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Autore: Love_My_Spotless_Mind    07/04/2015    1 recensioni
Hakyeon si risveglia in un mondo sconosciuto, regolato da nuove regole e nuovi ideali. In un luogo dove non tramonta mai il sole e le ombre non esistono, anche gli animi degli esseri umani saranno puri e luminosi come il sole?
Genere: Angst, Fantasy, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hongbin, Hyuk, Leo, N
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"CAPITOLO SECONDO"



Il cammino verso il paese fu abbastanza lungo, il Capitano ci guidava camminandomi di fronte ed il ragazzo mi stava dietro, sorvegliandomi senza distogliere lo sguardo nemmeno per un istante. Non capivano che anche se quella situazione era disperata non avrei comunque provato a fuggire. Dove mai sarei potuto andare? Mi ero arreso all’idea di vedere come il loro piano sarebbe proseguito, senza obbiezioni.

Prima dovemmo camminare tra la neve, con molta difficoltà. Io ero l’unico a tremare per il gelo, a stringere le braccia contro il petto per ripararmi dal vento. Loro proseguivano imperterriti e mi spingevano avanti. Dopo non so nemmeno dopo quanto riuscimmo a vedere il paese. Eravamo su un ripiano roccioso, dove era spesso presente il rischio di valanghe di piccole dimensioni. Di fronte ai nostri occhi scorreva un fiume sottile, ora in parte ghiacciato ed oltre di esso si estendevano case dai colori vivaci, fabbriche e negozi. Oltre il pese si erigeva la montagna, alta e possente, che avevo ammirato diverse volte nel mio periodo di reclusione.
Mi sembrava di essere tornato alla vita dopo tempo incalcolabile , sospirai mentre il mio sguardo scorreva verso tutti quei particolari. Chissà se quello era il paese dal quale proveniva Hyuk, se fosse stato così doveva aver faticato molto per raggiungermi.
I due mi scortarono anche all’ingresso del paese, le persone uscivano in strada e mi salutavano, alcune sorridevano, altre avevano espressioni indecifrabili sul volto. Il luogo dove ero finito per circostanze misteriose in fin dei conti non era negativo come avevo immaginato.
Il Capitano mi fece entrare nel suo ufficio, in una zona isolata rispetto al quartiere abitato. Mi fece sedere sulla poltrona di pelle nera e lui si accomodò sulla scrivania, il ragazzo restò alla porta, fissando il vuoto, senza proferire parola.

-Erano molti mesi che un nuovo arrivato non raggiungeva la nostra dimensione. – spiegò il Capitano e mimò il gesto di accendersi una sigaretta, senza possederne realmente una. Aspirò boccate di fumo immaginario e ne espirò altrettante. Potevo immaginare una sigaretta abbastanza spessa, dal sapore forte. I suoi gesti erano talmente convincenti che dopo poco iniziai a non trovare più bizzaro il suo modo di fare. – In questo luogo si è obbligati a rispettare delle precise regole che sono stato io stesso ad indire. Qualora esse non venissero rispettate si verrebbe puniti con la morte, una delle più inequivocabili ed atroci. Quelli che le ho descritto sono due punti molto semplici ma essenziali. Crede di aver compreso? –

Annuii restando in silenzio, per poi deglutire piano. Si trattava di un regolamento davvero molto rigido ma che senza ombra di dubbio avevo compreso.

-Bene, allora lei è un ragazzo molto perspicace, una recluta essenziale nella nostra cittadina.
Nessuno è nato in questo luogo, deve sapere, ma tutti sono arrivati qui perché desideravano un mondo dove l’ordine e l’armonia regnassero. Grazie al mio comando l’ordine e l’armonia in questo luogo sono indistruttibili. Tutto è ordine, deve saperlo. Solo le creature perfette rispettano l’ordine e la perfezione è il nostro primario obbiettivo. –

Mi voltai verso il ragazzo che restava immobile di fianco alla porta. Osservai i suoi capelli biondi che gli sfioravano delicatamente la fronte. Guardai gli zigomi e l’espressione del viso, il corpo magro, avvolto da un vestiario candido come la neve. Provai a ragionare sulla perfezione, chiedendomi a che punto del processo verso la perfezione tanto aspirata fosse quel ragazzo.

-Lui è Leo. – mi spiegò il Capitano, scrollando la sigaretta immaginaria per far cadere la cenere in un posacenere in legno, realmente esistente. – Si tratta di uno dei miei allievi più volenterosi. Vedi, se rispetterai le nostre regole anche tu potrai essere come è lui ora.
Leggi del turbamento nel suo sguardo? Io non ne avverto alcuno. Perché lui è ordinato ed armonioso, in ogni millimetro del suo essere. –

Annuii ancora e tornai a guardare il Capitano, i suoi capelli biondi tagliati cortissimi mi ricordavano un prato in estate, di quelli che i loro proprietari non fanno altro che tagliare perché diano sempre l’idea di oridine. La sua divisa era bianca con diversi distintivi ma non avevo idea di chi avesse mai potuto donarglieli e soprattutto a seguito di quali azioni.

-Ho capito ogni sua parola, signore. – assicurai, ripassando mentalmente le informazioni che mi aveva fornito. – E cercherò di integrarmi al meglio. Magari l’armonia e la perfezione potrebbero diventare i miei nuovi obbiettivi, nella vita non ne ho mai avuti ma si può sempre cambiare. –

Dopo questo intenso colloquio il ragazzo mi scortò in quella che sarebbe stata la mia stanza fino al mio definitivo “inserimento nella società” ,come aveva detto il capitano. Nelle strade interne al paese la neve era stata spazzata e si camminava agevolmente. Io provavo a pensare alla mia vita, a quello che ne sarebbe stato di me dopo quella giornata, soprattutto dopo aver accettato le condizioni di quella nuova realtà, ma tale operazione risultava particolarmente difficoltosa. Leo mi infondeva soggezione, non mi ero mai trovato di fianco ad un qualcuno di perfetto, perciò non sapevo come fosse giusto comportarsi. In lui c’era qualcosa di strano, il suo modo di essere non mi convinceva fino in fondo. Anche se era ordinato e corretto, o qualunque aggettivo avesse usato il Capitano, non sembrava possedere una personalità che potesse pienamente definirsi tale.
 Ero molto assonnato, avrei tanto desiderato veder scendere la sera e rilassarmi, come un tempo sapevo fare.  Eppure il sole continuava a stare lì, al suo solito posto nel cielo, senza accennare la volontà di andar via. Mi mancava la notte, in ogni suo dettaglio. Ultimamente ci pensavo spesso con nostalgia.

Volsi il mio sguardo al pavimento in pietra, camminare su un piano stabile e solido sembrava una grande conquista in quel luogo. Osservai la mia ombra allungata e sottile, le mie gambe perdevano la loro forma ed assomigliavano più a due eleganti nastri scuri che scorrevano lentamente, seguendo il mio incessante avanzare. Sollevai un braccio e lei fece lo stesso, senza attendere nemmeno un istante. Sorrisi, non mi soffermavo su tali dettagli da diverso tempo, per qualche ragione avevo trascurato tali particolari dandoli per scontati. Ora tornavo a sorprendermi, a pormi domande, come se fossi tornato bambino, come se tornassi a scoprire il mondo per la prima volta ed, in un certo senso, era realmente così.

 Per errore la mia spalla urtò quella di Leo ed allora mi scusai sottovoce, ma fu proprio in quell’istante che la mia attenzione si focalizzò su un dettaglio che non mi lasciò affatto indifferente: sebbene lui ed io camminassimo fianco a fianco la mia ombra era la sola ad avanzare sulla strada che stavamo percorrendo.
Sollevai lo sguardo verso la sua espressione indecifrabile e trattenni il respiro. Che cosa poteva mai significare l’assenza della sua ombra? Iniziai a pensare che forse avesse a che fare con la perfezione di cui il Capitano mi aveva tanto parlato. In quel momento iniziai ad avere paura. Mi trovavo di fronte ad una circostanza che non conoscevo ed avvertivo il pericolo, brividi mi attraversavano il corpo facendomi comprendere il significato di tale istinto primordiale. Il mio primo pensiero fu quello di essere in pericolo, non sapevo come avrei dovuto agire.
Mi voltai ed iniziai a correre, mi inoltrai in un vicolo che non conoscevo e che non sapevo affatto dove conducesse. Il mio sguardo si focalizzò sulla mia ombra che correva, i contorni del suo viso non possedevano mutamenti, sembrava che fossi l’unico ad avere paura.
 
 
Le sue mani afferrarono il mio polso, mi tirò con forza e ,nonostante avessi tutta la voglia di divincolarmi, non riuscii a far altro che cadere a terra. Tremavo per l’agitazione e per il freddo che quando arrestai la mia corsa si fece ancor più pungente.

-Alzati, avanti! – ordinò Leo, alzando il tono della voce ma senza modulare l’espressione. Ogni sua parola appariva fredda, priva di sostanza.
Sollevai piano il viso, il mio respiro era terribilmente affannoso.  Afferrai la sua maglia, la strinsi tra le dita. Le mie mani tremavano ed avevano perso quasi completamente sensibilità.

-Voglio solamente una promessa. – sussurrai seriamente. – Promettimi che non mi farai del male, solo questo. Posso fidarmi? –

Il suo sguardo dai toni scuri e l’espressione gelida era su di me, forse in quel momento iniziai a tremare ancora più forte. Sentivo che in ogni caso mi sarebbe stato difficile alzarmi da terra. Lui si inginocchiò, in modo che il suo sguardo potesse incontrare il mio ma soprattutto che le sue parole mi arrivassero ancor più chiare.

-Qui non si fanno promesse. – sentenziò senza aggiungere nemmeno una parola superflua, aveva detto ciò che era necessario ed io avevo recepito perfettamente.

La mia ombra ora era tutta rattrappita a terra, le sue gambe erano piegate esattamente come le mie. La osservai ancora, provai un certo affetto per lei che silenziosamente mi aveva accompagnato in ogni istante della mia esistenza, senza che nemmeno la notassi.

Leo mi tirò per un braccio in modo che fossi immediatamente in piedi. Durante il resto del tragitto non ci scambiammo altre parole, io non avevo nemmeno la forza di formularne altre. Sebbene la mia mente fosse affollata di domande non riuscivo ad analizzarne nemmeno una. Ero ancora spaventato, sapevo che per me, comunque, non ci fosse possibilità di salvezza.
 
Raggiungemmo una zona che sembrava un quartiere industriale abbandonato. Le strade erano silenti, i palazzi abbandonati e mal messi. Quello che sarebbe stato il mio appartamento per un periodo ancora da definire si trovava proprio lì, di fianco ad una fabbrica dismessa, tra una schiera di numerose palazzine in mattoni, tutte spesse ed armoniche ma comunque tutte ugualmente impersonali.
Aprii la porta cigolante dell’ingresso, all’interno vi era solamente un custode seduto alla sua scrivania che leggeva un vecchio quotidiano. Non ebbi nemmeno il tempo di salutarlo che Leo era già svanito, silenzioso e veloce come una premonizione.
Il mio appartamento era al terzo piano, mentre le salivo avevo il timore che le scale potessero cedere da un momento all’altro. Fortunatamente non accadde nulla ed io riuscii a raggiungere la mia stanza senza troppi problemi. Essa era completamente sprovvista di ogni sorta di mobilia, vi era solamente un materasso vicino alla finestra. Senza nemmeno spogliarmi mi sdraiai, il sole brillava alto nel cielo i suoi raggi, però, iniziavano decisamente a stancarmi. Fu con questo umore tutt’altro che positivo che mi addormentai
.



 
  
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