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Autore: Non ti scordar di me    28/03/2015    7 recensioni
[Sequel Amore Proibito]
E dopo anni di lontananza, Elena e Damon Salvatore si rincontrano in un altro contesto e con altri sentimenti.
Elena è in bilico tra due mondi diversi: un mondo di sorrisi finti o un mondo di apatia. Lei non fa parte né di uno né dell’altro.
Damon ha trasformato il ‘proibito’ che provava per Elena in altro: in odio e sarcasmo mal celato.
Elena non ha rinunciato alla vita. Lei vuole salvarsi. Non vuole sentirsi un reietto della società.
Damon non ha più fiducia in nessuno. Lui non vuole salvarsi. Vuole trovare un metodo per chiudere tutto.
I due una volta che si rincontreranno cosa faranno? E soprattutto, i due lasceranno alle spalle il loro legame di sangue?
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Dalla storia:
«Se ora sei così sicura di te e combatti questa merda che hai intorno, è merito mio. Ti ho reso io forte, bimba.» Commentò stanco.
-
«Un fiammifero.»
«Un fiammifero?» Chiesi.
«Un fiammifero che prova a battere le tenebre. Ecco cosa sei.» Disse Damon.
-
«Lei era un’oppressa. Lui era un sopravissuto.»
-
E i due come si comporteranno? Lasceranno che il loro ‘proibito’ vinca su quello che pensa la gente?
Non ti scordar di me.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
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Il capitolo presenta FRASI FORTI CHE POTREBBERO INFLUENZARE NEGATIVAMENTE IL LETTORE, NON per persone facilmente influenzabili.
RIPETO: NON condivido assolutamente quello che fanno i personaggi della mia storia.
 
Capitolo undici.
Past.
 
«Non sei obbligata a fare niente.» Sospirò per la duecentesima volta Damon aprendomi lo sportello dell’auto di mamma e invitandomi con un cenno del capo ad entrarci.
«Chi ti ha detto che mi sento obbligata a fare una cosa del genere?» Gli chiesi alzando gli occhi al cielo con stizza. Mi allacciai la cintura di sicurezza e mi appiattii contro il sedile sperando che tutto finisse al più presto.
«Elena puoi rimanere a casa.» Mi ripeté infilando le chiavi nella toppa e accendendo il motore. «Io e Joseph discuteremo di…» Si bloccò osservando il mio sguardo perplesso e non continuò.
Deglutì e prese una lunga boccata d’aria, prima di far muovere finalmente quella macchina.
«Discutere?» Chiesi alzando un sopraciglio incerta. Già mi puzzava parecchio quel discutere, sapevo che il loro discutere non equivaleva al mio di discutere.
Era uno delle tante motivazioni per cui avevo convinto – o meglio, per cui avevo costretto – Damon a portarmi con sé: speravo che con una ragazza presente la situazione non sarebbe degenerata.
«Di cosa, precisamente?» Insistetti. Il corvino fermò la macchina al semaforo rosso e iniziò a picchiettare sul finestrino un motivetto improvvisato ignorandomi completamente.
«Porca miseria, parla!» Alzai la voce sedendomi meglio sul sedile. Damon – per la terza volta – mi ignorò e partì visto che il semaforo era passato dal rosso al verde.
«Del cadavere.» Sbottò dopo pochi istanti di silenzio.
Spalancai la bocca e sgranai gli occhi, mentre un groppo si formava all’altezza della gola. Ero convinta che avessero già risolto questo problema, Damon mi aveva detto che avevano risolto questa parte di questa situazione complessa.
«Pensi di spaventarmi e farmi scappare a gambe levate?» Ridacchiai a disagio spostandomi i capelli dalla spalla sinistra a quella destra.
«So che non mi lasceresti.» Commentò con un mezzo sorriso. Il tono fastidioso e maledettamente sicuro che aveva usato mi mandava in bestia, così come mi mandava in bestia il fatto che lui avesse completamente ragione.
«Non hai pensato che potrei non mantenere la nostra promessa?» Chiesi curiosa. Quest’idea non mi era passata neanche per un secondo nella mente, non avevo mai calcolato l’ipotesi di tradire mio fratello, sangue del mio sangue.
«Ho pensato anche a questo.» Disse telegrafico girando a destra e incanalandosi in una strada che ci avrebbe condotti alla periferia di Londra.
«E non hai paura?» Damon non aveva mai girato lo sguardo verso di me, era rimasto fermo ed immobile. Il respiro calmo e regolarizzato come se fosse un normale viaggio in macchina e aveva, persino, il coraggio di comportarsi da grande bastardo.
«Che tu possa tradirmi?» Rise apertamente e mi chiesi se le mie mosse fossero così semplici da codificare. «Non molto, sinceramente.» Disse regolando le risa spropositate.
Perché? Pensai tra me e me. Non diedi voce a quello che avevo pensato, Damon probabilmente aveva già capito dove volevo andare a parare.
«Se avessi il minimo sospetto che tu volessi tradirci, ti avrei già uccisa.» Sentire una frase dal genere ti destabilizzava, completamente. Non avevo mai pensato, né calcolato l’ipotesi che Damon mi volesse uccidere o si volesse assicurare il mio silenzio.
Non può dire sul serio. Sono sua sorella.
Potevo pensare solamente a questo, solo questo pensiero mi vorticava in mente mentre mantenevo un’espressione seria e imperturbabile.
«Sono tua sorella.» Gli ricordai alzando un sopraciglio. Il corvino si girò repentinamente verso di me, rivolgendomi una mezza occhiata interrogativa.
«Avresti il coraggio di guardarmi negli occhi e uccidermi a sangue freddo?» Non mi pentii affatto di quella domanda avventata. Per quanto temessi la sua risposta, non potevo avere questo dubbio: volevo sapere se quello che stavo facendo – se coprirlo – aveva un senso. Volevo avere la certezza che lui non si sarebbe seriamente sbarazzato di me se diventassi troppo scomoda.
Il silenzio governò nell’abitacolo diversi minuti, io non replicai più e Damon guidava in silenzio stringendo le mani intorno al volante tanto forte da far diventare le nocche bianche.
Parcheggiò vicino ad un marciapiede e riconobbi subito il posto in cui ci trovavamo. Eravamo a pochi isolati di distanza dalla vecchia scuola di ballo, solo a ricordare quel luogo mi venivano i brividi, pensare che lì dentro era morto qualcuno e che io stavo aiutando l’assassino a coprire il danno mi faceva accapponare la pelle e i sensi di colpa riemergevano troppo velocemente.
«Damon, voglio una risposta.» Gli dissi slacciandomi la cintura e sbattendo con forza lo sportello. Il corvino scese subito dopo di me e mi affiancò accelerando di poco il passo.
Non mi rispose, continuò a camminare e mi superò di qualche metro avviandosi spedito verso quel lugubre luogo.
Dio mio. Pensai trattenendo l’aria per l’ansia.
«Fermati!» Gli urlai a gran voce. «Sono sempre in tempo per ritornare indietro e fare una cazzata, sai?» Solo a queste parole finalmente si fermò e si girò, costatando che la distanza che ci separava era di svariati metri.
«Non ho tempo per i capricci.» Mi rispose acido giocherellando con le chiavi dell’auto.
Capricci? Detestavo quando giocava quella carta: tentava di farmi cambiare idea e di rimandare qualche discorso che sapeva avremo affrontato.
«Non ho tempo da spendere con una persona che mi ucciderebbe senza problemi.» Risposi piccata. Lo vidi sgranare gli occhi e mordersi l’interno guancia, combattuto sul da farsi.
«Vuoi parlare di questo proprio ora?» Ringhiò facendo un paio di passi avanti. Gli occhi quasi gli uscivano fuori dalle orbite, era tangibile il suo nervosismo.
«Voglio solo una risposta.» Gli feci notare avvicinandomi a lui e affiancandolo completamente. I suoi occhi azzurri scrutavano attentamente il mio volto, aprì la bocca ma non ne uscì fuori alcun suono. Sembrò rifletterci su e solo dopo pochi secondi decise di parlare.
«Forse non ti è chiaro una cosa. Sono disposto a giocare carte false per assicurarmi che le persone che amo stiano bene…» La prima cosa che mi chiesi era se io ero tra quelle persone, chissà se in quel piccolo cerchio di persone c’ero anch’io.
«Ero disposto a tirarti fuori da questa merda, okay? Tu hai deciso di arrivare fino in fondo e qui ognuno cerca di sopravvivere a modo proprio.» Scandiva attentamente tutto ciò che diceva, stava pesando tutto quello che diceva, quasi a volermi far capire l’importanza di quello che stava cercando di trasmettermi.
«Ognuno è custode della propria vita, ora.» Sospirò. «E io non posso proteggere la mia vita e la tua, chiaro? Le mie forze bastano solo per una persona.» Mi prese per le spalle e alzai lo sguardo incontrando quei magnifici occhi azzurri che nascondevano troppe ombre.
Ombre di cui non sapevo neanche l’esistenza.
«Vuoi che impieghi le mie forze per proteggere la tua vita?» Persi un battito quando sentii quelle parole pronunciate proprio da lui. Era un ragionamento così masochista degno di Damon Salvatore.
«Non ti chiederei mai una cosa del genere.» Dissi a muso duro. Mi infastidiva, mi nauseava il solo pensiero che mi avesse considerata così narcisista e stronza da chiedergli di rinunciare alla sua vita per me. Nessuno poteva fare questo discorso, nessuno. Neanche lui, neanche il peggiore degli assassini poteva considerare così banale la propria vita.
«Mi stai dicendo di impiegare le mie forze per me stesso, ti prendo in parola. Per difendermi sono disposto a giocare carte false con tutti, anche con te.» La sua risposta era un fottuto sì. Lui per difendere la sua vita, sarebbe arrivato ad uccidere sua sorella.
Forse alle orecchie di qualcun altro, Damon poteva sembrare un abominio…Io invece non lo vedevo così. Il suo era…istinto di conservazione. Forse non era la definizione più appropriata da dargli, ma in quel momento non riuscivo a catalogarlo come altro. Non volevo pensare a lui come un mostro.
Perché non lo era.
«E ti chiedo, Elena, di giurarmi che giocherai carte false anche tu per la tua vita.» Inclinai leggermente la testa sorpresa.
«Che intendi?» Mi aspettavo che la voce mi uscisse come un debole sussurro o che non uscisse affatto, invece ormai avevo imparato a non rimanere mai senza parole. Tutto quello che avevo sentito – e che stavo sentendo – mi facevano sempre comprendere di più come questo mondo sia completamente inesplorato per me.
Avevo vissuto così tanti anni nel buio, alla ricerca di qualcosa di stupido, alla ricerca del lieto fine, alla ricerca del brivido…Ed ora era questo il prezzo da pagare.
Mi ero immischiata in questo casino solo per noia, per provare qualcosa di diverso…Questo era il risultato.
«Intendo che se un giorno dovrai uccidermi perché ti sarò di intralcio, tu dovrai farlo.» Il tono di Damon così serio e raschiato mi faceva pensare che avesse qualcosa in mente, che uno dei suoi piani sarebbe stato più dannoso per lui che per me.
«Non dirlo neanche per scherzo.» Lo aggredii liberandomi delle sue mani sulle mie spalle. Cercai di togliermi di dosso quella sensazione soffocante e continuai a camminare dritta vedendo da lontano l’insegna della scuola in cui Joseph ci stava aspettando.
Non volevo neanche pensare a qualcosa di così macabro. Non volevo neanche pensare che un giorno questa storia si sarebbe conclusa, non volevo immaginare il finale di questa storia perché il mio cuore sapeva che non si sarebbe conclusa bene.
«Promettimelo.» Mi prese il polso. Non osai neanche girarmi per guardarlo in quegli occhi. «Devo sapere che se ci fossero complicazioni, tu saresti disposta ad uccidermi così come io lo sono io.» Voleva assicurarsi che avessi il coraggio di farlo fuori? No, non era questo che voleva assicurarsi.
La sua era una tacita supplica, mi stava chiedendo di ucciderlo. Perché sapeva che lui non mi avrebbe uccisa, però voleva la certezza che io ne fossi in grado.
«E se entrambi promettessimo di proteggere l’altro a costo della vita?» Avevo in qualche modo eluso la sua supplica, dandogli un motivo per restare.
«Stai dicendo che dovremo impiegare le nostre forze per proteggerci?» Non ha capito cosa intendo. Scossi la testa e deglutii sapendo che quello che stavo per dire era tremendamente sbagliato.
«Sto dicendo di essere disposta a impiegare le mie forze per proteggere te, se tu fossi disposto a impiegare le tue forze per proteggere me.»
Entrambi dovevamo avere la vita dell’altro nelle nostre mani. Solo così potevamo veramente avere la voglia di combattere.
Mi aveva detto di essere disposto di impiegare le sue forze per me, non mi andava bene. O entrambi impiegavamo le nostre forze per l’altro, o niente.
«Pensi che ti lascerei fare una cosa del genere? Che razza di fratello sarei?» La sua mano mi sfiorò il fianco e distolse per pochi istanti i suoi occhi azzurri per guardare altrove.
«E’ un patto equo, Damon.» Gli dissi, cercando di sottrarmi alle sue mani che ora mi circondavano il bacino. Il suo profumo mi inondò le narici e mi resi conto che non sarei mai stata in grado di ucciderlo. Non avevo il coraggio, non avevo la voglia.
«Tu non devi impiegare le tue forze per proteggermi. Impiegale per proteggere te stessa.»
«Damon, devi capire che non sarò mai in grado di ucciderti.» Incominciai tentennando. «Se vuoi morire, almeno fallo combattendo. Non ti faciliterò il gioco con questa storia perversa dell’ucciderci a vicenda.» In realtà stavo cerando di carpire più informazioni possibili. Dovevo capire perché volesse a tutti i costi morire, dovevo sapere perché la sua voglia di vivere era sotto zero.
«O almeno, abbi il coraggio di segnare la fine della tua vita.» Gli stavo suggerendo di uccidersi? Stavo, seriamente, suggerendo di togliersi la vita?
«Non mi manca il coraggio.» Soffiò a voce bassa provocandomi mille brividi. Al sol pensiero di Damon che compisse un gesto del genere, mi veniva già la pelle d’oca. «Ma preferisco aspettare.»
«Aspettare che sia qualcuno di degno di mettere fine alla mia vita.» A quelle parole scoppiai, la mia mano entrò in collisione col suo volto. Il suono dello schiaffo risuonò nel silenzio di quelle stradine.
«Nessuno sarà mai degno di toglierti la vita. Nessuno, Damon. E mi fa schifo, mi fa schifo pensare che per te la tua vita valga così poco.» Gli dissi a denti stretti. Il corvino non reagì, non aprì neanche la bocca riguardo lo schiaffo.
«Mi fa schifo pensare che tu per un momento abbia pensato seriamente di chiudere tutto senza dirmi addio.» Lo guardai negli occhi e sentii un macigno gravare sul cuore quando incontrai quegli occhi così colpevoli.
E allora realizzai quello che stava succedendo.
«Tu…tu hai…Seriamente hai pensato di farlo? Senza dire niente a me? A Stefan? Alla tua famiglia?» Mi sentii sconsolata.
Era depresso. Pensai. Era ad una depressione avanzata, probabilmente. E né io, né la mamma ne sapevamo qualcosa.
Stupida. Stupida perché non ci ero arrivata prima.
Sciocca. Sciocca perché tante volte gli avevo detto e ripetuto che per me, lui era uno zero.
Inutile. Inutile perché mio fratello voleva morire e io non gli stavo dando motivo di andare avanti.
«Sono padrone della mia vita.» Riuscì a replicare solo questo.
«Tu NON sei padrone di un cazzo. Se fossi padrone della tua vita, non faresti questi discorsi campati in aria!» Ruggii infastidita dandogli una spinta che non gli fece alcun effetto.
«Non puoi parlare. Non ci sei stata in questi anni.» Non disse queste parole in modo acido, il suo tono era piatto, neutro. Parole piene di apatia ed indifferenza.
«Ci sono ora, però.» Non lo lascerò. «E se ti serve un motivo per vivere, te lo darò io. Non hai voglia di impiegare le tue forze per te stesso, impiegale per me. E io le impiegherò per te.»
Sentendo le ultime parole arricciò il naso.
«Non c’è bisogno che tu spreca le tue energie per me.» Deglutii, già pensando alle miliardi di soluzione che potevo analizzare per aiutare Damon ad uscire da quel tunnel nero e buio che lo stava inghiottendo.
«Lo voglio fare.» Insistetti.
«Come puoi fidarti completamente di me?» Mi chiese ancora con uno sguardo indecifrabile.
«Da quello che ho potuto sentire, vuoi mettere fine alla tua vita ma non vuoi mettere fine alla mia.» Doveva solamente trovare un motivo per andare avanti e capire che non era la soluzione giusta finire la sua vita in quel modo.
«Ci sto.» Mi porse la mano e gliela strinsi. Dopo di che ci rivolgemmo uno sguardo d’intesa e ci avviammo verso il nostro punto di incontro – sempre con le mani intrecciate. –
«Sei armato?» Gli chiesi ad un certo punto. Sapevo che non aveva armi con sé, quella pistola che aveva con sé – la sera di quel maledetto giorno – l’aveva solamente sottratta ad uno dei tanti delinquenti che aveva sotto tiro.
«Solo un coltellino.» Rispose asciutto aprendo con un calcio secco la porta. Misi piede all’interno e presi quasi un colpo vedendo che Joseph era seduto sulle scale di fronte a noi con una sigaretta in mano e ci squadrava divertito.
«La prima ragazza con il fegato di rimanere invischiata in una situazione del genere, ti ammiro.» Si alzò da sedere e fece cadere un po’ di cenere a terra.
«Smettila.» Intervenne con voce secca Damon. Il corvino si ancorò maggiormente alla mia mano, stringendola più forte e io provai a rispondere alla sua stretta poderosa con tutta la forza che possedevo.
«Salta i convenevoli.» Lo appoggiai irrigidendo tutti i muscoli del corpo vedendo che Joseph ci faceva segno di seguirlo.
«Rilassati, bimba.» Mi sussurrò lentamente all’orecchio guidandomi verso una delle tante sale da ballo che il ragazzo aveva improvvisato a mo’ di ufficio.
«Non capisco perché siamo qui.» Gli dissi non curandomi del tono di voce troppo alto, volevo che Joseph mi sentisse e che magari fosse lui a rispondermi. Damon mi aveva detto che dovevano parlare del cadavere, ma non ero così stupida da credere che dopo più due settimane quei due non si fossero già sbarazzati del corpo del povero Trevor.
«Ottima domanda, Elena.» Damon fu preceduto da quel bastardo che aveva accavallato le gambe e aspirava fumo dalla seconda sigaretta che aveva acceso non appena messo piede in quella stanza.
«Rispondi allora.» La buttò lì il corvino. Gli rivolsi un’occhiata interrogativa, incontrai i suoi occhi e capii che neanche lui sapeva il reale motivo per cui quello stronzo ci aveva chiamati.
E’ un’imboscata. Fu il primo pensiero che mi venne in mente e iniziai a guardarmi attorno sperando di trovare una possibile via d’uscita in caso di problemi.
«Tranquillo, amico. Abbiamo sistemato il cadavere…La questione è un’altra.» Disse con semplicità. Presi un colpo a quelle parole e mi sorse subito un dubbio c’erano altre questioni? E perché non ne sapevo niente?
«Non ho tempo da perdere.» Lo spronai a continuare, ma in risposta ebbi solamente una finta smorfia di dissenso da Joseph e un’occhiata di ammonimento da parte di Damon.
«Cosa aspetti? Hai sentito quello che ti ha chiesto?» Decise di darmi man forte il corvino lasciando la mia mano per prendermi delicatamente per le spalle e farmi fare un passo indietro.
«Non mordo, sai? Potresti lasciarla avvicinare di più, eh?» Cambiò completamente argomento Joseph spegnendo la sigaretta sulla scrivania.
«Non ci tengo, grazie.» Grugnii fra i denti stringendo il braccio di Damon.
Lui ridacchiò leggermente.
«Non la pensavi così…» Borbottò più a sé stesso che a noi. Sbiancai all’istante ma feci finta di non capire quello che disse: non avevo raccontato a Damon di come avevo, effettivamente, conosciuto Joseph e non avevo intenzione di dirglielo fino a quando tutta questa storia non fosse morta e sepolta.
«King non rompere il cazzo e parla.» Sputò acido sbuffando.
«La tua bella deve rimanere qui?» Sganciò quell’affermazione con un sorriso da stronzo sul volto. Alzai repentinamente lo sguardo e assottigliando gli occhi, non capendo se fossi io a capire male o se lui intendesse quello che avevamo afferrato io e il corvino.
«Sorpreso, Salvatore?» Lo prese in giro. «Pensavi seriamente che non sapessi chi fosse realmente per te questa ragazza?» Gli chiese inclinando il volto con finta aria da saputello.
«L’ultima volta che sei ritornato mi hanno detto che eri in compagnia di una bella ragazza…» Incominciò incurante. «Me l’hanno descritta come una ragazza stronza e bastarda, insomma la degna compagna di un Salvatore.» Commentò toccandosi i capelli.
«E con questo? Sai con quante donne posso essere stato?» Ridacchiò sprezzante stringendo la mia mano. Non capivo come fosse possibile che Joseph avesse capito tutto quanto, eravamo stati così attenti fin’ora. Perché doveva uscire tutto fuori ora?
«Infatti non ci ho dato peso, poi per sbaglio ho incappato nella tua sorellina. L’hai nascosta bene da questa vita, peccato che lei sia esattamente come te.» Era una specie di complimento? «Dalla sera in cui ti ho visto puntarmi contro una pistola per difenderla, ho capito che forse lei potrebbe coincidere con i tratti di questa misteriosa ragazza che ha avuto il coraggio di partecipare con te ad una gara clandestina.» Alla fine della sua spiegazione, la sua bocca si era increspata in un grande sorriso.
Sgamati in pieno. Ora eravamo in guai seri.
«Non ho idea di cosa tu stia parlando.» Mentì Damon scrollando le spalle. Dovevo dargli corda.
«Non c’è bisogno che mentiate. Non m’interessa in che situazione vi troviate e non mi interessa come sia possibile che siate attratti l’uno dell’altro, okay?» Non sembrava schifato, non aveva neanche detto i soliti commenti che avevo sentiti fin’ora.
«Allora cosa ti interessa?» Damon si era liberato dalla mia presa sul suo braccio e si avvicinò pericolosamente a Joseph che si era alzato dalla scrivania per fronteggiare il corvino.
«M’interessa preservare la mia vita. Non voglio finire in prigione e so che per amore si gioca tutto fino alla fine.» Joseph King – lo stesso ragazzo che mi aveva puntato una pistola alla gola – aveva paura che uno dei due – tra me e Damon – potesse cedere per amore.
Aveva completamente sbagliato strada.
«Il punto è che non è amore.» Intervenni io che ero rimasta immobile. Richiamai l’attenzione dei due. Joseph mi osservò per pochi istanti, forse incerto su come procedere.
«Mi fiderò, Elena.» Commentò dando una leggere spinta al corvino come per scollarselo di dosso. «Se per  
Ecco il motivo reale per il quale aveva chiesto quell’incontro: voleva che tutti noi avessimo una stessa versione da propinare in caso di problemi.
«Paura che ceda?» Gli chiesi curiosa. In realtà, nel profondo, anch’io avevo paura di cedere e vuotare il sacco. Avrei dovuto lavorarci su questa parte troppo vulnerabile del mio carattere, non avrebbe portato a molto.
«Non esattamente.»
Mi sorrise enigmatico.
 
*
Mi venne in mente quella discussione, avuta con quei due, - più di un mese fa – non appena aprii la porta di casa e mi ritrovai davanti un poliziotto in divisa che aveva in mano un taccuino e mi fissava con circospezione.
Era successo troppo in quel mese e mi sentii sollevata per essere riuscita a cambiare quella parte vulnerabile del mio carattere. Ora riuscivo a mentire perfettamente ed ero persino riuscita a maneggiare un’arma – Damon era stato fin da subito contrario a questa mia malsana idea, ma alla fine avevo avuto la meglio -.
«Elena Salvatore?» Mi chiese il poliziotto in divisa segnando chissà cosa su quel taccuino. Alzai scocciata lo sguardo e annuii facendo la finta disinteressata.
«Dovrei chiedervi qualche domanda, se non le spiace.» Continuò gentilmente. Si stava autoinvitando in casa mia? Per un momento, ringraziai il cielo che mia madre non era in casa altrimenti avrebbe preso un colpo.
Deglutii pensando che avrei dovuto spiegarle per sommi capi come mi ritrovavo in quella complicata situazione.
«E’ un interrogatorio?» Chiesi ironica facendomi da parte e invitando con un cenno del capo il poliziotto di entrare in casa.
«Suppongo che abbiate guardato il telegiornale in questi tempi, giusto?» Mi morsi un labbro e iniziai a pensare a cosa rispondere. Era chiaro come il sole che stava cercando di mettermi alle strette provando a innescare qualche sensazione o emozione che avrebbe potuto dichiararmi indagata di quel caso.
«Sì, solo non capisco come mai voi siate qui.» Dissi innocentemente.
«Avete mai visto Trevor Wood? O sentito parlare di Trevor Wood?» Dritto al punto. Feci finta di pensarci su, anche se in realtà ricordavo perfettamente chi fosse Trevor Wood.
Quel ragazzo era solo la vittima di uno psicopatico che non vedevo da più di un mese.
«Quel ragazzo scomparso? Ne ho sentito parlare al telegiornale.» Dissi giocando con le ciocche dei miei capelli con finta aria disinteressata.
«Dalle notizie che si sono pervenute, era amico di Joseph King.» Quel nome mi avrebbe perseguitato tutta la vita, ne ero certa. Ogni volta che sentivo quel nome, era quasi impossibile non reprimere i brividi di paura e la nausea.
«Joseph King? Quel Joseph King?» Aggrottai le sopraciglia e mi preparai già il discorsetto che mi ripetevo ogni sera prima di andare a dormire.
«Io sto parlando del delinquente Joseph King, l’ultima volta che abbiamo provato ad incastrarlo ne è uscito pulito...» Lasciò il discorso in sospensione e io sospirai.
«E io vorrei capire come mai voi stiate associando il nome di quel delinquente al mio.» Sputai acida. Il poliziotto si chiuse alle spalle la porta di casa e accennò un sorriso tirato.
«Dove possiamo accomodarci?» Andrà per le lunghe. Pensai, sorridendo e indicandogli la cucina da dove proveniva un forte odore di tè – che fino a pochi minuti fa stavo preparando -.
«Mi scuso per questa intrusione.» Continuò. Io scossi la testa e presi dalla credenza un’altra tazza e gliela poggiai sul tavolino.
«Continui.» Lo invitai a parlare, accomodandomi di fronte a lui.
«L’ultima volta che abbiamo avuto a che fare con King, è stato nel 2007. Era stato accusato di premeditato omicidio contro una giovane ragazza.» Mi spiegò. Realizzai che erano otto anni che stavano provando ad incastrarlo e facendo due conti veloci a quel tempo Damon aveva circa diciotto anni.
«Ripeto: non capisco cosa questo possa c’entrare con i Salvatore.» Replicai sinceramente infastidita. Non c’erano prove contro di me o contro la mia famiglia, non riuscivo a capire come erano riusciti ad arrivare da noi.
«Questa giovane ragazza si chiamava Katherine Pierce.» Porca puttana, non può essere. A quel nome non riuscii a controllare lo stupore e involontariamente sgranai la bocca incerta. «Suppongo che sappia chi sia questa giovane, no?» Sul volto dell’agente comparì un sorrisino soddisfatto.
Era un colpo basso. Non avevo la più pallida idea che Joseph avesse provato ad uccidere la fidanzata di Damon. E in più quel bastardo non aveva accennato niente alla sua fedina penale, io mi ero informata ma non ero riuscita ad ottenere nulla di significativo.
«Non l’ho mai conosciuta. E’ solo un nome.» Dissi scrollando le spalle e bevendo un po’ del tè che si stava freddando.
«La cosa più strana è che dopo essere sfuggita a questo omicidio premeditato, non sono passati neanche due giorni che la ragazza si è suicidata.» L’atmosfera stava diventando troppo tesa per i miei gusti e non perché stessimo parlando della ex-fidanzata di mio fratello, ma perché quel poliziotto mi stava facendo chiaramente capire che c’era qualcosa nella morte di Katherine che non tornava.
«E la persona che ha chiamato l’ambulanza per avvertirci che la ragazza si era buttata dal WaterLoo Brigde era proprio Damon Salvatore, suo fratello.» Assottigliai gli occhi e cercai di sforzarmi, di provare a capire dove stesse mirando quel poliziotto.
«Sembrerò stupida, ma non capisco come questo suicidio possa essere collegato alla scomparsa di Trevor Wood.» Andai dritta al punto e non perché volevo liberarmi di lui, anzi la situazione si faceva più complicata di quanto immaginassi, ma perché seriamente non riuscivo a trovare un netto logico per venire qui da me a farmi un terzo grado.
«Abbiamo imparato che King non uccide senza un motivo. Se ha ucciso o se ha premeditato l’omicidio della signorina Pierce, un motivo ci sarà.» Incominciò. «I genitori della ragazza hanno spesso accennato alla presenza di un ragazzo che non è vostro fratello nella vita della figlia.»
Iniziai a collegare i pezzi e intuii, finalmente, il motivo per il quale erano venuti proprio qui.
«E per caso questo misterioso ragazzo corrisponde a Joseph King?» La buttai lì per verificare se le mie ipotesi erano corrette.
«Siete proprio intelligente, signorina Salvatore.» Si complimentò.
Intelligente tanto quanto sono astuta. Pensai.
«La domanda che ci siamo posti è perché provare ad ucciderla se i due si parlavano e si conoscevano?» Stessa domanda che mi stavo ponendo io, in quel momento. «Ora noi sospettiamo di King per questa scomparsa perché Wood era un altro suo amico, volevo solamente chiedere al signor Salvatore se sapesse qualcosa in più sul suo conto.»
Perciò avevano già iniziato le indagini e volevano parlare con Damon per informazioni su King, informazioni che probabilmente non avrebbe mai dato.
«Quante persone sanno di questo tentato omicidio da parte di King nei confronti di Katherine Pierce?» Gli chiesi a muso duro.
«Poche. Il caso della signorina non è ancora stato archiviato da me personalmente, ora ho la possibilità di mettere nel sacco quel delinquente e di incolparlo per due morti.» Spalancai gli occhi a quell’affermazione e anche l’agente si rese conto che aveva fatto un passo falso.
«Mi state dicendo che sospettate che il suicidio di Katherine Pierce non sia un suicidio in piena regola?» Damon non sapeva niente di tutto questo, io non sapevo niente di tutto questo. Joseph si portava questo segreto dietro da anni e nonostante questo sia io che Damon lo stavamo coprendo.
«Ho questo sospetto.» Dovevo aiutarlo, non per lui, per Damon. Perché merita di sapere la verità. «Queste informazioni, vi chiederei, di non divulgarle.» Si raccomandò.
«Vi aiuterò.» Dissi, poggiando la tazza di tè sul tavolo. «Quel bastardo marcirà in prigione.» Decretai.
Aveva ingannato sia me che Damon. Ora si cambiava gioco, lui non sapeva quello che avevo intenzione di fare e non mi sarei fermata.
A costo di essere arrestata.
A costo della vita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Vi ho fatto aspettare veramente troppo e non c’è assolutamente niente che possa dire per migliorare la situazione. Non ho avuto tempo per scrivere e voglio essere sincera non avevo più l’ispirazione. Inizialmente avevo in mente tutto quanto, a partire da come doveva iniziare la storia a così come si doveva concludere. Poi rileggendo quello che ho scritto mi ero resa conto che era tutto troppo banale – okay, forse a voi non lo sembrerà, però per me lo era -, la storia non stava seguendo le mie aspettative, stavo perdendo il significato. Stava perdendo tutto, in breve.
Questo capitolo è in lavoro da questa settimana perché ho iniziato a rileggere il prequel e mi sono ricordata dell’esistenza di Katherine, così mi è venuto in mente un ritorno in grande stile. Probabilmente sarete cadute dalla sedia o dal letto mentre avete letto quello che ho pensato.
E fidatevi neanche io posso capacitarmi della piaga che da questo capitolo ha preso la storia, vi avverto che è tutto in discussione! Niente è come prima, perché prima seguivo un copione che avevo fisso nella mia mente…Ora invece è tutto a ruota libera, tutto quello che la mia mente detta scrivo e non so se è una cosa bella. Un’altra cosa: non ho idea di quando aggiornerò, in questo periodo mi sento particolarmente giù e fuori forma. Anche il mio umore non è granche e forse si riversa anche nel mio modo di scrivere. Questo capitolo è veramente pesante, forse uno dei “peggior” che abbia mai scritto. Mi rendo conto che è presente quasi un’istigazione al suicidio da parte di Elena a Damon e non ho idea se quello che ho scritto possa turbarvi o magari possa trasmettervi quello che volevo trasmettervi. Credo che tocchi a voi dirmi se sono riuscita a trasmettervi quello che intendevo.
Spero che tutti voi non siate rimasti turbati da questo cambio repentino di vedute, che vi sia piaciuto il capitolo. E che non vi siate dimenticate di me.
Ringrazio le ragazze che mi seguono e mi incoraggiano in tutte le storie, per chi stesse leggendo l’altra mia storia ‘I HATE U OR NOT?’ e mi stava chiedendo quando riaggiornassi questa storia eccomi qui! Per chi invece non l’ha ancora letta vi invito a passarci, perché non è assolutamente nel mio genere drammatico.
Spero che mi sosteniate sempre,
Non ti scordar di me.
  
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