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Autore: germangirl    24/03/2015    5 recensioni
Harm, Mac, un bimbo in arrivo e una telefonata da Washington.
Ovvero: la vita e le sue imprevedibili conseguenze.
Seguito di “Tutta colpa del lago dorato”
Questa storia fa parte della serie 'Il lago dorato'
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Matilda 'Mattie' Johnson, Sarah 'Mac' MacKenzie, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2. Mattie

 

Harm impallidì. Vedendo la sua reazione, Mac si precipitò accanto a lui.

“Come sta Mattie?” riuscì a chiedere all’infermiera Wilson con voce strozzata dall’angoscia.

“E’ in coma, signore. Ha subito una lesione spinale in seguito a un incidente durante una lezione di volo. Il suo aereo è precipitato e l’istruttore è morto sul colpo. Suo padre è stato con lei la prima sera, poi è sparito e sono due giorni che non lo vediamo. Mi scusi se mi sono permessa, signore, ma la situazione è seria.”

“Ha fatto bene a chiamare. Sarò da Mattie domani in giornata.” Rispose risoluto Harm e riagganciò.

Mac abbracciò suo marito, che si appoggiò su di lei. Quella notizia lo aveva annichilito, tanto che sembrò essere invecchiato di dieci anni in un minuto. Da diverso tempo, Mattie si era riavvicinata a suo padre e le cose stavano andando bene fra loro: Tom Johnson si manteneva sobrio e aveva un lavoro stabile, così che la ragazzina era potuta tornare alla vita da adolescente che si meritava di vivere. Con Harm e Mac si sentivano ogni settimana al telefono. Aveva accolto con grandissimo entusiasmo la notizia che presto avrebbe avuto un ottimo motivo per tornare in California dopo il matrimonio dei Rabb: la nascita del bambino (o della bambina) di Harm e Mac era prevista per quell’estate.

“Le abbiamo parlato solo pochi giorni fa…” disse Rabb, ancora stordito dalla telefonata che aveva ricevuto. “Era così felice per quelle lezioni di volo… diceva che avremmo volato insieme. Le avevo promesso di farle fare un giro su Sarah la prossima volta che veniva a trovarci…”

Mac si strinse al marito. Anche lei era molto affezionata a quella ragazzina, ma doveva ammettere che Harm nutriva un profondo amore paterno per lei. Proprio vedendolo alle prese con Mattie, Sarah aveva avuto la conferma che sarebbe stato un padre meraviglioso anche per la creatura che stava portando in grembo, per il loro miracolo di Natale.

“Ti cerco il primo aereo per Washington. Tu intanto chiama il tuo superiore e comunicagli la tua situazione. Vedrai che non ti negherà una licenza.”

Rabb fu grato al senso pratico della moglie, che contattò immediatamente l’aeroporto internazionale di San Diego. Il primo volo sarebbe partito la mattina dopo alle 6.30, così che prima di sera Harm avrebbe potuto raggiungere l’ospedale di Blacksburg. Nel frattempo, suo marito telefonò al suo superiore, il quale gli concesse solo tre giorni, poi avrebbero dovuto trovare un’altra soluzione. In mancanza di meglio, Rabb lo ringraziò e si congedò da lui.

In tutto questo turbinio di eventi, l’affascinante aviatore aveva quasi dimenticato di avere una moglie incinta.

Le accarezzò il volto e le disse: “Sarah, perdonami. Non ti ho nemmeno chiesto se vuoi venire, anche se nel tuo stato preferirei saperti qui”

“Non ti preoccupare, marinaio. Ti aspetto a casa e, se avessi bisogno di qualsiasi cosa, c’è Coates e ci sono i tuoi genitori. Ah, dovremmo avvertire Jennifer, anche lei è molto legata a Mattie. Ma lo faccio io domattina di persona. Adesso cerchiamo di riposare almeno un po’: i prossimi giorni saranno faticosi per te.”

 

Il volo da San Diego a Washington gli sembrò infinito. Aveva percorso quella tratta numerose volte in entrambe le direzioni, sia per lavoro sia per andare a trovare sua madre e Frank nei lunghi anni trascorsi al JAG. A quell’altitudine si sentiva sempre a suo agio, ma mai prima d’ora gli era pesato così tanto. Con una mano strinse nervosamente uno dei braccioli e con l’altra afferrò il bicchiere che la giovane assistente di volo gli aveva servito poco prima, accompagnandolo con un sorriso seducente e uno sguardo ammiccante che la dicevano lunga su quanto quel passeggero l’avesse affascinata, ma che non sortirono alcun effetto su quest’ultimo, con grande disappunto della donna. Sorseggiando quel liquido ambrato, la sua mente gli riproponeva di continuo immagini di momenti passati con Mattie: quando aveva lavorato per lei alla Grace Aviation, la prima volta che lei aveva incontrato Chegwidden, chiamandolo “pelato”, il Natale che avevano trascorso insieme, quando Mac aveva convinto suo padre a concentrarsi sulla riabilitazione e a lasciarla sotto la tutela di Harm. E adesso, quella ragazzina vivace e intelligente, che la vita aveva già messo duramente alla prova privandola della madre e facendola crescere fin troppo in fretta, si trovava da sola in un letto d’ospedale e per di più in condizioni serie.  

Quando finalmente il velivolo toccò la pista del Dulles, Harm tirò un sospiro di sollievo. Ormai mancavano pochi minuti e finalmente avrebbe potuto prendersi cura di Mattie. E capire dove fosse finito suo padre e cosa diavolo avesse combinato.

All’uscita dalla hall degli arrivi, Rabb si diresse spedito verso la fila dei taxi e salì sul primo disponibile, chiedendogli di portarlo a Blacksburg. Ripensandoci, forse avrebbe dovuto noleggiare un’auto per avere maggiore libertà di movimento, ma si disse che se ne sarebbe occupato il giorno successivo.

Si era appena accomodato sul sedile posteriore quando sentì squillare il cellulare. Pensò che si trattasse di sua moglie che voleva sapere come fosse andato il volo. Invece sul display comparve il numero dei Roberts.

“Rabb” rispose automaticamente.

“Harm? Sono Harriett. Ho appena parlato con Mac. Vuoi venire a stare da noi?” gli chiese con la consueta dolcezza e il suo tipico senso pratico, rafforzato dal suo ruolo di madre di una famiglia molto numerosa e decisamente matriarcale.

“Ciao Harriett, ti ringrazio ma ho prenotato una stanza in un albergo poco distante dall’ospedale di Blacksburg” rispose Harm.

“Ti va comunque di venire a cena qui? Dovrai pur mangiare” insistette la signora Roberts.

“Voglio prima vedere come sta, Harriett. Ti dispiace se ti chiamo più tardi?”

“Certo, non ti preoccupare. Ricordati che puoi contare su di noi, ok?”

Si salutarono e Harm mentalmente ringraziò il cielo per avergli donato degli amici come Bud e Harriett Roberts, sui quali avrebbe sempre potuto fare affidamento.

Giunto di fronte all’ospedale, Rabb pagò il tassista e si diresse velocemente verso il reparto di terapia intensiva. Si fermò al punto informazioni e si presentò: “Sono Harmon Rabb, sono qui per Matilda Johnson” disse semplicemente, senza sfoderare né il suo grado né il suo fascino. In un altro tempo e in un’altra situazione, avrebbe sfoggiato il suo sorriso brevettato, che avrebbe indubbiamente fatto una strage fra le infermiere, ma in quel momento quel pensiero non gli attraversò nemmeno l’anticamera del cervello.

“Buonasera signor Rabb, sono l’infermiera Wilson, ci siamo sentiti ieri sera” gli rispose una signora bionda, di un’età indefinibile, ma dallo sguardo buono. “La accompagno dalla paziente, poi potrà parlare con il medico che la sta seguendo”

Harm annuì e la seguì nel corridoio verso la stanza di Mattie.

Aprendo la porta della camera, la vide e temette che il suo cuore si fermasse. Aveva il volto e le braccia coperte dalle escoriazioni e un collare le teneva immobile la testa. Perse il conto dei tubi che collegavano quel corpicino ai macchinari. Gli sembrò ancora più minuta in quel letto, circondata da aggeggi elettronici che monitoravano costantemente il suo stato ed emettevano dei beep inquietanti.

Si sedette sulla sedia vicina al suo capezzale e le prese delicatamente una mano fra le sue.

“Ciao, Mattie, sono Harm…” le disse dolcemente. Poi si voltò verso l’infermiera Wilson e le chiese: “Quando uscirà dal coma?”

“Non lo possiamo sapere. Potrebbe svegliarsi fra 5 minuti o fra 5 giorni… o anche oltre. Però le posso dire che adesso non sta soffrendo” gli rispose, cercando di confortarlo in qualche modo.

“Ha mai ripreso conoscenza?” si informò Rabb.

L’infermiera scosse la testa, poi aggiunse: “Credo che abbia perso i sensi appena l’aereo è precipitato.”

“Quali conseguenze potrebbe avere?”

“A questa domanda posso risponderle io” annunciò una voce maschile dalla porta della stanza di Mattie. “Sono il dottor Daniels. Lei è il tutore di Matilda?”

Harm si alzò e strinse la mano al medico: “Piacere, dottore. Sono il Comandante Harmon Rabb. Sono stato il tutore di Mattie in passato e sono rimasto in contatto con lei, anche dopo che è tornata a vivere con suo padre. Come sta?”

“La situazione è stazionaria. Purtroppo non sappiamo quali saranno le conseguenze della lesione spinale finché Mattie non riprende conoscenza. Potrebbe avere seri problemi di deambulazione, con una paralisi più o meno permanente degli arti inferiori” dichiarò Daniels con tono asciutto.

Harm chiuse gli occhi davanti a quella diagnosi lapidaria e pregò il cielo che la sua piccola Mattie uscisse presto dal coma e non riportasse danni irreparabili.

 

Nota dell’autrice

Quella telefonata ha riportato Harm a Washington con il cuore assai più pesante di quando aveva lasciato la capitale a dicembre, dopo il loro miracolo di Natale: la situazione di Mattie è seria e suo padre è sparito.

Grazie di cuore per l’affetto con cui avete accolto questa storia e per aver letto anche il secondo capitolo!

Al prossimo,

Deb

  
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