
telefonata che
Harm ricevette dal suo superiore. Questi gli concesse di rimanere a
Washington
solo a patto che si fosse appoggiato alla base Nato della capitale per
poter riprendere
quanto prima a lavorare da lì. Si organizzò con
la sua assistente affinché gli
inviasse i fascicoli dei casi di cui si stava occupando e si mise in
contatto
con un collega per attivare in poche ore una postazione con una
scrivania, un
telefono e una presa per il suo portatile. Non era certo il massimo, ma
questo
almeno gli permetteva di stare accanto a Mattie. Era preoccupato anche
per sua
moglie, ma ogni sera parlavano a lungo al telefono e lei stessa gli
aveva ricordato
che il suo posto al momento era accanto a quella ragazzina. Sarah era
un marine
e se la sarebbe cavata anche al settimo mese di gravidanza. E comunque
non
sarebbe stata da sola nell’assolata San Diego: avrebbe sempre
potuto contare su
Jennifer e sui Burnett.
Il resto
della settimana trascorse in modo frenetico. Harm sfruttava le tre ore
di
differenza di fuso orario per rimanere con Mattie la mattina e lavorare
la sera
fino a tardi, per poi farsi qualche giro nei bar alla ricerca di Tom
Johnson,
riducendo drasticamente le ore di sonno.
Quando ormai
stava per perdere le speranze, finalmente lo individuò in un
locale squallido
in cui l’odore acre di liquori di pessima qualità
si mischiava a quello di
sudore e di fumo, creando una combinazione vomitevole che
colpì Harm come un gancio
destro sferrato violentemente alla bocca dello stomaco, togliendogli
quasi il
respiro. Tom Johnson era seduto al bancone e con sguardo vacuo fissava
il
bicchiere contenente un liquido ambrato. Harm riuscì a
stento a trattenersi dal
prenderlo a pugni. Gli si sedette vicino, gli mise una mano su un
braccio e gli
disse: “Johnson, hai bevuto abbastanza. Andiamo, vedi di fare
il padre almeno
per una volta nella tua vita”
“Ah,
guarda
chi è arrivato… il comandante Harmon Rabb, il
cavaliere puro dall’armatura
scintillante… ma chi ti credi di essere, eh? Vieni qui e
pretendi di darmi
lezioni su come si fa il genitore…” gli rispose
con una voce strascicata, la
lingua impastata da chissà quanto alcol e gli occhi
iniettati di sangue.
“Mattie
ha bisogno
di te, Tom” riprese Harm.
“E’
ancora
in coma?” gli chiese, tenendo lo sguardo basso.
“Sì
e le
serve suo padre” replicò Rabb, tentando di
controllare la rabbia.
“Io
non sono
di nessuna utilità” ammise Tom. “Non
sono in grado di aiutarla, Rabb. Guardami,
sono un completo fallimento” aggiunse, abbassando il tono
della voce.
“Johnson,
Mattie ha bisogno di suo padre, ha bisogno di qualcuno che la aiuti a
risvegliarsi. Non puoi abbandonarla adesso” cercò
di nuovo di convincerlo, ma
Tom scosse la testa e lo interruppe: “Se ci tieni tanto,
è tutta tua, Rabb. E
ora vattene e lasciami in pace, voglio finire il mio whisky”
Harm lo
guardò per pochi secondi, poi si alzò e si
allontanò, sconfitto. Sentiva tutta
la stanchezza di quei giorni pesargli sulle spalle come un macigno.
Appena
fuori da quel sudicio bar, prese un respiro profondo e cercò
di ripulire
polmoni, cuore e cervello dalla schifezza che aveva respirato.
L’aria fresca lo
aiutò a far chiarezza nella sua mente e capì che
gli rimaneva solo una cosa da
fare: parlare con sua moglie, con la roccia della sua vita.
La consueta
telefonata serale con Sarah fu più lunga del solito. Sin dal
tono della voce
con cui l’aveva salutata, Mac si era resa conto che
c’era qualcosa che non
andava.
“Harm,
è
successo qualcosa a Mattie?” gli chiese preoccupata.
“No,
non è
cambiato niente… è ancora in coma. Ma ho
rintracciato suo padre. Mac, lui…”
sospirò. Non riusciva a capacitarsi di come un genitore
potesse rinunciare a
una figlia. Lui non lo avrebbe mai fatto. Scosse la testa e riprese:
“Se ne è
lavato le mani, Sarah”
Da ex
alcolista, Sarah poteva comprendere almeno in parte lo stato
d’animo di
Johnson, il suo senso di fallimento e di inadeguatezza. Ma da quasi
mamma
sentiva che non avrebbe mai potuto abbandonare la sua creatura. E
quella
ragazzina le faceva una gran pena: il destino si era accanito fin
troppo contro
di lei.
“Harm,
dobbiamo prenderci cura di lei. Possiamo avviare le pratiche per
richiederne la
custodia legale. Te l’hanno concessa quando eri da solo,
vedrai che adesso che
siamo sposati sarà più semplice. Puoi rivolgerti
a Bud affinché ti rappresenti
in Tribunale, sono sicura che sarà più che felice
di aiutarci” disse Sarah, con
un tono di voce dolce ma deciso.
Il marine e
la moglie erano entrati in azione!
Harm chiuse
gli occhi per trattenere le lacrime e formulò una silenziosa
preghiera nella
sua mente, ringraziando il cielo per avergli donato una donna
straordinaria
come Mac.
“Hai
idea di
quanto ti amo?” le disse sottovoce, temendo di svelare quanto
le parole di sua
moglie lo avessero commosso.
“Mai
quanto
ti amiamo io e tuo figlio” gli rispose Sarah, accarezzandosi
la pancia in un
gesto che ormai le era diventato spontaneo.
“O mia
figlia” replicò Harm.
Nota
dell’autrice
Harm
è riuscito a trovare Johnson, ma
quest’ultimo non ha intenzione di occuparsi di sua figlia.
Fortunatamente,
dalla costa occidentale del paese arriva la soluzione: saranno i
coniugi Rabb
ad accogliere Mattie nella loro famiglia.
Ora basta solo
che si svegli…
Grazie per aver
letto anche questo
capitolo!
Al prossimo,
Deb