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Autore: Love_My_Spotless_Mind    27/03/2015    0 recensioni
Hakyeon si risveglia in un mondo sconosciuto, regolato da nuove regole e nuovi ideali. In un luogo dove non tramonta mai il sole e le ombre non esistono, anche gli animi degli esseri umani saranno puri e luminosi come il sole?
Genere: Angst, Fantasy, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hongbin, Hyuk, Leo, N
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO PRIMO

 



Non so come mi sia trovato in quel luogo, non so nemmeno che strada avessi fatto e da quanto fossi in cammino. L’unica cosa che so con certezza è che non ero mai stato lì dove ero adesso. Ero in una casa fatta di mattoni, il pavimento era spoglio, sulla parete era ritagliata una finestra perfettamente quadrata che però non aveva vetri, era solamente un foro al centro di un muro spesso ed ingrigito dal tempo. Mi sollevai da terra, sembrava che le fondamenta di quella casa fossero state erette direttamente sul nudo  terreno, senza creare una superficie liscia che costituisse un vero e proprio pavimento. Non so nemmeno se raccolsi tutte queste informazioni al momento o se ci feci caso più tardi.

Gran parte di quel risveglio è avvolto dal mistero, per svariate ragioni che nemmeno io saprei elencare con precisione. So solamente che iniziai a camminare, non mi sentivo frastornato, stavo bene ed ero in forze. Mi avvicinai alla finestra dalla quale entrava un vento gelido, invernale. La neve era adagiata su tutto il paesaggio, per questo non riuscii ad analizzarlo con esattezza. Sapevo solamente che facesse molto freddo, probabilmente non ne provavo così tanto da molto tempo poiché iniziai a tremare violentemente, come non mi era mai accaduto. In quel momento mi accorsi di non avere un giubbotto.
Indossavo una semplice maglia nera con lo scollo a V e dei pantaloni neri che non ricordavo di possedere. Ai piedi avevo degli scarponi spessi, da neve. Provai a muovere un altro passo, mi accorsi che quella casa non aveva una porta, volevo provare ad uscire dalla finestra ma qualcosa bloccò il mio passo. Provai nuovamente a muovermi, i miei polsi sembravano letteralmente bloccati e mi sentivo spingere verso la parete. Sollevai le braccia, gridai in un impeto di nervosismo ed allora delle massicce catene si materializzarono all’estremità dei miei polsi. Caddi, spinto dal loro peso e mi sembrò di perdere i sensi per quanto fossi sconvolto. 

Ricordo di aver pianto, di aver gridato ancora ed ancora finché la voce non mi era venuta a mancare. Avevo voglia di perdere la mia sostanza, di non essere più materia e di librarmi nell’aria come poteva fare il vento. Restai inginocchiato ad osservare il paesaggio che mi si figurava di fronte e sentivo la vista appannarsi per le troppe lacrime che avevo versato. Il mio corpo irrigidito dal freddo sembrava non appartenermi più o, almeno, questa era la sensazione che provavo e ne avrei volentieri fatto a meno.

Il sole era sempre alto nel cielo, magari nascosto da qualche nuvola dal grigio irreale, ma la notte non arrivava mai. Mi domandai se fosse possibile che io stessi vivendo un solo giorno. Il tempo sembrava non trascorrere mai, continuavo a chiedermi quale fosse lo scopo di trovarmi lì, incatenato ed immobile, costretto ad osservare un paesaggio incolore a cui nemmeno il sole donava almeno un irrisoria traccia di vitalità. Iniziai a pensare d’essere morto e se quello era il paradiso tanto immaginato non potevo credere che esistesse luogo peggiore. E se quello fosse stato l’inferno allora andava bene, non poteva esistere punizione peggiore di non conoscere il proprio destino.

Avevo gli occhi chiusi quando sentii qualcuno sfiorarmi il viso. Sollevai le palpebre, provai a guardare ed il fatto di avere un essere umano proprio di fronte a me, mi fece provare un reale stupore, un vero sollievo. Si trattava di un ragazzo giovane, dai capelli biondo cenere ed i tratti da bambino. Infondeva fiducia, nonostante il fatto che non lo conoscessi.

-Ah allora è così che sono fatti i nuovi arrivati. –

Sentenziò scrutandomi con attenzione, in ogni particolare del mio viso. Infine sorrise ed annuì a se stesso, doveva essere un evento particolare vedere qualcuno di nuovo, di mai visto prima. Mi sfiorò il viso con l’indice, analizzò la forma degli zigomi e della mascella. Sembrava uno studioso tutto preso ad analizzare vecchi scheletri, credendo di scovare nella loro forma qualche informazione essenziale. Avrei voluto descrivergli come fossi fatto, aiutarlo in questa operazione ma ormai non ero più tanto certo di ricordare il mio viso. Ogni pensiero mi appariva sbiadito e distante, forse era stata la disperazione che avevo provato a determinare tutto questo.

-Non credevo che quelli come te avessero la pelle tanto scura. Ma anche questo cambierà, tutto è destinato a cambiare ora che sei arrivato quaggiù. –

Lo disse come se si trattasse di un fatto altamente positivo, per questo mi sentii almeno minimamente più rilassato.
Fece qualche passo in avanti, si piegò a terra dove aveva sistemato un secchio colmo d’acqua. Infilando uno straccio di colore bianco lo aveva bagnato e successivamente strizzato, per poi passarmelo sul viso. La sensazione dell’acqua sulla mia pelle mi lasciò per qualche istante interdetto, non ero più abituato persino ai dettagli più banali come l’abitudine di sciacquarsi il viso.

-Io sono Hyuk. – si presentò mentre passava quel lembo di stoffa sulla mia fronte, bagnandomi leggermente i capelli. – Non avevo mai visto nessuno che non seguisse ancora  le regole della comunità. È davvero un’esperienza singolare, devo ammetterlo. Il Capitano mi aveva raccomandato di stare attento, soprattutto di non rivolgerti la parola. Così mi sono appostato dietro alla casa ed ho atteso, riflettuto a lungo. Alla fine mi sono avvicinato e dalla finestra ti ho visto dormire, non sembravi pericoloso, così ho preso coraggio ed ho deciso di entrare! Anche se tu volessi farmi del male non potresti visto che hai le catene… ma comunque non credo di avere paura. Ad un certo punto si smette di averne. –

Il suo modo di parlare era fresco, aveva un tono di voce squillante che per qualche ragione mi fece sentire nuovamente a casa. Mi era mancato sentir parlare qualcuno, talmente tanto che ora la mia mente quasi faticava a stargli dietro e a comprendere quel che diceva.

-Sono Hakyeon, o almeno credo di chiamarmi così. –

-Ah, questa è buffa. Non ti ricordi il tuo nome? –

-Non più, non so nemmeno quanto tempo sia passato da quando qualcuno l’ha pronunciato. –

Lui restò in silenzio a pensarci, poi strinse le labbra. Quando ragionava sembrava molto più giovane della sua età, i tratti del suo viso apparivano in tutta la loro delicatezza ed il naso si arricciava appena. Credevo che non avrei più incontrato un essere umano quindi averlo di fronte era una conquista preziosa, quasi inspiegabile  a parole.
Appena ebbe terminato di rinfrescarmi il viso passò le mani sulla propria camicia dal colore verde pastello, lasciando qualche scia umida sul tessuto. Probabilmente avrebbe avuto freddo uscendo all’aperto, ma nel frattempo non sembrava troppo infastidito dalla situazione climatica ostile.

-Hakyeon è un bel nome, nessuno qui si chiama così. E poi abbiamo la stessa iniziale, è un segno. Dovremmo diventare amici, anche se non potremo esserlo per molto. –

Il suo modo di parlare era criptico. Sembrava volermi rivelare importanti verità ma poi all’improvviso si bloccava senza più proseguire. Lentamente mi sarei abituato a quel modo di esprimersi ma al momento mi lasciò alquanto interdetto.

-Sei venuto qui per liberarmi? – gli domandai senza trasmettergli il mio stato d’animo. Non avevo parlato per così tanto che adesso facevo fatica a modulare il tono della mia voce. Essa appariva costantemente piatta e soprattutto inespressiva.

Lui rise e poi si mise a sedere al mio fianco.

-Non posso fare una cosa del genere. Sono soltanto un ragazzino! Però quando sarà il momento ci penserà il Capitano. Lui sa sempre quando è il momento giusto. –

Restammo in silenzio per non so nemmeno quanto. Chiusi gli occhi per riposare e quando li riaprii lui era scomparso. Provai un altro periodo di intensa tristezza. Mentre guardavo i deboli raggi di sole filtrare oltre le montagne, mi chiedevo come facesse la luna a non raggiungere mai questo luogo in cui mi trovavo. Il sole non sembrava altro che un’insulsa lampada fissa, un riflettore che non faceva altro che far luce su di me, protagonista di un monologo infinito.

Avevo fame, davvero molta. Eppure non vidi cibo, non sapevo nemmeno che cosa potessero coltivare in un luogo del genere, completamente sepolto dalla neve.
Non so esattamente quanto tempo trascorse, il sole continuava ad illuminare i miei pensieri astratti che raggiungevano orizzonti molto più distanti di quelli dove mi trovavo ora. Hyuk ricomparve misteriosamente esattamente come aveva fatto la prima volta.
Ed ,esattamente come era avvenuto precedentemente, vederlo mi tranquillizzò, mi fece sentire più vicino alla vita. Anche questa volta mi sciacquò il viso, mi dedicava ampi sorrisi, però attese prima di iniziare a parlare. L’unico rumore che si riusciva ad udire era quello del vento, impetuoso al di fuori della minuscola casa nella quale ero rinchiuso, e quello dei suoi gesti, cauti e gentili. Quando ebbe terminato si mise a sedere al mio fianco e tirò un sospiro. Sembrava avesse fatto un lungo tragitto per raggiungermi. Avrei voluto chiedergli di dove vivesse, di come fosse la vita delle persone normali ma stranamente non ci riuscii.

-Il Capitano dice che sei ad un buon punto del processo. Mi ha spiegato che quando il momento adatto sarà arrivato verrà personalmente a liberarti. Per il momento devi avere pazienza e credere fermamente in questo cambiamento. –

-Ma non so nemmeno che cambiamento io stia facendo, né in che razza di processo mi abbiate immischiato! – protestai poiché non riuscivo ad abituarmi al loro modo criptico di agire.

-Semplicemente tutto sta cambiando nel modo giusto, devi stare tranquillo. –

Mi sfiorai il viso, i miei zigomi diventavano sempre più sporgenti e le guance si scavavano sempre più velocemente. Non riuscivo più ad immaginarmi, quello che il mio tatto mi suggeriva non apparteneva a come fossi un tempo.
Hyuk venne a farmi visita diverse volte, vedendomi così deperito iniziò a portarmi qualche pezzo di pane che reperiva in città. Per lo più si trattava di pagnotte bruciacchiate o di qualche giorno prima. Se non mi fossi trovato in quella condizione sicuramente avrei rifiutato un pasto tanto povero e sgradevole ma al momento sentivo di non poter desiderare altro . Scavavo con le dita tra la crosta e la mollica e portavo generose manciate di pane alle mie labbra. Le respiravo a fondo, chiedendomi come mi fosse stato possibile non mangiare per così tanto. In certi momenti sbiaditi ricordi riaffioravano la mia mente. Ed allora pensavo ad una torta di compleanno, completamente rivestita di panna e mi sembrava di sentire ancora il suo sapore. Sapevo che nella mia vita non avrei mai più visto una torta come quella e che non avrei più riso in compagnia dei miei genitori mentre mi cantavano gli auguri. Doveva essere stata mia madre a prepararla, anche se non ricordavo quando, anche se non ricordavo più il suo viso o le sue mani. Lei era completamente sbiadita sul fondo della mia coscienza. Ed allora provavo a pensare a cosa di me potesse assomigliarle ma persino il mio volto sbiadiva, il tempo impetuoso non voleva sentire ragioni e stava cancellando ogni più piccolo dettaglio che mi rappresentasse.

-Mia madre mi parlava dei sogni, quando ero bambino. – sussurrò improvvisamente Hyuk, mentre ero tutto assorto nel mangiare quel che mi aveva portato. Il suo viso era rivolto verso la finestra, osservava le pendici della montagna e nel suo sguardo iniziava a galleggiare un’insidiosa malinconia. Strinse le labbra ed abbassò il capo, osservandosi le mani. Aveva delle belle mani, dalle dita lunghe ed affusolate e persino la forma delle sue unghie mi piaceva. Tutto di lui comunicava una strana freschezza, come se fosse appena stato progettato da un attento costruttore.  – Diceva che a lei piacesse esprimerli mentre guardava le stelle, ma io le stelle non le ho mai viste. Ricordo la notte ma poi non è più esistita, da un giorno all’altro è venuta a mancare, proprio come la mia mamma. –

Le mani iniziarono a tremargli, le avvicinò al viso e le osservò restando in silenzio. Le sue labbra si incresparono mentre cercava di trattenere le proprie emozioni dentro di sé. Pensai alle stelle, le ricordavo benissimo, una volta facevano parte della mia realtà. Chissà dov’era finita la stella Polare che guida tutti gli uomini, e chissà dov’erano quelle costellazioni dai nomi tanto particolari. Chissà se ora galleggiavano sul fondo di un pozzo o in mezzo al mare, visto che il cielo non aveva più spazio per loro.

-I desideri si possono esprimere anche se le stelle non ci sono, sai? –

Tentai di spiegargli, a quel punto lui volse il suo sguardo verso di me. Aveva gli occhi colmi di lacrime e le guance gli si erano arrossate. Sembrava un bambino, una creatura da difendere.

-E come si fa a desiderare qualcosa? –

-Bisogna pensare intensamente, chiudere gli occhi e credere che ciò che si desidera possa accadere davvero. –

Hyuk annuì, tornò a volgere il proprio sguardo di fronte a sé e sospirò. Poi seguì le mie indicazioni ed iniziò a desiderare come meglio potesse. Non riuscivo a credere che non lo avesse mai fatto, probabilmente sua madre non aveva avuto l’occasione di insegnargli come si facesse.
Quando ebbe terminato ed il suo desiderio si fu allontanato verso l’orizzonte, lui sorrise.

-Abbiamo appena fatto qualcosa di proibito, non dovremmo più ripeterlo. –

E dopo questa frase andò via.

Lo attesi sperando di vederlo tornare, ma ben presto al suo posto venne a farmi visita un uomo dai tratti duri ed una vistosa cicatrice sulla guancia sinistra. Per essere rimasta una cicatrice del genere doveva essersi trattato di una ferita molto profonda, tanto che si era rimarginata a fatica. Provai ad immaginare il sangue che usciva a flutti da quel taglio, non era una bella visione. Mi ci volle poco per comprendere che quello fosse il Capitano, l’uomo di cui Hyuk mi aveva tanto parlato. E se era lì significava che io fossi arrivato ad un certo punto del processo.
Spezzò le catene munito di una spessa spada che sulla superficie aveva diverse ammaccature. Quando ebbe terminato tale operazione un suo aiutante entrò nella piccola casa. Si tratta di un ragazzo che poteva avere pressappoco la mia età, dalla pelle chiara e lo sguardo vuoto. Mi presero per i polsi, sollevandomi da terra. Entrambi avevano i capelli biondi, di un biondo chiarissimo che aveva perso ogni sorta di sfumatura calda. Piuttosto mi ricordava i gelidi raggi delle mattine invernali.

-Gradirei qualche spiegazione! – li richiamai mentre provvedevano a liberarmi anche dagli anelli metallici. Finalmente le mie braccia erano libere di muoversi ed avrei potuto camminare quanto avrei voluto, senza barriere, almeno così credevo.

-Il Capitano non dà spiegazioni a quelli come te. – sentenziò senza troppi giri di parole il più giovane. Come fossero “quelli come me” non era dato saperlo. Mi portarono fuori, anche se le mie gambe mi sorreggevano a malapena. Mi aiutarono a scavalcare la finestra, per poi farmi inginocchiare tra la neve, con il viso rivolto verso le montagne.

-Pensaci tu. – ordinò il Capitano al più giovane che si limitò ad annuire.

Il mio corpo era scosso da violenti tremolii, mi battevano i denti e le mie dita si erano arrossate. Nonostante tutto il ragazzo che avevo di fianco non sembrava sensibile a quel freddo pungente. Il suo corpo restava perfettamente immobile, come se si fosse trattato di una statua ed i capelli biondi ondeggiavano al vento, ricordavano il movimento fluido che fanno quando ci si immerge in una grande piscina. Aveva una borsa a tracolla, dalla quale estrasse dei nuovi indumenti. Erano di colore verde chiaro, esattamente come quelli di Hyuk. La maglia aveva il collo alto ed era di tessuto spesso. I pantaloni erano abbastanza comodi. Il ragazzo mi ordinò di cambiarmi dietro alla costruzione che mi aveva ospitato fino a quel momento.

-E non azzardarti a fuggire. – mi avvertì.

Impietrito dal freddo com’ero, anche volendo non ci sarei riuscito. Mi tirai in piedi ed ubbidii al comando. A piccoli passi andai dietro la casa, i cui mattoni dall’esterno sembravano ancor più datati che all’interno. Mi sfilai gli indumenti di dosso ed infilai i nuovi più in fretta che potessi. Erano più caldi e provai almeno un minimo di sollievo.
Quando restituii il mio vestiario di colore nero al ragazzo, egli lo porse al Capitano che si apprestò a bruciarli, appiccando un fuoco di fortuna. Una nuova traccia di me e della mia esistenza stava bruciando e le fiamme roventi avvolgevano il tessuto senza alcun rimorso o ripensamento. Ben presto quelli che un tempo erano indumenti, non divennero altro che cenere.




Buonasera miei cari Starlight! Era da tempo che non pubblicavo un lavoro a puntate qui si EFP e sopratutto nella sezione Vixx. La mia serie più seguita "Mi insegneresti ad amare?" è ancora in lavorazione poiché il suo sviluppo non mi convince a pieno. Comunque spero di riuscire a portare a termine questa nuova sfida, ispirata dal romazo "La fine del mondo ed il Paese delle meraviglie" di Haruki Murakami. 
Spero che l'ambientazione fansty susciti il vostro interesse. 
Mi raccomando, sono curiosa di leggere i vostri commenti! 
27.03.2015


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