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Autore: Evee    28/03/2015    0 recensioni
Talvolta, può accadere qualcosa d'imprevisto che sconvolge i tuoi piani. Normalmente si tratta di un caso isolato, ma se così straordinario da determinare un cambiamento si ripeterà ancora, fino a trasformare l'eccezione in regola. E, allora, può essere che si inizi a guardarlo con occhi diversi, e che col tempo si arrivi persino ad amarlo.
§ storia partecipante allo “Slice of life contest!” indetto da MistyEye sul forum di EFP § dal testo di ciascun capitolo: Lo conosceva, anche se non riusciva a ricordarsi chi fosse... ~ Aveva bisogno di capire chi fosse davvero quella ragazza, per poter decidere quale ruolo voleva rivestisse nella sua vita. ~ Lui era un panorama di cui non si stancava mai. ~ Quegli occhi, erano talmente meravigliosi che le sarebbe bastato un solo sguardo, per conquistarlo. ~ Assurdo: si era innamorata di un riflesso. ~ Lei, desiderava averla ogni giorno con sé. ~ La sua vera voce suonava calda ed affettuosa, proprio come si era tanto immaginata. ~ La lasciò a malincuore, ma gli sarebbe così piaciuto poter trattenere ancora quella mano nella sua, scaldarla per sempre. ~ “Ci siamo già conosciuti, ricordi?” § blueshipping §
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisara, Seto Kaiba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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da quel giorno in poi ~

 

“Quando comprendo i tuoi occhi
ascolto la tua voce vera.”
Alejandro Lanús

 

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~ through her eyes

 

Shall I be the one for you
who pinches you softly, but sure?
If frown is shown then
I will know that you are no dreamer

 

Un giorno, avvenne qualcosa di così sorprendente che lei stessa faticò a crederci, figurarsi se l'avesse raccontato ad altri...

Per la precisione, era il 9 di dicembre. La data era l'unica circostanza su cui sarebbe stata pronta a giurare solennemente, perché una volta tornata a casa l'aveva controllata sul calendario in modo da cerchiarla e fissarla per bene nella propria memoria.

Quanto a tutto il resto, l'aveva vissuto con troppo coinvolgimento per poter esserne certa, tanto che non solo non le riusciva di valutarlo in maniera obiettiva, ma le sembrava che si fosse proprio verificato soltanto nella sua testa. Dopotutto si era trattato giusto di pochi istanti, talmente fugaci che era impossibile averne colto ogni singolo passaggio così nei dettagli, e che ognuno di questi fosse durato abbastanza a lungo da trasmetterle una gamma talmente variegata ed intensa di percezioni.

Doveva esser caduta vittima di un'allucinazione, non c'era altra spiegazione.

Ciononostante qualcosa, di quella sua fantasia, era successo per davvero. Sia pur solo in minima parte... Voleva che fosse successo per davvero, affinché la felicità febbrile che da allora l'aveva colta e più abbandonata non fosse interamente illusoria. Anzi, era in preda ad una vera e propria tempesta emotiva, non sapendo se dovesse rimproverarsi per quanto stava ingigantendo l'accaduto, e dunque non avesse alcun motivo per sentirsi tanto eccitata, oppure se la titubanza le stesse impedendo di realizzarlo appieno, e dunque di provare l'unico stato d'animo veramente appropriato.

Ossia, quello euforico.

Così, non appena le fu possibile, si rintanò in camera sua e si sdraiò sul letto per cercare di placare questa sua sovragitazione, chiudendo gli occhi per provare a riflettere con calma e mente lucida, traendo profondi respiri fino a ripristinare la regolarità del proprio battito cardiaco. Aveva bisogno di riordinare un po' i suoi ricordi, metterli cronologicamente in fila per appurare se, nella loro concatenazione, fossero o meno plausibili e per formularne dunque una versione per lo meno verosimile.

E, per farlo, non poteva che attenersi ai fatti.

Il primo in successione temporale, nonché presupposto necessario di tutti gli altri, era che avesse preso il suburbano delle 19 e 03, come sempre e dunque come scontato. Tra l'altro, quel giorno era stata l'unica delle persone in attesa sulla banchina ad esserci salita sopra dalle porte dell'ultimo scompartimento, perché una volta al suo interno non aveva avuto alcun passeggero ad ostruirle con le spalle la visuale o a premerla da dietro affinché si affrettasse a sedersi e, dunque, permettesse loro di fare altrettanto.

Per questo attraversò il corridoio con tutta calma, ed ebbe modo di notare con la coda dell'occhio che, contro ogni sua aspettativa, lui non aveva sollevato il viso per guardarla. Ma non ne rimase delusa, no...

Si sentì proprio morire dentro. Come se la mancanza di quella scintilla di cui necessitava quotidianamente per alimentare le sue speranze non avesse estinto solo quelle, ma anche la sua stessa voglia di vivere.

Comunque, se l'era andata a cercare e se lo meritava: era stata una sciocca.

Si rimproverò severa, e si impose rigorosa di non lasciarsi sopraffare dallo sconforto. Era giunto il momento che si rassegnasse, e che i suoi sentimenti voltassero pagina. Una realmente esistente, anziché continuare a soffermarsi su quella fittizia che lei stessa aveva aggiunto e riempito con le parole che più desiderava leggere. Era molto meglio che le cancellasse di persona, prima che altre ventate gelide vi soffiassero sopra fino a sbiadirle, o a farle volar via con un impeto irrefrenabile, a cui non sarebbe riuscita ad opporsi senza provocarne anche un qualche strappo. Perché allora di quel foglio non le sarebbero rimasti che pochi brandelli, tinti del sangue con cui lei stessa li avrebbe di certo macchiati quando, nella foga di trattenere almeno quelli, si sarebbe tagliata alle dita coi bordi frastagliati della loro carta. Sarebbe stato doloroso, e lei non voleva soffrire. Meglio prevenire che curare, considerato soprattutto quanto si trattasse di una ferita così pericolosamente a rischio d'infezione.

Dunque, decise che l'avrebbe fatto immediatamente, ed in via precauzionale si prescrisse pure un vaccino: avrebbe cambiato posto, scegliendone uno il più possibile lontano da lui, e la prima cosa che avrebbe fatto una volta seduta non sarebbe stata quella di estrarre il lettore mp3 per ascoltare la loro canzone, ma quella di recuperare il cellulare per scrivere un sms al ragazzo che le aveva presentato la sua coinquilina. Le aveva già chiesto più volte di uscire assieme, e lei troppe volte gli aveva risposto di aver già degli altri impegni...

Se ne sarebbe liberata, e d'ora in avanti si sarebbe recata solo a dei veri appuntamenti.

Ma, chiaramente, tutti i suoi buoni propositi vennero vanificati sul nascere, perché quando gli si avvicinò non riuscì mai a superarlo. Anzi, prima che potesse stralciarla, lui le appuntò un segnalibro proprio alla pagina che gli aveva dedicato.

Nell'approssimarsi al suo posto si accorse che, se stava tenendo il viso abbassato, era solo perché intento ad annotarsi un qualche promemoria su un'agenda che mai gli aveva visto prima. O meglio, uno che aveva appena terminato di trascrivere, perché la richiuse rapido con uno schiocco ed andò ad appoggiarla sul sedile al suo fianco.

Con somma fatica, si impose di continuare a guardare il corridoio su cui stava camminando, anziché il meraviglioso ragazzo che si era appena allungato fino ad invadere il campo visivo da cui stava cercando di estrometterlo. Ma, proprio per quello, le fu impossibile non notare l'oggetto che in quel preciso istante cadde ai suoi piedi. Forse gli era sfuggito di mano, forse gli era scivolato via dall'agenda per la fretta... Una negligenza che non era affatto da lui, ma su cui al momento nemmeno s'interrogò.

La sola cosa di cui si accorse, fu quella sottile stilografica che era appena caduta a terra, tintinnando in una limpida serie di rintocchi metallici.

Avvenne così all'improvviso da coglierla di sorpresa, proprio come un agguato teso ad un viandante ignaro, troppo concentrato sulla propria meta per potersi accorgere di un ostacolo lanciato dalla boscaglia al preciso scopo di frapporsi al suo cammino. Lei, però, anche se non si era aspettata una simile offensiva, si era ben guardata dall'abbassare la guardia proprio nel punto più periglioso del tragitto. Anzi, tutti i suoi sensi erano così all'erta che riuscì con uno scatto repentino ad eludere quella trappola, evitando di finirci dentro.

Così, evitò di calpestare quella biro... ma, nello scansarsi a lato, le permise anche di rotolare via incontrollata.

Ne seguì il moto paralizzata sul posto, finché non la vide scomparire dietro di sé. Allora spalancò gli occhi ed inorridì al punto che il sangue le si ghiacciò nelle vene, nel realizzare che non aveva affatto scampato un pericolo, ma soltanto fatto una pessima figura cui doveva assolutamente porre rimedio prima che si potesse tramutare in un'onta irreversibile.

Si voltò fulminea, e si lanciò all'inseguimento della stilografica fuggitiva.

Aveva su di lei un buon vantaggio di circa un metro e teneva un'andatura nettamente più spedita della sua ma, come nella fiaba della lepre e della tartaruga, il concorrente più veloce fece l'errore di fermarsi a riposare, in questo caso all'ombra di un sedile. Così la raggiunse con prontezza e si piegò per recuperarla, raccogliendola vittoriosa. Tuttavia, quando la prese tra le dita, non si sentì affatto sollevata di essere riuscita a tagliare quel traguardo... Il suo cuore, già impazzito per la foga della corsa, iniziò infatti a martellarle nel petto ad un ritmo ancora più furioso, agitato al pensiero di salire sul podio e, soprattutto, di stringere la mano alla persona che avrebbe allora dovuto premiarla.

Però, non poteva più evitarla: si era fatta carico dell'impresa di recuperare un bene perduto, per cui adesso era tenuta a restituirlo al suo legittimo proprietario.

E di certo era quello che anche lui si stava aspettando. Di certo aveva assistito a tutta la scena, ad ogni suo movimento impacciato. Di certo la stava ancora fissando, in attesa che gli riconsegnasse la sua preziosa stilografica. Magari non preziosa da un punto di vista affettivo, probabilmente era solo una delle tante in suo possesso, ma lo era indubbiamente da quello economico. Non se ne intendeva affatto, però era palese quanto fosse di pregevole fattura. Inoltre, il materiale di cui era rivestita era così leggero e luccicante da farle sorgere il sospetto che si trattasse addirittura di un metallo prezioso, argento se non addirittura oro bianco, che stava contaminando con le sue impronte digitali da plebea. Probabilmente valeva più quella biro di qualunque altro oggetto avesse mai toccato, o avrebbe mai potuto avere tra le mani per tutto il resto della sua esistenza...

Ragione in più per sbrigarsi a ridargliela, prima di dargli l'impressione che stesse meditando d'intascarsela.

Trasse un profondo respiro, si raddrizzò e si voltò nuovamente al suo indirizzo per raggiungerlo e consegnargli pentita il maltolto. Tenne lo sguardo basso, concentrato sulla refurtiva, preoccupandosi di reggerla ben stretta tra le mani, casomai per l'ansia se la fosse fatta sfuggire dalle dita. Inoltre era un buon pretesto per cercare di nascondere il viso, perché si sentiva così paonazza che, verosimilmente, lo era anche diventata. Si augurò che lui non se ne fosse accorto, per quanto fosse ben più probabile il contrario visto che, come aveva già immaginato, era tutto rivolto verso di lei, in attesa del suo arrivo.

Non fece in tempo ad espirare, che se lo ritrovò davanti.

Cribbio. Eppure si era sforzata di camminare in modo spontaneo, piano... molto, ma molto piano, per trovare nel frattempo il coraggio di parlargli e le parole migliori da pronunciare. Ed invece non le era venuto uno straccio di idea valida, tanto che la sua voce, non potendo più tergiversare oltre, fu costretta a ripiegare sull'ovvietà.

-Le è caduta la stilografica...-

Si pentì all'istante di quella considerazione. Se n'era accorto già da solo, d'altronde... e non si sarebbe affatto sorpresa se gli fosse arrivata in risposta proprio una simile replica gelida.

Ma, con suo enorme stupore, le parole che pronunciò furono ovvie quanto le sue e, al contempo, suonarono come le migliori che avrebbe mai potuto desiderare sentirsi dire da lui.

-Ti ringrazio.-

Le si era rivolto direttamente, dandole del tu. Senza alcuna sprezzante superiorità, o invadente confidenzialità. L'aveva fatto con naturalezza, come quella che si usa tra coetanei, e persino con quel tono carico d'affetto che di norma si riserva alle persone più care. E l'aveva ringraziata non con sufficienza, come per adempiere ad una cortesia dovuta, o con una simulata, falsa affettazione. C'era del sincero trasporto nelle sue parole, ed un calore intenso che rese però soffuso, diffondendolo su ogni sillaba e prolungandolo fino all'ultimo suono.

Allora, in quel preciso momento, capì che il suo desiderio era appena stato esaudito: era riuscita a sentire la sua voce, a scoprire come fosse per davvero...

La sua vera voce suonava calda ed affettuosa, proprio come si era tanto immaginata.

Tuttavia, lui non si era semplicemente limitato ad accontentare una sua richiesta, perché era andato ben oltre le sue attese. Non solo le aveva permesso di sentirla, ma gliel'aveva addirittura dedicata.

Proprio a lei.

Come lo comprese, tutto l'imbarazzo che l'aveva frenata fino a quel momento scivolò via di colpo, in un battito di ciglia.

E, quando le riaprì, fu per guardarlo negli occhi.

Un solo secondo. Bastò incrociarli per quell'infinitesimo attimo, che ne rimase incatenata, avvinta indissolubilmente. E questo perché nel suo sguardo ritrovò tutto lo stesso affettuoso calore che aveva scoperto nella sua voce, se non uno ancora maggiore. Il segreto del suo fascino era proprio lì, comprese, nascosto nelle profondità di quelle iridi azzurre. L'aveva intravisto di sfuggita, eppure non era mai riuscita a vederlo realmente prima d'allora. Aveva sempre preferito evitarlo, spaventata, quando invece non c'era alcun motivo di temerlo...

Fu così che realizzò di esser stata davvero una sciocca, per essersi persa così a lungo la più bella delle rivelazioni. Le sue labbra si schiusero spontaneamente in un sorriso gioioso, per poi ricambiare le parole ricevute.

-Di nulla: è stato un piacere.-

Si trattò di un'altra ovvietà, ma mai le era parso di parlare con altrettanta onestà ad una persona, oltre che in un modo così intimo e sentito.

E lui le sorrise.

Le sorrise, ed allungò una mano per accettare il bene che gli stava porgendo. Che lei stava tendendo con cautela e reggendo appositamente per un'estremità, affinché lui riuscisse a prenderlo con sicurezza, senza rischiare che uno dei due lo facesse cadere durante il passaggio, evitando qualsivoglia tipo di contatto fisico. Tuttavia, forse perché entrambi avevano continuato a guardarsi negli occhi senza badare troppo ai loro gesti, quel contatto avvenne comunque. E non le sfiorò semplicemente la mano, ma la prese nella sua come se fosse proprio quella, la cosa che le sue dita desideravano afferrare.

Forse fu perché si era dimenticata i guanti ed il gelo invernale gliel'aveva resa ancora più fredda del solito, o forse fu perché la sua aveva avuto modo di riscaldarsi nel tepore dello scompartimento, sta di fatto che a quella presa sentì la pelle scottarle, come se si fosse appena ustionata con una fiamma viva. Sussultò, ed istintivamente contrasse il palmo della mano, sbatté le palpebre, abbassò lo sguardo sulla loro stretta. Allora lui fece altrettanto e l'allentò, seppur senza scioglierla di colpo: la fece scivolare via in una carezza, lenta, avvolgente, partendo dal polso per poi percorrerle il dorso, diramandosi lungo le sue dita fino a raggiungerne le estremità. Solo a quel punto staccò la mano, per arrivare a quell'oggetto di cui si era completamente dimenticata ma che ancora stava reggendo nella propria.

Lui lo prese, lei lo lasciò.

Scese il sipario, e sapendo che, una volta calate le tende, agli spettatori non è permesso scostarle per sbirciare dietro le quinte, fu costretta a scendere dal palco su cui quell'incantatore l'aveva invitata a salire affinché gli offrisse una mano nel suo numero. Si voltò a malincuore, e ritornò tra il pubblico. Tuttavia non si andò a sedere in platea, com'era nei suoi intenti iniziali: prese il posto che aveva prenotato, quello situato nel loggione laterale e da cui si godeva della vista migliore. Proprio quello che stava per cedere ad altri, disdicendo il suo abbonamento alla stagione teatrale perché troppo insoddisfatta delle esibizioni, ma che aveva appena avuto modo di apprezzare appieno... e giusto in tempo, fortunatamente, poco prima che commettesse l'errore di dirigersi alle casse per chiedere un rimborso del biglietto, e poter poi spendere i suoi risparmi con un altro, indesiderato intrattenitore.

Così vi si sedette come sua abitudine e, come sua abitudine, ascoltò subito la loro canzone, anche se per la prima volta non lo fece immaginandosi un incontro indefinito, ma ripensando a quello appena vissuto. E, benché non lo facesse mai per il troppo freddo che le penetrava sin nelle ossa mentre percorreva il tratto di strada tra l'università e la fermata, si sbottonò il cappotto e se lo sfilò dalle spalle, perché bastava quel ricordo, la sensazione vellutata che ancora percepiva sulla pelle, a scaldarla fin nel più profondo del cuore.

Poi, quando arrivò per lei il momento di scendere e sentì come di consueto il suo sguardo su di sé, non riuscì a resistere alla tentazione di richiedergli un bis: lo guardò anche lei negli occhi, ed abbozzò timidamente un sorriso. Uno che, come si vide ricambiare, divenne di riflesso tanto aperto quant'era sincero, manifestato appieno una volta disperso ogni timore.

Uno scambio, però, che durò appena pochi secondi. Giusto quelli che impiegò per avviarsi lungo il corridoio, trascorsi i quali fu costretta a dargli le spalle e a scendere dal treno. Dunque era scesa, e come in tranche si era incamminata verso il suo appartamento, domandandosi quanto di tutto questo fosse realmente accaduto.

Non trovò una valida risposta al suo interrogativo, né allora né per tutto il tempo che trascorse sul suo letto a meditarci sopra.

Per questo, il giorno dopo andò in cerca di una conferma, sperando di ottenere proprio quella di cui sentiva il bisogno. Salì sul suburbano, radunò tutto il suo coraggio e, quando gli fu vicina, si volse a guardarlo.

E lui ancora ricambiò il suo sguardo, e le sorrise facendola sorridere.

Aveva appena avuto la conferma che cercava e lei, in un certo senso, gli aveva appena dato la sua.

Così, quando arrivò alla sua fermata e giunse il momento di congedarsi, lo guardò di nuovo e gli sorrise senza esitazione alcuna. E così fece anche lui, talmente in sincronia che sarebbe stato davvero impossibile capire chi dei due l'avesse fatto per primo.

Da allora, quella di salutarsi in quel modo divenne una costante fissa, quasi automatica, tipica di ogni volta che prendeva posto o faceva per lasciarlo. Si guardavano e si sorridevano. E che diventò per lei una consuetudine ben più preziosa di qualunque altra sua abitudine, perché quella era condivisa con lui, perché l'avevano consacrata come una loro tradizione.

Il migliore rituale che avesse mai praticato.

 


 

N/A - H^o^la!

Ed eccoci arrivati al tanto agognato “primo contatto”. L'inizio è stato forse un po' tragicomico, ma poi si è risolto tutto per il meglio, no? Sabato prossimo, invece, scopriremo se e cosa sia frullato per la testa a Seto... Dunque a presto, e grazie mille per la lettura!

XOXO

- Evee

   
 
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