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Autore: Ray Wings    28/03/2015    9 recensioni
Eowyn si trova sui campi Pelennor. La battaglia davanti a lei mostra tutta la sua crudeltà. Ma prima di lanciarsi contro il suo destino ripensa ai passi che l'hanno portata lì: una Dama deve pettinare i suoi capelli, non scompigliarli in battaglia. Una Dama deve indossare abiti di seta, non pesanti e rozze corazze. Una Dama deve essere sempre impeccabilmente perfetta... ma questo non è il suo destino. Il suo futuro è pregno di grandi cose: gloria, valore e onore.
E tutto questo si compirà su quel campo, dove però molte cose si riveleranno per come sono realmente e lei finalmente capirà chi è veramente.
Primo posto al contest Choose a face, write a story di Katniss_jackson sul forum Scrittori on the road
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eowyn
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Pettina i tuoi capelli,
mia Signora.


-Che cosa temi, mia Signora?
-La gabbia.

(Aragorn e Eowyn – Il signore
degli anelli, le due torri.)



Quando ero bambina molti mi dicevano che ero troppo rumorosa. Altri invece che ero troppo silenziosa. In entrambi i casi, comunque, ero troppo.
Gli occhi erano puntati su di me, sui miei biondi capelli, sempre troppo spettinati per loro.
Metti via la spada e impugna la tua spazzola.
Mia Signora, lega le tue ciocche, non le cinghie di una sella.
E io, dalla finestrella della mia camera, non potevo che passare le mie giornate ad osservare e invidiare la persona che aveva avuto ciò che disgraziatamente non era stato destinato a me: quella di essere uomo.
Mio fratello, Éomer, trascorreva le sue mattine in cortile a impugnare bastoni, correndo, ineggiando al valore, sconfiggendo le ombre che lui stesso creava.
«Dama Eowyn venite, indossate questo meraviglioso abito in seta elfica»
«Mio Signore, Éomer, ecco la vostra corazza ben lucidata.»
«Sedete elegantemente alla tavolata Reale, di fianco a vostro padre.»
«Sedete valorosamente sul nero manto del vostro cavallo e correte verso l'orizzonte.»
Quale valore, quale onore, porta una mano poggiata su uno scomodo bracciolo in confronto a quella stretta sull'elsa della spada che presto salverà il suo popolo? Gli echi nelle piazze urlano il nome del cavaliere che, valoroso, ha protetto i propri figli. E la Dama del castello? È bella, lì affacciata al suo balcone, con la mano liscia saluta. È una mano pulita, delicata, che mai ha sentito il sapore del sangue.
Cosa vuol dire creare? Cosa vuol dire guadagnare? Non lo so, io son qui, tutto mi è dato. Ma i campi là fuori urlano i nomi di vincitori e vinti, guerre e dinastie pronte a invocare l'onore della propria casata, in attesa della carezza dei loro padri.
Dov'è la gloria? Sul filo di una lama o sul filo intrecciato in sete elfiche?
Non era quello il mio destino.
Il mio cuore me lo sussurrava ogni notte, silenzioso e delicato, come un sogno che mi sfiora appena, intimorito, prima di fuggire via.
Portami con te, oh sogno, ti prego.
Su colline ammantate di neve, campi silenziosi, in attesa, e mari oltre il quale la vista si spaura.
Il suono di un corno, antichi nomi, preghiere inudibili.
La guerra che avanza.
E io qui a pettinar i miei capelli.
«Hai un nome da portare!» ma l'ho perduto. Con voi, madre, padre, quel dì che sola mi lasciaste con la mia spazzola e una spilla troppo appariscente per i miei abiti. Il vento di Edoras è così pungente, come la carezza di uno spettro che desta l'animo dall'incubo di un tormentato passato. Le colline non permettono alla vista di spaziare oltre. Non vedo nè riesco a udire, ma lo sento. L'ombra ci attanaglia. Mio fratello è esiliato. Il nostro Re è ormai morto, dentro il suo corpo marcio e contaminato. Suo figlio, unico erede, perduto sui campi in una lotta che non gli apparteneva.
Siamo soli.
E io qui a pettinar i miei capelli.
Il mio nome è perduto. E' solo veleno sulla lingua di un uomo che non voglio ascoltare, che guarda il mio corpo come un tesoro ritrovato, un cimelio abbandonato di cui si sente ingiustamente padrone. Aspetta il giorno di poterlo cingere. Ma mi appartiene, almeno questo, mi appartiene.
La guerra bussa alla nostra porta.
Un cavallo chiede ristoro alle nostre stalle, mentre il suo carico crolla al suolo, stremato.
Due bambini che hanno negli occhi l'ombra di un incubo, da cui mai, probabilmente, riusciranno a risvegliarsi pienamente.
Come sono fredde queste mura.
Com'è fredda questa terra.
Ricordo il calore del sole, i suoi timidi raggi che penetravano le foglie del bosco dietro casa nostra, in cui mi nascondevo nei miei giorni tristi. Ricordo i piedi che trovavano ristoro in pozzanghere calde, lo strisciare di qualche animale, il cinguettio allegro di uccelli ben protetti nelle fronde. E una bambina dai lunghi capelli dorati che correva, con in mano un bastone, in cerca di avventura, almeno nel suo cuore. Combattevo per la mia casata contro spettri della notte, picchiando su alberi, e dopo venivo eletta Regina di tutti i regni non per il mio nome, ma per il mio coraggio. Mi issavo su un ramo e salutavo i miei sudditi: sassolini e formiche, ignare della battaglia che avevo appena vinto in sella al mio nobile destriero.
Ricordo le assurde scuse che ero costretta a inventare per spiegare i miei vestiti luridi e le ginocchia sbucciate.
«Insegnami a impugnare una spada.»
«Impara prima a impugnare la tua spazzola.»
Ora non ci sono più bambini in quel bosco, nè animali, nè formiche ignare... e probabilmente neanche più gli alberi su cui issarsi per salutare immaginari sudditi, compagni di una bambina troppo vivace, la quale sognava di dar un vero nome al suo nome.
La guerra spalanca la nostra porta.
Poco importa se siamo scappati.
Casa è alle spalle, ormai. Ancora una volta cambierò mura da cui farmi imprigionare, ma saranno ugualmente fredde. Abbiamo detto addio a Edoras, lo zio dice che è un arrivederci, ma nessuno, nemmeno lui stesso, ci crede veramente.
Gli orchi fuori dalle mura del fosso di Helm ora stanno distruggendo tutto quello che ci è rimasto.
Casate e nomi vengono spazzati via da una lancia. Il rumore di un'esplosione.
Qualcuno piange.
Qualcuno urla.
«Ti prego, dammi una spada.» datemi un nome. Voglio combattere e crearmi, perché me lo impedite? La spazzola che stringo tra le dita non è abbastanza valorosa, non incute timore, non incide la pietra, non risplende alla luce del sole come ella stessa fosse Sole.
Sei una donna, sei una Dama. Resta tale.
Mio fratello, in lontananza, innalza sopra la testa il simbolo della sua forza. Urla il nome dei nostri padri e scrive la sua storia.
E io torno bambina, a guardarlo lottare nel cortile esterno, con un bastone, contro chi lo stava addestrando cavaliere, e io a spazzolar i miei capelli.
Provo invidia.
Così tanta da sembrar quasi rabbia.
Sarei voluta esser uomo anche io.
Perché solo agli uomini è concesso tale onore, solo agli uomini è concessa la libertà di scegliere il proprio nome, il proprio valore. Solo loro possono guardare il popolo sentendolo veramente proprio. Come una madre che protegge e cura un figlio.
Posso farcela! Ho conquistato tante vittorie nel bosco dietro casa mia, contro orchi, Uruk, Troll, spettri e mannari. Posso farcela!
So maneggiare la spada, permettetemi di dimostrarlo, smettetela di guardare solo i miei capelli spettinati!

Oggi non chiederò.
Oggi io prenderò in mano il mio destino e finalmente lancerò via quella maledetta spazzola inutile.
Oggi io scriverò la mia storia.
Sui campi Pelennor a lungo si parlerà di Dama Eowyn, che ha protetto e curato il suo popolo e che ha sconfitto l'esercito di Sauron con forza e onore. Niente poltrone scomode, solo la sella del mio cavallo! Niente vestiti di seta, solo una rozza armatura, neanche troppo brillante.
Niente più spazzole... solo la spada.

Sprono il mio cavallo e corro. Non so bene dove, non riesco a comprenderlo. Ovunque io mi volti c'è sangue. Un orco cade vicino ai nostri piedi. Riusciamo a schivarlo. Un uomo non ha la stessa fortunata sorte e finisce travolto dai nostri zoccoli.
Merry, seduto davanti a me, sembra ancora più confuso.
Una pioggia di frecce sfiora il nostro volto.
Un olifante quasi ci schiaccia. Vado a destra, mi infilo tra i suoi piedi.
«Prendi tu le redini!» ordino al mio compagno di sventura.
Dove sono gli antichi padri?
Un urlo straziato.
Non so chi sia stato.
Uno schizzo di sangue mi macchia la casacca, all'altezza del cuore.
Sfilo le nostre due spade.
«A sinistra!» suggerisco, ormai sotto l'ombra di una zampa di olifante. Non giriamo, come ordinato.
«A sinistra!» urlo più forte, incoraggiando il mio piccolo amico. I corpi davanti a noi si accasciano e si rialzano, come mare che si stende e si ritira. Un mare in tempesta, però.
Dov'è la gloria?
L'odore acre del sangue non smette di pizzicarmi il naso. È nauseabondo. Trovo la forza e il coraggio, distendo le braccia e incido due solchi sulle zampe dell'olifante che cammina sopra di noi.
Altre urla, incontrollabili.
Una pioggia di cadaveri.
Lo zoccolo del nostro cavallo schiaccia accidentalmente una testa, ormai separata dal resto del suo corpo.
Altri due solchi alle due zampe rimaste e l'animale si accascia alle nostre spalle.
Non lo vedo.
Non posso fermarmi e godere del mio operato. Ho protetto delle persone, ma non posso vederlo. Devo correre. E lo faccio.
Volti anonimi volano sotto i nostri piedi.
Non ci sono nomi incisi.
La guerra non lascia dietro sé altro che ombre.
Solo ombre che andranno a dissiparsi con l'arrivo della sera. Ombre che spariranno definitivamente non appena il sole cadrà a ovest. E nessuno saprà mai quale nome hanno difeso fino alla morte.
Dov'è l'onore?
Non riesco a trovarlo su quei volti martoriati che, ancora avvolti nel loro terrore, chiedono perdono al cielo.
Apro gli occhi e ora lo vedo. Il sangue sulla mia lama la rende meno brillante. Non più Sole, è in realtà molto simile al fuoco delle tenebre.
Vorrei liberarmene.
Ma ormai non posso fuggire.
Le battaglie nel bosco dietro casa mia erano meno terrificanti.
Vengo disarcionata. Non riesco più a capir bene cosa stia accadendo.
Cerco Merry, ma non lo trovo.
Un orco mi attacca e io son costretta a posticipare la ricerca. Lotto per tenermi stretta la vita. Il rumore delle spade che si infrangono è così fastidioso.
Riesco a sopravvivere, ma sento il petto squarciarsi non appena le orecchie colgono l'urlo del padrone del cielo.
Mi volto, sofferente. Sento dolore.
Ma mai quanto ne provo nel vedere mio zio a terra, sotto il suo fidato Nevecrino, e il Signore dei Nazgul sopra di lui.
«Cibati della sua carne.»
Ora la temo.
Questo sguainare le armi, urlare di gloria e onore, chiamare a gran voce l'aiuto dei propri padri, le lame pregne del sangue del nemico...ora temo tutto questo.
La guerra non è quello che credevo.
Non lascia nomi, solo tante speranze infrante, paure e incubi.
Il mio sta per avverarsi: sto per perdere mio zio. Il mio Re. L'uomo che mi ha cresciuta come fossi stata sua, che mi ha amata e che ogni sera la mia fronte ha baciato, scostando e ignorando i miei capelli spettinati.
«Ti ucciderò se osi toccarlo!» lotterò un'ultima volta. Non per i miei padri, non per un nome che più mi appartiene, ma per il bacio della buonanotte che ancora accarezza la mia fronte nei miei ricordi più dolci.
Lotterò e mai smetterò di farlo. Ma non più per un egoista bisogno di attenzioni.
Il mio destino lo scriverò io con la penna che più mi aggrada e porta con sè il volto dei miei cari. Ho già perso troppo.
Io sono forte, non una stupida Dama che passa le giornate a pettinarsi i capelli. E quest'oggi finalmente il mondo lo vedrà perchè io salverò una vita. Io sfodero questa spada per risparmiare del sangue, non per versarlo!
Il Nazgul prova a colpirmi. Riesco a schivarlo e non gli do tempo di riprendere la carica: con un paio di colpi ben assestati, e altrettanto furiosi, riesco a recider via la testa della sue bestia alata .
Il Signore dei Nazgul crolla a terra, ma si rialza.
Impugna una mazza chiodata.
Sono terrorizzata, ma non demordo.
Il destino appartiene a me.
Schivo due, forse tre colpi.
Il quarto mi colpisce.
Lo scudo si frantuma e io mi accascio a terra.
Sento freddo al braccio, mi formicola.
Un dolore lancinante.
Il Nazgul mi afferra per il collo e mi solleva.
Mi fa troppo male il braccio. Non riesco a reagire. Ho freddo e sono terrorizzata.
«Stupido. Nessun uomo può uccidermi. Ora muori.» sibila.
E io riesco a capire.
Riesco finalmente a capire cosa è stato sempre scritto nel mio destino. Riesco a capire che non è stato crudele con me, nel farmi nascere donna.
Non ho più interesse a essere come mio fratello.
Ho interesse a essere solo me stessa.
Una donna, una fredda Dama, armata di spada, quando non è impegnata a pettinare i suoi capelli.
«Io non sono un uomo.»





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N.D.A.

Le aggiungo solo ora xD
Solo una specificazione: la parte in corsivo è la parte di introspezione/pensiero/ricordo. La parte scritta normale invece è il presente: la battaglia sui campi Pelennor.
Niente...volevo specificarlo, nel caso non fosse chiaro xD
Poi, come scritto nell'introduzione, questa storia partecipa al contest "choose a face". Tale contest prevedeva che si scegliesse un viso Disney (tra quelli proposti), ci si lasciasse ispirare dallo sguardo o dal carattere del personaggio e si scrivesse poi qualcosa in un altro fandom, collegato però a esso.
Io ho scelto di collegare Eowyn e Merida (Ribelle- the Brave).
Penso che sia evidente il perchè, ma comunque lo spiego (anche per chi non conoscesse Merida): Entrambe sono principesse, dame di corte, nobili e come tali sono costrette alla compostezza. Devono essere sempre belle, presentabili e pensare solo alla vita di corte. Ma loro hanno un animo ""ribelle"". Vogliono vivere avventure, sono donne forti, esplosive, certamente non adatte a quella vita. Loro meritano di più e chiedono solo di essere se stesse.
Alla fine, secondo la mia visione dei fatti, entrambe scelgono il compromesso e riescono a essere chi sono davvero.
"Merida, una principessa non posa le sue armi sul tavolo." è una cit. chiara del film xD
E per chi non fosse convinto.....che dite, è abbastanza? :P

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