Capitolo 2.
Mattie
Harm
impallidì. Vedendo la sua reazione, Mac si
precipitò accanto a lui.
“Come
sta
Mattie?” riuscì a chiedere
all’infermiera Wilson con voce strozzata
dall’angoscia.
“E’
in coma,
signore. Ha subito una lesione spinale in seguito a un incidente
durante una
lezione di volo. Il suo aereo è precipitato e
l’istruttore è morto sul colpo. Suo
padre è stato con lei la prima sera, poi è
sparito e sono due giorni che non lo
vediamo. Mi scusi se mi sono permessa, signore, ma la situazione
è seria.”
“Ha
fatto
bene a chiamare. Sarò da Mattie domani in
giornata.” Rispose risoluto Harm e
riagganciò.
Mac
abbracciò suo marito, che si appoggiò su di lei.
Quella notizia lo aveva
annichilito, tanto che sembrò essere invecchiato di dieci
anni in un minuto. Da
diverso tempo, Mattie si era riavvicinata a suo padre e le cose stavano
andando
bene fra loro: Tom Johnson si manteneva sobrio e aveva un lavoro
stabile, così
che la ragazzina era potuta tornare alla vita da adolescente che si
meritava di
vivere. Con Harm e Mac si sentivano ogni settimana al telefono. Aveva
accolto
con grandissimo entusiasmo la notizia che presto avrebbe avuto un
ottimo motivo
per tornare in California dopo il matrimonio dei Rabb: la nascita del
bambino
(o della bambina) di Harm e Mac era prevista per
quell’estate.
“Le
abbiamo
parlato solo pochi giorni fa…” disse Rabb, ancora
stordito dalla telefonata che
aveva ricevuto. “Era così felice per quelle
lezioni di volo… diceva che avremmo
volato insieme. Le avevo promesso di farle fare un giro su Sarah la
prossima
volta che veniva a trovarci…”
Mac si
strinse al marito. Anche lei era molto affezionata a quella ragazzina,
ma
doveva ammettere che Harm nutriva un profondo amore paterno per lei.
Proprio
vedendolo alle prese con Mattie, Sarah aveva avuto la conferma che
sarebbe
stato un padre meraviglioso anche per la creatura che stava portando in
grembo,
per il loro miracolo di Natale.
“Ti
cerco il
primo aereo per Washington. Tu intanto chiama il tuo superiore e
comunicagli la
tua situazione. Vedrai che non ti negherà una
licenza.”
Rabb fu
grato al senso pratico della moglie, che contattò
immediatamente l’aeroporto
internazionale di San Diego. Il primo volo sarebbe partito la mattina
dopo alle
6.30, così che prima di sera Harm avrebbe potuto raggiungere
l’ospedale di
Blacksburg. Nel frattempo, suo marito telefonò al suo
superiore, il quale gli
concesse solo tre giorni, poi avrebbero dovuto trovare
un’altra soluzione. In
mancanza di meglio, Rabb lo ringraziò e si
congedò da lui.
In tutto
questo turbinio di eventi, l’affascinante aviatore aveva
quasi dimenticato di
avere una moglie incinta.
Le
accarezzò
il volto e le disse: “Sarah, perdonami. Non ti ho nemmeno
chiesto se vuoi
venire, anche se nel tuo stato preferirei saperti qui”
“Non
ti
preoccupare, marinaio. Ti aspetto a casa e, se avessi bisogno di
qualsiasi
cosa, c’è Coates e ci sono i tuoi genitori. Ah,
dovremmo avvertire Jennifer, anche
lei è molto legata a Mattie. Ma lo faccio io domattina di
persona. Adesso
cerchiamo di riposare almeno un po’: i prossimi giorni
saranno faticosi per te.”
Il volo da
San Diego a Washington gli sembrò infinito. Aveva percorso
quella tratta
numerose volte in entrambe le direzioni, sia per lavoro sia per andare
a
trovare sua madre e Frank nei lunghi anni trascorsi al JAG. A
quell’altitudine
si sentiva sempre a suo agio, ma mai prima d’ora gli era
pesato così tanto. Con
una mano strinse nervosamente uno dei braccioli e con l’altra
afferrò il
bicchiere che la giovane assistente di volo gli aveva servito poco
prima,
accompagnandolo con un sorriso seducente e uno sguardo ammiccante che
la dicevano
lunga su quanto quel passeggero l’avesse affascinata, ma che
non sortirono
alcun effetto su quest’ultimo, con grande disappunto della
donna. Sorseggiando
quel liquido ambrato, la sua mente gli riproponeva di continuo immagini
di
momenti passati con Mattie: quando aveva lavorato per lei alla Grace
Aviation,
la prima volta che lei aveva incontrato Chegwidden, chiamandolo
“pelato”, il
Natale che avevano trascorso insieme, quando Mac aveva convinto suo
padre a
concentrarsi sulla riabilitazione e a lasciarla sotto la tutela di
Harm. E
adesso, quella ragazzina vivace e intelligente, che la vita aveva
già messo
duramente alla prova privandola della madre e facendola crescere fin
troppo in
fretta, si trovava da sola in un letto d’ospedale e per di
più in condizioni
serie.
Quando
finalmente il velivolo toccò la pista del Dulles, Harm
tirò un sospiro di
sollievo. Ormai mancavano pochi minuti e finalmente avrebbe potuto
prendersi
cura di Mattie. E capire dove fosse finito suo padre e cosa diavolo
avesse
combinato.
All’uscita
dalla hall degli arrivi, Rabb si diresse spedito verso la fila dei taxi
e salì
sul primo disponibile, chiedendogli di portarlo a Blacksburg.
Ripensandoci,
forse avrebbe dovuto noleggiare un’auto per avere maggiore
libertà di movimento,
ma si disse che se ne sarebbe occupato il giorno successivo.
Si era
appena accomodato sul sedile posteriore quando sentì
squillare il cellulare.
Pensò che si trattasse di sua moglie che voleva sapere come
fosse andato il
volo. Invece sul display comparve il numero dei Roberts.
“Rabb”
rispose automaticamente.
“Harm?
Sono
Harriett. Ho appena parlato con Mac. Vuoi venire a stare da
noi?” gli chiese
con la consueta dolcezza e il suo tipico senso pratico, rafforzato dal
suo
ruolo di madre di una famiglia molto numerosa e decisamente
matriarcale.
“Ciao
Harriett, ti ringrazio ma ho prenotato una stanza in un albergo poco
distante
dall’ospedale di Blacksburg” rispose Harm.
“Ti va
comunque
di venire a cena qui? Dovrai pur mangiare” insistette la
signora Roberts.
“Voglio
prima
vedere come sta, Harriett. Ti dispiace se ti chiamo più
tardi?”
“Certo,
non
ti preoccupare. Ricordati che puoi contare su di noi, ok?”
Si
salutarono e Harm mentalmente ringraziò il cielo per avergli
donato degli amici
come Bud e Harriett Roberts, sui quali avrebbe sempre potuto fare
affidamento.
Giunto di
fronte all’ospedale, Rabb pagò il tassista e si
diresse velocemente verso il
reparto di terapia intensiva. Si fermò al punto informazioni
e si presentò:
“Sono Harmon Rabb, sono qui per Matilda Johnson”
disse semplicemente, senza
sfoderare né il suo grado né il suo fascino. In
un altro tempo e in un’altra
situazione, avrebbe sfoggiato il suo sorriso brevettato, che avrebbe
indubbiamente fatto una strage fra le infermiere, ma in quel momento
quel
pensiero non gli attraversò nemmeno l’anticamera
del cervello.
“Buonasera
signor Rabb, sono l’infermiera Wilson, ci siamo sentiti ieri
sera” gli rispose
una signora bionda, di un’età indefinibile, ma
dallo sguardo buono. “La
accompagno dalla paziente, poi potrà parlare con il medico
che la sta seguendo”
Harm
annuì e
la seguì nel corridoio verso la stanza di Mattie.
Aprendo la
porta della camera, la vide e temette che il suo cuore si fermasse.
Aveva il
volto e le braccia coperte dalle escoriazioni e un collare le teneva
immobile
la testa. Perse il conto dei tubi che collegavano quel corpicino ai
macchinari.
Gli sembrò ancora più minuta in quel letto,
circondata da aggeggi elettronici
che monitoravano costantemente il suo stato ed emettevano dei beep
inquietanti.
Si sedette
sulla sedia vicina al suo capezzale e le prese delicatamente una mano
fra le
sue.
“Ciao,
Mattie, sono Harm…” le disse dolcemente. Poi si
voltò verso l’infermiera Wilson
e le chiese: “Quando uscirà dal coma?”
“Non
lo
possiamo sapere. Potrebbe svegliarsi fra 5 minuti o fra 5
giorni… o anche
oltre. Però le posso dire che adesso non sta
soffrendo” gli rispose, cercando
di confortarlo in qualche modo.
“Ha
mai
ripreso conoscenza?” si informò Rabb.
L’infermiera
scosse la testa, poi aggiunse: “Credo che abbia perso i sensi
appena l’aereo è
precipitato.”
“Quali
conseguenze potrebbe avere?”
“A
questa
domanda posso risponderle io” annunciò una voce
maschile dalla porta della
stanza di Mattie. “Sono il dottor Daniels. Lei è
il tutore di Matilda?”
Harm si
alzò
e strinse la mano al medico: “Piacere, dottore. Sono il
Comandante Harmon Rabb.
Sono stato il tutore di Mattie in passato e sono rimasto in contatto
con lei,
anche dopo che è tornata a vivere con suo padre. Come
sta?”
“La
situazione è stazionaria. Purtroppo non sappiamo quali
saranno le conseguenze della
lesione spinale finché Mattie non riprende conoscenza.
Potrebbe avere seri
problemi di deambulazione, con una paralisi più o meno
permanente degli arti
inferiori” dichiarò Daniels con tono asciutto.
Harm chiuse
gli occhi davanti a quella diagnosi lapidaria e pregò il
cielo che la sua
piccola Mattie uscisse presto dal coma e non riportasse danni
irreparabili.
Nota
dell’autrice
Quella
telefonata ha riportato Harm a
Washington con il cuore assai più pesante di quando aveva
lasciato la capitale a
dicembre, dopo il loro miracolo di Natale: la situazione di Mattie
è seria e
suo padre è sparito.
Grazie di cuore
per l’affetto con cui
avete accolto questa storia e per aver letto anche il secondo capitolo!
Al prossimo,
Deb